Serie del mese
Disclaimer - La vita perfetta
(miniserie, episodi 1-5)
"Lo so che i libri non andrebbero mai bruciati, però quello del generale Vannacci non ha proprio senso di esistere" |
Ogni riferimento a cose o persone realmente esistenti è puramente... voluto
Non se ne può più di quel blogger. Chi?
Non farò il suo nome completo. Dico solo che inizia per Marco e finisce per Goi. Alfonso Cuarón è uno dei più grandi registi in circolazione, eppure lui parla sempre male dei suoi film. Y tu mamá también - Anche tua madre e I figli degli uomini pensa che siano validi, ma non dei cult assoluti. Harry Potter e il prigioniero di Azkaban lo ritiene un mediocre capitolo di un mediocre franchise commerciale. Quanto agli osannati e pluripremiati Gravity e Roma, li considera tra i lavori più sopravvalutati degli ultimi anni. Insomma, questo blogger è proprio uno str*nz*!
È quindi con un notevole sconcerto, e una certa preoccupazione, che apprendo del suo apprezzamento per Disclaimer, la miniserie in 7 puntate scritta e diretta dal regista messicano. Sarà davvero valida, avvincente, misteriosa e maledettamente sexy come dice lui, nonché una splendida riflessione sul rapporto tra genitori e figli e quanto poco conosciamo davvero gli uni degli altri, e i gatti che fanno da sfondo costante alle vicende saranno troppo adorabili, o anche questa volta si sarà sbagliato?
(voto 8,5/10)
Le altre serie
Hanno ucciso l'Uomo Ragno
(miniserie, episodi 1-6)
Hanno ucciso l'Uomo Ragno, ma non hanno ucciso la nostalgia per gli anni '90. La musica italiana mainstream di oggi fa così pena, che viene da rimpiangere gli 883. Lo dico io che sono cresciuto con Nirvana, Smashing Pumpkins, Radiohead, Blur e Sonic Youth, mentre gli 883 li ho sempre un po' schifati. Non era tanto per snobismo musicale o per menarmela, ascoltavo anche roba commerciale come le Spice Girls, Robbie Williams, Britney Spears o per restare in Italia gli Articolo 31, è solo che loro non sono mai rientrati nemmeno tra i miei ascolti guilty pleasure.
"La nostra musica può anche non piacere, ma il nostro buon gusto nel vestire è indiscutibile" |
Eppure, pur non essendo mai stato un loro fan, devo ammettere che la miniserie che racconta la loro "leggendaria" storia del tutto a sorpresa è... una figata. Una figata clamorosa. Riesce a essere divertente, brillante e a tratti persino commovente. Sarà che sa toccare i tasti giusti di chi come me è cresciuto in provincia, in una cittadina non troppo distante e non troppo dissimile da Pavia. Sarà che mi è difficile non ritrovarmi in Max Pezzali. Anche io ho avuto il mio Mauro Repetto. Un compagno di banco e di tavernetta con cui scrivevo canzoni in inglese e con cui sognavo di mettere su una band, chiamata Paranoid Androids. La nostra prima canzone era un'invettiva feroce contro l'antipaticissima prof. di religione, un po' la nostra "Non me la menare". Proprio come i futuri 883, nemmeno noi sapevamo né cantare né suonare alcuno strumento, ma al contrario di loro non siamo riusciti ad andare oltre questo piccolo dettaglio e imporci sulla scena musicale italiana. Peccato.
Sarà l'effetto nostalgia, o sarà che Sydney Sibilia è riuscito a costruire un prodotto sia in grado di conquistare i fan degli 883 che essere perfettamente fruibile anche dai non fan, fatto sta che Hanno ucciso l'Uomo Ragno funziona, e funziona alla grande. Nonostante l'apprezzamento e pure l'esaltamento generale, mi restano comunque un paio di dubbi.
