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venerdì 29 settembre 2017

La musica più figa e meno figa del mese – Top e Flop di settembre 2017





Archiviati i tormentoni estivi e le latinate varie, è ora il momento di tornare alla musica seria. O più o meno seria. Da qui alla fine dell'anno sono previsti i rientri sulla scena di un sacco di big della musica e qualcuno ha già cominciato a sparare le prime cartucce. Tra delusioni e sorprese, più qualche novità e qualche rubrica, andiamo a scoprire il meglio e il peggio offerto dalla scena musicale nelle ultime settimane.
Buon ascolto.
O cattivo ascolto, a seconda dei punti di vista e soprattutto dei punti di udito...
Ok, questa era pessima anche per i miei standard.


lunedì 15 settembre 2014

Songs of Innocence degli U2, il disco che DOVETE ascoltare





U2 "Songs of Innocence"
Avete sentito il nuovo album degli U2, “Songs of Innocence”?
Probabilmente sì, anche se non volevate. Se siete iscritti ad iTunes, se avete un iPhone, iPod, iPad o iQualcosa, Bono e compagni ve l’hanno infilato nelle vostre playlist senza che voi nemmeno lo sapeste. L’hanno pure spacciato per un gesto generoso. Ve l’hanno dato gratis e senza che voi manco lo richiedeste. Che teneri sono stati.
La band irlandese non ha però intenzione di fermarsi qui. Il prossimo disco è già quasi pronto e si intitolerà “Songs of Experience”. Ciò che ancora non si sa è come verrà distribuito. Sembra che gli U2 questa volta abbiano intenzione di impiantarlo direttamente nel cervello delle persone mentre dormono in stile Inception. Molti governi mondiali pare abbiano già dato la loro approvazione, dietro lauto pagamento da parte della casa discografica del gruppo.

Prima di pensare al prossimo disco, comunque, c’è ancora da parlare di questo “Songs of Innocence” appena piovuto dal cielo dritto nelle nostre case, ci piaccia o meno. Non che ci sia poi molto da dire. È il classico disco degli U2 in tutto e per tutto. Nessuna novità. Un paio di sorprese comunque ci sono. La prima è l’esclusione di “Invisible” dalla tracklist. Il singolo presentato in pompa magna al Super Bowl americano qualche mese fa che nessuno si era filato. Sarà incluso in “Songs of Experience” oppure Bono si è reso conto che era un pezzo così debole che ha deciso di segarlo del tutto?
La seconda sorpresa è la voce della cantante svedese Lykke Li sull’ultima traccia dell’album, “The Troubles”. Quasi inutile aggiungere che la sua parte è il momento migliore dell’intero lavoro. Finalmente Bono toglie per un momento la sua vox urlante dalle scatole e ce ne fa sentire una capace di accarezzare le orecchie dell'ascoltatore senza sforzarsi. Troppo poco e troppo tardi, in ogni caso, per salvare un disco per il resto tutt’altro che fenomenale.

Mettiamolo in chiaro: “Songs of Innocence” non è un disco orripilante come qualcuno in giro ha detto. Gli U2 a me non hanno mai fatto impazzire, ma sono pur sempre gli U2. Non è che all’improvviso si sono trasformati nei Modà. “Songs of Innocence” non è allora tanto un disco brutto, anche se a tratti è un pochetto irritante, per via di un (ab)uso di cori da stadio che risulta eccessivo persino per un gruppo paladino del cosiddetto “stadium rock”. È più che altro un disco stanco, un disco non necessario. È come se la band irlandese si sia rimessa al lavoro non perché avesse davvero qualcosa da dire o avesse l’ispirazione per farlo, ma solo perché era rimasta assente dalle scene da troppo tempo e voleva dire al mondo: “Hey, ci siamo ancora, siamo ancora vivi.”
Ci fa piacere sapere che sono ancora vivi, ma noi potevamo anche vivere senza un loro disco nuovo. Al che i loro fan a questo punto ti possono ribattere: “Sì, però ou, nessuno ti obbliga a sentirtelo!”
Non è vero. Gli U2 questo disco l’hanno spedito a 500 milioni di persone senza il loro consenso, quindi sì, sei praticamente obbligato a sentirtelo e anche tu che gli U2 non li sopporti attivando la riproduzione random puoi ritrovarti comunque ad ascoltarli.
Avendo compiuto un gesto del genere, una mossa di marketing malefica e allo stesso tempo geniale, si sarebbero però potuti sbattere un po’ di più anche nella composizione. Invece da un punto di vista musicale su “Songs of Innocence” c’è poco da segnalare.

