È una bella sucata vivere nella nuova era glaciale. Ogni giorno suona la sveglia e non è oggi, è the day after tomorrow. Il bianco della neve rende sterile e uguale ogni paesaggio come in Fargo dei fratelli Coen. Se a ciò aggiungi la peggio febbre degli ultimi 137 anni a bloccarti a letto, quello dipinto è un quadro descrivibile semplicemente con una singola parola: esilio. E questo paradossalmente proprio nel momento in cui il mondo esterno sembra sintonizzarsi sulle tue frequenze: i Glasvegas suonano su Radio Deejay e Amy MacDonald ormai suona persino su Radio Maria, anche se il suo disco quando è uscito un anno e mezzo fa lo ascoltavate solo tu e i suoi parenti più stretti.
Ma chiusi in casa al calduccio non si sta mica tanto al sicuro. La febbre ti confonde le idee e ti fa vedere cose che forse non ci sono e ci sono strani strangers mascherati che vogliono entrare dalla finestra e vogliono farti a pezzi mentre sei sotto le coperte a fabbricare sogni. Perchè quando sei cresciuto con i video di Björk, non dormi. Sogni. E sforni sogni che assomigliano a film come L’arte del sogno. Che poi più che un film è un’autobiografia in cui Michel Gondry parla di se stesso e finisce (involontariamente?) per parlare anche di te stesso. Di quello che sei, della tua incapacità cronica di separare la realtà dalla finzione, il cinema dal sogno, il vero dal falso, dell’impossibilità di sentirti realizzato altrimenti se non con la creazione di qualcosa: creare acqua col cellophane, ad esempio. O creare Un ponte per Terabithia che ti porti direttamente in un regno fantastico dove tutte le difficoltà e tutti i problemi possono essere attraversati.
Chiudi gli occhi, ma tieni la mente bene aperta. Perché ricorda: una mente come la tua bene aperta può creare tutto un nuovo mondo. Unica cosa, stai attento alle distrazioni: la distrazione è un’ostruzione alla costruzione.
Hey now, hey now, don’t dream it’s over perché la fine arriva da sola e i sogni terminano così all’improvviso, un attimo sei il bambino de I quattrocento colpi che di corsa arriva a bagnarsi i piedi nel mare e un attimo dopo davanti a te c’è solo la scritta
Fin
Ma chiusi in casa al calduccio non si sta mica tanto al sicuro. La febbre ti confonde le idee e ti fa vedere cose che forse non ci sono e ci sono strani strangers mascherati che vogliono entrare dalla finestra e vogliono farti a pezzi mentre sei sotto le coperte a fabbricare sogni. Perchè quando sei cresciuto con i video di Björk, non dormi. Sogni. E sforni sogni che assomigliano a film come L’arte del sogno. Che poi più che un film è un’autobiografia in cui Michel Gondry parla di se stesso e finisce (involontariamente?) per parlare anche di te stesso. Di quello che sei, della tua incapacità cronica di separare la realtà dalla finzione, il cinema dal sogno, il vero dal falso, dell’impossibilità di sentirti realizzato altrimenti se non con la creazione di qualcosa: creare acqua col cellophane, ad esempio. O creare Un ponte per Terabithia che ti porti direttamente in un regno fantastico dove tutte le difficoltà e tutti i problemi possono essere attraversati.
Chiudi gli occhi, ma tieni la mente bene aperta. Perché ricorda: una mente come la tua bene aperta può creare tutto un nuovo mondo. Unica cosa, stai attento alle distrazioni: la distrazione è un’ostruzione alla costruzione.
Hey now, hey now, don’t dream it’s over perché la fine arriva da sola e i sogni terminano così all’improvviso, un attimo sei il bambino de I quattrocento colpi che di corsa arriva a bagnarsi i piedi nel mare e un attimo dopo davanti a te c’è solo la scritta
Fin