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martedì 5 marzo 2019

Mamma, voglio diventare un firestarter e un bello e dannato di Beverly Hills






Ci sono persone che di persona non conosci nemmeno, e mai conoscerai, che però lasciano un segno nel tuo immaginario e nella tua vita. Ci sono momenti che in qualche modo la cambiano. Uno di questi per me è stata la prima volta che ho visto il video di Firestarter dei Prodigy.

mercoledì 12 settembre 2018

Empire Records: il film più anni '90 degli anni '90, e forse di sempre





Empire Records
Regia: Allan Moyle
Cast: Anthony LaPaglia, Liv Tyler, Renée Zellweger, Rory Cochrane, Johnny Whitworth, Ethan Embry, Robin Tunney, Brendan Sexton III, Maxwell Caulfield, Coyote Shivers, James 'Kimo' Wills, Debi Mazar, Gwar


Non avevo mai visto Empire Records. Perché?
Non so perché. Davvero non lo so. Strano, perché aveva tutte le carte in regola per piacermi. È un film del 1995 ed è proprio in quel periodo che la mia passione sia per il cinema che per la musica stava crescendo e sviluppandosi. Per di più è un film ambientato in un negozio di dischi e il mio lavoro da sogno da ragazzino indovinate qual era? Non diventare un attore, un regista o una rockstar, né tantomeno un astronauta o un pilota di formula 1. Mi accontentavo di lavorare in un negozio di dischi. Magari un giorno persino di possederne uno. Quel sogno non si è mai realizzato, naturalmente. Come sapete i negozi di dischi ormai sono una rarità, anche se nella mia cittadina non si sa bene come ce n'è ancora uno che sopravvive. Più vendendo i biglietti dei concerti a chi non è in grado di comprarseli su Internet che non i dischi, ma sopravvive. Quando, dopo aver frequentato qualunque università specialistica e master possibile pur di rimandare l'inevitabile, ho cominciato a lavorare, quello dei dischi era ormai un business defunto. Colpa del web.


Il mio sogno comunque, più che quello di lavorare in un negozio di dischi, era poter ascoltare tutti i dischi che volevo. Da ragazzino con la mia paghetta potevo comprarmi tipo 2 o 3 CD al mese, quando andava bene, e dovevo scegliere con grande attenzione su quali gruppi puntare. Il mio sogno di avere qualsiasi tipo di musica a disposizione si è poi realizzato. Grazie al web. Grazie a Napster – sempre sia lodato – prima, e ai vari Morpheus, Audiogalaxy, WinMX, Soulseek, eMule, BitTorrent e Spotify poi. Pazienza se non posso lavorare in un negozio di dischi. Ora il computer è il mio negozio di dischi.

Negli anni '90 sarebbe però stata una vera figata, lavorare in un negozio di dischi. Come lo so? Basta guardare Empire Records, pellicola a metà strada tra Clerks - Commessi e Alta fedeltà. A differenza di questi due è uscito più in sordina ed è passato piuttosto inosservato. Sarà per questo che non sono mai riuscito a vederlo. Al Blockbuster non so manco se l'ho mai trovato e su Italia 1 non mi è mai capitato di beccarlo. Nemmeno a orari assurdi, quando l'unica possibilità di recuperare certe pellicole più o meno di nicchia era videoregistrarle. Quanto mi sento vecchio a parlare di queste cose.

Con gli anni comunque i suoi estimatori sono venuti fuori ed Empire Records si è trasformato in un cult minore dei 90s. Negli ultimi mesi è uscita la notizia che a Broadway è persino in lavorazione un musical basato sulla pellicola diretta da Allan Moyle, regista che poi non avrebbe più combinato granché e in effetti c'è da dire che la regia non è che spicchi in maniera particolare.


Cosa rende allora Empire Records così irresistibile?
Perché sì, è irresistibile e da una parte sono dispiaciuto di non averlo visto prima, visto che mi avrebbe cambiato la vita o quasi. Dall'altra sono contento di aver scoperto ora questa chicca ed essermi così reso conto che esistono ancora delle perle nascoste persino in un periodo che credevo di conoscere meglio di me stesso come gli anni '90, e in particolare il cinema anni '90 dai toni adolescenziali e dai ritmi musicali.


A rendere irresistibile questo film è innanzitutto la sua atmosfera 90s. Questo film è così anni '90 da far schifo (a chi odia gli anni '90) e da risultare spettacolare (a chi ama gli anni '90). Fondamentalmente è costruito sul nulla. La trama è davvero esile. Lo spunto di partenza è la storia di un negozio di dischi, Empire Records appunto, che rischia di essere comprato da una grossa compagnia e di trasformarsi in uno dei tanti punti vendita anonimi di una catena in franchise. In quei tempi ingenui, quello appariva come il più grosso incubo per chi gestiva un negozio di dischi con un'attitudine punk e indipendente: svendersi al capitalismo. Vaglielo a spiegare che, dopo l'avvento di Napster, tenere in piedi un negozio di dischi anche solo di una grossa catena potrà essere considerato un autentico miracolo. D'altra parte all'epoca i film ce li affittavamo al Blockbuster. Altro posto in cui avrei sempre sognato di lavorare e che ormai è diventata una possibilità più remota di quella di diventare un astronauta o un pilota di formula 1.

Una cosa splendida di Empire Records è che rappresenta una fotografia perfetta di un'epoca che da lì a poco sarebbe sparita. È quasi come guardare un film muto degli anni '20. Nel giro di poco tempo sarebbero cambiate così tante cose che l'effetto è simile. Altro fatto da rilevare è che Empire Records visto oggi regala un effetto malinconia notevole, che visto in “diretta” nei 90s sicuramente non possedeva. Un valore aggiunto che lo rende ancora più cult.


Sono cult già di loro pure i personaggi del film, come solo i personaggi dei lavori anni '90 sapevano essere, così forti, eccessivi e caricati com'erano. Adesso il più delle volte la situazione è differente. I personaggi ora in genere sono più realistici, persino nei cinecomics, ed è giusto che sia così. Allo stesso tempo, si perde un po' in divertimento, e in epicità. Difficile trovare nelle pellicole di oggi personaggi come Mark Renton, Begbie, Sick Boy e Spud di Trainspotting, o come Tyler Durden di Fight Club. O anche come Stifler di American Pie. O come quelli di Pulp Fiction, tutti quelli di Pulp Fiction. Forse giusto nel cinema di Tarantino è ancora possibile trovarli.
I personaggi di Empire Records non saranno altrettanto leggendari come quelli sopracitati, però non se la cavano male. Chi sono? Eccoli!

