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mercoledì 11 settembre 2013

IL FONDAMENTALMENTE RIBUTTANTE




Il fondamentalista riluttante
(USA, UK, Qatar 2012)
Titolo originale: The Reluctant Fundamentalist
Regia: Mira Nair
Sceneggiatura: William Wheeler
Tratto dal romanzo: Il fondamentalista riluttante di Mohsin Hamid
Cast: Riz Ahmed, Kate Hudson, Liev Schreiber, Kiefer Sutherland, Om Puri, Shabana Azmi, Martin Donovan, Nelsan Ellis, Meesha Shafi
Genere: terrorista
Se ti piace guarda anche: La regola del silenzio, Zero Dark Thirty, Homeland

I film sull’11 settembre stanno diventando più letali di quelli sull’Olocausto. Gli attentati alle Torri Gemelle e al Pentagono sono una ferita ancora aperta sulla pelle degli americani, questo pare evidente, però bom, adesso basta! Soprattutto quando si tirano fuori filmucoli moralisti di basso livello che non aggiungono nulla di quanto già detto/visto in un’Opera grandiosa come Zero Dark Thirty o in immense serie tv come Homeland o 24 (che tornerà nel 2014 con una nona stagione, yeah!).
Il fondamentalista riluttante non gioca nemmeno nel loro stesso campionato. È meno incentrato sul versante action e spionistico e preferisce concentrarsi sulla vita di un pakistano che ha studiato in una prestigiosa università della Ivy League americana e ha una brillante, brillantissima carriera negli USA presso una grossa compagnia. Il suo lavoro? Difficile da spiegare. È un consulente aziendale un po’ come quelli della serie tv House of Lies. Gente che tira fuori un’idea e per questo viene pagata milioni di dollari. Fortunato al lavoro e fortunato anche in amore. Il protagonista si fa infatti Kate Hudson, nella vita reale compagna di Matt “voglio essere Freddie Mercury ma versione etero” Bellamy dei Muse. Con lei vive una storiella d’amore messa dentro in maniera banale tanto per, con tanto di videoclip/esterna alla Uomini e Donne con i due piccioncini che si fanno le foto, e con tanto di drammoni alla romanzo di Nicholas Sparks.

Per il protagonista va tutto alla grande, quindi. Sta vivendo in pieno l’American Dream. Fino all’11 settembre. In quella data per lui cambia ogni cosa. Dopo quel giorno, la gente intorno a lui lo guarda con sospetto. Se prima era l’esotico esperto finanziario di una grossa compagnia, adesso è diventato soltanto un altro musulmano potenziale terrorista, per quanto ricco, vestito in giacca e cravatta e accompagnato da Kate Hudson.
In aeroporto comincia perfino a essere perquisito fino al buco del culo, letteralmente.

“Mi perquisite solo perché sono musulmano?”
“No, ti perquisiamo perché ti bombi Kate Hudson e in qualche modo te la dobbiamo far pagare, bombarolo!” 
 (questo dialogo potrebbe non essere effettivamente presente nel film)
"Allora, me lo vuoi portare o no questo kebab?"
Non solo. Un giorno viene addirittura arrestato, soltanto per il suo aspetto da mediorientale. Solita storia degli atteggiamenti xenofobi. Prima dell'11 settembre se la prendevano con gli afroamericani, dopo l'11 settembre con i musulmani, oggi giorno per non fare torti a nessuno sia con gli afroamericani che con i musulmani. Questa è l’America, con tutte le sue contraddizioni che già conoscevamo.
La vicenda sarebbe anche interessante, non fosse piena di stereotipi e non fosse raccontata con uno stile fiction molto patinato da Mira Nair. Tra new-economy, terrorismo, razzismo e love-story, la regista indiana non è riluttante a mettere all’interno del suo film, tratto dall'omonimo romanzo di Mohsin Hamid, di tutto e di più. Il fatto che non riesca ad approfondire un minimo alcuno di questi aspetti non sembra interessarle più di tanto. In più, per accompagnare il racconto della trasformazione del protagonista da fan degli USA! USA! a suo detrattore, viene usata una colonna sonora ributtante che sembra di sentire la musica che c’è quando entri dal kebabbaro.
Maluccio pure il cast, per quanto prestigioso. Se Riz Ahmed (già visto in Dead Set, Four Lions e Ill Manors) come protagonista assoluto è poco convincente e molto riluttante, Kate Hudson non si sforza nemmeno di risultare credibile come sua innamorata e, in più, con i capelli neri non è che stia molto bene, a dirla tutta tutta. In più dal mondo telefilmico ci sono un Kiefer Sutherland per una volta parecchio fuori parte, un Liev Schreiber attuale protagonista di Ray Donovan che sembra pure lui passare di lì per caso e un irriconoscibile Nelsan Ellis, il Lafayette di True Blood.

