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lunedì 9 giugno 2014

GRAND BUDAPEST MATRIOSKA




Correva l’anno 2014. Sì, lo ricordo bene. Era appena uscito il mio ultimo film, Grand Budapest Hotel. Ne ero molto fiero perché rappresentava bene tutto il mio cinema, il mio intero stile racchiuso in un’opera sola. Con un po’ di timore, all’epoca andai a cercare alcuni commenti in rete. Tra di essi ve n’erano molti positivi, alcuni entusiastici, ma ce n’era uno che mi lasciò piuttosto perplesso. Il sito lo ricordo perché aveva un nome molto particolare, si chiamava Pensieri Cannibali. Cannibal Thoughts. WTF? All’epoca uscivo con una studentessa universitaria italiana e, per migliorare la mia conoscenza della lingua, cercavo recensioni delle mie pellicole scritte in quello strano idioma. Non capivo ogni singola parola, però comprendevo il senso generale. Nella sua recensione l’autore del blog, un certo Cannibal Kid, apprezzava il mio Grand Budapest Hotel, ma allo stesso tempo lo considerava un lavoro incompiuto. Ricordo che commentai il post scrivendo: “Non dire stronzate, ragazzo cannibale. Questo è il mio film più bellissimo!”.
Lui rispose: “Ma impara l’italiano, Wes Anderson!”
E io contro ribattei dicendo: “Un giorno lo farò, stronzetto, un giorno lo farò!”
In quel periodo mi trasferii in Italia, cominciai a girare lì i miei film, abbandonai i miei soliti affezionati attori feticcio come Bill Murray, Adrien Brody, Tilda Swinton, Jason Schwartzman, Owen Wilson e gli altri e scoprii nuovi straordinari attori locali come Gabriel Garko, Francesco Arca, Elisabetta Canalis. Mi misi anche a collaborare con grandi intellettuali italiani come i fratelli Vanzina ma, chissà perché, da allora la critica internazionale mi voltò le spalle. Tutti, tranne Cannibal Kid. Dopo quel nostro acceso primo scontro verbale, diventammo grandi amici e lo siamo tutt'ora. Adesso allora mi è venuta la curiosità di andare a recuperare la sua vecchia recensione su Pensieri Cannibali del mio Grand Budapest Hotel. Chissà, magari non aveva poi tutti i torti...

Grand Budapest Hotel
(USA, Germania 2014)
Titolo originale: The Grand Budapest Hotel
Regia: Wes Anderson
Sceneggiatura: Wes Anderson
Ispirato ai lavori di: Stefan Zweig
Cast: Ralph Fiennes, Tony Revolori, Saoirse Ronan, Tom Wilkinson, Jude Law, F. Murray Abraham, Adrien Brody, Willem Dafoe, Mathieu Amalric, Tilda Swinton, Harvey Keitel, Jeff Goldblum, Léa Seydoux, Jason Schwartzman, Owen Wilson, Bob Balaman, Fisher Stevens, Giselda Volodi
Genere: wesandersoniano
Se ti piace guarda anche: Fantastic Mr. Fox, Le avventure acquatiche di Steve Zissou, I Tenenbaum

Grand figlio di buona donna, Wes Anderson. I suoi film sono sempre dei dolcetti deliziosi, ma dal gusto spesso dolceamaro. Dei dolcetti che vanno scartati con cura, come nel caso di Grand Budapest Hotel, un film stratificato, costruito con una cura mostruosa, con un’attenzione a ogni più piccolo dettaglio pazzesca. Riguardo a quest’ultima pellicola, ho sentito soprattutto due tipi di pareri: i primi sono quelli degli hipster del tutto esaltati come questa.


E poi ci sono quelli più tiepidi, che parlano invece di sterile esercizio di stile. A me le vie di mezzo non piacciono, però per una volta devo schierarmi nel partito dei dannati moderati. La verità, almeno in questo caso, forse sta davvero nel mezzo.
Da una parte, Grand Budapest Hotel è un film diretto alla grande. Wes Anderson raggiunge qui una fluidità di movimenti della macchina da presa, e anche della narrazione, come mai prima d’ora. A livello estetico, il soggiorno in questo hotel è davvero un piacere per gli occhi. Un incanto continuo, ricco di trovate registiche come l'alternarsi del formato in 16:9 con quello in 4:3. Anche in quanto a sceneggiatura, Wes Anderson tira fuori dei lampi di genio, delle chicche notevoli, dei momenti spassosi. Grand Budapest Hotel è un inno alla narrazione, a partire dalla sua struttura a scatole cinesi, ma vista l’ambientazione esteuropea è meglio dire in stile matrioska, di racconto nel racconto nel racconto nel racconto.

