Definirlo un semplice regista sarebbe riduttivo. David Lynch era un creatore di mondi, di universi. Potremmo dire che ha ideato un suo Lynch Cinematic Universe, non fosse per il fatto che non credo avrebbe amato particolarmente questa definizione.
David Lynch era un artista totale: regista, sceneggiatore, occasionalmente attore, ma anche musicista, pittore, fotografo. Per molti versi era un cineasta cult, di nicchia. Non so quanti dei suoi film siano stati visti da quello che noi cinefili con una certa dose di snobismo chiamiamo il "grande pubblico". Credo pochi, forse nessuno. Forse giusto Dune, la versione anni '80, che per altro è il suo lavoro che mi è piaciuto di meno e non so poi quanto sia stato realmente visto dal grande pubblico, considerando che è stato un discreto flop. Ulteriore segno che quello non era proprio il genere di cinema che faceva per lui.
Il suo cinema era quello di titoli come Eraserhead, Velluto Blu, Strade perdute e Mulholland Drive. Tutti noi cinefili abbiamo visto Mulholland Drive almeno una volta nella vita. Anche più di una, per cercare di comprendere, invano, il suo significato. Che poi, cosa vuol dire capire un film?
Il bello della grande arte è che è sfuggente, ognuno può darne una diversa interpretazione. Le sue opere ne sono la più evidente dimostrazione. Un lavoro di Lynch non va capito, va vissuto. In questo, il suo cinema si avvicina alla religione: è una questione di fede. Si avvicina all'amore: è qualcosa di totalmente irrazionale e folle. Si avvicina alla morte: nessuno può dire con certezza di cosa si tratti, però è qualcosa di necessario. Se non ci fosse la morte, la vita non sarebbe così preziosa, e se non ci fossero le opere di David Lynch, la vita non sarebbe così preziosa.
Per quanto sia un cineasta cult, forse il cineasta di nicchia per eccellenza, c'è un suo lavoro che in qualche modo è arrivato a tutti e ha toccato tutti: Twin Peaks.
A inizio 1991, c'era in pratica l'Italia intera davanti allo schermo a seguire ogni settimana I segreti di Twin Peaks su Canale 5. C'ero anch'io, che ai tempi avevo appena 9 anni e tra un episodio e l'altro ne avrei compiuti 10. Lo guardavo perché lo vedevano i miei genitori e io ero lì in salotto e non è che me lo vietassero, nonostante non fosse proprio un programma per bambini. Ma per niente. Erano altri tempi. Forse i genitori di oggi ne impedirebbero la visione ai figli, o magari no, visto che tanti bambini di quell'età e pure inferiore oggi hanno già visto Squid Game o la saga di Terrifier. O i ben più terrificanti Me Contro Te.
Ci sono vari momenti di Twin Peaks che mi sono rimasti impressi e hanno segnato la mia vita di giovane spettatore. Su tutti c'è l'apparizione di Killer BOB, un nome un programma, quando si avvicina alla macchina da presa così tanto che sembra voglia uscire dallo schermo, come avrebbe poi fatto qualche anno più tardi la sua "collega" Samara di The Ring.
Quell'immagine di Killer BOB, incarnazione del male assoluto, me la ritrovavo spesso davanti quando chiudevo gli occhi in un qualunque momento della mia giornata. In quel periodo anche la visione di film come Shining e Il silenzio degli innocenti mi sconvolse parecchio, però quella scena di Killer BOB resta il mio trauma infantile numero 1. O diciamo il numero 2. Al primo posto ci sta lo stupido incidente che mi è capitato sempre in quel periodo, quando cercando di lavare un pallone Super Tele mi è sfuggito il controllo della pompa dell'acqua, sono caduto per terra e mi sono aperto il cranio. Ricordo ancora il dolore causato dai punti con cui i medici mi hanno ricucito la testa. Presente quando qualcuno dice: "Quel tipo è strano, deve aver battuto la testa da piccolo". Bene, a me è capitato per davvero e in più sono pure rimasto traumatizzato dalla visione troppo prematura di Twin Peaks.
Memore di quei sereni ricordi d'infanzia, come un pazzo che rincorre il pericolo da ragazzo mi sono avventurato in un recupero completo de I segreti di Twin Peaks, grazie alla messa in onda su Italia 7 Gold nell'estate del 2002. Mentre gli altri si divertivano spensierati in spiaggia, io invece ho passato quell'estate a guardare Twin Peaks, rivivendo traumi passati e provocandomene di nuovi. Il tutto facendo un sapiente uso del videoregistratore, poiché allora non c'era la comodità di Netflix e degli altri servizi di streaming e vedersi una serie completa, tra un cambio di programmazione e l'altro, era un'autentica impresa.
Ai tempi avevo 20 anni e questa volta la visione, più che terrorizzarmi, mi ha affascinato. Per quell'ambientazione, per quella storia, per quelle musiche, per quei personaggi che erano rimasti rintanati nel mio subconscio per oltre 10 anni e che ora potevo ritrovare con uno sguardo (più o meno) adulto.
