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venerdì 22 luglio 2016

The Nice Guys, il Buddy Spencer movie





The Nice Guys
(USA 2016)
Regia: Shane Black
Sceneggiatura: Shane Black, Anthony Bagarozzi
Cast: Ryan Gosling, Russell Crowe, Angourie Rice, Margaret Qualley, Kim Basinger, Matt Bomer, Yaya DaCosta, Keith David, Beau Knapp, Murielle Telio, Ty Simpkins, Jack Kilmer, Hannibal Buress, Karrueche Tran
Genere: funky
Se ti piace guarda anche: Kiss Kiss Bang Bang, Tango & Cash

The Nice Guys è troppo un buddy movie. Cosa sono i buddy movie?
Sono quei film che raccontano del rapporto di amicizia ai limiti del bromantico tra due persone dello stesso sesso. Due persone che sono qualcosa in più di due semplici amici, ma qualcosa meno di due innamorati. In pratica possono essere definiti scopamici, solo che non scopano. Non tra di loro, almeno. Anzi, in questo film i due scopamici protagonisti Ryan Gosling e Russell Crowe non scopano proprio. Questo nonostante i due siano dei sex symbol e nonostante la pellicola sia parecchio sexy, grazie alle sue atmosfere anni '70 immerse nella Los Angeles del porno e alla partecipazione di alcune fanciulle avvenenti e poco vestite. È un film sexy ed è un film cool, con un bel groove funky. Però non si scopa. No no.

giovedì 30 ottobre 2014

AMER, L’ANTIDOTO AI BLOCKBUSTER HOLLYWOODIANI





Amer
(Francia, Belgio 2009)
Regia: Hélène Cattet, Bruno Forzani
Sceneggiatura: Hélène Cattet, Bruno Forzani
Cast: Cassandra Forêt, Charlotte Eugène Guibeaud, Marie Bos, Bianca Maria D’Amato, Harry Cleven, Jean-Michel Vovk, Bernard Marbaix, Thomas Bonzani
Genere: intrippante
Se ti piace guarda anche: Possession, Under the Skin, Enter the Void

Molta gente di solito dopo aver guardato un film impegnato, d’autore, ha bisogno di qualcosa di leggero per staccare. Per me è il contrario. Dopo aver visto Transformers 4, ho sentito l’urgente bisogno di guardarmi qualcosa di alternativo. Del Cinema vero senza robottoni ed effetti speciali che fanno venire male agli occhi. Qualcosa girato da un regista degno di questo nome e non da un clown come Michael Bay. In tal senso, Amer si è rivelata la pellicola ideale.

lunedì 7 luglio 2014

LE ORIGINI DEL MALE, UN ESPERIMENTO DESTINATO A FINIRE… MALE





Le origini del male
(USA, UK 2014)
Titolo originale: The Quiet Ones
Regia: John Pogue
Sceneggiatura: Craig Rosenberg, Oren Moverman, John Pogue
Cast: Jared Harris, Olivia Cooke, Sam Claflin, Erin Richards, Rory Fleck-Byrne, Laurie Calvert, Aldo Maland
Genere: malefico
Se ti piace guarda anche: The Conjuring, Poltergeist, Insidious



Oxford, 1974
Joseph Coupland, un professore universitario esperto non si capisce bene in quale materia, conduce un esperimento alquanto particolare e pericoloso: ha in cura come paziente una ragazza posseduta da un demone. Quando l’università di Oxford scopre che cosa diavolo sta facendo, gli taglia i fondi per la ricerca con la scusa che c’è crisi e tutti devono fare sacrifici. Se li fanno i poveri impiegati Rai, devono farli anche i professoroni universitari psicopatici alle prese con assurdi esperimenti. Il professore non si fa però scoraggiare e, insieme a uno sparuto gruppetto di suoi studenti adepti, fonda una setta che qualche anno più tardi sarà conosciuta come Movimento 5 Stelle.
Perché il professorone fa tutto questo?
La scusa è quella di dimostrare che non esistono fenomeni paranormali, che la sua paziente non è davvero posseduta da un’entità malefica, ma dietro a tutto c’è sempre una spiegazione razionale. Ufficialmente, lo fa quindi in nome della scienza.
In realtà, come lui stesso afferma, dietro a tutto c’è sempre una spiegazione razionale e la vera ragione per cui lo fa è per ciularsi una sua studentessa che altrimenti non se lo filerebbe manco di striscio. Questa biondazza qua.


Le cose naturalmente gli sfuggiranno di mano e l’esperimento si trasformerà in un horror. Un horror di pessima qualità.



Casale Monferrato, 2014
Cannibal Kid, un blogger esperto non si capisce bene in quale materia, conduce un esperimento alquanto particolare e pericoloso: sottopone ai suoi lettori la visione di un horror. L’ennesimo horror. Negli ultimi tempi ne ha visti e fatti vedere parecchi, ma nessuno davvero degno di nota. Le cose andranno diversamente questa volta?
Il film in questione si intitola The Quiet Ones, diventato in Italia Le origini del male, titolo già usato (Hannibal Lecter – Le origini del male) e che riecheggia pure quello di un altro horror molto recente come La stirpe del male. Se il titolo italiano non lascia presagire niente di buono, più interessante sembra essere il contesto in cui la pellicola è ambientata, ovvero l’Università di Oxford negli anni Settanta. Quella di collocare storie di paura nei decenni passati è una moda dell’ultimo periodo, lanciata nel cinema underground da Ti West con il suo The House of the Devil ambientato negli anni ’80 e in tv dalla serie American Horror Story: Asylum piazzata nei 60s. Una moda continuata al cinema con il successo commerciale di L’evocazione – The Conjuring che riprende gli anni ‘70. Anche in questo caso, Le origini del male non pare essere niente di nuovo, ma se non altro l’ambientazione vintage ha sempre il suo buon sapore. In questo caso pare poi esserci una buona cura nella ricreazione di costumi, pettinature e colonna sonora. Il leitmotiv musicale usato è “Cum on Feel the Noize”, pezzone fichissimo degli Slade, e quello di usare un brano ricorrente è un espediente solitamente inquietante in un horror.