Ethan Embry ha la parte del classico (almeno nella pop culture anni '90) tipo alternativo e stralunato che vive in una dimensione tutta sua.


Come Beavis and Butt-head fusi in una persona sola, o come i protagonisti di Fatti, strafatti e strafighe, sempre fusi in un corpo unico.


Brendan Sexton III è un ragazzino sboccato e scatenato che ruba i CD nel negozio, ma solo perché in realtà lì dentro ci vuole lavorare. A quanto pare non ero l'unico ad avere quel sogno.


Robin Tunney è la tipica ragazza 90s rock depressa, una rebel girl con istinti suicidi alla Kurt Cobain e un look rasato alla Sinead O'Connor. Ragazze così oggi non le fanno più. Purtroppo.


Le altre due girls del film sono invece più estroverse e allegre, soprattutto Renée Zellweger, che qui è davvero parecchio sexy. Sì, Bridget Jones sexy, avete capito bene.


E poi c'è Liv Tyler, la figlia di Steven Tyler fresca reduce dal video di “Crazy” degli Aerosmith in coppia con Alicia Silverstone (mio Dio, che video!) e pronta a trasformarsi in un'icona del decennio con il successivo Io ballo da sola, che qui tocca nuovi vertici mondiali di figosità.


Peccato che il boss del negozio di dischi, Joe interpretato dal come sempre poco fenomenale Anthony LaPaglia, sia un tipo piuttosto anonimo, che non riesce a essere cool come vorrebbe essere ed è forse per questo che il film non ha sfondato, anzi ha floppato con un incasso negli Usa di appena $ 300 mila dollari. E ho detto mila, non milioni. Un risultato che risulterebbe magro persino al botteghino nostrano, figuriamoci Oltreoceano. Con un protagonista più carismatico magari le cose sarebbero andate diversamente, chissà?


Chiudendo un occhio su un Anthony LaPaglia poco memorabile e su una trama che più striminzita non si potrebbe, Empire Records compensa in cultaggine grazie a un elemento che per una pellicola ambientata quasi interamente tra le mura di un negozio di dischi è fondamentale: la colonna sonora. Una soundtrack spettacolare e niente affatto scontata. Non ci sono i big del periodo che ci si aspetterebbe, come Nirvana, Pearl Jam, Oasis, Blur e Radiohead, magari per una questione di soldi e di diritti, però qualche nome celebre c'è, ad esempio ci sono i Cranberries ed Evan Dando dei Lemonheads, insieme a qualche ripescaggio dagli anni '80 come Dire Straits, The The (con la splendida “This Is the Day” quest'anno riscoperta anche dai film Ogni giorno e Come ti divento bella!) e “Video Killed the Radio Star” dei Buggles. Senza dimenticare una delle canzoni più belle del decennio, “A Girl Like You” del one-hit wonder Edwyn Collins.



Oltre a loro, sono presenti più che altro gruppi oggi del tutto sconosciuti che già all'epoca non erano poi così famosi come Gin Blossoms, Dishwalla, Toad the Wet Sprocket, Better Than Ezra, Throwing Muses e così via. Canzoni che nemmeno io avevo sentito prima e sì che di musica anni '90 di ultra nicchia me ne intendo, o pensavo di intendermene. C'è una canzone in particolare che mi ha conquistato, “Seems” dei Queen Sarah Saturday, che in una splendida scena viene cantata dagli impiegati dell'Empire Records.



È tutto in questa sequenza molto da videoclip dell'epoca d'oro di MTV che sta il fascino di un film che sembra fatto di niente, e invece riesce a mettere in scena alla perfezione un intero decennio.

Non avevo mai visto Empire Records. Perché?
Perché... sono fatti miei. E quindi tutto questo post non avrei manco dovuto scriverlo.
(voto 8/10)


lunedì 19 giugno 2017

T2: Trainspotting, il nuovo manifesto (de)generazionale





T2: Trainspotting
Regia: Danny Boyle
Cast: Ewan McGregor, Jonny Lee Miller, Robert Carlyle, Ewen Bremner, Anjela Nedyalkova, Kelly Macdonald, Shirley Henderson, Irvine Welsh


Choose death. Scegli la morte. Scegli Trainspotting. Scegli Pensieri Cannibali. Scegli di avere un lavoro precario. Scegli l'incertezza perenne. Scegli di non avere un televisore ultrapiatto in full HD con il 3D incorporato, tanto tutti i programmi che passano in tv sono merda allo stato puro e, se ti vuoi guardare qualcosa di decente, devi scegliere lo streaming o il computer. Scegli Netflix. Scegli la pirateria. Scegli la pornografia. Scegli di non avere una famiglia. Scegli di essere solo, ché tanto ti senti solo anche quando sei in mezzo agli altri. Alone with Everybody, come diceva il titolo del primo disco solista di Richard Ashcroft. Scegli di non essere contro il sistema, ma proprio fuori dal sistema. Scegli di non scegliere nessuno alle urne, non tanto perché tutti i politici sono uguali e fanno schifo, ma perché tutte le persone in generale sono uguali e fanno schifo. Nessuno la pensa come te. Nessuno vuole le tue stesse cose. Nessuno farà mai niente per migliorare la tua vita e non la sua.

venerdì 19 maggio 2017

Chris Cornell goodbye, le sue mie canzoni preferite





Ci ha lasciati Chris Cornell. Il cantante dei Soundgarden, ma anche di Audioslave e Temple of the Dog e pure artista solista, è morto all'età di 52 anni, suicida.
Un'icona del grunge anni '90 di Seattle morta suicida?
Sarà uno stereotipo, un cliché, ma è anche la triste realtà. Perché l'ha fatto? Ci avrà forse lasciati delle audiocassette in cui spiega i motivi del suo gesto come Hannah Baker di Tredici – 13 Reasons Why, o magari delle musicassette con dentro tanta musica inedita?

Non penso. In ogni caso, si tratta di un altro eroe della mia adolescenza che se ne va via. Un altro pezzo della mia gioventù che svanisce. Ciò che rimane però è la musica. Ciò che rimane, quello che resta per sempre sono le canzoni e Chris Cornell ne ha scritte e cantate di splendide. Eccone alcune. Ecco la mia personale classifica dei brani della sua carriera che preferisco e a cui sono più legato.

sabato 5 dicembre 2015

Scott Weiland era





Scott Weiland era il cantante degli Stone Temple Pilots e dei Velvet Revolver.
Scott Weiland era una delle ultime rockstar in circolazione.
Scott Weiland era un animale da palcoscenico.
Scott Weiland era un figo della Madonna.
Scott Weiland era un'icona della musica grunge e degli anni '90.
Scott Weiland era uno dei miei idoli adolescenziali.
Scott Weiland era.

