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lunedì 7 marzo 2016

Legend - Noi siamo leggenda





Legend
(UK, Francia, USA 2015)
Regia: Brian Helgeland
Sceneggiatura: Brian Helgeland
Ispirato al libro: The Profession of Violence: The Rise and Fall of the Kray Twins di John Pearson
Cast: Tom Hardy, Tom Hardy, Emily Browning, Christopher Eccleston, Taron Egerton, David Thewlis, Paul Anderson, Tara Fitzgerald, Paul Bettany, Sam Spruell, Chazz Palminteri, Duffy
Genere: doppio
Se ti piace guarda anche: Dom Hemingway, Operazione U.N.C.L.E.


venerdì 13 novembre 2015

Operazione bella Z.I.A.





Operazione U.N.C.L.E.
(UK, USA 2015)
Titolo originale: The Man from U.N.C.L.E.
Regia: Guy Ritchie
Sceneggiatura: Guy Ritchie, Lionel Wigram
Cast: Henry Cavill, Armie Hammer, Alicia Vikander, Elizabeth Debicki, Hugh Grant, Jared Harris, Luca Calvani, David Beckham
Genere: C.O.O.L.
Se ti piace guarda anche: i film di James Bond, i film della serie di Mission: Impossible

Se vi stavate chiedendo come potrebbe essere una pellicola di James Bond girata da Guy Ritchie, smettetela subito!
Innanzitutto perché nella vita ci sono cose più importanti da chiedersi, come ad esempio: “Come sarebbe una pellicola di James Bond girata da Quentin Tarantino?”.
E poi perché Guy Ritchie il suo film bondiano l'ha appena realizzato, solo che non è un film bondiano ufficiale. È più un omaggio... ok, se volete chiamatelo pure un tarocco, siete autorizzati a farlo.

venerdì 7 agosto 2015

Cilla Black is dead :(






Cilla
(miniserie tv, UK 2014)
Rete britannica: ITV
Rete italiana: non ancora arrivata
Cast: Sheridan Smith, Aneurin Barnard, Ed Stoppard, John Henshaw, Melanie Hill, Elliot Cowan, Tom Dunlea, Jack Farthing
Genere: swinging
Se ti piace guarda anche: Nowhere Boy, An Education, Cadillac Records, Mad Men, Masters of Sex

Cilla Black è morta.
Mi spiace aprire il post in una maniera tanto macabra, ma così purtroppo è. La cantante inglese è venuta a mancare lo scorso 2 agosto. In Italia non se n'è parlato molto, anzi per niente, visto che era famosa più che altro in patria, e così per approfondire la sua conoscenza e omaggiare la sua memoria sono andato a ripescare la miniserie in tre parti a lei dedicata trasmessa con grande successo nel Regno Unito lo scorso anno da ITV. Mi son detto: “Guardiamoci un po' la prima puntata, se poi mi piace proseguo con le altre 2”. Tempo pochi istanti ed ero stato risucchiato del tutto dentro la Liverpool degli anni '60 e mi sono sparato in un mini binge-watching tutte e 3 le parti di fila senza interruzioni. Forse giusto per la pausa-pipì.

mercoledì 10 dicembre 2014

QUADROPHENIA: VIVA I MOD E ABBASSO I ROCKER!





Quadrophenia
(UK 1979)
Regia: Franc Roddam
Sceneggiatura: Dan Humphries, Martin Stellman, Franc Roddam
Cast: Phil Daniels, Leslie Ash, Sting, Ray Winstone, Mark Wingett, Philip Davis, Toyah Willcox, Trevor Laird, Michael Elphick
Genere: mod
Se ti piace guarda anche: Tommy, Spike Island, Trainspotting

Quadrophenia è il film dei The Who. Cosa che detta così può suonare nella maniera sbagliata. A qualcuno può infatti venire in mente “Come in un film”, il film dei Modà, oppure “Where We Are”, il film dei One Direction, o ancora “Never Say Never”, il film di Justin Bieber.
Tranquilli. Questa è tutta un'altra musica. Non solo perché la proposta musicale dei The Who è “leggermente” superiore rispetto a quella degli artistoni sopra citati, ma inoltre perché in questo caso non ci troviamo di fronte a un documentario su un concerto fatto giusto per strappare qualche soldo alle fan urlanti. Quadrophenia è un film film, con una trama, dei personaggi, una sceneggiatura vera e propria. È una opera rock che prende ispirazione dai testi dell'album omonimo della band, forse il gruppo più celebre e importante nella Storia del rock'n'roll inglese dopo i Beatles e i Rolling Stones. Una volta detto questo, è una pellicola godibile indipendentemente dalla conoscenza dell'album, o dall'essere dei patiti dei The Who. I fan si esalteranno a vedere comparire il faccione di Pete Townshend su un poster nella cameretta del protagonista, così come in tv, e a sentire le loro canzoni all'interno della pellicola. La colonna sonora non è però ad esclusivo appannaggio dei The Who, che saranno sì megalomani, ma non fino a questo punto. In mezzo alle loro “My Generation”, “The Real Me” e altre c'è spazio infatti anche per la trascinante “Louie Louie” dei Kingsmen, per la splendida “Zoot Suit” degli High Numbers, per girl band retrò come Ronettes, Chiffons e Crystals e per l'immancabile evergreen “Green Onion” di Booker T. & the MG's, in quello che è un vero e proprio tripudio degli anni Sessanta che farà eiaculare i nostalgici dell'epoca.

venerdì 9 maggio 2014

THE PAPERBOY, UNA PISCIATA CI SALVERÀ




The Paperboy
(USA 2012)
Regia: Lee Daniels
Sceneggiatura: Lee Daniels, Peter Dexter
Ispirato al romanzo: Un affare di famiglia di Peter Dexter
Cast: Zac Efron, Matthew McConaughey, Nicole Kidman, David Oyelowo, John Cusack, Macy Gray, Scott Glenn, Nealla Gordon
Genere: trash thriller
Se ti piace guarda anche: Pazzi in Alabama, The Butler – Un maggiordomo alla Casa Bianca
Uscita italiana prevista: in DVD e Blu-Ray dal 5 giugno 2014

Perché un film come The Paperboy è stato tanto massacrato dalla critica?
Non me lo so spiegare io.
ATTENZIONE SPOILER
Sarà mica per la sequenza in cui Zac Efron viene attaccato da un branco di meduse e Nicole Kidman gli piscia addosso, salvandogli così la vita e dimostrando che l’urina è davvero efficace in questo caso, nonostante qualcuno sostenga sia solo un falso mito?