Il primo singolo “The Miracle (of Joey Ramone)” come si può facilmente intuire è dedicato al leader della punk band Ramones e ha un testo sincero, appassionato. Peccato che ciò non corrisponda a un brano degno di nota o in alcun modo vicino al sound dei Ramones, bensì alla classica U2ata con un ritornello ruffiano "impreziosito" dal solito coro da stadio ultra fastidioso. Una manciata di altri pezzi potrebbero ambire a diventare dei singoloni di successo, come la paraculissima “Volcano”, altra roba da stadio che invoglia a schiacchiare il tasto “skip” o anche quello "skif" piuttosto che a essere cantata in coro. Oppure il rockone vecchio e che sa di scaduto di “Raised by Wolves”.
Il brano migliore del lotto, dopo il citato “The Troubles” con Lykke Li, è per quanto mi riguarda la ballatona “Sleep Like a Baby Tonight”, in cui si sente la mano del produttore Danger Mouse. Non sarà la nuova “One” o “With or Without You”, ma se non altro è un pezzo dolce che non fa venire voglia di gridare a Bono: “E smettila di gridare, Bono!”.
Due brani validi su undici? Un po' pochino per essere il disco della band più famosa del mondo o qualcosa del genere. “Songs of Innocence” è allora un album di cui si poteva fare a meno, ma che in realtà non potrete fare a meno di ascoltare. Se non siete iscritti ad iTunes e ancora non l’avete trovato nelle vostre playlist, non temete. Bono verrà presto di persona a casa vostra e vi costringerà ad ascoltarlo.
(voto 5/10)

"La Apple c'ha dato 100 milioni di dollari per un disco che ho scritto mentre ero sulla tavoletta del cesso.
Io sì che sono un genio della finanza.
Draghi, che aspetti a farmi una telefonata?"

lunedì 8 settembre 2014

LE MIE CANZONI PREFERITE - 30/21





Arriva una nuova decina di canzoni, prese dritte per dritte dalla Top 100 dei pezzi preferiti di sempre di Pensieri Cannibali.
Prima di poterle ascoltare, come al solito vi beccate il riepilogone delle puntate precedenti:


L'unica regola di questa Top 100?
Lo stesso artista/gruppo non può essere presente con più di un unico brano. Cosa che significa 100 canzoni per 100 artisti/band differenti.

"Sei pronto per una nuova decina di canzoni cannibali?"
"Ehm... veramente no!"

mercoledì 22 agosto 2012

Nell’ombra di Bono Vox (Chris Martin non ce l’ho con te)

Killing Bono
(UK, Irlanda 2011)
Regia: Nick Hamm
Cast: Ben Barnes, Robert Sheehan, Krysten Ritter, Pete Postlethwaite, Martin McCann, Luke Treadaway
Genere: quasi famosi
Se ti piace guarda anche: Almost Famous, Nowhere Boy, 24 Hour Party People, The Runaways, In viaggio con una rockstar

Ragioni per vedere questo film:
- È ambientato a Dublino e Londra
- È ambientato a Dublino e Londra, tra gli anni ’70 e ‘80
- C’è Robert Sheehan, (l’ormai ex) Nathan di Misfits
- Ultimo, e non meno importante: il protagonista odia Bono Vox degli U2

Perché, andiamo, chi non odia, almeno un pochino, Bono degli U2?
Vuoi per la musica, in progressivo calo nel corso degli ultimi anni ma, precisiamolo, per fortuna ancora lontana da cadere nello schifo assoluto vaschiano.
Vuoi per il personaggio che si è creato: quello da mezzo guru che sembra reggere sulle sue spalle il peso del mondo intero, quello che fa tanto l’alternativo e l’uomo del popolo e poi va a cena con i potenti della Terra, quello che insomma è sempre in mezzo ai coglioni!
Vuoi perché uno che sceglie di chiamarsi Bono Vox (Buona Voce) un po’ presuntuosetto lo sembra e probabilmente lo è.