 Scott Weiland (1967 - 2015)

martedì 25 agosto 2015

Notte horror + I cult di Pensieri Cannibali = Giovani streghe





Giovani streghe
(USA 1996)
Titolo originale: The Craft
Regia: Andrew Fleming
Sceneggiatura: Andrew Fleming, Peter Filardi
Cast: Robin Tunney, Fairuza Balk, Neve Campbell, Rachel True, Skeet Ulrich, Breckin Meyer, Helen Shaver, Christine Taylor, Brenda Strong
Genere: stregonesco
Se ti piace guarda anche: The Secret Circle, The Moth Diaries, Streghe, Amiche cattive, Buffy l'ammazzavampiri

Dio delle città e dell'immensità, io ti invoco...
Volevo dire: Dio dei Blog, io ti invoco. Fammi diventare il blogger più potente del pianeta, ti prego.
Terra, Aria, Fuoco, Acqua. Terra, Aria, Fuoco, Acqua. Terra, Aria, Fuoco, Acqua. Terra, Aria, Fuoco, Acqua. Terra, Aria, Fuoco, Acqua. Terra, Aria, Fuoco, Acqua. Terra, Aria, Fuoco, Acqua. Fammi diventare il blogger più potente del pianeta, ti prego!

sabato 11 luglio 2015

My Last Fat Diary





My Mad Fat Diary
(serie tv UK, 2013-2015)
Rete britannica: E4
Rete italiana: non ancora arrivata
Creata da: Tom Bidwell, Georga Kay
Basata sul romanzo: My Fat, Mad Teenage Diary di Rae Earl
Cast: Sharon Rooney, Nico Mirallegro, Jodie Comer, Ian Hart, Claire Rushbrook, Dan Cohen, Jordan Murphy, Ciara Baxendale, Darren Evans, Faye Marsay
Genere: piatto ricco mi ci ficco
Se ti piace guarda anche: Skins, Some Girls, Spike Island

Caro pazzo grasso diario,
oggi ti devo raccontare una cosa triste. Non una cosa triste-brutta. Una cosa triste-bella. La serie britannica My Mad Fat Diary è finita. Finita per sempre e io non me l'aspettavo. Non lo sapevo che la terza e conclusiva stagione avrebbe avuto appena 3 episodi. A dirla tutta, non sapevo nemmeno che sarebbe stata la stagione conclusiva.
Un presunto esperto di serie tv come me che non lo sapeva?

giovedì 4 giugno 2015

COBAIN: MONTAGE OF HECK, IL DOKURTMENTARIO





Cobain: Montage of Heck
(USA 2015)
Regia: Brett Morgen
Sceneggiatura: Brett Morgen
Genere: dokurtmentario
Se ti piace guarda anche: Last Days, Kurt & Courtney, Sugar Man

Hello, hello, hello how low?
Non so voi, ma io oggi mi sento stupido e contagioso. Un mulatto, un albino, una zanzara e forse i testi di Kurt Cobain non volevano dire niente o forse volevano dire tutto. Io che ne so? E voi cosa ne sapete?
Dopo aver visto Cobain: Montage of Heck qualcosina in più penso di saperla. Almeno credo. Non preoccupatevi comunque se ancora dovete guardarlo. Anche dopo averlo fatto, quel gran mistero di Kurt Cobain, forse il punto interrogativo più grande nella storia del rock'n'roll, resta tale. La pellicola non racconta cose radicalmente nuove. Non a chi conosceva già bene la sua breve, intensa, tragica storia. Non punta a fare lo scoop, a rivelazioni incredibili alla Quarto grado. Montage of Heck ci fornisce un ritratto molto intimo di Kurt Cobain l'uomo e Kurt Cobain l'artista.

lunedì 2 marzo 2015

I (QUASI) CULT DI PENSIERI CANNIBALI - FUSI DI TESTA





Fusi di testa
(USA 1992)
Titolo originale: Wayne's World
Regia: Penelope Shpeeris
Sceneggiatura: Mike Myers, Bonnie Turner, Terry Turner
Cast: Mike Myers, Dana Carvey, Tia Carrere, Rob Lowe, Lara Flynn Boyle, Lee Tergesen, Mike Hagerty, Alice Cooper, Robert Patrick, Meat Loaf, Ed O'Neill
Genere: buddy idiot movie
Se ti piace guarda anche: Beavis and Butt-head, Scemo & più scemo, Fatti, strafatti e strafighe, American Trip, Tenacious D e il destino del rock, School of Rock, Austin Powers

Benvenuti nel Cannibal's World. Oggi vi voglio parlare di una pellicola che tutti voi già conoscerete se siete stati adolescenti negli anni '90, o di cui probabilmente e bellamente ignorerete l'esistenza se invece siete cresciuti in un'altra epoca, sia anteriore che posteriore. Ho detto posteriore, ahahah.
Sto parlando di Fusi di testa, titolo originale Wayne's World, un film con due protagonisti che sembrano Beavis and Butt-head. Una cosa che mi sono sempre chiesto è se siano nati prima Wayne (Mike Myers) e Garth (Dana Carvey) di Fusi di testa, oppure i due personaggi di Mtv. Una domanda paragonabile a quella: “È nato prima l'uovo o la gallina?”. Andando a guardare le date, Fusi di testa è uscito nei cinema nel 1992, ovvero prima dell'arrivo di Beavis and Butt-head sul piccolo schermo nel 1993. Il cartone animato di Mtv è però stato sviluppato a partire da un cortometraggio di Mike Judge anch'esso del 1992, quindi la domanda su chi sia nato prima resta valida.


sabato 10 maggio 2014

GUIDA GALATTICA ALLA MUSICA GRUNGE




Secondo appuntamento delle guida musicali galattiche di Pensieri Cannibali. Dopo aver parlato di Britpop, oggi tocca all’altra grande corrente musicale in voga negli anni ’90, in questo caso soprattutto (ma non solo), sull’altra sponda dell’Atlantico. Mi riferisco al grunge. Sì, quel genere che ascoltavamo noi teenager depressi in quel decennio. Allora non eravamo emo, eravamo grunge. Indossavamo camicione a quadretti sformate in flanella e jeans strappati, non ridevamo mai e ascoltavamo questo strano rock che mescolava influenze punk e metal, testi nonsense ed era costruito per lo più sull’alternanza di momenti acustici con improvvise accelerazioni elettriche.
La scena ha avuto come cuore pulsante Seattle, allora capitale dell’angoscia adolescenzial-esistenziale, oggi città hipster e ipertecnologica, in cui per di più sono ambientati Grey’s Anatomy e 50 sfumature di grigio. Che dire? I tempi cambiano.