O sarà forse per la scena di sesso “a distanza” in cui Nicole Kidman, ancora lei, mostra le sue parti intime vagamente alla Sharon Stone in Basic Instinct e John Cusack guardandola viene nelle mutande?


Oppure è perché John Cusack, così come ne Il ricatto e Il cacciatore di donne, si ostina a interpretare ruoli da cattivone che proprio non fanno per lui? È un po’ come Robin Williams quando a un certo punto della sua carriera aveva deciso che si era stufato di fare il pirla e s’era accaparrato due parti da villain in One Hour Photo e Insomnia. Lui tra l’altro se l’era ancora cavata piuttosto bene, però non sono i ruoli che più gli competono. Di sicuro, non sono i ruoli che competono a John Cusack, più convincente come protagonista di commedie che non di thriller.


O per caso a molti critici non è andato giù Zac Efron come protagonista? L’ex Troy Bolton di High School Musical è un attore ancora acerbo, è vero, e qui non offre un’interpretazione mostruosa, è vero anche questo. Allo stesso tempo, appare comunque piuttosto convincente nella parte del giornalista in erba che si infatua di quel vaccone di Nicole Kidman, finendo per esserne ossessionato. Un’attrazione un po’ dalle parti di quella del laureato Dustin Hoffman per la MILF Mrs. Robinson. Che poi The Paperboy non è Il laureato, è vero pure questo, ma non è nemmeno così schifoso come si dice in giro.


O ancora il film è stato tanto criticato perché ha una sceneggiatura confusa e confusionaria, che mette al suo interno tanta roba, troppa roba, senza approfondire davvero nessun aspetto? C’è una parte thriller, ma non è che sia così tesa. A tratti sembra di essere quasi dentro una versione trash di True Detective realizzata dalla The CW anziché da HBO. Un giallo ambientato nel Sud degli Stati Uniti in tipico stile Matthew McConaughey, qui più sottotono rispetto alle sue ultime spettacolari prove attoriali, solo condotto in maniera blanda, con ritmi sonnacchiosi e una vicenda gialla che non riesce a coinvolgere mai davvero.

"Ok, mi arrendo. Questo film non è al livello di True Detective.
Manco lontanamente..."

Più interessanti sono invece le altre questioni messe dentro il calderone. La tematica razziale, dopo tutto questo è un film ambientato nell’America di fine anni Sessanta, in cui il conflitto bianchi VS neri era più che mai incendiario, ed è pur sempre un film di Lee Daniels, il regista del valido Precious e del decente The Butler – Un maggiordomo alla Casa Bianca, altro lavoro trattato malissimo dalla critica ma che in realtà non era malvagio. In comune con quest’ultima pellicola, The Paperboy ha la voglia di raccontare troppo, finendo per raccontare poco.
In The Paperboy vengono poi affrontati anche i rapporti famigliari, con il conflitto tra il protagonista principale Zac Efron e il padre, e la relazione più positiva con il fratello Matthew McConaughey. In più, giusto per non farsi mancare niente, è pure una pellicola romantica, a suo modo. Quella che può sembrare giusto  un’attrazione adolescenzial-ormonale di Zac Efron per Nicole Kidman è in realtà un amore profondo…

Naaah, vuole solo ciularsela, come tutti i personaggi di questo film a parte uno, che si scoprirà gay, ma non vi dico chi è…

No, a sorpresa non è Zac Efron che, nonostante la sua passione per il ballo, messa pure qui in mostra in una scena, non è gay. Alla fine, non è che a tutti quelli cui piace ballare sono gay. Prendiamo Roberto Bolle… Ehm, esempio sbagliato.
Prendiamo allora John Travolta…
Ehm, ok, come non detto. Comunque, nonostante balli, Zac Efron non è gay. Almeno, non in questo film.

"Nicole, mi sa che hai sbagliato film. Questo non è mica Nymphomaniac..."

Con un sacco di carne al fuoco, e con carne intendo soprattutto quella di Nicole Kidman, è ovvio che non tutto risulti cotto a puntino. Alcune scene vanno oltre ogni limite del buon gusto e del buon senso, appaiono del tutto gratuite e inutili per gli sviluppi della storia. La storia, narrata dalla cantante-attrice Macy Gray, perché a Lee Daniels piace tanto lavorare con cantanti-attori come anche Mariah Carey e Lenny Kravitz, è un gran pasticcio e non è nemmeno così interessante. I momenti più visionari sono girati malamente. I dialoghi più che divertenti appaiono spesso e volentieri ridicoli.
Eppure… eppure io un film pasticciato e pasticcione come questo non me la sento di odiarlo. The Paperboy è una porcheria e una porcata trash, però ha ritmo, una buona colonna sonora, si lascia seguire con un sorriso divertito dall’inizio alla fine, senza annoiare nonostante poggi su una trama thriller poco entusiasmante. È il classico film di cui è talmente facile parlare male che io non voglio farlo, perché The Paperboy fa schifo, ma uno schifo bello.
Vabbè, bello, adesso non esageriamo. Diciamo uno schifo bellino.
(voto 6+/10)

sabato 15 giugno 2013

NOT FADE AWAY E LE BAND CHE NON HANNO FATTO LA STORIA


Avete presente i Rolling Stones?
Certo che sì, almeno se non siete dei marziani e forse pure in quel caso è probabile li conosciate comunque.
Bene, bravi. Prendete i Rolling Stones e metteteli da parte, perché questo film non parla di loro. Not Fade Away parla di un gruppo musicale, uno dei tanti, che nessuno conosce. Uno di quei gruppi che uno mette su da ragazzino e che poi non vanno da nessuna parte. Anche io ne avevo uno, ai tempi del liceo. Più che un gruppo vero e proprio, era solo un abbozzo di gruppo. Eravamo io e un mio amico e non siamo andati oltre la scrittura di qualche canzone e il tentativo (poi abortito) di imparare a suonare la chitarra. Ci chiamavamo Paranoid Androids, in onore del celebre pezzo dei Radiohead, e qui in esclusiva mondiale vi propongo il testo della nostra prima canzone, leggermente incazzosa: "Stupid Queen".