Il protagonista di questo film però ha qualche ragione in più per non sopportarlo e per volerlo vedere addirittura morto. Protagonista della storia è Neil McCormick, oggi giornalista e scrittore, autore del libro autobiografico Killing Bono: I Was Bono's Doppelgänger da cui il film è tratto (nota a margine: è la prima volta che vedo la parola Doppelgänger usata all’infuori della serie The Vampire Diaries, pensavo l'avessero inventata lì).
Per quanto ispirata a fatti reali, credo la vicenda sia stata un po’ romanzata, ma in ogni caso questo Neil McCormick andava a scuola con Bono, The Edge, Adam Clayton e Larry Mullen, in quel di Dublino naturalmente, e aveva un gruppo musicale insieme al fratello. Quando il batterista Larry si è messo in testa di mettere su una sua band, il fratello di Neil, Ivan, si è proposto come chitarrista ed è stato ingaggiato insieme agli altri futuri U2. Neil però non ha voluto “cedere” loro il fratello e allora ha intimato a Bono di rifiutarlo. E così, mentre i quattro diventeranno gli U2, venderanno milioni di copie, si faranno modelle, finiranno sulle copertine delle riviste di musica e non solo, suoneranno ovunque, nuoteranno nell'oro e diventeranno stra-famosi persino oltre i loro reali meriti artistici, il povero Ian McCormick è rimasto a suonare, ignaro di tutto, insieme alla sfigatissima band del fratello.
Una vicenda in stile Pete Best, il quinto Beatle nonché il più famoso non-famoso nella storia della musica.
A interpretare questo povero ragazzo, o se preferite questo sfigatissimo ragazzo, ritroviamo l’ex Misfits - la serie tv, non la band - Robert Sheehan, la cui verve comica appare però decisamente sotto tono. Tra questa intepretazione non particolarmente eccezionale, il non memorabile Cherrybomb e il disastroso L’ultimo dei templari, sembra che pure lui non abbia fatto così bene a lasciare Misfits. Farà il destino del suo personaggio cinematografico? Gli auguriamo di no, però se in tv era già diventato un idolo ASSOLUTO nei panni di Nathan, al cinema deve ancora dimostrare parecchio. E al momento non lo sta facendo.

Inizio spazio preghiera a Robert Sheehan
Robert Sheehan, ti prego ascoltami: ritorna a Misfits. Andandontene ci hanno rimesso loro, visto che la serie è peggiorata. Ci hai rimesso tu che stai recitando - per di più male - in filmetti tutt’altro che eccezionali. Gli americani usano l’espressione “win win” quando tutti vincono, quando entrambe le parti ottengono ciò che vogliono. Qui invece possiamo parlare di “lose lose”. Una perdita per i Misfits e una perdita per te, Nathan, e per la tua carriera che, anziché decollare, potrebbe essere costretta a un rapido atterraggio d’emergenza. Ma non è ancora troppo tardi. Torna per la stagione 4 di Misfits e così siamo tutti contenti. Win win, right?
Fine spazio preghiera a Robert Sheehan



"Mio Dio, ragazzi, ma come diavolo vi siete vestiti?
Così mi fate morire ah ah ah!"
Questo comunque non è tanto un film sulla tragedia del povero Ian e non è nemmeno tanto un film sugli U2, che compaiono in versione sbarbatella a inizio film e ogni tanto qua e là. Questa è più che altro una storia su chi nel mondo della musica che conta non è entrato. Di chi c’è andato vicino, ma non è riuscito a lasciare il segno. È soprattutto la storia come detto di Neil McCormick, interpretato da un non del tutto convincente Ben Barnes (Le cronache di Narnia, Dorian Gray), un cantante carismatico, bello, affascinante, di talento e tormentato al punto giusto per diventare una rockstar venerata in tutto il mondo. Ne era convinto lui e tutto sembrava andare nella direzione giusta. Peccato che di mezzo ci fosse il piccolo Bono; anche se all’inizio non sembrava possedere il physique du rule da leader, a sorpresa decolla con la sua band, fa il pieno ai concerti, trova un contratto discografico, mentre Neil con il suo gruppo non riesce a sfondare. E da lì in poi è costretto a vivere sempre con l’ombra di Bono alle spalle, il fantasma di uno che ce l’ha fatta, ce l’ha fatta davvero, e il cui viso adesso sta appeso sulle pareti delle grandi città di tutto il mondo e persino sulle spille.
“Vuoi una spilla di Bono?” gli chiede un amico.
“Ti sembro un coglione?” risponde lui, perseguitato da questo confronto improponibile con una delle rockstar più famose e celebrate del globo intero.
C’è da dire però che pure lui certe sfighe se le va a cercare e, per orgoglio personale, rifiuterà l’aiuto dell’amiconemico Bono, che in questo film non ne esce nemmeno come uno stronzo colossale. Sarà che gli U2 hanno dato il loro benestare alla pellicola…