"Non credi di essere troppo vecchia per giocare ancora con le bambole?"
"E tu non credi di essere troppo vecchio per provarci con me, pervertito?"
A ciò aggiungiamo un cast valido, capitanato dal Jared Harris di Mad Men nei panni del professore protagonista che conduce un esperimento su una ragazza in apparenza posseduta da un’entità malefica interpretata da Olivia Cooke, la ragazza con la bombola d’ossigeno della serie tv Bates Motel che qui si conferma stramba e affascinante allo stesso tempo. Insieme a loro ci sono quindi Sam Claflin, il Finnick degli Hunger Games, e la biondazza Erin Richards. Insomma, bene così. Per essere l’ennesimo horror, le premesse non sono malaccio e i primi minuti procedono in maniera buona.

A inizio pellicola, i numerosi e splendidi lettori cannibali coinvolti nell’esperimento sembrano apprezzare parecchio la pellicola selezionata da Cannibal Kid. Man mano che la visione procede, diventa però chiaro a tutti che l’unico trucchetto usato dal film per far spaventare gli spettatori è quello di alternare scene silenziose e quiete a improvvisi lampi di rumore e riprese che si fanno traballanti e confuse. A questo punto, qualche spettatore si chiede chi ci sia dietro a una pellicola del genere. Scoprendo che il regista è tale John Pogue, uno che finora aveva diretto solo Quarantena 2, un sacco di lettori cannibali abbandonano la visione.
Cannibal Kid cerca di tamponare l’emorragia di spettatori dicendo che tra gli sceneggiatori della pellicola c’è Oren Moverman, che è il regista di Oltre le regole – The Messenger e Rampart, quindi non proprio uno sprovveduto. Grazie a tale affermazione, qualche lettore prosegue nella visione. Non l’avesse mai fatto. Il film continua infatti nella maniera più prevedibile possibile, con una sceneggiatura banalissima che fa acqua da tutte le parti, oltre che con una nuova serie di rumori, urla ed effettacci visivi di bassa lega che infastidiscono Cannibal Kid ancor più dei suoi lettori.
Arrivato al termine della visione stremato, Cannibal Kid ha confessato di aver organizzato quell’esperimento non perché credesse davvero di aver trovato finalmente un horror decente, ma solo perché voleva rimorchiare qualche sua affascinante lettrice. Impresa pure quella miseramente fallita. Dopo questa disfatta su tutta la linea, Cannibal Kid ha deciso di smetterla per sempre con i film horror e di aprire un nuovo blog. Un blog di cucina. Con quello sì che si cucca un casino!
(voto 4,5/10)

domenica 25 maggio 2014

THAT'S 70’S DAY: RITORNO AGLI ANNI SETTANTA CON BLOOD TIES




Blood Ties
(Francia, USA 2013)
Regia: Guillaume Canet
Sceneggiatura: Guillaume Canet, James Gray
Ispirato al film: Les liens du sang
A sua volta ispirato al romanzo: Deux freres, un flic, un truand di Bruno Papet e Michel Papet
Cast: Clive Owen, Billy Crudup, Marion Cotillard, Mila Kunis, Zoe Saldana, James Caan, Matthias Schoenaerts, Noah Emmerich, Lily Taylor, Griffin Dunne, Eve Hewson
Genere: 70s
Se ti piace guarda anche: American Hustle, The Paperboy, Romanzo criminale, Vallanzasca, Carlito’s Way

Blood Ties è il classico grande film mancato. Le premesse perché ne uscisse un capolavoro, un quasi capolavoro o comunque un cult c’erano tutte. Innanzitutto un cast internazionale fenomenale che va dall’inglese Clive Owen alla francese Marion Cotillard, dalla topa qui meno topa del solito ucraina Mila Kunis all’americano Billy Crudup, attore eternamente destinato a rimanere nel limbo degli almost famous come il titolo del suo film più famoso, più una serie di comprimari di prestigio, da James Caan a Lily Taylor, dall’attore rivelazione di Un sapore di ruggine e ossa, il belga Matthias Schoenaerts, al Noah Emmerich della serie The Americans, per arrivare a Zoe Saldana, una che qui dimostra di non essere nemmeno male a recitare, peccato che, dal terrificante Avatar al noiosissimo Out of the Furnace, non azzecchi un film manco per sbaglio.

"Devi smetterla di dire che sono almost famous!"
"Ah sì, scusa. Ormai dovrei dire che sei almost unknown."
In più, Blood Ties porta la firma di un promettente giovane regista francese come Guillaume Canet, il fortunato maritino della Marion Cotillard, qui su Pensieri Cannibali già parecchio apprezzato per i suoi precedenti Non dirlo a nessuno e Piccole bugie tra amici. Metteteci dentro inoltre una bella storiona criminale, degli intensi intrecci famigliari preannunciati fin dal titolo, un’ambientazione anni ’70 molto American Hustle e una colonna sonora notevole e avrete un grande film assicurato, giusto?
Peccato che non sempre le cose vadano come annunciato dalle premesse. Peccato, o meglio così, altrimenti il mondo sarebbe una gran noia. Prendete il Barcellona, per esempio. Quest’anno avrebbe dovuto vincere la Champions League a occhi chiusi, e invece è uscito ai quarti di finale. Allo stesso modo, questo Blood Ties avrebbe dovuto lanciare Guillaume Canet nell’Olimpo dei registi più ricercati di Hollywood, avrebbe dovuto rilanciare la carriera ormai appannata di Clive Owen e Billy Crudup, vincere festival cinematografici e Oscar e invece… invece questo film non se l’è filato nessuno, per ora in Italia non ha manco trovato una distribuzione e a livello qualitativo il risultato non è certo da Oscar. Perché? Difficile spiegare il perché. Come detto, c’erano ottime premesse e buonissime intenzioni, eppure il film non funziona.

"Ciao bella, quanto prendi?"
"Ma guarda che è Marion Cotillard che ha la parte della battona, mica io!"
Per capire cosa c’è che non va in questo Blood Ties, più di tante parole, basta vedere una scena. Clive Owen e Mila Kunis escono insieme, si piacciono e si baciano romanticamente sulle note della splendida “Crimson and Clover” di Tommy James and the Shondells. Vi immaginate una scena sexy e poetica, una sequenza cult di quelle che rimarranno impresse nella storia del cinema? Io sì, sinceramente me l’aspettavo, e invece tra i due attori non c’è la minima chimica e la scena appare del tutto anonima. Questo momento può valere come simbolo di tutto ciò che non va nel film. È tecnicamente ben girato, professionalmente ben interpretato, eppure neanche una singola scena può essere davvero considerata Grande Cinema.

