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venerdì 14 marzo 2025

Brutalist, ti guardi e ti vedi brutalist






The Brutalist

Avete passato 3 ore e 35 minuti della vostra vita a guardare The Brutalist, visto che proprio come me nella vita non avete niente di meglio da fare, siete sopravvissuti e ancora vi state chiedendo quale sia il significato del titolo?
Tranquilli, ci pensa Pensieri Cannibali a fare chiarezza. Almeno spero.


Ebbene sì. Nonostante sia uno dei film più lunghi nella storia del cinema recente e non solo recente, The Brutalist non passa nemmeno uno dei suoi 215 fo**uti minuti (compresi 15 di intervallo, giusto per rendere il tutto ancora più lungo) a specificare cosa voglia dire il titolo. Cioè, lo mostra, ma non lo spiega.

Come invece vi spiega Pensieri Cannibali, ma soprattutto Wikipedia, il brutalismo è una corrente architettonica nata negli anni cinquanta del Novecento in Inghilterra. La corrente brutalista può essere inoltre ricondotta a diversi altri campi artistici, quali l'architettura d'interni e il design industriale. È caratterizzata principalmente da volumi solidi e tettonici, con materiali esposti nella loro cruda espressività e il suo nome è dovuto al fatto che impiega molto spesso la rudezza del cemento a vista, del cemento grezzo (in francese "béton brut"). Il protagonista del film, interpretato da Adrien Brody, è un architetto che segue questa corrente e quindi può essere un considerato un brutalista. Tutto chiaro, adesso?


In pratica, in pochi secondi avete appreso di più sul brutalismo da Pensieri Cannibali che in 3 ore e 35 di pellicola. Prego.

Dal mio tono leggermente brutale potreste immaginare che ce l'abbia con The Brutalist per la sua notevole (eccessiva?) durata, ma così non è. Credo sia anzi uno dei suoi pregi principali. Se fosse durato un paio di canoniche orette probabilmente sarebbe passato più inosservato, non avrebbe avuto lo stesso impatto e non avrebbe nemmeno vinto tre Oscar. La grandiosità fa parte del fascino delle opere brutaliste, così come di questa opera cinematografica diretta da Brady Corbet, già autore dei curiosi ma non del tutto riusciti The Childhood of a Leader - L'infanzia di un capo e Vox Lux, e da lui co-sceneggiata insieme alla compagna Mona Fastvold.

"Ma va in mona, Fastvold!"

La durata da miniserie, anzi ci sono miniserie più brevi, permette di entrare maggiormente nella storia, molto coinvolgente nonostante le componenti più legate all'architettura e al design possano non interessare così tanto a tutti. O forse a nessuno. Permette inoltre di cercare di avvicinarsi meglio al protagonista, un architetto ebreo ungherese sopravvissuto all'Olocausto ed emigrato negli Stati Uniti. Un personaggio che comunque, anche dopo 215 minuti di visione, resta un enigma, un gigantesco punto interrogativo. Quando pensi di averlo un pochino capito, ecco che lui fa qualcosa che ti spiazza.


The Brutalist in generale come film è proprio così. Ti attira e poi ti respinge. Parte a tutta birra, poi rallenta. Procede con uno stile molto classico, che ti avvolge e ti rapisce. Nella parte finale, invece, forse per il timore di aver realizzato un'opera troppo tradizionale, Brady Corbet cambia direzione e sembra andare a tutti i costi a caccia del colpo di scena che ti lascia a bocca aperta. Sarebbe anche una buona cosa, solo che, dopo aver tenuto i ritmi molto dilatati, la svolta avviene in maniera persino troppo repentina.


In tutto e per tutto mantiene quindi fede al suo titolo. The Brutalist è un'opera brutalista che conquista per la sua imponenza e allo stesso tempo mette in soggezione. Non so voi, però personalmente io preferisco altri stili architettonici, più semplici, meno ricercati ma più intimi e umani. Bello il brutalismo, ma non ci vivrei.


Che poi io di architettura non ci capisco un ca**o e non me ne frega una mazza, quindi il fatto che la storia dell'architetto di The Brutalist sia riuscita a tenermi incollato allo schermo per 215 minuti senza farmi appisolare e senza manco provocarmi uno sbadiglio lo considero già un miracolo. Un capolavoro, almeno per questo aspetto.
(voto 7,5/10)





2 commenti:

  1. Bellissimo e impegnativo, peccato per lo spiegone finale buttato lì.

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    1. Premesso che a me la storia non ha preso molto (ma questo ricade nei gusti personali e, d'altra parte, il film scorre bene nonostante la durata), lo spiegone finale è proprio anticinema. Non riesco a capacitarmi di come un'opera che, dalla durata al formato, aspira ad alte vette cinematografiche possa cadere in un errore così madornale, dicendo (invece di mostrarlo) un elemento della storia che era anche interessante. Discutibile, sempre nel finale, anche la frase "non è il percorso del viaggio che conta ma la destinazione"... mah

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