Paranoid Androids "Stupid Queen"
(lyrics by: Carlo & Marco)
You are a witch, ‘coz you’re a bitch
you are a star, you are so far
you’re sucking dicks, with your fuckin’ lips
you use Chanel, but you smell like hell!

(chorus)
And you feel like Marilyn
but you’re just a stupid queen

Your pussy is open, but your heart is broken
you’re very easy, but you’re always busy
your body smells, like the fire of the hell
your skirt is shirt, like all your flirts

(chorus)
And you think you’re Marilyn
but I think you’re a stupid queen

So you fuck for all the day, but you always make them pay
you want it bigger than a bus, to take it in your lonely ass

(chorus)
And you feel like Marilyn
but you’re just a stupid queen
and you want to kiss James Dean
but you’re always a stupid queen

So you’re adored,
‘coz you’re a whore

Scrivere canzoni si rivelava più che altro un modo piacevole per passare il tempo mentre i prof spiegavano le loro noiose lezioni. Oltre che un modo per migliorare il nostro inglese. I Paranoid Androids sono rimasti però giusto un tentativo di mettere su una band. Più in là nel tempo, una volta abbandonata ogni speranza di imparare a suonare in maniera decente la chitarra, mi sarei dedicato alla carriera solista, passando alla musica elettronica con il nickname Cannibal Kid che mi accompagna ancora tutt’oggi in qualità di blogger.
Tutta questa intro non necessaria per dire che la storia della musica è sì fatta dai gruppi che tutti ammiriamo e amiamo, ma è anche fatta di band sconosciute, di semplici ascoltatori appassionati che hanno tentato di suonare, magari con risultati non eccezionali. Proprio come la band protagonista del film di cui oggi vi vado a parlare.

"Grandi Rolling Stones! Ecco... noi non diventeremo mai come loro."
Not Fade Away
(USA 2012)
Regia: David Chase
Sceneggiatura: David Chase
Cast: John Magaro, Bella Heathcote, Jack Huston, James Gandolfini, Dominique McElligott, Meg Guzulescu, Christopher McDonald, Brad Garrett, Isiah Whitlock Jr.
Genere: rock band
Se ti piace guarda anche: Killing Bono, Nowhere Boy, The Runaways, Control, Sex & Drugs & Rock & Roll

Not Fade Away rappresenta l’esordio cinematografico di David Chase.
Avete presente David Chase?
No?
È meno grave rispetto a non conoscere i Rolling Stones, però significa che avete qualche lacuna nell’ambito delle serie tv. David Chase è infatti il creatore de I Soprano, serie che non ho mai amato più di tanto, ma comunque a sua modo storica. Saper fare grande tv non sempre significa anche saper fare grande cinema e questo film lo dimostra. Not Fade Away sarebbe un episodio pilota notevole per una nuova serie, mentre come pellicola cinematografica a se stante non funziona del tutto, sebbene una visione se la meriti tutta.


Come preannunciato nella intro, Not Fade Away racconta di un gruppo di ragazzi che nei favolosi anni ‘60 mettono su un gruppo che poi non diventerà celebre, ma ciò non significa che non abbia giocato un ruolo importante nella loro vita. Anche se non faranno il botto vero e proprio, la loro vicenda segue la tipica parabola raccontata in molte altre pellicole musicali su band un pochino più famose, da Nowhere Boy sui primissimi Beatles a Control sui Joy Division, da The Doors sui… The Doors a The Runaways sulle… The Runaways, finendo per ricordare soprattutto Killing Bono, la storia di una band vissuta all’ombra della popolarità dei maledetti U2.

"Uff, non scriverò mai una hit come gli Stones. E manco come PSY..."
La regia di David Chase è molto classica, di stampo televisivo (un televisivo buono, sia inteso), senza lampi particolari. Così come non dà il massimo il suo pupillo James Gandolfini, l’ex Tony Soprano che al cinema continua a collezionare un sacco di ruoli e particine varie, nessuna in grado di lasciare il segno.
Da tenere d’occhio invece i ggiovani del cast: il protagonista John Magaro qui ha un personaggio un po’ stronzetto e non ispira molta simpatia, però non se la cava male; Jack Huston finalmente abbiamo l’occasione di vederlo con tutta la faccia e con tutti e due gli occhi, mentre in Boardwalk Empire lo vediamo solo a metà e Bella Heathcote, nuova pupilla di Tim Burton che l’ha lanciata nel suo Dark Shadows, per adesso è più bella che brava a recitare, d'altra parte si chiama Bella mica Brava. Il tempo, comunque, così come per gli altri giovani promettenti attori, è dalla sua parte. Time is on my side, come cantano i Rolling Stones qui coverizzati dalla band al centro delle vicende del film, nella scena che più rimane impressa di tutta la pellicola. Yes it is.



"Ah Bob Dylan, vieni un po' qui a falciare il prato!"
Riguardo alla storia di questo gruppo, ci viene raccontata attraverso conflitti di personalità piuttosto tipici: il batterista canta meglio del cantante e quindi si trova a sostituirlo come leader del gruppo, l’ex cantante non la prende troppo bene e iniziano i problemi, soprattutto perché il batterista diventato cantante comincia a tirarsela manco fosse il nuovo Bob Dylan. Non manca naturalmente anche una storia d’amore, ma tutto resta troppo abbozzato. Proprio come questa band. Ha del potenziale, potrebbe fare grandi cose, però alla fine non ce la fa. Non le realizza. Stesso discorso per l’intero film. Parte bene, riesce a rendere quella che poteva essere l’eccitazione di mettere su una band rock’n’roll nel pieno degli anni Sessanta, comincia a coinvolgere nella vita dei suoi protagonisti, ma non riesce mai a decollare veramente.
Eppure va bene così. C’è bisogno anche di questo. Così come c’è bisogno di band che non fanno la storia della musica, a volte ci si può godere pure un film non del tutto riuscito e con un finale scemotto campato per aria. Una pellicola che non farà certo la storia del cinema, ma che riesce almeno a trasmettere una genuina passione per la musica. Non è poco. E poi, per fare un film davvero grande, l’esordiente classe 1945 David Chase ha ancora tempo.
Time is on my side, yes it is.
(voto 6,5/10)



domenica 16 dicembre 2012

COTTA ADOLESCENZIALE 2012 - N. 3 JESSICA PARE'