12 anni fa, chi diceva che gli attentati dell’11 settembre avrebbero segnato gli Stati Uniti per sempre, aveva ragione. Purtroppo, anche a livello cinematografico. Film come Molto forte, incredibilmente vicino, Attacco al potere – Olympus Has Fallen e questo Il fondamentalista riluttante ne sono delle pessime prove.
Osama, perché non hai pensato alle conseguenze per il cinema, perché???
(voto 5-/10)



lunedì 28 maggio 2012

Molto debole, incredibilmente palloso

"Se ingrassi ancora un po', mi fai morire di mal di schiena, altroché 11 settembre..."
Molto forte, incredibilmente vicino
(USA 2012)
Titolo originale: Extremely Loud & Incredibly Close
Regia: Stephen Daldry
Cast: Thomas Horn, Tom Hanks, Sandra Bullock, Max Von Sydow, John Goodman, Viola Davis, Jeffrey Wright
Genere: post-11 settembre
Se ti piace guarda anche: Touch, Reign Over Me, Un sogno per domani, 11 settembre 2011, United 93, World Trade Center

Molto forte, incredibilmente vicino è il tema affrontato da questo film: l’11 settembre 2001.
Do you remember?
Un tema sì vicino, ma non più di stretta attualità. Allo stesso tempo è però una ferita ancora troppo aperta per poter essere oggetto di un’osservazione da un punto di vista storico davvero distante. Insomma, questo non sembra il momento migliore per riflettere sull’argomento.
La pellicola è tratta dal romanzo di Jonathan Safran Foer, tra i primi a toccare l’argomento degli Stati Uniti post-11 settembre. Buon per il libro, male per l’adattamento cinematografico che oggi appare arrivare in ritardo, con varie altre pellicole che hanno affrontato il tema in maniera simile e una serie tv come Touch, con Kiefer Sutherland, che pare anch’essa prendere parecchia ispirazione dal romanzo. Lì come qui abbiamo una storia di connessioni tra numeri e persone in qualche modo legate tra loro e lì come qui abbiamo un (insopportabile) bimbo protagonista ai limiti dell’autismo. Solo che se in Touch non parla, il protagonista di Molto forte incredibilmente vicino invece parla molto e incredibilmente per tutta la durata del film!
Uno dei limiti della pellicola è quello di non dire fondamentalmente niente di nuovo sull’argomento.
A costo di fare i cinici: tra documentari, servizi dei TG, film, serie tv e quant’altro sappiamo già tutto. Era quindi davvero necessario un altro film sull’11 settembre?

A non convincere di questo adattamento, oltre a un tempismo non proprio tempestivo, è il modo in cui è stato realizzato. Premetto che non ho letto il romanzo, quindi la mia è solo una supposizione, però non mi sembra si sia fatto un grande lavoro di trasposizione da un mezzo all’altro.
Il film, in pratica, suona incredibilmente letterario e molto poco cinematografico.
Tutta la prima parte è vissuta attraverso la voce del bambino narratore. All’inizio va anche bene, dopo qualche minuto comincia a darti sui nervi, dopo una mezzoretta cominci a rimpiangere di non esserci stato anche tu dentro le Twin Towers, quell’11 settembre.
Scherzo!
È ancora troppo presto per scherzarci su?