Dall’altra parte Grand Budapest Hotel è un film volutamente monco, diviso in 5 capitoli che sarebbero dovuti essere 6. Manca quello dedicato ad Agatha, il personaggio di Saoirse Ronan. Il narratore, il Lobby Boy dell'hotel ormai cresciuto, decide di troncare quasi del tutto quella parte del racconto, una pagina ancora troppo dolorosa della sua vita. Si ha così la sensazione che manchi qualcosa, qualcosa di fondamentale, che sarebbe stato capace di trasformare la pellicola da splendida esperienza estetica, a visione anche davvero emozionante. Grand Budapest Hotel è un film matrioska che rivela poco a poco i suoi strati, ma alla fine decide di non mostrarci l’ultimo. Il cuore.

Grazie al suo senso dell’umorismo particolare, e qui più incisivo e nero del solito, Wes Anderson ci regala un’ottima macchina da intrattenimento a metà strada tra commedia e thriller. L’impressione è però quella di un film che parla più al cervello che al cuore. Impressione confermata dai molti riferimenti più o meno ricercati, dalle comedy slapstick de ‘na vorta al cinema muto, dalle vaghe implicazioni politiche fino alla dedica finale a Stefan Zweig, come viene ben spiegato in questo post del blog La balena bianca:

A sciogliere i nostri dubbi, ecco che giunge la dedica finale: a Stefan Zweig.
Tutto all’improvviso si fa chiaro, semplice, quasi commovente. Un’opera così cesellata, dalla finezza e dalle atmosfere mitteleuropee, non poteva che rifarsi a questo romanziere di inizio novecento, troppo rapidamente dimenticato dopo la sua tragica morte. Caso eccezionale quello dello scrittore austriaco, autore prolifico e dal successo mondiale (le sue opere vennero tradotte in cinquanta lingue), egli può essere considerato il primo autore di bestseller dell’età contemporanea, le avventure da lui descritte spaziavano dai viaggi in terre esotiche ai drammi più sottilmente psicologici, e i suoi protagonisti, come ci ricorda Silvia Montis nell’introduzione a una delle sue raccolte, erano “eroi involontari a confronto con un interrogativo epocale, sui quali si è abbattuto il pesante sigillo della Storia”, proprio come i due protagonisti di Grand Budapest Hotel, semplici inservienti nella bufera dei mutamenti geopolitici. Ma la vicinanza di Anderson allo scrittore austriaco è ben più profonda, di natura stilistica; assistiamo infatti a un evento sensazionale: la traduzione perfetta di un linguaggio letterario nel suo omologo cinematografico. Perché se i film di Anderson appaiono come giochi dal meccanismo perfetto, essenziali e impreziositi dalla cura del dettaglio, sempre la Montis ci ricorda che Zweig era “un cultore della rinuncia, dell’editing a levare anziché a irrobustire, del dettaglio fatale nascosto in un umile aggettivo anziché esplorato in un passaggio auto compiaciuto. Distillava, tagliava, asciugava: il movimento era sempre mirato. Il racconto, un congegno a orologeria”.
Wes Anderson, dunque, con questa dedica, svela molto più di quanto si possa pensare. L’opera di Zweig non è una semplice ispirazione, ma un modello di poetica e di intenti, quasi il regista americano volesse seguire persino la stessa sorte dell’autore austriaco, spazzato via dalla storia della letteratura contemporanea, colpevole di intransigenza formale.

Quanto a me, come detto sto nel mezzo. Lunga da me accusare Wes Anderson di intransigenza formale, devo ammettere che nel caso di Grand Budapest Hotel è la forma ad avermi colpito di più rispetto ai contenuti. Sarà perché io in generale sono un fan della forma (e soprattutto delle forme).
Nonostante qualche lampo di umanità, i personaggi che popolano il Grand Budapest Hotel e i suoi dintorni non riescono a trasformarsi del tutto in persone in carne e ossa, come invece capitava nel precedente stupendo e quello sì davvero toccante film del regista Moonrise Kingdom. Ma probabilmente è solo colpa mia. Avrei voluto meno Ralph Fiennes, attore che continuo a non sopportare, e più Saoirse Ronan! È quasi come se Wes Anderson in fase di montaggio avesse fatto il Terrence Malick della situazione e avesse sforbiciato di brutto il suo personaggio. Quello che avrebbe potuto regalare più emozioni a un film che invece resta una visione molto da Est Europa. Un’affascinante quanto fredda matrioska.
(voto 7,5/10)