Jessica Paré
Genere: mad woman
Provenienza: Montréal, Québec, Canada
Età: 30
Il passato: L’altra metà dell’amore, Appuntamento a Wicker Park, Suck, Un tuffo nel passato
Il suo 2012: la serie Mad Men, il film The Mountie
Il futuro: la sesta stagione di Mad Men, il film Standby
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Perché è in classifica: perché nel tempo di una canzone è entrata nella storia della tv americana

ATTENZIONE SPOILER sulla terza, quarta e quinta stagione di Mad Men

Nella serie tv Mad Men, il protagonista Don Draper (Jon Hamm) è sposato con January Jones. La fedeltà non è esattamente il suo forte, per dirla in un modo. Le mette dei gran cornoni dalla mattina alla sera, per dirla in un altro. Fatto sta che alla fine della terza stagione divorziano. Dopo un periodo da single e stufo di non avere una moglie da tradire, alla fine della quarta stagione Don decide di sposarsi di nuovo. Al ché uno pensa che una moglie più affascinante di January Jones non la può trovare. Però lui è Don Draper e riesce a scovarne una che, se non supera la Gennaio Jones, ci va pericolosamente vicina.
La sua nuova mogliettina Megan, interpretata dalla qui presente Jessica Paré, subito subito lascia qualche dubbio. Ma ogni dubbio viene del tutto spazzato via quando si mette l’abito della festa, prende il microfono in mano e, sullo stile della Sophia Loren anni ’60, si mette a cantare e a ballare “Zou Bisou Bisou”. E lì non ce n’è più per nessuna. Nemmeno per la Gennaio Jones.




sabato 28 luglio 2012

Viva Abbasso l’amore

Abbasso l’amore
(USA, Germania 2003)
Titolo originale: Down with Love
Regia: Peyton Reed
Cast: Renée Zellweger, Ewan McGregor, Sarah Paulson, Jeri Ryan, Ivana Milicevic, Melissa George, David Hyde Pierce, Tony Randall, Chris Parnell, Laura Kightlinger, John Aylward
Genere: retrò
Se ti piace guarda anche: Austin Powers, Pleasantville, A qualcuno piace caldo
                              
Abbasso l’amore è un film sui Sixties a.M., ovvero avanti Mad Men.
Ebbene, sì. È esistita anche un’epoca avanti Mad Men. Cosa che significa che in questo film sono presenti tanti ma proprio tanti stereotipi legati all’esaltazione dei magnifici anni Sessanta come vera e propria epoca d’oro, quando Mad Men è riuscita a farci vedere anche le sue inevitabili ombre.
Cosa che però significa anche che qui dentro ci sono un sacco di trovate parecchio fa-vo-lo-se. Proprio nel suo rendere il decennio in maniera idealizzata e “finta”, Abbasso l’amore riesce a essere una commedia a tratti irresistibile. Vecchio stile e prevedibile fin che si vuole, ma anche maledettamente godibile.

Abbasso l’amore è come se dicesse “Abbasso una visione nuova e originale degli anni ’60 e viva il passato”, quello che non è manco mai esistito, se non nei film con Marilyn Monroe, Doris Day o Frank Sinatra. Perché il quadro del decennio che ne esce è del tutto fiction e ci propone i Sixties non come sono stati nella realtà, o come probabilmente devono essere stati nella realtà, ma solo come sono stati nelle commedie hollywoodiane del periodo. Per quanto io preferisca, e nettamente, il ritratto dipinto da una serie capolavoro come Mad Men, anche questa visione fittizia e molto naif del decennio ha il suo fascino flower power vagamente alla Austin Powers, giusto un filo meno scemo.
Niente male, davvero niente male poi alcune trovate parecchio inventive presenti, come la fantastica la “scena di sesso” in split-screen tra i due protagonisti. Uno sberleffo nei confronti del politically correct fatto in maniera leggera quanto allo stesso tempo incisiva.

Ma chi sono i protagonisti di questa scatenata comedy tutta basata su un continuo gioco di equivoci, in perfetto stile Sixties, e sul rapporto tra uomini e donne, con il femminismo che all’epoca si faceva sempre più largo?
Renée Zellweger, attrice che non è mai rientrata tra le mie personali preferite, qui offre una prova davvero più che convincente. Se lo dico io, fidatevi. E poi c’è Ewan McGregor, attore che invece è sempre rientrato tra i miei personali preferiti e che qua, in un ruolo più allegro e brillante rispetto ai suoi soliti recenti depressoni (Beginners, Perfect Sense, Il pescatore di sogni…), è gigione quanto basta per fare la sua ottima figura nei panni del playboy senza scrupoli.
La storia si risolve tutta nell’incontro/scontro tra i loro due personaggi. Lei è una femminista che ha scritto il best-seller che dà anche il titolo originale alla pellicola, ovvero “Down With Love”, in cui offre consigli alle donne su come rinunciare all’amore e diventare spietate nella relazioni sentimentali come e più degli uomini. Lui è invece un giornalista misogino che farà di tutto per farla a pezzi, architettando un diabolico piano per prima conquistarla e poi mandare in rovina tutte le teorie descritte nel suo libro…
Divertente, frizzante, leggera, una commedia fuori dal tempo, tanto ingenua quanto contagiosa.
Abbasso l’amore? No, viva Abbasso l’amore!
(voto 7/10)

Post pubblicato anche su L'orablu.

domenica 25 marzo 2012

Wait men


Don is back.
Betty is back.
Joan is back.
Roger is back.
Peggy is back.
Pete is back.
Mad Men (and Mad Women) are back!