Gli attori fanno il loro dovere da buoni professionisti, ma non riescono a brillare. Clive Owen ormai sembra la versione giusto un pochetto più espressiva di Nicolas Cage, e non è un gran complimento, mentre Billy Crudup dai tempi di Quasi famosi non riesce a lasciare il segno e ormai credo non lo farà mai più.
"Parlavate di me?"
Mila Kunis, con tutto il bene che le voglio, ed è parecchio, non è minimamente in parte, l’interpretazione di Matthias Schoenaerts non ha un gran sapore di ruggine e ossa, Marion Cotillard fa sempre la sua figura, ma il personaggio della prostituta di origini italiane che interpreta non riesce a ritagliarsi lo spazio che avrebbe meritato e la più convincente del cast pare allora Zoe Saldana. E questo non è bene.

La parte più carente è però la storia. Vista da lontano, sembra anch’essa di ottimo livello, con il suo incrocio di trame che combinano drammi personali con risvolti da thriller poliziesco. Da una parte abbiamo il poliziotto Billy Crudup, dall’altra sua fratello, un criminale appena uscito di prigione. Uno spunto che lascia pregustare un grande conflitto famigliare e che invece non esplode mai e presto affoga nella noia. Il problema del film sembra allora quest’ultimo. Ci si annoia perché la vicenda non cresce mai veramente. Dopo una (lunga) introduzione dei personaggi e delle loro storie, non si ha mai un cambio di passo. Nonostante una colonna sonora super retrò 70s di ottimo livello, Blood Ties non ha ritmo. Sono stato tutto il tempo a guardarlo in attesa che a un certo punto scattasse la scintilla, che succedesse qualcosa in grado di catturarmi, di farmi entrare dentro la pellicola, invece niente. Due ore e passa di attesa per niente.
Non ci si può nemmeno incazzare troppo, perché Blood Ties non si può definire un film brutto. È solo piatto, sa di già visto, anche se è il remake franco-americano di una pellicola francese di qualche anno fa che non ho visto. Soprattutto, c’è una cosa che non va: manca di passione. È una di quelle pellicola che vanno avanti in maniera impeccabile, senza però riuscire a travolgerti. Blood Ties è il classico grande film mancato.
(voto 5,5/10)



Questo post partecipa al That's 70’s Day organizzato dal solito gruppo di blogger cinematografici di cui faccio parte. Una giornata dedicata a film recenti ambientati però negli scintillanti anni ’70.
Qui di seguito trovate l'elenco di tutti i blog che oggi si sono dati al revival.


Cinquecentofilminsieme
Cooking Movies

domenica 30 marzo 2014

LOVELACE, LA PROFONDA STORIA DI GOLA PROFONDA




Lovelace
(USA 2013)
Regia: Rob Epstein, Jeffrey Friedman
Sceneggiatura: Andy Bellin
Cast: Amanda Seyfried, Peter Sarsgaard, Juno Temple, Robert Patrick, Sharon Stone, Adam Brody, Chris Noth, Bobby Cannavale, Hank Azaria, Chloë Sevigny, Debi Mazar, Wes Bentley, Eric Roberts, James Franco
Genere: soft-porno
Se ti piace guarda anche: Boogie Nights, Dietro i candelabri

Hanno fatto un film su Linda Marchiano.
Chiiiiiiii?
Codesto nome non vi dice nulla? Riproviamo con quello di battesimo: Linda Susan Boreman.
Ancora niente?
E va bene, diciamolo in un altro modo: hanno fatto un film su Linda Lovelace.


A questo punto, ai più esperti di cinema porno tra voi, ovvero il 90% dei lettori cannibali, saranno scattate le antenne, e pure qualcos’altro. Linda Lovelace è stata infatti la prima vera pornostar dell’industria delle pellicole per adulti. Questo per una sua grande abilità.
La recitatione?
No, l’arte nel fare i pompini, esibita generosamente, mooolto generosamente in Gola profonda, un pornazzo che nel 1972 si è trasformato in un vero e proprio fenomeno della pop culture e ha sdoganato il genere a luci rosse presso un pubblico vasto e anche intellettualoide. Ovvio, non è che le famiglie si siano messe a portare i bambini a vederlo al posto dei film Disney, però ha fatto registrare incassi paurosi, mai realizzati prima e credo nemmeno dopo da un porno. Il merito di tanto clamore stava in una cura quasi autoriale nella realizzazione da parte del regista e sceneggiatore (ebbene sì, il film aveva una sceneggiatura di 42 pagine!) Gerard Damiano, così come in una buona dose di ironia presente e poi soprattutto in lei, Linda Lovelace, lei e la sua bocca. Gola profonda è stato un cult movie che ha sdoganato i film erotici e pure l’arte del pompino presso il pubblico di massa, o quasi, talmente entrato nell’immaginario collettivo dell’epoca da essere persino usato come alias dall’informatore segreto dello scandalo Watergate.

Lovelace il film racconta di come una ragazza timorata di Dio, una brava ragazza con dei genitori vecchio stampo e solidi valori sulle spalle, sia diventata un fenomeno del porno. Racconta della lavorazione della tanto discussa, famosa e famigerata pellicola Gola profonda, con tanto di protagonista maschile interpretato da Adam “Seth Cohen di The O.C.” Brody. O almeno nella prima parte racconta questo, risultando un Boogie Nights meno d’autore, d’altra parte tali Robert Epstein e Jeffrey Friedman in 2 non fanno 1 Paul Thomas Anderson, ma comunque è una piacevole ricostruzione del mondo del porno degli Anni Settanta.

"Sono la bomba sexy di Basic Instinct, non si vede?"
Nella seconda parte il film prende invece tutta un’altra piega. Si trasforma nel dramma di Linda Lovelace, fanciulla sfruttata dal sistema pornografico e che vedrà a mala pena $1000 dei $600 milioni che il suo film di maggior successo frutterà nel mondo. Soprattutto, ci mostra una fanciulla sfruttata dal marito, interpretato da un perfido Peter Sarsgaard, a mio parere uno degli attori più in forma del moemnto, si veda anche la sua recente partecipazione all’ultima stagione di The Killing, ma purtroppo troppo sottovalutato. È lui il più convincente del cast, che vede anche il prezzemolino James Franco nei panni di Hugh Hefner di Playboy, una sempre spumeggiante Juno Temple e una Sharon Stone irriconoscibile, lontana anni luce dai tempi sexy di Basic Instinct e che qui ha la ben poco hot parte della madre della protagonista.


"Giro 50 film all'anno, volevate me ne perdessi uno sul mondo del porno?"