Come per il mondo cristiano c'è un prima e un dopo Gesù, per il mondo della televisione c'è un prima e un dopo Twin Peaks. Non solo per chi come me l'ha vissuto, e più volte, sulla propria pelle. Anche per chi non l'ha mai visto. Da lì in poi le serie tv non sono più state le stesse. Non solo quelle thriller o crime, ma anche i family drama, persino le soap. Twin Peaks è ad esempio rivissuto in chiave più comedy in Desperate Housewives, in versione più adolescenziale in Pretty Little Liars, o puntando più sul mystery come in Lost o oggi in Severance. Giusto per citarne alcune, ma l'elenco è lunghissimo.
C'è qualcosa di universale, in Twin Peaks. La storia di una ragazza bionda, bella, angelica, dalla vita apparentemente perfetta che in realtà nasconde i segreti più torbidi e che un giorno viene ritrovata cadavere in circostanze tutte da chiarire. È la storia del male che entra nella vita normale di una "tranquilla" cittadina qualunque. Se vogliamo, Twin Peaks oltre alle altre serie e al cinema ha influenzato anche giornali e telegiornali, visto che da lì in poi le storie di questo tipo di cronaca nera hanno trovato un morboso interesse mediatico via via superiore.
Con Twin Peaks David Lynch è entrato nelle case degli italiani, manco fosse un Mike Bongiorno o un Pippo Baudo della Loggia Nera, e più in generale nelle case di tutto il mondo. Una cosa del tutto inaspettata e impensabile, per un cineasta così "strano".
Se quella è stata la sua opera di maggiore successo di massa e anche quella che più ha sconvolto la mia vita, ci sono pure diversi suoi film cult che mi hanno segnato in profondità. Per qualcuno il primo Lynch è stato Eraserhead, o The Elephant Man, o Velluto blu, o Cuore selvaggio. Per me, al di là di Twin Peaks, è stato invece Strade perdute. Una delle pellicole più assurde, folli e geniali cui abbia mai assistito. Un film che parte come una cosa e poi diventa tutta un'altra roba.
Un po' come Mulholland Drive. Una sorpresa continua che rappresenta la capacità del cinema di stupire al suo meglio. È forse qui che la sua arte ha raggiunto il suo apice assoluto ed è forse qui che si è reso conto che questo tipo di cinema, il suo tipo di cinema, più in alto di così non poteva andare.
C'ha comunque provato con il successivo Inland Empire - L'impero della mente, il suo ultimo lungometraggio. Ricordo di averlo visto quando ero parecchio febbricitante - ormai l'avevo noleggiato da Blockbuster e non avevo tempo di aspettare di stare meglio senza pagare la penale - ed è stata una delle esperienze più deliranti della mia vita. Per quanto meno riuscito di Mulholland Drive, in quello stato allucinatorio me lo sono goduto in tutta la sua pazzia e ancora una volta Lynch è riuscito a folgorarmi.
Dopo Inland Empire, il suo canto del cigno vero e proprio è stato Twin Peaks - Il ritorno, una serie revival/non-revival capace come al suo solito di ribaltare le aspettative, regalandoci di nuovo qualche momento di puro stupore e di pura meraviglia.
C'è però un altro titolo che mi sento di consigliare anche a chi nei deliri di David Lynch non è mai riuscito ad entrare: Una storia vera. Per molti aspetti il suo film meno visionario e più "tradizionale", ma in fondo anch'esso lynchiano al 100%. Dopotutto racconta pur sempre una storia assurda, quella di un adorabile vecchino che decide di andare a trovare il fratello moribondo con cui non parla da anni, facendo quattrocento chilometri a bordo di trattorino tagliaerba. David Lynch mi piace immaginarlo così. Un uomo capace di cose pazzesche, che ci ha accompagnati con lui in un viaggio incredibile.
Abbiamo avuto lo stesso trauma infantile, alla stessa età. Per fortuna la mia testa è ancora intera, ma per quanto riguarda il contenuto, anche per colpa di Lynch, non posso metterci la mano sul fuoco.
RispondiEliminaChe perdita gigantesca....
Ogni sua opera è un tassello emozionale dello stesso mosaico extradimensionale. Anche io, un anno più piccolo, mi ritrovai folgorato da Twin Peaks e da lì mi innamorai delle potenzialità televisive e dello storytelling.
RispondiEliminaOgni sua opera è un'esperienza, una domanda che ci porta altri quesiti, per i quali restiamo vivi.
Moz-
Mi dispiace per la tua testa, per fortuna tutto ok. Ad ogni modo gran bel post per un grande regista. Effettivamente ci riporta indietro nel tempo, a quando lo abbiamo “incontrato”. È triste sapere che non ci sia più ma in fondo ed in effetti ci sarà sempre.
RispondiElimina