Non si capisce bene come Massimo Pezzali che è partito ascoltando il punk di Ramones e Clash e il rap di Public Enemy e N.W.A., parlando dei Joy Division e indossando t-shirt di Sex Pistols e Metallica, sia finito a scrivere delle canzoncine pop che, con tutto il rispetto, ben poco hanno a che vedere con le sue fonti d'ispirazione adolescenziali.
Altro mistero, quando mi manca ancora la visione degli ultimi due episodi. Chissà se la serie riuscirà a rispondere alla domanda che ha tormentato la mia generazione cresciuta negli anni '90: ma poi 'sto Uomo Ragno sì è scoperto chi l'ha ucciso? Quelli della mala, la pubblicità o qualche industria di caffè a cui ha fatto qualche sgarro?
Per concludere, non pensavo l'avrei mai detto, ma questa serie è un mito, un mito per me.
(voto 8/10)
Nobody Wants This
(stagione 1)
"Cosa ci guardiamo stasera?" "Qualsiasi cosa, basta non sia una serie consigliata da Pensieri Cannibali" |
Il sogno bagnato di tutti i millenials cresciuti con Veronica Mars e The O.C. è diventato realtà. Kristen Bell, la storica interprete di Veronica Mars, e Adam Brody, che in The O.C. indossava i panni del prototipo indie Seth Cohen, sono i protagonisti di Nobody Wants This, una serie romcom in cui la prima si guadagna da vivere grazie a un podcast su sesso e relazioni, mentre il secondo ha la parte di un rabbino. Un rabbino sexy. Ebbene sì, dopo l'Hot Priest di Fleabag, è arrivato l'Hot Rabbi di Nobody Wants This.
Kristen Bell e Adam Brody sono così belli, da soli e ancora di più insieme, che buona parte del fascino della serie sta nello shipparli selvaggiamente.
Episodio dopo episodio, si ritagliano però uno spazio sempre maggiore anche i due "fratelli sfigati" dei protagonisti, interpretati da Justine Lupe, già vista in Succession.
E da Timothy Simons, già visto in Veep.
"In che senso non sono io il sex symbol della serie?" |
Un pregio ulteriore sta poi nella rappresentazione della cultura ebraica, ritratta attraverso qualche stereotipo, ma non solo... Qual è l'opposto di stereotipo?
Non lo so, però Adam Brody in versione Hot Rabbi è un po' l'opposto di come in genere vengono rappresentati gli ebrei sullo schermo. Presente Woody Allen?
Ecco, Adam Brody qui è il suo contrario. E in un periodo in cui l'antisemitismo sta tristemente tornando "di moda", una serie come questa nel suo piccolo può fare il suo dovere per combatterlo.
Comunque io sto scrivendo a vanvera, visto che dopo aver detto che Kristen Bell e Adam Brody sono i protagonisti di una serie insieme sarete già corsi, giustamente, a guardarvela.
Un difetto di Nobody Wants This?
Dura troppo poco! Ci sono serie che sembrano interminabili, io ad esempio c'ho messo sette mesi per finire tra mille sbadigli la tanto celebrata Shōgun, mentre questa me la sono bevuta in appena un paio di giorni. E ho pure cercato di centellinarla.
(voto 7/10)
Tutto chiede salvezza
(stagione 2)
Tutto chiede salvezza?
No, tutti mi chiedono se mi è piaciuta la seconda stagione di Tutto chiede salvezza.
Beh, in realtà non me l'ha chiesto nessuno, però ve lo dico lo stesso. Anzi, non ve lo dico, perché non so bene se mi è piaciuta o meno. Me la sono sparata tutta in un paio di giorni, anche perché è composta da appena cinque episodi, e mi ha coinvolto abbastanza. Arrivato alla fine ho però avuto la sensazione che non aggiunga granché rispetto a quanto già detto nella prima stagione e, fondamentalmente, sia una ripetizione non troppo necessaria.
Quindi forse mi è piaciucchiata, o forse non mi ha convinto in pieno. L'unica cosa di cui sono certo è che Drusilla Foer nei panni della new entry Matilde ruba la scena a tutti, pure al pur bravo protagonista Federico Cesari e alla pur bella Fotinì Peluso, e offre un'interpretazione davvero d'impatto.