Che altro? La non fenomenale regia è di Nick Hamm, già dietro la macchina da presa per il discreto thrilla-horror The Hole. Le musiche fanno un po’ il verso a quelle degli iuciù, ma in realtà sono canzoni originali composte da un certo Joe Echo. Nel cast c’è Krysten Ritter, attrice già vista in Una mamma per amica e Breaking Bad e ora nella sitcom Don’t Trust the B**** in Apartment 23 nella parte della B**** del titolo, ed è sempre un bel rivedere. E c’è pure Pete Postlethwaite, attore scomparso nel gennaio 2011, che ci regala la sua ultimissima apparizione su schermo nei divertenti panni di un signore gay che affitta la casa ai due sfigati fratellini irlandesi.
Detto tutto questo, Killing Bono, per quanto un film caruccio che si lascia guardare con simpatia, è anche una visione che non travolge del tutto. Per essere una storia rock’n’roll non ha un gran ritmo, è eccessivamente lungo e alcune parti inutili si sarebbero potute tagliare senza traumi. Alla fine, piuttosto ironicamente, il film suona insomma un po’ come gli U2. Non quelli in forma dei primi tempi, né quelli ancora abbastanza interessanti degli anni Novanta, ma piuttosto come quelli degli ultimi album. Ovvero? Una bella delusione.
(voto 6/10)


giovedì 19 maggio 2011

BLOG WARS: IL RITORNO DEGLI 80s (PARTE II)

Persino la soldatessa Pat Benatar si deve arrendere
di fronte alla superiorità dell'esercito musicale cannibale
Ieri abbiamo visto e sentito i dischi della mia personale stupendissima lista del meglio targato anni 80.
Adesso ci tocca lasciare spazio democraticamente (certo che la democrazia a volte ha un prezzo davvero caro) anche alle scelte del mio rivale blogger Mr. James Ford, che mentre ha scritto la sua introduzione credo fosse strafatto. E non solo di White Russian...
Cannibal Kid

Giurati, Concittadini, Amici, prestatemi orecchio.
Sono qui perché in questo mondo ormai dimentico della luce del sole, esistono ancora individui in grado di credere nel caos e nella distruzione, persone che hanno reso i magnifici, impareggiabili, forse ingenui ma ugualmente entusiasmanti anni '80 una dimora di depressi e sconfitti, delusi di tutto quello che gli eroi dei seventies erano in grado di fare, e loro no.
Fortunatamente, per un Cannibale che inneggia alla caduta, c'è un Ford che, come un miltoniano Lucifero, dal profondo di quell'oscurità tanto voluta e cercata dal suo "divino" avversario, spiegherà una volta ancora le sue ali per portare il fuoco della passione alle porte di un Paradiso che pare ben più che perduto, a ben guardare la ben poco scintillante lista dell'avvocato Kid.
E se l'ordine costituito dal caos non vi piacerà, sappiate che l'appetito fordiano sarà sempre pronto a darvi una nuova possibilità di redenzione.
Ed ecco, per tornare tutti ad una nuova e più vitale dimensione, il lato b di questa esplosione eighties.
Che parlino i dischi. In fondo, per Voi sarà un piacere ascoltare.
MrFord

1. Guns n' Roses "Appetite for destruction" (1987)
Mr. James Ford Oltre ad essere una sorta di manifesto del rock e della fordianità, questo album STRATOSFERICO per potenza ed impatto è una sorta di greatest hits, considerato che nella tracklist possiamo trovare cose come Welcome to the jungle, It's so easy, Nightrain, Paradise City e Sweet child o'mine. Scusate se è poco.
Roba come questa è stata, è e sarà sempre troppo per i palati finti e debolucci come quello del Cannibale.
Sarebbe come pensare che un vegano magrolino e denutrito possa apprezzare una bella bistecca alla griglia in salsa chili neanche fosse lo Stone Cold della situazione.
Cannibal Kid Oh, questo è lo scontro che volevo. Finalmente hai finito con le tue menate alla Weather Report-Guccini volendo (senza successo) fare lo chic e viene fuori tutto il vero antagonismo tra il mio mondo e il tuo. Basta cazzate, questa è la sfida: cannibalismo puro VS. fordismo puro.
Smiths dalla mia parte, Guns'n'Roses dalla tua. Molto ma molto simbolico, direi che due band più diverse non si poteva proporle (oddio, forse giusto se mettevi i Metallica...).
Cose che non mi piacciono dei Guns: l'attitudine tamarra, la voce di Axl Rose che fa tanto il macho ma canta con quel miagolio acuto come se gli avessero appena asportato le palle, e soprattutto se c'è una cosa che non sopporto in musica (a parte la evve moscia di Guccini, ma quella nemmeno la considero musica), sono gli interminabili assoli di chitarra: cazzo menefrega di vedere Slash che si fa una sega di 12 minuti con la chitarra, in uno sfoggio di virtuosismo da nessuno richiesto. Kurt Cobain, chitarrista sicuramente meno bravo a un mero livello tecnico, con il solo riff di Smells like teen spirit ha mandato affanculo le ore e ore di pippe virtuosistiche di Slash & company, spedendoli per sempre nel dimenticatoio del trash metal anni '80. Che poi Axl c'ha messo 20 anni per tirare fuori un disco nuovo e se n'è uscito con Chinese Democracy, una robetta che il mio falegname con 30mila delle vecchie lire la fa meglio. Come diceva Kurt riprendendo il tuo amato Neil Young: meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente.
E comunque dai a me del distruttore e poi hai appetito per la distruzione? L’appetite che ho io è invece per la carne umana e la tua me la sparo giù in un morso manco fosse un happy meal!
JF Il mio appetito, caro Cannibale, è troppo grande per tutti i tuoi happy meal da teen senza speranze. E io mi mangio loro, te e anche il tuo amico Kurt, sempre che non si bruci sulla griglia prima. E finalmente abbiamo uno degli scontri più epici del cannibalfordiano pensiero.