Breve storia per i babbani del genere: la scena grunge ha avuto come basi fondamentali tra fine 80s e primi 90s l’alternative rock di band come Melvins, Mudhoney, Sonic Youth, Pixies, Dinosaur Jr. e Meat Puppets, ha poi raggiunto l’apice della popolarità con i paladini del genere, i Nirvana di Kurt Cobain, i Pearl Jam, gli Alice in Chains e i Soundgarden, senza dimenticare le Hole di Courtney Love, per arrivare poi alle derive post grunge di band come gli australiani Silverchair e gli inglesi Bush, che ne hanno proposto una versione se vogliamo più “commerciale” (il grido: “Venduti! Venduti!” riecheggia ancora nelle mie orecchie), mentre in Italia qualche ispirazione grunge la si è sentita nel suono degli Afterhours e dei primi Verdena.

Ecco ora le mie personali 10 canzoni preferite del genere. Ho scelto solo 1 canzone per band, altrimenti i Nirvana avrebbero rischiato di occupare da soli metà classifica…
Per un’immersione completa nel grunge, potete inoltre ascoltarvi tutta la mia playlist su Spotify (che trovate in fondo al post) e recuperare qualche bel filmetto di quel periodo come S.F.W. – So Fucking What, Assassini Nati - Natural Born Killers, Singles – L’amore è un gioco e Giovani, carini e disoccupati.


Top 10 – Le canzoni grunge preferite di Pensieri Cannibali

10. Afterhours “Male di miele”



9. Foo Fighters “Everlong”



8. Alice in Chains “Heaven Beside You”



7. Radiohead “Creep”



6. Bush “Swallowed”



5. Pearl Jam “Jeremy”



4. Hole “Violet”



3. Stone Temple Pilots “Plush”



2. Soundgarden “Pretty Noose”



1. Nirvana “Heart-Shaped Box”




La playlist Grunge di Pensieri Cannibali su Spotify

mercoledì 30 aprile 2014

THE TO DO LIST, IL NYMPHOMANIAC DELLE COMMEDIE AMERICANE




The To Do List
(USA 2013)
Regia: Maggie Carey
Sceneggiatura: Maggie Carey
Cast: Aubrey Plaza, Johnny Simmons, Scott Porter, Bill Hader, Alia Shawkat, Sarah Steele, Rachel Bilson, Andy Samberg, Christopher Mintz-Plasse, Donald Glover, Clark Gregg, Connie Britton, Nolan Gould, Adam Pally, Jack McBrayer
Genere: anni novanta
Se ti piace guarda anche: Easy Girl, C’era una volta un’estate, American Pie, Suxbad, Non è un’altra stupida commedia americana, Ragazze a Beverly Hills

Come forse saprete, mi piace leggermente fare liste. Roba che il protagonista di Alta fedeltà è un pivello al mio confronto. Ispirato dalla visione di The To Do List, pellicola in cui Aubrey Plaza è una liceale che decide di compilare la lista delle “maialate” sessuali da fare prima di andare al college, vi propongo la mia personale lista di cose che vorrei fare, non prima dell’università, che con quella già ho dato, ma prima di morire.

The To Do List Cannibale
  • Farmi almeno una Spice Girl. Posso accettare persino Sporty Spice.
  • Incontrare una come Joe o B di Nymphomaniac su un vagone di Trenitalia.
  • Farmi frustare da Lars von Trier.
  • Fare un motoscafo tra le tette di Kate Upton.
  • Farmi Jennifer Lawrence. Non importa come e non importa quando. Va bene anche quando sarà una vecchia decrepita sul letto di morte.
  • Avere un figlio. Possibilmente con Britney Spears. E poi possibilmente abbandonarlo di fronte a una scuola di magia stile Hogwarts.
  • Farlo con una pornostar. Valentina Nappi, se per caso stai leggendo, questa è una richiesta ufficiale.
  • Organizzare un’orgia party con i Daft Punk che fanno da dj.
  • Partecipare a un Bunga Bunga party e poi essere pagato a vita da Berlusconi per non raccontare quanto successo.
  • Vedere Hollywood che sputtana un mio romanzo/racconto, ma mi copre di denaro mentre mi fotte.
  • Far diventare Pensieri Cannibali un sito più visitato di YouPorn.
  • Guardare il film The To Do List. ✓

L’ultima l’ho messa, così almeno una cosa posso spuntarla subito via dalla lista. The To Do List ho appena finito di guardarlo, dietro consiglio di Valentina che ringrazio, e mi ha esaltato come poche altre pellicole viste negli ultimi tempi. Questo è in pratica il film cannibale per eccellenza. È una commedia teen americana volgare e politically incorrect al punto giusto, ha una protagonista super alternative come la nuova diva indie Aubrey Plaza, ha una colonna sonora bomba ed è ambientato negli anni ’90.
90s is the new 80s. Dopo il revival degli anni ’80 che ormai ci stiamo lasciando alle spalle, adesso è arrivato il momento di ripescare il decennio successivo. Cosa che da una parte mi riempie di gioia, essendo la decade in cui sono cresciuto, e dall’altra mi mette una gran malinconia, visto che significa che sto davvero invecchiando.

