Fa' la cosa giusta e guarda Fa' la cosa giusta

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Fa' la cosa giusta

Titolo originale: Do the Right Thing

Regia: Spike Lee

Cast: Danny Aiello, John Turturro, Spike Lee, Giancarlo Esposito, Ossie Davis, Rosie Perez, Richard Edson, Ruby Dee, Frankie Faison, Samuel L. Jackson, Miguel Sandoval, Martin Lawrence

Ho fatto la cosa giusta e ho guardato Fa' la cosa giusta. Inspiegabilmente finora non l'avevo ancora fatto. Può darsi sia per il fatto che io di solito ho qualche problema a fare la cosa giusta. O sarà perché sono un italiano del cazzo, puzza d'aglio, terrone sfollato, pizzaiolo, mangiaspaghetti, Vic Damone, Perry Como, Luciano Pavarotti, Il Volo, 'O Sole mio, coglione e neppure so cantare.

La cosa più giusta di Fa' la cosa giusta è quella di prendere tutti gli stereotipi razziali delle varie razze presenti nei bassifondi di NYC nel 1989 (afroamericani, italoamericani, portoricani e coreani) e risputarle fuori in un tutti contro tutti che cresce poco a poco. Come la temperatura di una calda, caldissima giornata d'estate, la tensione tra le varie culture presenti sale, fino a divampare in un incendio. Un vero e proprio incendio, non è un modo di dire. E cose c'è che va più di moda d'estate ed è più dannoso persino dei tormentoni latinoamericani, se non gli incendi?

Fa' la cosa giusta potrebbe sembrare una commedia, e un po' lo è. Per quanto la vicenda prenda una piega drammatica, parecchio drammatica, Spike Lee tiene alto il livello dell'umorismo per tutto il film. Dopo tutto è pur sempre un summer movie, un summer movie che tratta il tema della questione razziale da differenti punti di vista e lo fa a tratti con leggerezza e a tratti affondando il colpo in maniera potente. Con una dirompenza che assume così una forza ancora maggiore.

Quello che ne è uscito è uno dei film black più sentiti di sempre. Una pellicola in cui Spike Lee ha inserito tutta la cultura afroamericana in un colpo solo, basti sentire la variegata colonna sonora che spazia dal delicato soul di Al Jarreau al tormentone rap “Fight the Power” dei Public Enemy, la “Despacito” del 1989.

Lo stesso avviene a livello politico. Come si può notare dalla doppia citazione finale, c'è spazio sia per Martin Luther King che per Malcolm X. Per la riflessione e per l'azione violenta. Per il punto di vista degli afroamericani, così come per quello degli italoamericani. Per il tocco comedy sulla superficie e per la profondità drama.

A voler fare i radicali, a quelli che cercano sempre lo scontro, si può allora accusare Spike Lee di non prendere una posizione precisa. Ma allora, il regista giustifica l'atto di violenza finale, oppure lo condanna? Sta dalla parte di Martin Luther King o da quella di Malcolm X? Sceglie il love oppure l'hate?

Spike Lee non si schiera. Al mondo c'è spazio per tutto. Al mondo c'è spazio per tutti. Anche per posizioni diametralmente opposte. Quello che decide di fare come regista è presentarle senza prendere una parte sola. Spike Lee sceglie di mostrare la sua posizione con una foto. Quella in cui Martin Luther King e Malcolm X si stringono la mano. Quella in cui fanno la cosa giusta.

(voto 8/10)

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