E la protagonista?
Mi sono sempre chiesto se Amanda Seyfried mi piacesse o meno. In Mean Girls era spassosissima, in Jennifer’s Body veniva offuscata alla grande da Megan Fox, in filmetti come Dear John e Letters to Juliet mi era sembrata parecchio insipida, in Les Misérables è una lagna come del resto tutta la pellicola, mentre in cose non eccezionali come Cappucetto rosso sangue, Gone e In Time non mi era dispiaciuta. Questo film però ha risolto il dubbio: Amanda Seyfried non mi piace. Nonostante abbia il ruolo di una pornostar, nonostante si intravedano le sue tettazze che non sono niente male, mi ha fatto meno sesso di quanto immaginassi e la sua performance anche a livello recitativo mi ha convinto ben poco.

"Mi stai sempre addosso, mi succhi via la vita.
E io che pensavo fossi brava a succhiare solo qualcos'altro..."
Il problema del film comunque non è la Seyfried che, sebbene meno Sexyfried del previsto, bene o male se la cava ancora. Il problema è lo svaccare della pellicola nella seconda parte, nel suo trasformarsi in un melodrammone in cui alla povera Linda Lovelace ne capitano di tutti i colori, manco fossimo dentro un film di Lars von Trier. A differenza delle pellicole del bastardissimo Von Trier, qui però le sue sofferenze ci vengono inflitte in maniera ruffiana, per impietosire lo spettatore, e ne emerge anche un discorso moraleggiante e accusatore nei confronti della pornografia. La denuncia nei confronti di un ambiente maschilista è del tutto giusta e condivisibile fin che si vuole, ma il modo in cui viene messa in scena non convince molto. Un peccato, perché l’inizio del film intriga con le sue atmosfere 70s e invece nel finale si sprofonda nel biopic televisivo. Televisivo? Magari, visto che il recente film tv Dietro i candelabri – Behind the Candelabra della HBO è parecchio più avvincente e riesce a evitare le trappole del facile pietismo in cui cade questo film per il cinema.

Attenti allora a come vi approcciate a questo Lovelace. Se vi aspettate un film su:
- Porno, yeah!
- Trombate, doppio yeah!!
- Pompini, triplo yeah!!!
Sarete soddisfatti solo in piccola parte. Uno pensa a una roba come Gola profonda e si immagina il sesso e il divertimento, quando dietro alla sua realizzazione e alla sua protagonista in realtà c’è tutta un’altra storia. Lovelace è un biopicone drammone non malvagio, solo deprimente come pochi altri film visti di recente. Ebbene sì. Lovelace è un film sul mondo del porno, ma lo fa ammosciare.
(voto 6-/10)

domenica 26 gennaio 2014

SANTO DEL GIORNO… PARDON, FILM DEL GIORNO: AIN’T THEM BODIES SAINTS




Ain’t Them Bodies Saints
(USA 2013)
Regia: David Lowery
Sceneggiatura: David Lowery
Cast: Rooney Mara, Casey Affleck, Ben Foster, Keith Carradine, Jacklynn Smith, Kennadie Smith, Nate Parker, Rami Malek, Charles Baker
Genere: country 70s
Se ti piace guarda anche: La rabbia giovane, I giorni del cielo, Shotgun Stories, Un gelido inverno, Re della terra selvaggia

Ormai è sempre più difficile scoprire delle nuove chicche, delle novità di cui nessuno tra i sempre più preparatissimi colleghi blogger abbia già parlato. Magari questo Ain’t Them Bodies Saints è stato segnalato in lungo e in largo ovunque, ma nel caso io non c’ho fatto caso e in ogni caso credo sia comunque un film di cui si è parlato pochino. Perché?
Forse perché Ain’t Them Bodies Saints non è uno di quei film che fanno notizia. Non è glamour, non è cool, non è ruffiano, eppure è un’altra cosa: è una bella visione. Non un capolavoro, non un film fondamentale, niente di rivoluzionario, semmai una pellicola il cui potenziale non è stato sfruttato in pieno dall’acerbo regista David Lowery. Eppure è una bella visione. Sa come pizzicare nella maniera giusta le corde dell’anima (non escludo che quest’ultima frase potrebbe essere contenuta anche in un qualche romanzo di Moccia).

Ain’t Them Bodies Saints è un film delicato, gentile, non urlato. Riporta alla mente…
Terrence Malick.
Cosa sarebbe il cinema di oggi, soprattutto il cinema indie americano ma non solo, senza Terrence Malick?
Una merda, ecco cosa sarebbe.
Questo Ain’t Them Bodies Saints va in particolare a ripercorrere i sentieri selvaggi de La rabbia giovane, l’esordio di Malick. La vicenda è ambientata negli anni ’70. Degli anni ’70 anche in questo caso non “urlati”. Non sono dei 70s scintillanti come quelli di American Hustle. Non c’è in colonna sonora qualche pezzone di David Bowie o dei Sex Pistols o di Blondie o dei Bee Gees o di musica Disco che ci scaraventa subito boom in quel decennio. Non ci sono i pantaloni a zampa di elefante, i freakkettoni, o i discorsi sul Vietnam o i capelli impomatati alla John Travolta. Sono degli anni ’70 ricostruiti in maniera più sottile, meno appariscente. I richiami sono più che altro al cinema di quel decennio e soprattutto a lui, a Terrence Malick e al suo Texas.

Ain’t Them Bodies Saints è una storia d’amore, fondamentalmente. Una storia d’amore tra due criminali, ma non è una roba alla Bonnie e Clyde o alla Natural Born Killers. Subito a inizio film, i due vengono arrestati. Lui finisce in galera, lei, incinta, la mandano fuori per occuparsi della figlioletta, ma lui da dietro le sbarre non smetterà di pensare a lei, pensare a lei e alla figlia che non ha mai visto, e le manderà delle lettere piene di poesia. Il loro rapporto si limiterà a questo, fino a che…
Fino a che non ve lo dico. Non fate i pigri e scopritelo da soli, concedendo a questo film una visione, che se le merita.