The To Do List è tutto quello che si può chiedere a un film teen. Se non mi credete, facciamo una lista delle cose che ci devono essere in una pellicola adolescenziale come si deve e poi vediamo:

  • Tipa nerd che trova un lavoretto estivo che rappresenterà un passo fondamentale nella sua crescita personale ✓
  • Tipa nerd che si innamora del tipo figo ✓
  • Tipo nerd che si innamora della tipa nerd innamorata del tipo figo (Scott Porter delle serie Friday Night Lights e Hart of Dixie) ✓

  • Tipa nerd che poi non è così nerd e si rivela un bel vaccone ✓
  • Tipo nerd interpretato da Christopher Mintz-Plasse ✓

  • La sorella figa (Rachel Bilson, la Summer di The O.C. che qui ha in pratica lo stesso ruolo ed è sempre gnocca uguale) ✓

  • Amiche della protagonista sessualmente più esperte di lei ✓
  • Tipo grunge interpretato dal geniale Andy Samberg ✓

  • Un genitore spaventato all’idea di parlare ai figli di sesso (l’agente dello S.H.I.E.L.D. Clark Gregg) e l’altro che invece non vede l’ora di farlo (la MILF tv per eccellenza Connie Britton, quella delle serie Nashville, Friday Night Lights e American Horror Story stagione 1) ✓
  • Genitori che vedono i figli fare sesso ✓
  • Figli che vedono i genitori fare sesso ✓

The To Do List combina in pratica gli elementi fondamentali delle pellicole ormai super classiche degli anni ’80 di John Hughes, il memorabile Sixteen Candles – Un compleanno da ricordare su tutti, con i filmetti trash goliardici degli anni ’90/primi anni zero come American Pie e Non è un’altra stupida commedia americana. Sembra una puntata di Beverly Hills 90210, però riletta in chiave quasi parodistica ma non del tutto. C’è infatti un grande rispetto per gli anni ’90, citati in continuazione attraverso i poster della protagonista, attraverso gli abiti e le acconciature oggi inguardabili dei vari personaggi, e naturalmente attraverso le canzoni, che vanno dagli Spin Doctors alle Salt-N-Pepa e dai Cranberries a Marky Mark.

"E adesso quale altra lista dovrò inventarmi per superare quelle cannibali?"
C’è un grande rispetto per i 90s, ma allo stesso tempo c’è la voglia di andare oltre. Si può dire che in questo film non c’è niente che non si sia visto nelle pellicole e nelle serie tv di quel decennio e se il protagonista fosse un ragazzo, come il Jimbo di American Pie, sarebbe anche vero. Eppure un fattore di novità c’è. The To Do List è una pellicola profondamente femminista, in cui si va oltre la solita trama da romcom dove la ragazza di turno per raggiungere la vera felicità deve per forza trovare un bravo ragazzo, il grande amore della sua vita, e accasarsi. La protagonista di The To List è invece una ragazza indipendente che scopre a sue spese le gioie, così come i dolori, del sesso. Come Joe di Nymphomaniac, solo che questa è una commedia spassosa e leggera, ci sono meno, diciamo mooolte meno scene esplicite, e l’autore non è un pazzo maniaco geniale come Lars von Trier, bensì la più modesta esordiente Maggie Carey. La regista alle prime armi dimostra di essere dietro la macchina da presa ancora acerba, mentre come sceneggiatrice possiede già una buona consapevolezza dei propri mezzi. Non avrà realizzato la pellicola più originale del mondo, eppure il suo stile è fresco e ricorda quello della Diablo Cody dei primi tempi.
In pratica, The To Do List è la teen comedy più figa vista da molto tempo a questa parte. Oserei quasi dire dagli anni Novanta. Da mettere subito in cima alla lista dei film da vedere.
(voto 7,5/10)


mercoledì 23 aprile 2014

I GIOCHI CON CUI SONO CRESCIUTO




Il format delle Top 10 sulla crescita (copyright esclusivo di Pensieri ©annibali) aggiunge oggi una nuova puntata, dopo quelle dedicate ai:


Il nuovo appuntamento ha come protagonisti, a partire da un’idea suggerita da AlmaCattleya, i Giochi con cui sono cresciuto.
Ebbene sì! Decidete voi se la serie di Top 10 sulla crescita è ormai arrivata alla frutta o meno. Il prossimo capitolo a questo punto a cosa sarà dedicato, alle pappine che mangiavo da bambino?

Se volete offrire il vostro personale contributo a questa sempre più delirante serie di post, potete farlo sui vostri blog, social network oppure tra i commenti al post. Ma prima, gustatevi i miei magnifici 10 games.


10. Nascondino
Il classico dei classici. Per giocarci non servono console, joypad, connessioni wireless, installazione di app, uno SmartPhone, uno StupidPhone o altro. Basta solo un po’ di spazio e un po’ di fantasia. Ah, i cari vecchi passatempi di una volta! E ancora oggi ci gioco con i miei nipoti, divertendomi come un bimbominkia spensierato.


9. He-Man
Proprio così. Non solo il mio blogger rivale MrJamesFord è cresciuto con dei miti trash action anni ’80, ma in piccola parte pure il piccolo me. Anche se io lo dico con una notevole vergogna. Tra i miei giochi preferiti di quando ero un bambinetto, oltre a far correre gare immaginarie alle mie macchinine, facevo combattere tra loro i pupazzi della linea Masters of the Universe. Ovviamente già allora mi schieravo dalla parte dei cattivoni, capitanati da Skeletor, però volevo bene pure al mio He-Man esplosivo. Esplosivo nel senso che gli mettevo delle cariche dinamitarde, e faceva il botto. Un gioco pericolosissimo che oggi, nell’epoca del politically correct imperante in cui viviamo, sarebbe ritirato immediatamente dal mercato.


8. Brivido
Il primo gioco da tavola presente in questa lista è Brivido, un piccolo cult anni ’80 che mi metteva davvero i brividi. Con un po’ di immaginazione, sembrava di essere protagonisti di un film horror. Paura!


7. Videogame portatili Tiger
Oltre alle console, dal Nintendo alla Playstation (che avevo), e dall’Atari al Sega (che non ho mai avuto), gli altri videogame con cui mi trastullavo da bambino erano quelli portatili della Tiger. Io e mia sorella ne avevamo un sacco, da Mega Man a Double Dragon, da Gauntlet a Castlevania. E costavano parecchio. Adesso sembrano giusto delle cose da primitivi con una grafica da denuncia, ma all’epoca erano troppo fighi.


6. Tango e Super Tele
Le partite al campetto di calcio a volte si disputavano con il pallone di cuoio, nelle occasioni speciali, altre più semplicemente con il Tango o il Super Tele o quelle altre robe talmente leggere che, dopo 2 minuti di partita al massimo, volavano fuori dallo “stadio” e finivano in casa di qualcuno, tra bestemmie e imprecazioni varie. E poi c’erano le risse, gli insulti, i “con te non gioco più”, le alleanze e le amicizie che si creavano e si distruggevano nel giro di un rigore o di un gol assegnato o non assegnato. Quanti lieti ricordi!