Da sola rende fondamentale la per il resto poco fondamentale parte seconda di Tutto chiede salvezza. E questo è tutto.
(voto 6-/10)
Heartstopper
(stagione 3)
Nel 2000 aveva fatto scalpore negli USA il bacio tra Jack e un altro ragazzo in Dawson's Creek. L'anno dopo, da noi, Italia 1 decideva di cancellare dalla messa in onda un intero episodio di Buffy l'ammazzavampiri, quello in cui viene rivelato l'amore tra due ragazze, Willow e Tara. È quindi davvero bello che oggi ci sia in giro una serie come Heartstopper che mostra, senza censure, tutte le sfumature della sessualità, anche quelle meno trattate nelle serie mainstream e teen come la transessualità o l'asessualità. A ciò nella terza stagione si aggiungono poi altre tematiche poco rappresentate in generale come il disturbo ossessivo compulsivo o l'anoressia maschile.
Raccontata così, Heartstopper potrebbe sembrare la serie più trasgressiva del momento, e invece qui siamo lontani dalle atmosfere dure e crude di Euphoria o dal sensazionalismo di uno show a caso di Ryan Murphy. La delicatezza dei toni è il grande pregio di Heartstopper, che raggiunge il suo apice nello splendido quarto episodio di questa terza stagione dedicato al ricovero di Charlie (Joe Locke) nel centro per disturbi alimentari.
Allo stesso tempo è anche il suo limite, visto che a tratti rischia di cadere nell'eccessivamente smielato. Fa ad esempio piacere che Charlie e Nick (Kit Connor) abbiano cominciato a dirsi "Ti amo", però dirselo un centinaio di volte ad episodio mi sembra un tantino esagerato. In altre occasioni farei fatica a sopportarlo, però la sola esistenza di una serie come Heartstopper è una cosa così bella e positiva per il mondo pieno di Vannacci in cui viviamo, che le perdono tutto. Avanti così.
(voto 7/10)
Slow Horses
(stagione 4)
Come raccontato lo scorso mese, nel giro di una manciata di settimane mi sono recuperato tre stagioni di Slow Horses e sono riuscito a portarmi in pari con il season finale della quarta in contemporanea con il resto del mondo. Nel giro di una manciata di settimane mi sono insomma trasformato in un fan di Slow Horses. C'è un nome per definirci, un equivalente degli Swifties?
La quarta stagione ha regalato qualche colpo di scena clamoroso e l'introduzione di una manciata di nuovi personaggi. Il punto di forza della serie resta però sempre lo stesso: il suo mix tra vicende spionistiche più avvincenti della media e un favoloso senso dell'umorismo. A questo giro però forse Slow Horses ha cominciato a prendersi un po' più sul serio e avrei gradito qualche momento comedy in più. Nel complesso comunque è stata un'altra stagione da bersi tutta d'un fiato, anche se le mie preferite restano la prima e la terza.
(voto 7,5/10)
Mike
(miniserie)
È arrivata la miniserie biopic su Mike Bongiorno.
Allegria, mica tanto. Mike ci racconta infatti un lato poco conosciuto del volto simbolo per eccellenza della televisione italiana. La serie ripercorre la sua infanzia tormentata dal divorzio dei genitori, l'adolescenza all'insegna della lotta partigiana che l'ha portato ad essere rinchiuso a San Vittore e in un campo di concentramento, la sua vita sentimentale segnata da due divorzi, il Sanremo del 1967 da lui condotto sconvolto dal suicidio di Luigi Tenco.
Allegria, proprio per niente, quindi. Il merito della miniserie Mike è appunto quello di narrare l'origin story del supereroe dei quiz ritratto in maniera intima e inedita, almeno per chi come me è cresciuto vedendolo come l'icona superata di una TV che fu.