Dov'è il divertimento promesso, Ford?
Anche Battiato si sta annoiando...
2. Franco Battiato "La voce del padrone" (1981)
JF Uno dei dischi più importanti della musica leggera italiana, perfetto connubio di pop, elettronica e sperimentazione, con una strizzata d'occhio alla hit da grande pubblico - chi non ha mai cantato almeno una volta Cucurucucu o Centro di gravità permanente? -.
So già che il nostro Joker dei poveri cercherà di ritorcermi contro l'accusativo radical chic, trovando un titolo come questo nella mia lista al posto dei preventivati - almeno da lui - dischi da metallari capelloni super eighties. Ma non ce la farà. Come sempre, del resto.
CK Oltre a darmi del distruttore, com'è noto mi dai spesso (sempre) anche del radical-chic, e poi vai a scegliere il radical-chic per eccellenza? Evviva la coerenza, Ford!
Comunque ci sta Battiato e questo è uno dei dischi simbolo degli anni Ottanta italiani. A me comunque personalmente non entusiasma molto a livello vocale e poi non mi piace circondarmi troppo di radicals, voglio essere io il più chic!

Si divertono proprio tutti, Mr. Ford!
3. Tom Waits "Rain dogs" (1985)
JF Un vero gioiello di poesia di strada, alcool, donne e delta fumosi in grado di portare dritti alla perdizione, ma sempre con un sorriso ironico e beffardo stampato sul volto.
Il mardi gras del rock, tutto il sornione diavolo che ghermisce le anime di chi sente ribollire la passione per la vita e per la musica.
Ian Curtis non ce l'ha fatta per un pelo. Ahahah.
CK Ecco il tuo tanto amato genere circense di nuovo alla ribalta con il Tom Aspetta che adesso sono troppo ubriaco per cantare! Qui non ci vedo niente di strano: le tue scelte musicali infatti sono davvero da clown. E io odio i clown!
Le tue (ennesime) parole sprecate su Ian Curtis si commentano da sole, anche perché nella sua breve vita ha lasciato un segno che il tuo Axl Rose manco campasse 3.000 anni...
JF Avrei voluto rispondere per le rime ai tuoi clown, ai tuoi Curtis e al non bisogno di Axl Rose di lasciare un segno che ha già tracciato indelebile nella Storia del rock, ma la tua agghiacciante battuta su Tom Aspetta è talmente terribile da non permettermi di infierire ulteriormente.

Ma che c'entriamo noi con la classifica di 'sto Mr. Ford?
4. Pixies "Surfer rosa" (1988)
JF I veri innovatori della scena rock, responsabili della fine del sogno degli eighties e traghettatori dei cuori dei fan fin dentro all'oscurità dei nineties già pronti a chiedere dazio dopo un decennio vissuto, per la maggior parte, ottenebrati dal successo e dall'idea che tutto potesse davvero finire bene.
Mostri sacri per un disco sacro, che ogni vero appassionato di musica dovrebbe possedere, ascoltare e diffondere. Una specie di culto.
I Pixies sono come il tramonto sull'oceano che fu dei Beach boys: impossibile non saltare sulla tavola e sperare nell'onda perfetta che ci porti a fondo.
CK Ma appena pochi giorni fa non dicevi che suonavano ormai sorpassati? Cos’è, un ironico tentativo di un cowboy di spacciarsi per indie? Stai solo attento alle frecce…
JF Io le frecce le uso come spiedini per le grigliate, Cannibale. Non ricordo - a meno che non avessi ecceduto nell'alzare il gomito - di aver mai affermato che i Pixies fossero superati. Che fai, modifichi le informazioni a tuo vantaggio come chi sappiamo noi!?
CK In un commento mi dicevi che secondo te i dischi di Nirvana e Pixies sono invecchiati male, cosa che detta da uno che ascolta ancora i Guns con la bandana in testa fa davvero ridere... Ma magari ricordo male e ti riferivi solo ai Nirvana, cosa che è comunque una bestialità da dire!
JF Effettivamente l'ho detto, e continuo a pensare che i dischi di Pixies e Nirvana siano invecchiati male. Questo però non toglie che abbiano prodotto album fondamentali per i loro rispettivi decenni. Ma se io sono la Bestia, tu saresti la bella? O per caso Bella?
CK Tu sei la bestia, I am the best!