5. Hotel e Monopoli
Il Monopoli è storico, ci abbiamo giocato tutti. In qualunque epoca voi siate cresciuti, o stiate ancora crescendo, è un classico intramontabile. Io però preferivo Hotel, la sua versione yuppie e tipicamente anni Ottanta.


4. Grand Theft Auto
Grand Theft Auto ha segnato una rivoluzione nel mondo dei videogame. Altroché passatempo per bambini, con GTA sono diventati dei film per adulti. Dico film perché le missioni del gioco sono al livello delle sceneggiature di Hollywood, a volte persino superiori. I nuovi episodi con grafica super fica sono fichi, però il primo episodio uscito nel 1997, con scrausissima visuale dall’alto, conteneva al suo interno già tutte le idee fondamentali della saga. E poi le colonne sonore di questa serie: che bomba!


3. Trivial Pursuit
Nonostante non abbia mai amato molto i quiz televisivi, dei quiz da tavolo sono invece sempre stato un patito. Ancora oggi! Potete sfidarmi infatti con la app QuizDuello (mi trovate con il nickname Cannibal Kid), la versione per SmartPhone di questo tipo di giochi. Il quiz più avvincente e combattuto (e anche difficile) resta comunque il caro vecchio Trivial Pursuit. Nella sezione Spettacolo sono sempre stato un fenomeno, mentre nelle altre categorie ero e sono ancora decisamente più una scarpa.
Il Trivial Pursuit è poi una splendida metafora della vita: la cosa più importante è conquistare il triangolino.


2. Super Mario Bros. 3
I giochi del Nintendo meriterebbero una Top 10 a parte, ma per il momento ho deciso di scegliere un titolo solo.
Il primo Super Mario Bros. era mitico, il secondo invece era un po’ una schifezza, ma il mio preferito era il 3.
Nel 3 Mario si poteva trasformare in un procione e volare! Che poi i procioni non mi risulta che volino, quindi peeerché?
Come ho scoperto solo ora grazie a Wikipedia, si tratta di un richiamo al Tanuki, animale del folklore giapponese. Al di là di questo, il gioco non sono mai riuscito a finirlo e ciò resterà per sempre impresso come uno dei più grandi fallimenti della mia vita.


1. ISS Pro Evolution
Secondo Lars von Trier, l’umanità si divide in due gruppi: quelli che tagliano prima le unghie della mano sinistra e quelli che tagliano prima quelle della destra. La sua teoria è che chi taglia prima le unghie della mano sinistra è più spensierato, tende a godersi di più la vita perché fa prima le cose più semplici e lascia le difficoltà per ultime.
Secondo me, l’umanità si divide in altri due gruppi: chi preferisce giocare a Fifa e chi preferisce ISS Pro, anche noto come International Superstar Soccer Pro Evolution o come P.E.S.. Chi gioca a Fifa, non capisce niente di videogiochi, di calcio e più in generale della vita. Chi gioca a ISS Pro invece è un essere evoluto.
Poi, va beh, c’è anche una terza categoria, quella di chi non ha mai giocato a nessuno dei due, ed è la categoria di persone che probabilmente non sono cresciute sulla Terra.

lunedì 17 marzo 2014

SUPER CULT ANNI 90 - RAGAZZE A BEVERLY HILLS CON ALICIA SILVERSTONE




Ogni decennio ha l’icona femminile che si merita. Negli anni ’90, c’abbiamo avuto Alicia Silverstone.


Il nome di Alicia Silverstone non vi dice niente?
Se siete sotto i 30 anni o sopra i 40, è abbastanza normale. Ma se siete stati adolescenti nei 90s e non la ricordate, dove diavolo siete cresciuti? Sulla Luna? Nella giungla? In Canada?
Che la conosciate o meno, in ogni caso beccatevi una breve Alicia Silverstone Story.

Alicia diventa famosa nel 1993 grazie a uno stalker-thrillerino-soft-porno, La ragazza della porta accanto (The Crush), pellicola molto lolitesca che impone il suo fascino acerbo. A farla entrare nell’immaginario collettivo di noi 90s kids ci pensano quindi una manciata di video degli Aerosmith, in un’epoca in cui i videoclip musicali ce li vedevamo ancora su Mtv e non su YouTube. Cryin’ (in cui c'era anche Stephen Dorff), Crazy (in coppia con l’altrettanto esplosiva Liv Tyler) e Amazing compongono la “Trilogia della Silverstone” e hanno segnato un’intera generazione.



L’apice del successo Alicia lo tocca poi con la pellicola Ragazze a Beverly Hills, un teen cult assoluto degli anni ’90 che, soprattutto negli USA, si impone come autentico fenomeno della pop culture. Dopo questo super successo, la Silverstone sembra dover scoppiare come nuova diva mondiale, ottiene l’ambita parte di Batgirl in Batman & Robin ma… il film è una schifezza di proporzioni gigantesche, lei in seguito compie tutta una serie di scelte recitative sbagliate, interpretando un flop dietro l’altro (Babysitter… un thriller, Una ragazza sfrenata, Sbucato dal passato, Pene d’amor perdute) e le sue quotazioni precipitano. Quando il decennio finisce, è ormai chiaro a tutti che Alicia Silverstone vivrà per sempre sì, ma solo come simbolo, uno dei simboli supremi, degli anni ’90.

Ogni decennio ha l’icona femminile che si merita.
Negli anni ’50 c’è stata Marilyn Monroe.


Negli scintillanti 60s Brigitte Bardot.


Nei 70s l’angelo Farrah Fawcett.


Negli anni ’80 Molly Ringwald della trilogia di John Hughes (Sixteen Candles – Un compleanno da ricordare, Breakfast Club e Bella in rosa).


Negli anni zero arriva Lindsay Lohan.


Negli anni dieci attualmente in corso imperversa Miley Cyrus.
State già rimpiangendo Lindsay, vero?


Negli anni ’90 invece c’avevamo Alicia Silverstone e questo è il suo film più celebre.