I limiti invece sono i soliti degli sceneggiati Rai. Proprio come il conduttore aveva fatto con i suoi quiz più celebri, anche Mike la fiction prende ispirazione dai modelli americani, in questo caso quelli del genere biopic, e li adatta al pubblico italiano, non evitando però la tendenza a essere troppo didascalico e troppo celebrativo nei confronti del suo protagonista, interpretato da adulto da un Claudio Gioè valido però non fenomenale e da giovane dal nuovo prezzemolino dei biopic italiani Elia Nuzzolo, più convincente nei panni di Max Pezzali in Hanno ucciso l'Uomo Ragno che in quelli di Bongiorno.
Tutto sommato comunque riesce a essere fedele allo spirito "antipatico" di Mike. Un uomo capace di entrare nella casa di tutti gli italiani, ma non nel mio cuore. Proprio come questa fiction in due puntate, che si limita a giocare per vincere facile e non rischiatutto.
(voto 5,5/10)
Inganno
No, non è un inganno. Inganno è una serie vera, solo che sembra un soft porno per signore di una certa età. Un cinquanta sfumature di capelli grigi. Un Harmony che non ce l'ha fatta. Una fiction troppo spinta per la Rai e per la nuova Mediaset del puritano Pier Silvio che ha trovato casa a Netflix, in cerca di nuovi contenuti hot dopo la saga di 365 giorni con Michele Morrone e la serie Ossessione.
Solo che di piccante qui c'è ben poco e Monica Guerritore ha più intesa con il suo corgi che con il seduttore Giacomo Gianniotti, bellimbusto la cui bellezza è inversamente proporzionale alle capacità recitative, playboy campione di frasi da Baci Perugina che in questa serie passa così tanto tempo svestito che si meriterebbe un posto d'onore come quinto membro onorario dei Måneskin.
Il tema ancora oggi tabù della facoltosa donna matura che ha una relazione con un uomo molto più giovane che non sta insieme a lei per i soldi no no figuriamoci sarebbe anche intrigante, se non fosse sviluppato nella maniera più banale e soap opera style possibile. Al di là di una trama risibile, Inganno si segnala, in negativo, anche per le interpretazioni cagnesche di tutto il cast, e non solo del corgi della protagonista che a ben vedere è quello che recita meglio, per una regia finto autoriale che fa solo venire un gran mal di testa, e per dialoghi scritti così male da trasformare quello che in teoria sarebbe un dramma erotico-sentimentale con echi da thriller in una comedy involontariamente spassosissima. Gli amanti del trash sono quindi avvertiti: questa è la serie che fa per voi. Tutti gli altri si mettano in salvo.
"Scusa, Giacomo, ma di vestiti proprio non ne hai?" "Vestiti?! Dove stiamo andando non c'è bisogno di vestiti" |
Non c'è trucco e non c'è inganno, questo è lo scult dell'anno.
(voto 3/10)
Negli scorsi giorni è arrivata una sentenza assurda. No, non mi riferisco a quella sui migranti in Albania, bensì a una di cui non mi pare alcun politico abbia speso una sola parola. Il tribunale di Taranto ha sospeso la messa in onda di Avetrana - Qui non è Hollywood, la miniserie sull'omicidio di Sarah Scazzi che sarebbe dovuta essere disponibile su Disney+ dal 25 ottobre. È stata quindi accolta la richiesta del sindaco di rettificare "il titolo della stessa mediante l'eliminazione del nome della cittadina Avetrana".
"Ho stato io a fermare 'sta serie" |
A questo punto la soluzione più semplice sarebbe cambiare titolo o intitolarla soltanto "Qui non è Hollywood", però sarebbe una grave sconfitta per la libertà di espressione e costituirebbe un precedente pericoloso, quindi ben venga la decisione delle case di produzione Groenlandia e Disney di opporsi a questa decisione e cercare di far valere le proprie ragioni. La speranza è che questa miniserie, bella o brutta che sia, la si possa giudicare dopo averla vista. Non prima.