5. Beastie Boys "Licensed to ill" (1985)
JF In risposta al rap cannibalistico di ieri e per celebrare uno dei più grandi gruppi hip hop - ma non solo - di sempre, ecco qui la celeberrima "(You gotta fight) for your Ford (to party)". Dj, hit it!

Quando rilassato dormirai nel tuo letto,
ecco che il buon Ozzy dirà Cannibaletto,
qui di ragazzine non ne vogliamo,
lacrime di Jack Daniels noi beviamo.

Se con noi vuoi cavalcare,
devi esser pronto a bottigliaaaaaaaaareeeeeee.

Ti ho visto andare in giro dandoti un tono,
dicendo sono il caos certo non sono un buono,
predichi innovazione ma tu vuoi una moda,
confondi il silicone con una tetta soda.

Se con noi vuoi cavalcare,
devi esser pronto a bottigliaaaaaaaareeeeee.

Con noi di complimenti sei sempre parco,
che cazzo te la meni Mr. Donnie Darko,
tanto lo sappiamo, vuoi venir con noi,
i sempre Incredibili Ford boys!

Se con noi vuoi cavalcare,
devi essere pronto a bottigliaaaaaaaareeeee.

CK
Bello, bello, c'è anche il ritornello
ma mentre tu te la canti come un fringuello
qui io pianto su un bordello
e ti pianto giù il Ford Castello
faccio più ferite di un coltello
guarda zitto mentre ti sbudello
il tamarro va' a farlo al Grande Fratello
che ora io i tuoi dischi te li sfracello

Riguardo ai Beastie, splendido disco di rap-rock, anche se diciamo che è un po' l'unico album hip-hop che i rockettari sfoggiano per fare quelli di (finte) larghe vedute, per poi sentirsi solo Fight for your right e i pezzi con le chitarre elettriche e skippare il resto. Ma sono sicuro non sia il tuo caso…

JF
Pianti così tanto, vuoi fare una foresta!?
Ma non l'hai capito, da te non c'è la festa!
Solo un gruppo di depressi, il medico lo attesta,
Ian e Kurt e Sid, malati nella testa!
Ma sulla Harley giunge, con la lancia in resta,
il gringo solitario che non conosce siesta.
Con le sue pistole scatena la tempesta,
attento, Cannibale, ti farà abbassar la cresta!

Forse dovremmo darci al rap, che dici!?


6. Tracy Chapman "Tracy Chapman" (1988)
JF Uno degli esordi più devastanti del rock, un disco delicato, intimista, tra i capisaldi del mio personale percorso "strappo", ovvero come farsi stritolare dalla malinconia aspettando la sbronza triste e cercare una pausa dal vecchio Neil Young, Maestro del genere.
Un album che sa di autunno, di vento freddo pronto a raccogliere le ultime foglie dai rami, ma anche di un focolare che ci aspetta a casa, ovunque quel "casa" sia.
E Talkin' about a revolution e Fast car sono pezzi ormai immortali.
CK Quando stavo già per invocare le quote rosa, ecco che finalmente mi tiri fuori un nome femminile in mezzo ai tuoi finti-macho. Peccato che, tra tutte le spettacolari cantanti degli 80s, mi hai tirato fuori il nome più noioso, cosa che di fatto non fa una grinza con il barboso fordismo. Il disco però non è affatto brutto, anzi, per addormentarsi è un’alternativa perfetta ai Weather Report!