"Bella questa lettera arrivata dal futuro da un certo Joaquin Phoenix del film Her."
Un motivo in più per cercarlo?
Oltre alla presenza dell'ottimo Ben Foster, le due splendide interpretazioni dei protagonisti: Casey Affleck, il fratello più bravo a recitare dell’Affleck più bravo a dirigere, Ben, e soprattutto Rooney Mara, la sorella più brava a recitare della Mara più porcellina, Kate.
Rooney Mara che brava è?
Bella anche, ma soprattutto brava. E sì che è bella forte, però la sua bravura forse è persino superiore. Tra l’altro qui ci regala un’ottima parlata del Sud, cosa non semplice per una come lei cresciuta negli ambienti hipster fighetti di NYC. La sua recitazione appare del tutto naturale, senza forzature, senza eccessi, senza scene madri da Oscar. Rooney Mara è un tutt’uno col personaggio, fine. Un’interpretazione splendida ma troppo poco sopra le righe, così come l’intero film. Non un film che sbarlicca le chiappe ai membri dell'Academy, quanto piuttosto un film da Sundance, dove infatti ha ricevuto un paio di premi lo scorso anno, o da Gotham Awards, i premi al cinema indipendente americano, dove infatti ha ricevuto la nomination come miglior film dell’anno insieme a 12 anni schiavo, Before Midnight, A proposito di Davis e Upstream Color.
Ain’t Them Bodies Saints è un piccolo gioiellino, una di quelle pellicole dal ritmo lento, che puzzano di country, di America de ‘na vorta, di cinema de ‘na vorta rivisitato con moderna sensibilità indie. Non sarà il nuovo Un gelido inverno (Winter’s Bone) o il nuovo Re della terra selvaggia (Beasts of the Southern Wild), film di cui in qualche modo è parente, però una visione vi ho convinto a concedergliela sì o no?
(voto 7/10)



lunedì 20 gennaio 2014

SI RITORNA A LEZIONE DI CINEMA


"Ci facciamo un latte + e poi corriamo a lezione."

Si ritorna sui banchi di scuola! Prima di sbuffare, preciso che le lezioni in questione hanno come tematica il cinema, mica l’algebra o la chimica. Roba bella quindi.
Dopo la fortunata edizione del 2013 dedicata ai film degli 80s, quest’anno i Corsi Corsari hanno deciso di viaggiare ancora più indietro nel tempo, ripescando gli anni ’70, tornati in gran voga negli ultimi tempi anche grazie al revival di American Hustle.

Tra i temi trattati ci sarà spazio per i capolavori della New Hollywood (Nashville di Altman, Piccolo grande uomo di Penn, Duel di Spielberg, Apocalipse Now di Coppola, Il cacciatore di Cimino, Taxi Driver di Scorsese, Quel pomeriggio di un giorno da cani di Lumet), i film più scioccanti e controversi (Arancia meccanica di Kubrick, Cane di paglia di Peckinpah, I diavoli di Russell, Ultimo tango a Parigi di Bertolucci, La grande abbuffata di Ferreri), le opere più sperimentali (Il fantasma della libertà di Buñuel, Lancillotto e Ginevra di Bresson, Stalker di Tarkovskij, Picnic ad Hanging Rock di Weir), i grandi autori del cinema italiano (Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Petri, Novecento di Bertolucci, Decameron di Pasolini, Professione: reporter di Antonioni) e la rinascita di quello tedesco (Aguirre furore di Dio di Herzog, Roulette cinese di Fassbinder, Falso movimento di Wenders), in un’antologia avvincente di momenti emozionanti e sequenze memorabili, lungo un percorso trasversale di generi, stili e autori.

A tenere le lezioni, accompagnate da una ricca antologia filmica, ci sarà sempre Massimo Zanichelli. Il corso si svolgerà presso la Feltrinelli in Piazza Piemonte a Milano (Metro M1 Wagner / Tram N 16).
Ecco le date: martedì 4, 11, 18, 25 febbraio / 4 marzo, dalle 18.40 alle 20.40, per un totale di 10 ore.
Costo totale: 95,00 € (IVA inclusa), con sconto del 10% per i possessori di CartaPiù e anche per i lettori di Pensieri Cannibali!


Per info e prenotazioni vi lascio i contatti:
Tel. 02 70108702 o 329 9581101 / Mail: info@corsicorsari.it

venerdì 29 novembre 2013

JENNIFER LAWRENCE IS IN DA HOUSE, THE POKER HOUSE




The Poker House
(USA 2008)
Regia: Lori Petty
Sceneggiatura: David Alan Grier, Lori Petty
Cast: Jennifer Lawrence, Selma Blair, Chloe Grace Moretz, Sophi Bairley, Bokeem Woodbine, Danielle Campbell
Genere: 70s
Se ti piace guarda anche: Un gelido inverno - Winter’s Bone, Fish Tank

The Poker House è un film tratto da una storia vera.
The Poker House è ambientato negli anni ’70.
The Poker House, nonostante il titolo, non è che parli poi molto di poker. Quasi per nulla.

Tutte queste informazioni non sono importanti. Intendo, in circostanze normali lo sarebbero. Questa però non è una circostanza normale. L’unica informazione davvero rilevante in questa occasione è un’altra.
The Poker House ha per protagonista Jennifer Lawrence, oggi come oggi forse l’attrice più acclamata del mondo, fresca di Oscar e nelle sale mondiali con il mega blockbuster Hunger Games – La ragazza di fuoco. Una giovane già stupenda e già bravissima Jennifer Lawrence in un ruolo non troppo distante da quello che aveva in Un gelido inverno – Winter’s Bone. Questo è tutto ciò che dovete sapere su questo film.

"Fammi vedere per chi sono i cuoricini, su quel tuo diario. Per Gale o Peeta?"
Volete sapere altro?
Volete davvero saperlo?
Non ci credo, ma vabbè. Allora vi dico che oltre a una strepitosa Jennifer Lawrence, in grado di tenere in piedi da sola un film non brutto, ma nemmeno particolarmente incisivo o in alcun modo memorabile, c’è pure un altro gruppetto di interpreti femminili pazzesche. Jennifer Lawrence è una ragazzina che vive insieme alla madre, una tossica alcolizzata prostituta che gestisce una poker house, una casa in cui passano spesso varie persone per bere, drogarsi, fare sesso e poi se avanza del tempo magari anche giocare a poker. La madre della Santa Jennifer non è la Madonna, ma è una prostituta tossica interpretata da una (s)fattissima Selma Blair, che sembra un incrocio tra Asia Argento e Courtney Love dei tempi peggiori, cioè dei tempi migliori.
Come potete immaginare, una madre degenere del genere non è che tiri avanti molto la famiglia e allora più che altro ci pensa la Jenniferona nostra. Le sue due sorelline poi, nonostante la giovanissima età, sono molto indipendenti e badano a loro stesse da sole. Una delle due è Chloe Grace Moretz, la Hit-Girl, la bambina fenomeno del cinema americano che qui tira fuori tutto il suo repertorio di faccine assurde. La seconda delle due è Sophi Bairley, che uno dice “E chi ca**o è?”. E io che ca**o ne so, però è una in grado di reggere i livelli della Lawrence e della Moretz e della Blair, o quasi, quindi tanto di cappello pure a lei.