Stasera ricomincia Mad Men, stagione 5. Sulla tv americana, almeno. Cosa che significa che domani apparirà per magia anche su internette.
In attesa che questa spasmodica attesa, durata ben 17 mesi, finisca, potete partecipare al simpatico test sul sito del network AMC: scopri che personaggio di Mad Men sei…
Il mio risultato? Quello che mi aspettavo: Pete Campbell.
Ma adesso basta con test telematici, Internet e mondo moderno.
Tutti indietro negli anni Sessanta.
Sugli schermi dei nostri PC, tablet, iPad, laptop, notebook eccetera, naturalmente.

domenica 16 ottobre 2011

Indignados

America, cosa ci hai tolto?
Ieri sono avvenute proteste in tutto il mondo da parte di centinaia di migliaia di Indignados. Come è andata a finire nel mondo e come è andata a finire in Italia l'abbiamo visto tutti.
La vera domanda però è: ma indignati per cosa, per la crisi economica?
Sì, anche, però il motivo principale in realtà è un altro: la cancellazione di The Playboy Club, che il network americano NBC ha deciso di eliminare dal suo palinsesto dopo la messa in onda di appena 3 episodi…

The Playboy Club
(serie tv, stagione 1, primi 3 episodi)
Rete americana: NBC
Rete italiana: non arrivato (e a questo punto dubito arriverà)
Creato da: Chad Hodge
Cast: Amber Heard, Eddie Cibrian, Laura Benanti, Jenna Dewan-Tatum, Naturi Naughton, Leah Renee Cudmore, Sean Maher, Wes Ramsey, David Krumholtz, Troy Garity, Katherine Cunningham
Genere: patinato
Se ti piace guarda anche: La coniglietta di casa, Pan Am, Mad Men

The Playboy Club è l’autorevole detentore del ben poco ambito titolo di primo floppone floppissimo della stagione televisiva autunnale americana. I risultati di ascolto delle prime tre puntate sono infatti stati piuttosto disastrosi e la serie è andata incontro a una tragica, prematura soppressione.
Cosa che mi fa porre varie e profonde domande sul mondo in cui viviamo.
È vero, la serie ha un sacco di limiti: è scritta piuttosto malamente, cerca di essere un nuovo Mad Men senza avvicinarsi nemmeno lontanamente, il belloccio protagonista maschile Eddie Cibrian non ha neanche un’oncia del fascino e della classe di Don Draper/Jon Hamm, la maggior parte dei personaggi non brilla certo per spessore o simpatia, la presenza “oscura” di spalle o al telefono di Hugh Hefner (o di un simil-Hugh Hefner che dir si voglia) è una pacchianata fastidiosa ed evitabile, la componente thriller sembra davvero campata per aria e, soprattutto, pur chiamandosi The Playboy Club è una serie castigatissima e “pudica” se paragonata a show come Californication, The L Word o True Blood, con le tematiche dell’emancipazione femminile e dell’omosessualità che sono accennate in maniera troppo timida… e questa non è che solo una parte dell’elenco dei suoi difetti.
Però, c’è un però.
Grande come una casa.
Macchedico? Grande come una mansion. Una Playboy Mansion.
In questa serie c’è Amber Heard.
E non è finita: c’è Amber Heard in versione coniglietta di Playboy!
Avete capito bene: aboliremo l’ICI su tutte le prime case…
Ah no, scusate, mi hanno passato il discorso sbagliato.
Rifacciamo.

Avete capito bene: Amber Heard lavora come cameriera nel primo mitico originale Playboy Club, quello fondato nella Chicago anni ’60 come sorta di versione formato locale del magazine di Hugh Hefner; un luogo dove si intrecciano le storie dei vari personaggi, nonché una sorta di anticamera per molte cameriere conigliette che poi potrebbero diventare vere e proprie playmate fotografate sulla rivista Playboy.
E adesso gli americani, dopo appena tre puntate certo non perfette ma che comunque in confronto a quelle di Terra Nova hanno la statura del capolavoro, già vogliono bocciare una serie del genere? Cioè, la guerra in Afghanistan la portano avanti dal 2001 e alle conigliette di Playboy non concedono più di 3 puntate?
Io personalmente a un telefilm con Amber Heard (s)vestita da coniglietta darei il rinnovo sulla fiducia per almeno 10 stagioni di 22 episodi l’una. Per di più riuscite a immaginare qualcosa di più bello di Amber Heard che balla il twist? Evidentemente il pubblico yankee non la pensa così e quindi cercherò di farmene una ragione.

Cos’altro funziona comunque in questa serie, o meglio abbozzo di serie, a parte Amber Heard, che tra l’altro oltre a essere uno splendore d’altri tempi e avere il physique du rôle perfetto per la parte se la cava pure bene a recitare?
Nient’altro?

Un tizio si è suicidato perché sapeva che non avrebbe
più potuto vedere Amber Heard in versione coniglietta
Non proprio. Le atmosfere 60s infatti riescono ad avere sempre il loro fascino, sebbene non siano all’altezza della ricostruzione di Mad Men, o dell’altra nuova e più azzeccata serie Sixties Pan Am. Le musiche poi sono di buon livello, con artisti che ricreano concerti realmente avvenuti nel locale (o almeno, penso sia così), ad esempio la cantante pop Colbie Caillat che interpreta la parte di Lesley Gore con la sua memorabile “It’s my party”, oppure Ike & Tina Turner (non Ike & Tina Turner veri, ma degli attori/cantanti che li impersonano).
Per il resto, il grande problema della serie sembra uno, e decisamente paradossale. Nonostante la presenza di Amber Heard e di una serie di graziuose figliuole coume Jenna Dewan-Tatum (moglie di Channing Tatum con cui ha girato il dimenticabile Step Up) e Naturi Naughton (che era Lil’ Kim nel film Notorious B.I.G.), la serie manca l’obiettivo di essere sexy, eccitante, sensuale. I 60s qui ricreati all’interno del locale non sembrano un luogo misterioso e hot. È vero che Playboy non è Hustler e l’essere patinato è una sua prerogativa, però l’insieme è davvero troppo freddo. E per una serie che si basa sul marchio Playboy non c’è peccato peggiore. Probabilmente è per questo che non ha funzionato.
Però io comunque mi domando una cosa: vogliamo davvero vivere in un mondo in cui viene cancellata una serie con Amber Heard coniglietta?
(voto 6/10)


Per fare il punto attuale della situazione sull'autunno televisivo americano, decisamente più combattuto e interessante del campionato di calcio (per lo meno se siete interisti), ecco le serie cancellate finora:
The Playboy Club
Free Agents
How to be a gentleman
Charlie’s Angels

Hanno invece avuto la conferma per una stagione completa:
Hart of Dixie
Revenge
Suburgatory
Up all night
Whitney

giovedì 15 settembre 2011

Kennedyci dei Kennedys?