7. Michael Jackson "Thriller" (1982)
JF Sono stato combattuto fino all'ultimo sul fatto di inserire Jacko nella decina: personalmente, l'ho sempre trovato artisticamente incredibile, nonchè una vera icona e una macchina da soldi come, forse, solo i Beatles e Madonna sono stati, prima che le boyband scuotessero il panorama mondiale a partire dagli anni novanta.
Penso che Bad sia il mio titolo preferito nella discografia del camaleontico moonwalker, ma se c'era un album che meritava di rappresentarlo in questo omaggio era senz'altro Thriller, uno dei dischi dalla produzione più impressionante della storia della musica.
Inoltre, nessuno, ma proprio nessuno, può resistere a pezzi come Beat it o Billie Jean.
CK Disco fondamentale. Io non l'ho inserito perché pur piacendomi non l'ho mai amato del tutto e non ho mai sentito la musica del buon Jacko al 100% mia. Comunque evito facili battuttacce sul suo conto per rispetto, non tanto perché è morto ma perché è stato un grande artista e i grandi se lo meritano sempre.
D'altra parte solo un mostro come te può prendere di mira talenti come Ian Curtis o Kurt Cobain e quindi si merita che i morti-viventi lo vengano a stanare di notte come nel video di "Thriller".
Awww


8. U2 "The Joshua tree" (1987)
JF Parlando di produzioni monumentali, non può mancare l'opera più incredibile dei poco simpatici ma assolutamente unici Bono&Friends, costruita in cabina di regia da Brian Eno - mica uno qualsiasi - ed esemplare per pulizia di suono, impatto e forza espressiva. La Storia della Musica - degli anni ottanta e non solo - passa tutta attraverso il viaggio interiore degli U2 guidati dallo sciamanico Eno: amore, morte, misticismo, natura e umanità shakerate dai riff di Edge e dalla voce di Bono, quando ancora il suo delirio di onnipotenza era ad un livello tutto sommato accettabile.
CK A differenza di Thriller, questo per me invece non è poi un disco così fondamentale degli 80s. Spettacolare "With or without you", ballad grandiosa dagli splendidi riverberi, così come "I still haven't found". Il resto non mi piace granché, con qualche urlo di Bono e qualche eccesso epico da rockone da stadio di troppo. E a proposito: i Queen e il Vasco ce li hai risparmiati? Non me l'aspettavo. Li hai nascosti per non fare figuracce, un po' come quelli che votano Berlusconi ma non lo dicono?
Comunque lo so che with or without this record vorresti tirare un sacco, ma proprio un sacco di bottigliate a quel Bono. Forse persino più che a me!
JF In questo caso mi tocca concordare. A Bono rifilerei volentieri più bottigliate che a te. Ma questo non va ad intaccare la grandezza di un disco straordinario.

Ma questo è un cantante o uno di una soap?
9. Rick Springfield "Working class dog" (1981)
JF Un disco inserito a sorpresa per l'autore di uno dei singoli del decennio: Jessie's girl, pezzo dirompente già sentito in Boogie nights e Glee, emblema del rock energico, sbruffone e romantico che nel corso di questo decennio è stato la fortuna di tanti gruppi che continuo ad amare nostalgicamente ancora oggi.
Inoltre, ad aggiungere il fatto che Jessie's girl è stato la colonna sonora di momenti memorabili della mia crescita, c'è il fatto che il buon Springfield sia australiano - punto a favore a priori, in casa Ford - e che questo disco fin troppo poco conosciuto in Italia sia, in realtà, uno degli esordi migliori del cantautorato rock del periodo. Da recuperare senza dubbio, magari insieme al disco successivo, pietre miliari dell'innocenza - ma neanche troppo - eighties prima del declino depresso dei nineties.
CK Io sono un fan del genere teen e lo ammetto. Tu che giochi tanto a fare il duro poi invece c'avevi appeso in cameretta il poster di Rick Springfield e sospiravi (sospiri ancora?) al solo sentire il suo nome, vero? "Jessie's girl" è una gran bella canzone e piace anche a me, proprio in quanto teen. Il resto del disco invece, un po' come molti tra quelli degli one-hit wonder, è decisamente inutile e modesto.
E l’unica cosa deprimente dei 90s saranno le tue scelte musicali… quindi è meglio se vai già adesso preventivamente a ciuccarti il calzino insieme al tuo Springfield!
JF Springfield è un pò la mia mascotte, e in quanto tale è praticamente sacro.
Questo senza contare che Jessie's girl è uno dei cinque singoli del decennio e il disco è un perfetto esempio dell'ingenuità dell'epoca. Criticarlo sarebbe un pò come stroncare I Goonies. E tu sei un Goonie, non è vero!?
CK I Goonies è un film bello dall'inizio alla fine. Sto qua ha fatto una sola misera canzone decente, mentre il resto del disco fa pena.
JF Sempre più miscredente, a trattare così uno dei simboli degli anni ottanta. L'ho sempre detto, che sei più figlio dei nineties!