Al di là di queste 4 performance attoriali degne di nota, il film non ha poi molto altro da offrire. Ci racconta la vita di questa famiglia sui generis e… basta. Non è una di quelle pellicole con una trama particolarmente elaborata. Diciamo che non è una di quelle pellicole con una trama. È più un raccontare la vita di tutti i giorni nel suo svolgersi, senza grandi eventi o accadimenti così degni di nota. Un rivivere la propria problematica adolescenza in maniera molto autobiografica e personale da parte dell’attrice Lori Petty, qui in veste di regista e sceneggiatrice, che i più ricorderanno come protagonista femminile di Point Break.
Questa qui.


"Sono un fenomeno con l'arco, ma come diavolo si usa questa?"
Oltre a questa trama/non-trama non molto stimolante, se non per chi vuole conoscere com’è cresciuta Lori Petty, il problemuccio è che nel film sono inserite persino troppe cose, troppe tematiche e troppi personaggini appena abbozzati. Ci sono gli anni Settanta, la musica degli anni Settanta, la musica black, la cultura black, tutto però viene accennato senza andare granché in profondità. Fino alla svolta drammatica della parte finale, che non vi svelo ma che riesce a svegliare un pochino una pellicola per il resto non dico noiosa, perché comunque la visione di Jennifer Lawrence non è mai noiosa, però a tratti carente di altri enormi motivi di interesse.
The Poker House è così, un piccolo film recitato alla grande. E, soprattutto, è l’occasione per recuperare l’esordio da protagonista sul grande schermo di Jennifer Lawrence. Vi sembra poco?
(voto 6/10)



mercoledì 6 novembre 2013

LADY DIANE


Diane Birch “Speak a Little Louder”
Che splendore, il nuovo disco di Diane Birch.
Suona un po’ Fleetwood Mac e un po’ Kate Bush e un po’ Fiona Apple e un po’ Siouxsie solo meno new-wave e più old-wave e suona piuttosto diversa dalla Diane Birch del primo album, "Bible Belt", che era pure quello un Signor Disco, solo che a questo giro è diventata un po’ meno Carole King.
Ed è bello notare come questa volta Lady Diane abbia tentato qualcosa non di rivoluzionario, si rimane pur sempre in un contesto mooolto 70s, eppure differente dal precedente lavoro. Una manciata di pezzi come la title-track “Speak a Little Louder” e le ballate da brividi “Superstars” e “It Plays On” riescono poi ad essere superiori a gran parte della musica di quel decennio, e già che ci sono pure di questo.
Non so perché, ma mi sento un po’ una signora di mezza età ad ascoltare e ad apprezzare questo album, però mi piace.
Mi piace il disco, intendo, non sentirmi come una signora di mezza età.
(voto 8/10)





domenica 6 ottobre 2013

LA VITA E’ UN SOGNO O I SOGNI AIUTANO A VIVERE MEGLIO?




"L'autoscatto lo facevamo anche nei 70s prima dei social network, bitches!"
La vita è un sogno
(USA 1993)
Titolo originale: Dazed and Confused
Regia: Richard Linklater
Sceneggiatura: Richard Linklater
Cast: Jason London, Adam Goldberg, Marissa Ribisi, Anthony Rapp, Shawn Andrews, Milla Jovovich, Ben Affleck, Matthew McConaughey, Rory Cochrane, Wiley Wiggins, Cole Hauser, Christine Harnos, Jeremy Fox, Esteban Powell, Parker Posey, Nicky Katt
Genere: generazionale
Se ti piace guarda anche: That ‘70s Show, SubUrbia, Breakfast Club

La teoria dei decenni
Anni ’50: la noia
Anni ’60: il rock
e Anni ’70, Dio mio, direi proprio che hanno rotto le palle.
E forse gli Anni ’80 saranno una ficata, chi lo sa?
Pensateci, noi avremo 20 anni e non potrà andare peggio.
Cynthia Dunn (Marissa Ribisi), La vita è un sogno

La vita è un sogno è un film generazionale. Un film epocale. Non nel senso che sia poi così memorabile, ma nel senso che è il ritratto di una precisa epoca. È un film del 1993 ambientato nel 1976 che fotografa degli anni ’70 ancora molto freakettoni, appena prima della rivoluzione punk e dell'avvento della Disco. Non c’è però più traccia dei fantasmi del Vietnam o dei movimenti civili e sociali degli anni ’60. La vita è un sogno è puro divertimento e leggerezza. Qui sta il bello del film, così come sta anche il suo limite. È come un American Graffiti della generazione successiva, gli manca solo lo stesso spessore, lo stesso sguardo malinconico.

La vita è un sogno è un film cazzone. Non è che sia proprio una commedia goliardica come Animal House, Porky’s o American Pie, ma poco ci manca, più che altro perché rispetto a questi è meno, molto meno esplicito da un punto di vista sessuale.
La vita è un sogno è la cronaca dell’ultimo giorno di scuola dell’estate 1976 in un liceo americano. L’ultimo giorno e la relativa lunga nottata, che procede fino all’alba. E cosa succede? Soprattutto scherzi e ripicche tra senior e matricole, qualche amorucolo che spunta qua e là, ma niente di troppo travolgente, qualche nuova amicizia e tanto, tanto cazzeggio. Più tante canne. La vita è un sogno potremmo vederlo come il capostipite dei film “fumati” che tanto vanno per la maggiore in questi anni. La Maria è diventata una delle protagoniste principali nelle comedy di ultima generazione, in particolare quelle prodotte da Judd Apatow. Strafumati può bastarvi, come esempio?
A parte questo, non succede davvero niente di che. Ed è anche qui che sta il fascino misterioso della pellicola, diventata negli anni un autentico cult, soprattutto negli Stati Uniti, e che però a me ha deluso un pochino. Speravo diventasse anche un mio nuovo cult personale, come altri film ambientati nei favolosi 70s da Il giardino delle vergini suicide ad Amabili resti, e invece niente. È una pellicola che riesce a trascinare nella notte di questo gruppo di ragazzetti, eppure non riesce a lasciare una traccia indelebile nel cuore e negli occhi. Almeno, non nei miei.