I Kennedy
(mini-serie in 8 episodi)
Rete americana: ReelzChannel
Reti italiane: La7, History Channel
Ideatori: Stephen Kronish, Joel Surnow
Regia: Jon Cassar
Cast: Greg Kinnear, Katie Holmes, Barry Pepper, Tom Wilkinson, Diana Hardcastle, Kristin Booth, Enrico Colantoni, Charlotte Sullivan
Genere: storico
Se ti piace guarda anche: Mad Men, The Hour, Mildred Pierce

History Channel: allora, facciamo una bella mini-serie sulla dinastia dei Kennedy, però dobbiamo farla ruffiana in modo che tutti possano dire: “Ah, quanto bravi e belli e perfetti erano.”

Sceneggiatori: ma facciamogli un bello scherzetto, a quei noiosi topi di biblioteca di History Channel e andiamo a tirare fuori tutti gli scheletri dall’armadio della famiglia più potente d’America e vediamo cosa dicono.

Morale della fiaba: dopo aver commissionato la serie, History Channel si è ritrovata con un prodotto scomodo e per non fare incazzare gli amici di quella che ancora oggi è una delle famiglie più influenti e “immanicate” degli States ha deciso di non mandarla in onda. Dopo qualche mese di incertezza in cui nessuno voleva trasmetterla, nemmeno network come Showtime e Starz (quelli di Californication, Nip/Tuck, Weeds, Spartacus e altre serie piuttosto estreme, almeno per il puritano pubblico americano), finalmente la serie è stata trasmessa grazie a ReelzChannel, mentre in Italia paradossalmente è andata in onda proprio sulla versione nostrana di History Channel, prima di approdare su La7.
Questo ostracismo vi suona per caso familiare? Non è un po’ ciò che accade da noi quando si tenta di mostrare qualche prodotto scomodo riguardante un certo potente personaggio italiano?

I punti di contatto tra Silvio Berlusconi (lo so, finisco sempre lì ma è un'ossessione da cui è difficile uscire in Italia) e la famiglia Kennedy, in particolare con John Fitzgerald e suo padre Joe Senior, non sono difatti pochi e un parallelo non è poi così campato per aria:

- Come Joe, Silvio è un self-made man, anche se forse nel suo caso Craxi-made man rende meglio l’idea. Entrambi hanno fondato un vero e proprio impero economico, con l’aiutino di alcuni contatti misteriosi con il mondo della politica e della Mafia.

- Come JFK, Silvio ama la compagnia femminile e fino a qui niente di male. Solo, perché sposarsi? Perché mettere così in imbarazzo le mogli? Entrambi hanno una lunga cronaca di amanti e di scandali di tipo sessuale, la grande differenza è che uno si faceva Marilyn Monroe, l’altro Ruby Rubacuori…

- Come JFK, Silvio ha vinto le elezioni grazie ai molti soldi spesi per la campagna elettorale e grazie all’utilizzo del mezzo televisivo. JFK però doveva il suo successo alla sua telegenia e alla sua capacità di ammaliare il pubblico, Berlusconi invece lo doveva (visto l’enorme calo di consensi è giusto parlarne al passato) all’infestare le sue reti di jingle, spot e videomessaggi ben poco subliminali.

- Kennedy e Berlusconi condividono poi un cieco e totale anticomunismo, che porta il secondo a vedere rosso ovunque si giri (tra un po’ comincerà a etichettare come comunisti anche Gianfranco “Faccetta nera” Fini e Pier Ferdinando “moderatamente sono il più moderato dei moderati” Casini), mentre JFK si cacciava prima nella disfatta della Baia dei Porci e quindi si metteva a incrementare l’impegno americano in Vietnam.

Poi ci sono anche degli evidenti punti di differenza, soprattutto riguardanti l’impegno nel sostenere i diritti civili e lo stile, tutt’altro stile, di JFK rispetto al Berlusca. Ma questa serie fa dunque apparire i Kennedy come i Berlusconi d’America? In parte sì, come abbiamo visto, e allora te’ credo che negli USA ne hanno ostacolato la messa in onda, ma in parte, per loro fortuna, no.


Il grande pregio di questa mini-serie è quello di gettare uno sguardo originale e “smitizzante” alla famiglia presidenziale, con uno stile che ricorda quello della serie 24… e infatti gli autori/producer sono Joel Surnow e Stephen Kronish e anche il team, dal regista Jon Cassar fino all’autore delle enfatiche musiche Sean Callery, sono gli stessi. A cambiare sono però i ritmi, qui molto più blandi rispetto all’adrenalinico action con Kiefer Sutherland.
Una scelta discutibile, ma di certo voluta, è quella di concentrarsi unicamente all’interno della famiglia, senza gettare uno sguardo sui cambiamenti della società in corso negli anni ’60, che rimangono un po’ sullo sfondo. Una scelta che comunque ci fa capire come spesso i politici, e i potenti in generale, vivano come in un mondo a parte rispetto a noantri comuni mortali.

Convincente, ma con qualche riserva, il cast: Greg Kinnear è bravo, però non possiede lo charme di John Fitzgerald Kennedy, qui ritratto in versione molto Don Draper di Mad Men, infedele per natura più che per scelta; un JFK spinto in politica dalle ambizioni del padre più che da una reale passione e in effetti non ne esce benissimo dall’immagine scattata da questa serie. Eppure alla fine è proprio la sua imperfezione e umanità a renderlo più simpatico rispetto alla solita figurina da Grandissimo e Perfetto Presidente che gli veniva cucita di solito.
Benino anche Katie Holmes: si vede che si è applicata e ha studiato le mosse e il modo di parlare di Jacqueline Kennedy, anche se io continuo a vedere in lei sempre una certa dawson di joeypotteraggine. Sarà che forse con Tom Cruise vive una situazione non troppo dissimile di matrimonio di facciata (chissà?), ma comunque riesce a rendere bene il personaggio della moglie continuamente tradita e consapevole delle infedeltà del marito, che continua comunque ad amare, con una tragicità che ricorda da vicino Betty Draper. Sì, ancora Mad Men, d’altra parte se oggi si parla di anni ’60 non si può non guardare a Mad Men come esempio supremo…
Tom Wilkinson nella parte del patriarca della famiglia Kennedy, Joseph Senior, risulta odioso e quindi la sua parte possiamo dire sia pienamente riuscita; è lui infatti il personaggio più sgradevole della famiglia, visto che ha un atteggiamento ambiguo nei confronti di Hitler (e questa cosa, che pure non ha tutto questo risalto all’interno della serie, dev’essere stata una delle ragioni principali del boicottaggio di History Channel), intrattiene rapporti ancora più ambigui nei confronti della Mafia (in cui è coinvolto anche Frank Sinatra) e, ciliegina sulla torta, lobotomizza la figlia “pazza”. Proprio un bel personaggino, insomma.
Dall’altra parte, il migliore è invece Bobby, da quel che emerge in questa biografia non autorizzata, l’unico a capirne davvero qualcosa e ad avere una reale passione politica (e non solo passione per il potere) tra i Kennedy. Ammirevole poi la sua capacità di rimanere fedele alla moglie, da cui ha ben 11 figli, rifiutando (almeno nella serie) le avance di Marilyn (sarà davvero andata così?). A interpretarlo c’è il migliore del cast, un Barry Pepper grandioso, che riporta in vita il personaggio che avrebbe davvero potuto portare il cambiamento tanto auspicato per gli Stati Uniti e che invece…