(voto al tribunale di Taranto 0/10)
Cotta del mese
Matilda De Angelis (Citadel: Diana)
Non avevo visto la prima stagione di Citadel, visto che non amo i fratelli Russo e il genere spionistico, ma ora ho deciso di dare una possibilità a Citadel: Diana, spin-off italiano piuttosto indipendente dall'originale. Perché?
Perché grazie a Slow Horses di recente ho ritrovato interesse nelle spy story, andato sparito dopo la fine di 24 con Kiefer Sutherland...
No, non è vero. Ho iniziato a guardare Citadel: Diana UNICAMENTE perché ha come protagonista Matilda De Angelis, attrice su cui ho scommesso fin da quando aveva una piccola parte nella Rai fiction Tutto può succedere, versione italiana di Parenthood, e dal suo esordio cinematografico in Veloce come il vento al fianco di Stefano Accorsi.
Gioisco adesso per la carriera internazionale che si sta costruendo, manco l'avessi scoperta io, e nella poco originale ma a tratti piuttosto intrigante Citadel: Diana, ambientata nella Milano del 2030, dimostra di saperci fare anche alle prese con un ruolo spy action dai contorni fantascientifici. Well done, Matilda. Anche se il futuristico taglio di capelli sfoggiato in questa serie è da denuncia al parrucchiere.
"Perché sto piangendo? Ma non l'avete visto il mio taglio?" |
"Parrucchiere, dove ti nascondi?" |
(voto alla serie 6/10)
Guilty Pleasure del mese
Doctor Odyssey
(stagione 1, episodi 1-3)
Ryan Murphy è diabolico. Anche quando realizza una serie distantissima dalle atmosfere horror e dai true crime dei suoi titoli più celebri, da American Horror Story alla recente Monsters, è diabolico nel saper costruire un guilty pleasure perfetto. Doctor Odyssey è un medical drama. L'ennesimo medical drama già visto?
Non proprio, perché è un medical ambientato su una lussuosa nave da crociera e racconta le (dis)avventure di un team di dottori e infermieri capitanato da Joshua Jackson, che dopo aver interpretato Dr. Death ha la possibilità di riscattarsi proponendo una figura di medico più positiva.
In pratica questa serie è Love Boat che incontra Grey's Anatomy, ma ci sono anche echi di Baywatch e Dr. House, e in ogni episodio qualche crocerista rischia la vita, e manco per colpa di Schettino. La serie è piuttosto inverosimile - possibile che proprio durante una tranquilla settimana di crociera ci sia sempre gente con delle patologie assurde di cui sono capitati pochi altri casi nel mondo, e possibile che tutti i membri dello staff medico siano così fighi? - ed è anche per questo che si resta a guardarla, estasiati a ogni episodio dalle dose di trash che sa regalare. Trash, ma di qualità.
(voto 6,5/10)
Arrivo con la notizia fresca fresca che ti hanno ascoltata, Qui non è Hollywood è il nuovo titolo di Avetrana, che però ora ha avito ancora più pubblicità del necessario. Dubito la vedrò, però.
RispondiEliminaSiamo ufficialmente degli Slowie? Non saprei che nome darci ma anche questa quarta stagione è finita in fretta ed è stata esplosiva come le altre. Forse meno comica, ma la capacità di River di sembrare il migliore della banda e poi sbagliarle tutte, mi basta.
Sono sempre troppo poco patriottica, ma gli 883 li conoscerò e ammetto che un po' stuzzica anche Mike, e se sono troppo vecchia per credere al romanticismo puccioso di Heartstopper, sono vecchia il giusto per apprezzare la coppia Adam Brody/Kristen Bell che funzionano a meraviglia. Divorata in un weekend, spero non la rovinino con la seconda stagione, decisamente più rischiosa.
Infine, se nemmeno Richard Madden mi ha convinto a dare un'occhiata a Citadel, non penso possa riuscirci Matilda De Angelis. E l'unico trash che potrebbe tentarmi, è quello che vede coinvolto Joshua Jackson :)