A dirigere questa notte dopo gli esami c’è Richard Linklater, autore di quell’altro super cult di Prima dell’alba, un film che ha generato ben due sequel (Prima del tramonto e l’imminente Before Midnight), cosa che, insomma, per una pellicola romantica indie non è che si veda molto spesso, e poi ha girato anche il divertente School of Rock, che sembrava dover lanciare Jack Black come nuovo King of comedy e invece niente, più due originali pellicole animate come Waking Life e A Scanner Darkly.
Un Richard Linklater qui ancora pareccho acerbo alle prese con un ritratto generazionale, esperimento che ripeterà con risultati analoghi in SubUrbia, pellicola questa volta incentrata sulla generazione degli anni ’90, anche questa abbastanza riuscita ma non del tutto e quindi non ho ancora capito quanto mi piaccia come regista questo discontinuo e mutante Linklater.

Se ve lo stavate domandando, La vita è un sogno ha una colonna sonora super 70s, naturalmente. C’è molto rock e hard-rock tra Aerosmith, Kiss, Black Sabbath, ZZ Top, Sweet, Runaways, etc., e qualche scelta appare un pochino scontata: ad esempio “School’s Out” di Alice Cooper che parte quando suona l’ultima campanella dell’anno? Andiamo, così è troppo facile!
Il pezzo che invece rimane incollato in testa al termine della visione è “Slow Ride” dei Foghat. A mancare è però quella canzone da brividi con cui identificare l’intera pellicola. Un difetto mica da poco per un presunto cult generazionale, echeccacchio.

Il futuro pezzo grosso di Hollywood Ben Affleck
Convincente solo a tratti pure il cast. I protagonisti principali di questo quadro corale non sono un granché: il quarterback Jason London è davvero poca roba e infatti la sua carriera è finita peggio di quella del fratello gemello Jeremy London, uno che in curriculum vanta al massimo Settimo Cielo, cristo Santo. Pure altri attori del cast che nei primi 90s sembravano dover spaccare il mondo, poi chi l’ha mai più visti? Il qui esordiente Wiley Wiggins è sparito nel nulla, così come la bionda Joey Lauren Adams, il nerd Anthony Rapp (comparso giusto in Road Trip) o Marissa Ribisi, nota per essere la sorella gemella (pure lei?) del più noto ma non poi così noto Giovanni Ribisi. Quanto a Milla Jovovich, è stata ed è tutt'ora sempre meglio come modella che come attrice…
I migliori del cast sono invece rilegati in un angolino: c’è un Ben Affleck in versione pezzo di merda che va a caccia di matricole, una strepitosa Parker Posey in versione cheerleader e soprattutto lui, il futuro divo delle romcom e anche futuro Killer Joe, al secolo Matthew McConaughey (spero di averlo scritto giusto che il suo cognome non lo azzecco mai), al suo primo piccolo ma idolesco ruolo cinematografico di un certo rilievo. È lui il personaggio top di un film che per poter essere un cult, un cult vero, è un po’ lacunoso dal punto di vista di personaggi davvero fenomenali, così come anche di battute realmente memorabili, di quelle da appuntarsi sulla Smemo, a parte la frase con cui ho aperto il post.

A ciò aggiungiamo un’altra cosa. Un difetto presente unicamente nella versione italiana. La vita è un sogno da noi è uscito con un titolo che non si può proprio vedere. L’originale è Dazed and Confused, titolo di una canzone di Jake Holmes resa nota dai Led Zeppelin, mentre La vita è un sogno non ha davvero senso alcuno. A meno che non gliel’abbia dato Gigi Marzullo.
(voto 6,5/10)

Post pubblicato anche su L'OraBlù, accompagnato da questo nuovo superfatto minimal poster.


mercoledì 15 maggio 2013

FILMETTO DEL PRIMO MAGGIO


Qualcosa nell’aria
(Francia 2012)
Titolo originale: Après Mai
Regia: Olivier Assayas
Sceneggiatura: Olivier Assayas
Cast: Clément Métayer, Lola Créton, Felix Armand, India Menuez, Carole Combes, Hugo Conzelmann, Dolores Chaplin
Genere: freakkettone
Se ti piace guarda anche: The Dreamers, Come te nessuno mai

E questa è la pellicola del regista del Primo Maggio
che in genere si esibisce a tutti i Festival che a proiettarlo han coraggio
e questo Qualcosa nell’aria era in Concorso al Festival di Venezia
gli han dato pure il premio per la miglior sceneggiatura ed è una vera erezia
questo è lu film buono giusto per il centro sociale
manco gli hanno dato un passaggio al multisala di Casale
Lu regista del Primo Maggio
ti va riconosciuta una certa dose di coraggio
filmetto del Primo Maggio
lu filmetto del Primo Maggio
che quando ti vedo, vedo che mi sento a disaggio
E all’improvviso parte una scena con dei freakkettoni che cantano e suonano
Freakkettoni!


Il cinema finto impegnato politicamente ci ha rotto i coglioni
è bello e tutto quanto ma alla lunga rompe i coglioni
Certo ne avrei senz’altro tutta un’altra opinione,
se fossi un francese e se fossi un capellone cresciuto negli anni ’70,
ma siccome non sono francese né un capellone cresciuto negli anni ‘70
io non capisco perché tutti quanti continuano insistentemente a guardare questi film di merda
ma comunque… prima di girare un'altra scena pseudo politicosa
ricordati di fare una cosa:
lanciare un’invettiva ai danni del capitalismo:
“Allora, noi vogliamo dedicare questo film contro il capitalismo, è ora di dire basta al cinema ammericano!”

Filmetto del Primo Maggio,
lu filmetto del Primo Maggio
che vi stanno i personaggioni
e vorrebbero essere i protagonistoni
ma sono tutti talmente stereotipati
che gli attori che li interpretano sembrano degli imbranati
tutti tranne la promettente Lola Créton
che l’è brava e l’è anche ‘n bel mignoton
e poi c’è pure il pittore barra artista
vuoi che manchi il rivoluzionario barra terrorista?
E all’improvviso parte una scena di rivolta sociale


Filmetto del Primo Maggio,
lu filmetto del Primo Maggio
per fare i fighi ci mettiamo dentro anche del sesso libertino
e non ci vergogniamo e mostriamo pure un tizio con il cazzettino
E all’improvviso parte una scena di nudo


Prima di guardare un altro film pseudo politicoso
ricordati di dire una cosa:
“Il Primo Maggio è fatto di gioia ma anche di noia”
proprio come Qualcosa nell’aria.
(voto 5,5/10)



sabato 11 maggio 2013

QUINTO POTERE DI GRAYSKULL


"Su Pensieri Cannibali si parla finalmente di un film storico? Miracolo!"
Quinto potere
(USA 1976)
Titolo originale: Network
Regia: Sidney Lumet
Sceneggiatura: Paddy Chayefsky
Cast: Peter Finch, William Holden, Faye Dunaway, Robert Duvall, Ned Beatty
Genere: televisivo
Se ti piace guarda anche: The Newsroom, The Truman Show, Good Night, and Good Luck.