Famiglia fortunatissima per certi versi, sfortunatissima per altri, l’epopea dei Kennedy è rivissuta in maniera azzeccata da questa mini-serie che mescola pregi e difetti, note positive e note negative, fortune e sfortune, che infastidisce per alcuni aspetti ma alla fine, e che diamine, finisce per farci affezionare ai suoi personaggi. La serie, proprio nella sua imperfezione, centra così in pieno il non facile obiettivo: farci capire perché sono stati (e sono ancora) tanto odiati quanto amati, questi maledetti Kennedy.
(voto 7/10)

giovedì 8 settembre 2011

La dolly vita

La dolce vita
(Italia, Francia 1960)
Regia: Federico Fellini
Cast: Marcello Mastroianni, Anita Ekberg, Anouk Aimée, Yvonne Furneaux, Alain Cuny, Annibale Ninchi, Valeria Ciangottini, Adriano Celentano, Nico Otzak
Genere: viaggio in fondo alla notte
Se ti piace guarda anche: Mad Men, A single man, 8 1/2

“È la pace che mi fa paura. Temo la pace più di ogni altra cosa. Mi sembra che sia soltanto un’apparenza e che nasconda l’Inferno. Pensa a cosa vedranno i miei figli domani. Il mondo sarà meraviglioso, dicono. Ma da che punto di vista se basta uno squillo di telefono ad annunciare la fine di tutto? Bisognerebbe vivere fuori dalle passioni, oltre i sentimenti, nell’armonia che c’è nell’opera d’arte riuscita, in quell’ordine incantato. Dovremmo riuscire ad amarci tanto da vivere fuori dal tempo, distaccati. Distaccati.”

“Italia Italia, che bella che eri negli anni Sessanta,” cantano il Nongio e Biggio nello sketch di Garibaldi e Vittorio Emanuele del loro I soliti idioti. E, almeno a guardare La dolce vita, dannazione se c’hanno ragione.


Non che il film di Fellini mostri una realtà idilliaca o disneyana in cui tutto va bene e tutti sono felici. Anzi. Lo stilosissimo giornalista interpretato da Marcello Mastroianni con classe impareggiabile è un’anima in pena, che vaga per le notti romane divorato da una fame di vita, di dolce vita che non riesce a saziare. Passa da una donna e da una festa all’altra senza trovare appagazione, ma il bello è proprio il viaggio, la ricerca continua, il non fermarsi. Mai.
Un’Odissea che è cinema puro, non si attiene alle regole della narrazione tradizionale ma preferisce vagare insieme al suo protagonista, in un tipo di pellicola che da 2001 ad Apocalypse Now dà grandi soddisfazioni, perlomeno quando dietro si cela un regista dotato di una sua “visione”. Un tipo di cinema che dava soddisfazioni, visto che negli ultimi tempi si è forse un po’ persa la voglia di realizzare viaggi di questo tipo, anche nel cinema d’autore, con sceneggiatura che mostrano meccanismi narrativi perfetti, forse persino troppo (vedi i film di Nolan), ma a cui allo stesso tempo manca quel pizzico di imprevedibilità e di follia qui presenti.


Difficile spiegare la bellezza di un film come La dolce vita ha chi ha deciso di non salire in auto al fianco di Marcello. Difficile però non impossibile e alloro io ce provo ao’ a dare qualche motivazione valida.
Una delle armi forti del film, almeno dal mio punto di vista, sta nel dare grande importanza alla musica, da una colonna sonora di Nino Rota oltre il meravijoso alla presenza di varia musica live (c’è persino un cameo di Adriano Celentano!), sta nel costruire un’ambiente, uno stile di vita nostrano ben definito perché era questa l’Italia al suo mejo: il paese del piacere, della bellezza, dell’eleganza, della cultura. Cosa è successo poi? Non vorrei essere pedante e finire sempre lì, però c’è poco da fare: gli anni ’80 italiani, la Fininvestizzazione della nazione, l’impronta lasciata dallo strisciare la notizia del Biscione, dalle veeeline, dal Drive-In, da un nome che comincia con Silvio e finisce con oni. Lo so, che du cojoni!

Negli ultimi 30 anni sono state queste alcune delle mutazioni fondamentali del nostro Bel(?) Paese. Mutazioni in peggio. Sarò fazioso, ma la mia non è una chiave di lettura politica, bensì sociale. Berlusconi ha preso uno dei paesi con la più grande Storia alle sue spalle e l’ha fatto diventare… una merda. D’altra parte ad affermare che questo è diventato un paese di merda il primo è lui.
Non l’ha fatto da solo, certo, l’hanno lasciato fare. L’abbiamo lasciato fare. Colpa sua, sicuramente. Forse anche colpa nostra. Perché certe volte è proprio il caso di dire: “Massì, ha ragione lei. Stiamo sbagliando tutto. Stiamo sbagliando tutti.”
Adesso non intendo sostenere certo che Berlusconi abbia inventato la corruzione o lo sfruttamento prostituzione; il danno (uno dei tanti) che ha fatto è stato quello di aver portato la nazione oltre l’orlo della prostituzione intellettuale, mi si passi la definizione presa in prestito da Mourinho. Il grande Mou. We miss you.