Ragazze a Beverly Hills
(USA 1995)
Titolo originale: Clueless
Regia: Amy Heckerling
Sceneggiatura: Amy Heckerling
Cast: Alicia Silverstone, Stacey Dash, Elisa Donovan, Brittany Murphy, Paul Rudd, Donald Faison, Breckin Meyer, Jeremy Sisto, Justin Walker, Dan Hedaya, Wallace Shawn, Twink Caplan
Genere: 90s
Se ti piace guarda anche: Mean Girls, La rivincita delle bionde, 10 cose che odio di te, Giovani, pazzi e svitati, Fuori di testa, Fusi di testa

Mi è venuta voglia di recuperare il super cult di una ventina d’anni fa Ragazze a Beverly Hills dopo aver guardato (questa volta su YouTube e non più su Mtv) il nuovo video di Iggy Azalea e Charli XCX, “Fancy”, in cui le due nuove icone della musica pop di oggi sono andate a girare nelle stesse location della pellicola, recuperando vestiti e look di Alicia Silverstone & friends e omaggiando esplicitamente varie scene del film.



Capisci che stai invecchiando quando gli idoli che segui da una vita vengono accettati dal mainstream, trionfano ai Grammy Awards, come capitato quest’anno ai Daft Punk, oppure ottengono degli Oscar, come successo negli ultimi tempi a Jared Leto, Natalie Portman e Christian Bale. Quando lo vincerà pure Leonardo DiCaprio, allora lì capirai di essere davvero decrepito.
Capisci inoltre che stai invecchiando anche quando le nuove sgallettate del pop odierno vanno a riprendere i simboli della tua gioventù e li fanno apparire vintage. Come il video di Iggy Azalea e Charli XCX mette in chiaro, gli anni '90 ormai sono retrò e noi che in quel decennio ci siamo cresciuti siamo vecchi, siamo passato, siamo Storia.
NUOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!

Se non ci facciamo prendere troppo dalla tristezza, possiamo guardare a quel periodo con un velo di malinconia, senza cadere nella più profonda depressione. Così come possiamo cominciare a considerare i cult di quei magici tempi come veri e propri classici moderni, cui le nuove generazioni si abbeverano e prendono da esempio. Ragazze a Beverly Hills oggi è un classico moderno, chi l’avrebbe detto giusto qualche anno fa?

"Alicia, devi dire a tutti che Pensieri Cannibali è il sito più di moda
del momento, altrimenti ti sparo!"
"Hey, ma cos'è un sito?"
Ho detto classico moderno, non ho detto Capolavoro. Ragazze a Beverly Hills è a suo modo un film leggendario, che riapre tanti “aaah” ricordi. Quell’aaah, se non si era capito, era un sospiro.
Ragazze a Beverly Hills è un film generazionale, con uno stile inconfondibile. Una pellicola che allo stesso tempo rivista oggi appare naive, presenta un sacco di ingenuità, una trama troppo semplice e semplicistica. Persino un filo buonista. Un lavoro che, come tutte le pellicole generazionali che si rispettino, offre tutti i pregi e anche i difetti di un’epoca.
Ragazze a Beverly Hills è un film che guarda al passato, al passato remoto visto che è una rivisitazione moderna/parodia di Emma di Jane Austen, e al passato recente, in particolare alle commedie degli anni ’80 di John Hughes con la sopracitata Molly Ringwald, così come al caposaldo Fuori di testa, la pellicola del 1982 con Sean Penn, Jennifer Jason Leigh e Phoebe Cates diretta dalla stessa Amy Heckerling. Per quanto con un occhio buttato sullo specchietto retrovisore, Ragazze a Beverly Hills guarda comunque soprattutto ai suoi contemporanei, alla serie Beverly Hills, 90210 in particolare, di cui riprende le stesse ambientazioni glamour e chiccose e di cui rappresenta una specie di versione per il grande schermo. Fin dalla sequenza d’apertura, così come nelle scene delle feste, emerge poi evidente lo “stile Mtv”, quello che negli anni ’90 ha raggiunto il suo vertice assoluto. Naturalmente, anche la colonna sonora riveste un ruolo di primo piano, con dentro un po’ di tutto quel che passava all’epoca, spaziando in grande libertà dalle Salt-N-Pepa ai Radiohead, dai No Doubt ai Supergrass.

Pur guardando al passato e al presente, Ragazze a Beverly Hills è diventato un riferimento per il futuro. Per le citate starlette Iggy Azalea e Charli XCX, ma non solo. La moda di rileggere i classici della letteratura britannica in chiave 90s pop è stata aperta proprio da questo film e sarebbe poi proseguita con grande fortuna soprattutto andando a ripescare il repertorio di Shakespeare, tra un Romeo + Giulietta e un 10 cose che odio di te. Le buone azioni della protagonista Cher/Alicia Silverstone riecheggeranno quindi persino ne Il favoloso mondo di Amélie, mentre come personaggio avrà un’erede ideale nella Reese Witherspoon de La rivincita delle bionde. Che dire poi dell’influenza avuta da questa pellicola su Mean Girls?
Mean Girls, altro epocale film generazionale, altro non è che una versione imbastardita delle Ragazze a Beverly Hills, con la perfida Regina/Rachel McAdams che prende sotto la sua ala protettrice Cady/Lindsay Lohan in maniera parecchio meno disinteressata rispetto a quanto fa la qui presente Cher/Alicia Silverstone con la disadattata Tai/Brittany Murphy.
E qui scatta il momento lacrimuccia, perché Ragazze a Beverly Hills ha rappresentato l’esordio cinematografico di Brittany Murphy, splendida e promettentissima attrice prematuramente scomparsa nel 2009. Brittany Murphy, una delle prime icone di questo blog, aaah (anche questo era un sospiro, se non si era capito).


Alla fine torniamo al punto da cui abbiamo cominciato. Le icone femminili. Ragazze a Beverly Hills è un film carino, meno scemotto di quanto può apparire in superficie e che racconta una storia d’amore dai contorni incestuosi mica troppo scontata tra la protagonista e un giovane Paul Rudd. Rivisto oggi appare con tutti i suoi limiti bene in mostra, eppure è riuscito a invecchiare in maniera più che dignitosa, riuscendo persino a far dimenticare la poco esaltante omonima serie tv ispirata alla pellicola e trasmessa da noi su Raidue e Mtv. La forza trascinatrice dell’intero film era e rimane però solo lei: Alicia Silverstone. Ogni tanto ricompare qua e là in televisione (in Miss Match e Suburgatory), ma per noi kids trentenni e qualcosa di oggi resterà sempre uno dei simboli della nostra gioventù, l’icona bionda dei mitici, favolosi, maledetti anni Novanta.
(voto 7+/10)

lunedì 22 luglio 2013

PUSHER TO THE LIMIT


Pusher
(Danimarca 1996)
Regia: Nicolas Winding Refn
Sceneggiatura: Jens Dahl, Nicolas Winding Refn
Cast: Kim Bodnia, Mads Mikkelsen, Zlatko Buric, Laura Drasbæk, Peter Andersson, Slavko Labovic, Nicolas Winding Refn
Genere: spacciato
Se ti piace guarda anche: Pusher 2, Pusher 3, Bleeder, Drive