La tv è spettacolo. E anche le notizie devono avere un che di spettacolo.
Diana Christensen (Faye Dunaway), Quinto Potere

Immaginate Enrico Mentana che annuncia il suo suicidio in diretta.
Io una cosa del genere me la sono immaginata veramente. Ci sono volte in cui conduce della maratone televisive che durano giornate intere, dedicate spesso a eventi futili come l’elezione del Presidente della Repubblica che tanto non cambiano un bel nulla, e non so come faccia a essere sempre così preparato e professionale, il tutto in diretta, con a malapena qualche pausa per i bisogni corporali.
“Enrico, 60 secondi per fare la pipì e poi sei in onda, che tu abbia finito di farla o meno.”
Certe volte allora ho immaginato che all’improvviso sclerasse e facesse qualcosa di del tutto inaspettato. Al momento, si è limitato a cancellarsi da Twitter, mentre qualcosa di più estremo capita all’inizio di Quinto potere.



"Ecco cosa succede ad attaccare
Pensieri Cannibali..."
Lo dico subito a scanso di equivoci: Quinto potere non è l’atteso sequel di Quarto potere di Orson Welles.
Quei soliti burloni di titolisti italiani vorrebbero farcelo credere e invece no. Anche perché il titolo originale di Quarto potere era Citizen Kane, quello originale di questo è Network. Andando a vedere a livello massmediologico possiamo anche vedere delle connessioni notevoli tra le due pellicole, sebbene l’esordio di Welles fosse qualcosa di più di una riflessione sul mondo dell’editoria e si concentrasse soprattutto sulla figura del cittadino Kane.
In Quinto Potere ci sono dei personaggi molto interessanti, l’attenzione principale, i riflettori della pellicola sono però puntati principalmente sulla televisione. Sul potere della televisione, così come ci si concentra anche in una riflessione sul giornalismo e sull’industria dell’informazione.
Volendo, con The Social Network si passerà al sesto potere, ma direi di lasciare per il momento perdere internet e Facebook e tornare a occuparci di tv.

Cosa conta davvero per un network televisivo?
Garantire prodotti di qualità, offrire una completa informazione giornalistica?
No. Quello che conta sono gli ascolti, dati dal rating negli USA e dall’auditel da noi. Due meccanismi astrusi e complessi il cui reale funzionamento è sconosciuto persino ai loro ideatori. Fatto sta che i dati che escono da questi meccanismi di misurazione sono fondamentali per far andare avanti la vostra serie o il vostro programma tv preferito. Vox populi. Normale che sia così. Per quanto riguarda i telegiornali, la funzione sociale e informativa dovrebbe invece prevalere. Non è così. Non è così già da parecchio tempo e negli USA ciò avveniva ancor prima che nascesse la tv commerciale in Italia.
Tv commerciale in Italia? Diciamo Mediaset e basta, visto che è stata a lungo l’unico competitor della Rai e per i grandi ascolti lo è ancora, con La7, Mtv, Deejay Television, reti satellitari e digitali varie che si contendono giusto le briciole. Negli USA la concorrenza è maggiore, ci sono i network nazionali (ABC, NBC, CBS, Fox e di recente si è aggiunta la rete ggiovane The CW) e poi i vari canali via cavo (HBO, AMC, Showtime, FX, CNN, History Channel, etc.).

Il film Quinto potere ci mostra come già negli anni Settanta la guerra per gli ascolti fosse spietata negli Spietati Uniti attraverso la storia fittizia, ma non così irrealistica, di un anchorman televisivo ormai sul viale del tramonto. Quando gli annunciano che verrà licenziato, lui in diretta televisiva annuncia a sua volta il suo suicidio in programma per la settimana successiva, durante la sua ultima conduzione di un telegiornale. Il fatto ovviamente crea scalpore e riporta il vecchio giornalista sulla cresta dell’onda.
Il medium diventa il messaggio, come Marshall McLuhan insegnava, il giornalista diventa la notizia, così come capitato di recente alla tizia cinese che durante il suo stesso matrimonio ha interrotto la cerimonia per documentare il terremoto.



Cosa succede, poi?
Succede che ve lo scoprite da soli, perché la sceneggiatura di questo film è davvero fenomenale e imprevedibile, nonché di notevolissima attualità anche a più di 30 anni di distanza, e anche a chilometri di distanza, considerando come sia una riflessione perfetta pure sul nostro sistema televisivo. Un sistema, preso genialmente per i fondelli nella serie di Maccio Capatonda Mario, dominato da un’informazione che si è sempre più trasformata in infotainment e in cui l’ultimo baluardo del giornalismo vero e proprio rimastoci sembra essere quell’Enrico Mentana di cui si diceva in apertura.

"Cannibal ha apprezzato la mia interpretazione neanche fossi
una delle giovani sgallettate che tanto gli piacciono? Siamo sicuri?"
Se a ciò aggiungiamo la regia precisa di Sidney Lumet e delle interpretazioni grandissime, dal protagonista via via sempre più folle Peter Finch a Robert Duvall, fino a un’enorme Faye Dunaway nei panni della direttrice dei programmi senza scrupoli, ci ritroviamo di fronte a una di quelle pellicole che andrebbero proiettate nelle scuole. Di quelle che andrebbero trasmesse una volta all’anno a rete unificate su tutti i canali. Perché che sia il 1976 o il 2013, il potere più grande resta sempre quello. Il quinto potere. La televisione. E per poterlo fermare l’unico modo è quello di vederlo in… televisione.

Ommioddio, non riusciremo mai a fermarla.
NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOooooooooooooooooooooooo
(voto 8,5/10)

Post pubblicato anche sul sito L'OraBlù, sponsorizzato dal nuovo Minimal Poster creato da C(h)erotto.




"Il post è finito, andate in pace."
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