"Non so perché, ma su 'sta cartina Casale Monferrato non è mica segnato..."
I film che hanno dei bambini per protagonisti partono già con un problema serio da affrontare. I bambini nei film sono infatti spesso odiosi. A essere gentili. Il bimbetto protagonista di questo film all’inizio sta anche piuttosto simpatico. È strambo, particolare. È un pochino autistico, ma non del tutto. È originale. A forza di farlo parlare con la voce fuoricampo, poco a poco, ma nemmeno tanto poco a poco, comincia a diventare prima pesante e poi odioso ai livelli quasi della maggior parte degli altri bambini cinematografici. Detto questo, il giovane attore Thomas Horn più o meno se la cava, dai. La sua performance non è da exploit alla Haley Joel Osment (che fine ha fatto?) o alla Maculay Culkin (lui sappiamo che fine ha fatto, ‘sto drugà!), però è decente.
Cosa c’è comunque di più odioso dei bambini nei film?
Risposta corretta: Tom Hanks nei film.
La buona notizia è che Tom Hanks in questo film compare poco. Come mai?
Considerato che il tema è quello dell’11 settembre, fate voi 1+1…
E c’è pure Sandrona Bullock. A sorpresa mi era piaciuta parecchio in The Blind Side, per cui aveva vinto persino l’Oscar, però per il resto è una che per vederla recitare decentemente bisogna pregare Dei di diverse religioni.

"Falla pure tutta, figliolo. Hai la più completa privacy.
Non ti sto fissando, no no!"
A proposito di religione, ma neanche tanto, il film non affronta il tema dell’11 settembre da questo punto di vista. Né da un punto di vista politico o culturale. Niente. Affronta l’argomento da un punto di vista puramente umano. Andando a scavare nella vita delle persone, dei newyorkesi la cui vita è cambiata in qualche modo dopo gli attentati. Però più che scavare, gratta giusto in superficie e i personaggi di contorno rimangono un contorno molto poco gustoso. Abbiamo un parterre, ma che dico parterre? dico jean-pierre, di interpreti di primo livello come Viola Davis, John Goodman, Jeffrey Wright, ma i loro personaggi stanno sempre sullo sfondo.
Tutti i riflettori sono allora accesi sul bimbetto protagonista. La sua vicenda, triste, toccante, emozionante fin che si vuole, cattura l’interesse giusto nella prima mezz’ora, poi il film si perde incredibilmente per strada. In questo mi ha ricordato in maniera molto forte Un sogno per domani, film con il sopracitato Haley Joel Osment, che ha un buono spunto iniziale e poi scivola nella noia e nei buoni sentimenti.

Di aver girato questo film? Yes, you're sorry!
Quando sembra non saper più che pesci pigliare, la pellicola tira allora fuori il rapporto tra il bambino protagonista e un signore anziano che da anni non parla più, interpretato da un Max von Sydow nominato agli ultimi Oscar piuttosto inspiegabilmente, forse come omaggio alla carriera. La loro amicizia ricorda un po’ quelle di Gran Torino o de L’estate di Kikujiro però no, scordatevi subito che possa raggiungere gli stessi livelli. I livelli raggiunti sono più vicini a quelli di Reign Over Me, modesta e piuttosto scontata pellicola sul post 11 settembre con Adam Sandler.
Dietro la macchina da presa c’è Stephen Daldry, regista che non amo molto, che qui riassume un po’ tutto il suo cinema passato. C’è la vicenda storica legata a quella umana, come in The Reader, c’è il bimbetto odioso ma non troppo come in Billy Elliot, e c’è un tipo di costruzione narrativa simile a The Hours; come in quello, anche qui i ritmi sono parecchio lenti, per poi avere qualche accelerazione improvvisa. Scordatevi però il bel finale in crescendo di The Hours, perché qui il film raggiunge il suo climax con la “scenona” in cui il bambino parla a raffica con il vecchio muto. Una scena che forse vorrebbe essere cult come il monologo di Edward Norton in La 25ora, peccato finisca invece per risultare ridicola più che altro.