Una settimana nella vita di un pusher. Non è un nuovo reality di Cielo, non è il sostituto di Teen Mom su Mtv, bensì è il film d’esordio di Nicolas Winding Refn. Il danese che tutti amiamo per Drive e che qualcuno, come me, allo stesso tempo odia anche per il comatoso Valhalla Rising. Prima dell’esplosione mondiale, prima del suo ingresso nella Hollywood che conta, prima della sua venerazione a livelli quasi religiosi e terrencemalickiani, tutto ha avuto inizio con Pusher.
Come anticipato, Pusher parla di un pusher, uno spacciatore, uno che si guadagna da vivere vendendo la roba. Che vi aspettavate, d’altra parte, con un titolo del genere? Un film su un chierichetto? Nel mostrarci una “tranquilla” settimana del suo protagonista, Refn non si risparmia certo. Da una materia tanto pulp, il regista ha tirato fuori un film tanto pulp con sesso (più parlato che fatto), droga e rock’n’roll, così come scatti di violenza improvvisi, qualche rissa e scene leggermente splatterose. Da una materia così pulp, volendo il Refn avrebbe potuto esagerare ancora di più, d’altra parte eravamo proprio nel mezzo dei pulpissimi anni ’90, ma il suo intento non sembra quello di voler stupire a tutti i costi per gli eccessi di quanto filma. Il danese sembra voler stupire più per la messa in scena, che per cosa mette in scena. E ci riesce alla grande.

"Cos'è, stai cercando di fare la tua versione di Blurred Lines?"
In quanto opera d’esordio, ci troviamo di fronte a un film ancora acerbo, eppure lo stile del regista emerge già con prepotenza. La primissima scena, i titoli di testa che ci introducono i personaggi con il loro nome scritto in sovrimpressione, ci riportano nel mezzo di una scelta stilistica tipicamente anni ’90. Considerata la tematica tossica, l’impressione iniziale è allora quella di potersi trovare di fronte a una copia danese di Trainspotting o poco altro. Bastano pochi minuti e l’impressione si rivela subito sbagliata. Sbagliatissima. Refn non sembra avere l’intenzione di copiare nessuno, semmai è alla ricerca di uno stile proprio. Uno stile che in apparenza può sembrare di stampo documentaristico, ma non è così. Il regista non adotta quello stile mockumentary che nel nuovo millennio avrebbe conosciuto grande fortuna. Refn segue i personaggi con macchina da presa a mano, segue da vicino il suo pusher protagonista, per fortuna evitando quell’effetto tremolante da mockumentary, appunto. Pur girando con un budget ridotto, Refn fin dal suo esordio vuole fare Cinema, grande Cinema, non robette dal sapore amatoriale. Pusher passa così dall’essere un potenziale clone pulp dei successi in auge negli anni Novanta, o dall’essere un potenziale documentario pseudo realistico sulla vita di uno spacciatore, all’essere un piccolo e prezioso saggio cinematografico su come seguire un personaggio e gettarci all’interno della sua vita. Una lezione da cui sembra aver tratto insegnamento anche il Darren Aronofsky di The Wrestler e Il cigno nero, pellicole in cui si instaura un rapporto quasi fisico tra macchina da presa e personaggio in una maniera molto vicina a quanto visto in questo Pusher.

Naturalmente questo folgorante esordio getta anche le basi per il Refn-style successivo, quello che sviluppato a dovere e con alcuni accorgimenti lo porterà a realizzare il suo capolavoro, Drive. Un elemento fondamentale nella riuscita di quest’ultimo è la scelta delle musiche. L’atmosfera electro-pop tanto anni ’80 e contemporaneamente attuale getta la pellicola in una dimensione fuori dal tempo molto originale. In Pusher invece la selezione musicale è più scontata e tipicamente anni ‘90. A tratti la soundtrack del film spacca parecchio, però non colpisce fino in fondo. Per la scena dell’inseguimento del pusher con i poliziotti, viene ad esempio usato un pezzo punk-rock; una scelta efficace, quanto prevedibile, laddove quella di Drive risulta parecchio più imprevedibile.

"Smettila Mads, non te lo do' il pugnetto!"
Altro elemento che non convince del tutto è la costruzione del personaggio protagonista, il pusher Frank, interpretato da un ottimo  Kim Bodnia, che tornerà anche nel successivo film di Refn, Bleeder. Seguiamo questo personaggio per un’intera settimana, eppure non scatta mai nei suoi confronti una vera empatia. La freddezza emotiva credo sia una scelta precisa del regista, qui anche sceneggiatore a quattro mani con Jens Dahl, però a coinvolgere maggiormente sono i personaggi secondari. Sono loro a regalare i momenti più “umani” alla pellicola: il picchiatore che confessa il suo sogno di aprire un ristorante, o la prostituta innamorata del pusher Frank, così come la madre dello spacciatore che cerca di aiutarlo finanziariamente, e una maggiore umanità la si ritrova persino nella sbruffonaggine del suo amico Tonny, interpretato dal sorprendente esordiente Mads Mikkelsen, che ritroveremo protagonista assoluto di Pusher II. Una freddezza emotiva che verrà risolta in Drive in maniera non ruffiana o cuoriciosa, solo regalando al protagonista Driver un maggiore sentimentalismo. Rendendolo più umano, “a real human being, and a real hero”.

Il finale di Pusher è sospeso, proprio come quello di Drive. Laddove quest’ultimo lascia però con la sensazione di aver assistito a qualcosa di pienamente riuscito e con un gusto buono, Pusher lascia un po’ l’amaro in bocca. Un esordio folgorante, un talento registico genuino da tenere d’occhio, ma anche l’impressione che manchi qualcosa. Col senno di poi, possiamo comunque dire che Refn con Drive riuscirà a portare a completo compimento quanto di buono mostrato con un esordio che, sempre col senno di poi, non si è rivelato un fuoco di paglia, ma una fiamma pronta a divampare.
(voto 8-/10)

A domani, con nuove recensioni refniane che fanno parte della Refn Week.


Post pubblicato anche su L'OraBlù, corredato dal minimal poster creato per l'occasione da C[h]erotto, e postato, tanto per esagerare, pure su The Movie Shelter.


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