10. Bruce Springsteen "Born in the U. S. A." (1984)
JF Qui c'è il Boss.
Born in the U. S. A., I'm on fire.
Roba grossa.
Dritto filato nella decina, all'interno della quale non avrebbero sfigurato anche The river e Nebraska.
E non c'è Cannibale anglofono con i lacrimoni che tenga.
This is rock!
CK Mi stavo chiedendo quando cazzo ti saresti deciso a mettere il Boss. Così è una sfida ad armi pari. Non metterlo sarebbe sì una decisione sorprendente, però non ti rappresenterebbe davvero in pieno; un po’ come se io non mettessi quei piagnoni dei miei Smiths… Comunque solo al decimo posto il simbolo della tamarragine rock per eccellenza Born in the U.S.A. dietro persino a Bono e a Rick Springfield? Così non deludi me, ma il Bruce. Vergognati, Jimmy Ford, ti ha già cancellato dal suo fans club!
Contro Springsteen non ho niente. Non è magari il mio ascolto ideale, però a piccole dosi mi piace anche, sebbene per fare il Mr. Ford rompiballe della situazione devo dire che non hai scelto il suo disco migliore.
Certo che ti immagino proprio mentre ti esalti a cantare a squarciagola: "I was born in the U.S.A., I was born in the U.S.A." ma comunque no, sorry Fordy, you were born in Milan...
JF Milan, Louisiana, Cannibale. O Alabama, se preferisci. Per non dire Texas.
La frontiera è mia.
E a proposito, la mia non è una lista modello classifica. I dischi sono in ordine sparso.

Pronti per la più epica delle battaglie cui avrete mai la (s)fortuna di assistere?
Arriva la settimana prossima, con la super sfida degli anni 90.

domenica 29 agosto 2010

Believe

Henry Poole lassù qualcuno ti ama
(USA, 2008)
Titolo originale: Henry Poole is here
Regia: Mark Pellington
Cast: Luke Wilson, Radha Mitchell, Adriana Barraza, Morgan Lily, George Lopez
Links: imdb, mymovies
Potete trovare il film in DVD, oppure in streaming QUI

Mark Pellington è un regista che adoro. Arlington Road e The Mothman Prophecies rappresentano una doppietta di thriller per me tra i migliori degli ultimi 15 anni. Il primo nel 1999 ha anticipato le tematiche del terrorismo che irrompe nella vita di tutti i giorni, tanto di moda nel post 11 settembre, il secondo ha virato ottimamente in una direzione horror fantasy visionario alla Donnie Darko. Pellington è poi anche tra i creatori (e regista di alcuni dei migliori episodi) di Cold Case, una delle poche serie crime che riesco a vedere, visto che si allontana dalla solita routine dei glaciali CSI per proporre in ogni puntata dei veri e propri viaggi nel tempo, accompagnati sempre da una azzeccatissima colonna sonora.
Come regista di videoclip, Pellington ha quindi fatto cose pregevoli come “Jeremy” dei Pearl Jam, “We’re in this together” dei Nine Inch Nails, “Best of you” dei Foo Fighters e “One” degli U2 (la versione con i bufali). Tutto questo popò di curriculum però evidentemente non basta per farlo entrare tra quelli che la critica considera i grandi Autori del cinema di oggi. Pazienza. Almeno io comunque lo considero come tale.


Di questo suo ultimo Harry Poole is here, passato molto inosservato e da noi uscito solo in DVD, c’è però da dire che non è effettivamente il suo lavoro migliore. Il film parte in sordina, ma poi lentamente decolla, seppure non riesca a spiccare il volo come un jet confortevole e supersonico. Diciamo più che altro che fa fare un viaggio moderatamente tranquillo come con Ryanair: non ha molti comfort, ma sa comunque raggiungere la meta in maniera efficace e a buon prezzo.
La storia è quella di un uomo (un inespressivo, ma probabilmente era il copione a richiederlo, Luke Wilson) che torna nei suburbi (alla Arcade Fire) della sua infanzia totalmente privo di stimoli e di voglia di vivere. Nel corso del film scopriremo il perché.

La tematica principale qui affrontata è molto pericolosa: l’eterno scontro tra fede e ragione. Si può davvero credere nei miracoli? Sono solo credenze popolari? Le cose possono davvero, intendo radicalmente, cambiare? I sentieri qui scelti per fortuna non scadono troppo nel mistico e lasciano aperta la riflessione.
Il valore aggiunto della pellicola sta però principalmente in una regia che procede tranquilla per poi inventarsi all’improvviso qualche guizzo che aggiunge valore a una storia che qualcuno potrà trovare troppo spirituale e buonista, e forse un po’ è davvero così. Però quando arriva un finale con una delle canzoni che più mi commuovono in assoluto come “Promises” di Badly Drawn Boy, beh: che la ragione si fotta.
(voto 6,5)

(solito velo pietoso da stendere sul titolo italiano…)

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