Alla fine della visione, l’idea che mi rimane in testa è quella di una pellicola molto debole, incredibilmente debitrice nei confronti del romanzo da cui è tratta. La risoluzione del mistero attorno a cui ruota la storia è poi parecchio deludente, per lo stesso protagonista quanto per noi spettatori.
Sembra che gli Stati Uniti non riescano a liberarsi dallo spettro dell’11 settembre. Un'ossessione che dà origine a vicende piuttosto prevedibili di riscatto personale, nonostante tutte le circostanze avverse, con vicende buoniste e tomhanksiane come le vite intrecciate di questa pellicola o del telefilm Touch. Io però preferisco quando l'America affronta questo fantasma con maggior coraggio, senza tralasciare gli aspetti politici, ideologici, culturali e religiosi della vicenda, certo non trascurabili. Proprio come fa Homeland, una serie tv, quella sì, molto forte e incredibilmente vicina all’America post September 11.
(voto 5/10)

sabato 11 settembre 2010

United 9/11

United 93
(USA 2006)
Regia: Paul Greengrass
Cast: Trish Gates, Lewis Alsamari, Cheyenne Jackson, Olivia Thirlby
Links: imdb, mymovies

Come affrontare una ferita ancora aperta sulla pelle degli americani, e non solo sulla loro, come quella dell’11 settembre? Paul Greengrass ha scelto la via del realismo, evitando di coprire il sangue con il cerotto della fiction. Ottima al proposito si è rivelata quindi la scelta di volti poco conosciuti e attori non professionisti (alcuni sono veri impiegati della United Airlines), mentre lo stile viaggia a metà strada tra un documentario e un action movie catastrofico. La prima parte segue una giornata come tante, fino all’arrivo delle notizie confuse dei dirottamenti dei vari aerei; quindi nella seconda il ritmo sale e l’attenzione si concentra sugli eventi all’interno dello United 93, l’unico aereo tra quelli dirottati che in quella tragica data non è andato a colpire il bersaglio prefissato, grazie all’intervento eroico (disperatamente eroico) dei passeggeri del volo.
Essenziali i dialoghi, basati sulle dichiarazioni dei famigliari delle vittime, così come il tocco registico che rimane freddo, ricordando a tratti lo splendidamente glaciale Elephant sulla strage di Columbine (peccato che Greengrass non sia certo Gus Van Sant).

Due sono le scene del film che mi sono rimaste particolarmente impresse.
Quando il primo aereo colpisce una Twin Tower si pensa a un incidente, a una sfortunata, per quanto tragica, fatalità. Quando il secondo aereo colpisce anche l’altra torre, Greengrass si sofferma sullo sguardo delle persone. È in quello sguardo che si capisce come non si tratti affatto di un incidente casuale e come per l’America sia finita un’epoca. C’è la fine dell’innocenza, in quegli sguardi. Gli stessi di chi ha visto sparare a JFK.
L’altra scena notevole è il momento di preghiera poco prima della Fine. Cristiani e musulmani che pregano in lingue diverse, ma alla fine si rivolgono alla stesso Dio: in questa sequenza sta tutta la contraddizione della religione, capace di essere allo stesso tempo una forza tanto positiva di speranza e salvezza quanto una for a distruttiva di divisione e morte.

Il film è un pugno allo stomaco più che altro per il senso di ineluttabilità della tragedia. Ci immaginiamo un finale diverso. Per una volta sogniamo un cazzo di happy ending hollywoodiano. Ma sappiamo già che non succederà.
(voto 7)

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