Viene il magone, a veder La dolce vita. Dalla stilosa, goduriosa, scintillante Roma del film di Fellini da vivere notte dopo notte, l’Italia è passata alla Milano da bere, da sniffare, da consumare e gettare via già all’arrivo dell’ora dell’aperitivo. Arrivederci Roma, benvenuta Milano 2.
Nel Marcello Mastroianni di questo film si riflette tutta l’italianità positiva, dalla sua ricerca del piacere e del bello, fino alle piccole cose come quel suo divertente inglese maccheronico. Molto rappresentativa anche la scena della donna che dà da mangiare un uovo e una banana a Marcello come here mentre sta guidando: eccola lì la nostra cultura del mangiare.
E cosa c’è poi di più italiano di un miracolo religioso? Nel film di Fellini non manca neppure quello.
Ci sta dentro pure un po’ di sana volgarità all’italiana, con l’esilarante scena in cui compare Nico, proprio la splendida Nico di The Velvet Underground & Nico, e c’è un tizio che la chiama: “Ah, mignottona!”. Da quanto non ridevo così per un film italiano? Ah, già… da Checco Zalone. E una bella giornata non è proprio la stessa cosa di una dolce vita. C’è una “leggerissima” differenza.
Ah, che bello poi vedere tutti quegli uomini vestiti eleganti e pettinati precisi come Don Draper di Mad Men, e tutte quelle donne con il trucco sugli occhi pesante all’insù come Amy Winehouse.

E quanto è magnifico poi il finale sulla spiaggia? Qualcuno, pure questo al solito nell'Italia di ieri quanto di oggi, c’ha voluto leggere un messaggio religioso, con la ragazzina bionda che rappresenterebbe la Grazia. Sarà anche così, ma per quanto mi riguarda invece io ho visto un Marcello che piuttosto decide di graziare la biondina e non rubarle l’innocenza portandola dentro la sua dolce vita. Anche se un attimo di indecisione gli viene…

Fare un tuffo in questa Fontana di Trevi del Cinema e della Bellezza e poi accendere la tv su Canale 5 o Raiuno è come essere catapultati improvvisamente dentro un film dell’orrore. Sì, sono passati 50 anni, però questo è davvero lo stesso Paese? Non è possibile.
Italia Italia, che bella che eri negli anni Sessanta.
E adesso perché non lo sei più?
(voto 9+)

domenica 3 luglio 2011

The Doors are strange

Sono passati 40 anni da quel 3 luglio 1971, giorno della scomparsa (qualunque significato questa parola possa avere) in quel di Parigi di Jim Morrison, leader dei The Doors, cantante e poeta. Io non sono tanto per le date, le celebrazioni e gli anniversari vari, visto che di solito nemmeno li ricordo, però quando ce vo’ ce vo’.

When you’re strange: A film about the Doors
(USA 2009)
Regia: Tom DiCillo
Cast: Jim Morrison, Ray Manzarek, Robby Krieger, John Densmore
Genere: documentario
Se ti piace guarda anche: The Doors, Quasi famosi

La versione originale di questo documentario sui Doors è narrata dalla voce di Johnny Depp, a noi ce tocca Morgan. Sono cose della vita, vanno prese un po' così e visto che, per fortuna o purtroppo, siamo in Italia ce tocca pure cità Eros Ramazzotti.
Morgan a parte, che comunque come narratore non infastidisce a fa pure la sua porca figura, il film di Tom DiCillo è un’ottima visione, anche per i non fan hardcore di Jim Morrison e soci. Certo, se vi fanno schifo i Doors questo documentario potete benissimo risparmiarvelo, però se vi fanno schifo i Doors io fossi in voi una visita dal medico la andrei a fare. Così, per sicurezza.
Immaginando che il materiale d’archivio non fosse poi così corposo, dopo tutto negli anni Sessanta non è che chiunque avesse un iPhone o una videocamera digitale con cui filmare qualunque cosa, il lavoro DiCillo si lascia seguire molto bene e riesce a coinvolgere in pieno. Non ci sono particolari colpi di genio registici, né colpi di scena sorprendenti (purtroppo sappiamo già come va a finire la storia), eppure il film riesce a raccontare quel periodo di fermento che è stata la fine dei 60s evitando di essere troppo didascalico.
E poi è sempre bello rivedere il movimento giovanile di quegli anni in azione. In particolare fa riflettere vedere come chi idolatra quegli anni e quello spirito, oggi in realtà si comporti in una maniera del tutto opposta: all’ora chi aveva più di 30 anni era visto come un potenziale nemico, adesso chi ha meno di 30 anni è visto come un potenziale nemico… Things change.


Protagonista assoluto del film è of course Jim Morrison, con la sua parabola tra alti e bassi molto tradizionale e comune a qualunque pellicola rock che si rispetti, però è una parabola sempre maledettamente affascinante, soprattutto quando c’è la possibilità di vedere questo personaggio in azione in prima persona e non interpretato da altri, con tutto il rispetto per il pur valido Val Kilmer dell’ottimo The Doors di Oliver Stone. Un pregio del lavoro realizzato dal regista di Johnny Suede è inoltre quello di aver saputo ritagliare un ruolo importante anche agli altri membri della band e a parlare non solo del Re Lucertola come personaggio, ma di focalizzarsi pure sugli aspetti strettamente sonori, dando largo spazio alle canzoni.
Perché la musica dei Doors e la poesia di Jim Morrison rimarranno per sempre come le porte della percezione: infinite. E oltre.
(voto 7,5)


Essendo domenica, per l’ormai consueto appuntamento Jukebox DeLorean e la canzone dal passato della domenica, ecco il mio pezzo preferito in assoluto dei Doors, in grado di superare la concorrenza persino della splendida People are strange e della The End resa ancora più memorabile da Apocalypse Now.

The Doors “You’re lost little girl”
Anno: 1967
Genere: psychedelic pop song
Provenienza: Los Angeles, California, USA
Album: Strange Days
Canzone sentita anche in: When you’re strange, The Doors
Nel mio jukebox perché: ha un sound malinconico che influenzerà molto la musica di Jeff Buckley e dei primi Radiohead

Testo liberamente tradotto
Sei persa, piccola ragazza
sei persa
dimmi chi sei tu?
Penso tu sappia cosa fare
Impossibile? Sì, ma è vero
Penso tu sappia cosa fare, ragazza
sono sicuro tu sappia cosa fare


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