Questo era quanto diceva Cannibal Kid su Pensieri Cannibali nell’ormai lontano 2014. Ora che parlo perfettamente l’italiano, ho capito fino in fondo l’intero contenuto del post. La mia impressione rispetto ad allora però non è cambiata e la ribadisco ancora una volta: “Non dire stronzate, ragazzo cannibale. Questo è il mio film più bellissimo!”.
Wes Anderson

venerdì 29 marzo 2013

MARO’, CHE BELLO VIAGGIARE IN INDIA


Celo celo, manca.
Spulciando nella filmografia di Wes Anderson, mi sono reso conto che mi mancavano ancora 2 film: l’esordio assoluto Un colpo da dilettanti e Il treno per il Darjeeling. Il primo vedrò di vederlo vedere prossimamente, il secondo me lo sono recuperato ora, anche perché ho sentito pareri che lo mettevano addirittura al primo posto nella classifica dei film wesandersoniani. I soliti esagerati!
Ma il primo vagone di questo post-treno, tutto di prima classe, è dedicato al cortometraggio che anticipa la pellicola…
Salite a bordo e buon viaggio.

VAGONE 1
Hotel Chevalier
(cortometraggio, USA, Francia 2007)
Regia: Wes Anderson
Sceneggiatura: Wes Anderson
Cast: Jason Schwartzman, Natalie Portman

Si potrebbe scrivere una tesi di laurea o un trattato filosofico su questo cortometraggio. Per evitare di tediarvi, fate prima a vedervelo che dura appena 13 minuti, titoli di coda compresi. Non dovete nemmeno sbattervi troppo che ve lo sbatto qua sotto. In versione sottotitolata in italiano, cosa pretendete di più? Fare sesso con Natalie Portman?
Eh, ciao belli, per adesso potete accontentarvi di vederla ignuda nel suddetto cortometraggio. Ma no, non mostra la patatina, brutti pervertiti.
Riguardo al corto, evito tesi e trattati dicendo che è una breve introduzione all’apatico personaggio interpretato da Jason Schwartzman ne Il treno per il Darjeeling ed è una piccola scheggia di raffinato wesandersonismo, con tanto di dialoghi ironici, musica che puzza di 60s, atmosfere parigine e… Natalie Portman ignuda, l’ho già detto?
(voto 6,5/10)



VAGONE 2
Il treno per il Darjeeling
(USA 2007)
Titolo originale: The Darjeeling Limited
Regia: Wes Anderson
Sceneggiatura: Wes Anderson, Roman Coppola, Jason Schwartzman
Cast: Owen Wilson, Jason Schwartzman, Adrien Brody, Wallace Wolodarsky, Amara Karan, Waris Ahluwalia, Bill Murray, Anjelica Huston, Barbet Schroeder, Irrfan Khan, Camilla Rutherford, Natalie Portman
Genere: on the road on the rotaia
Se ti piace guarda anche: Little Miss Sunshine, I Tenenbaum, Sideways, Un biglietto in due

"Ti prego Cannibal, promuovi il nostro film!"
Biglietti!
Biglietti, prego!
Siete saliti sulla carrozza di questo post a vagoni solo per vedere Natalie Portman come mammeta l’ha fatta?
Bravi, però adesso potete rimanere seduti che Il treno per il Darjeeling è un viaggio piacevole assai. Questo è il pregio forse maggiore del cinema di Wes Anderson, almeno quando è riuscito, cioè sempre tranne nel caso del soporifero Le avventure acquatiche di Steve Zissou. Wes Anderson possiede il dono raro di riuscire a essere leggero senza apparire stupido, e di dire cose profonde in maniera delicata.
L’altro grande pregio di Wes Anderson, che qualcuno può trovare un difetto ma cavoli suoi, è che è un hipster totale. Possiamo dire che è il regista hipster per eccellenza. Sull’arte di essere un hipster avevo già dedicato un post a parte, ma senza stare a rivangare cose già vangate, possiamo dire brevemente che all’interno del suo cinema sono ravvisabili le tendenze principali dell’hipster modello: innanzitutto è indie. Non sei indie? Allora non sei hipster e se non sei hipster non sei indie e se ti credi di essere hipster non sei hipster ma forse sei comunque indie.
Inoltre, da bravo hipster, Wes Anderson e i suoi personaggi sfoggiano un gusto raffinato e allo stesso tempo stralunato. Perché se sei normale non sei hipster.
Infine, per essere un hipster degno di questo nome, è necessaria anche una passione per le cose vintage e retrò. E chi meglio di Wes Anderson, fissato com’è con gli anni Sessanta? Nonostante il suo unico film effettivamente ambientato in quel decennio sia l’ultimo stupendo Moonrise Kingdom,(I Tenenbaum invece viaggia fino ai 70s), anche gli altri sono immersi in un’atmosfera molto 60s per stile, abiti e musiche. Qui infatti non mancano brani 60s indiani, una spruzzata di Kinks, “Les Champs Élysées” di Joe Dassin che un tocco francese fa ancora più chic, e il momento emotivamente più emotivo sulle note di “Play With Fire” dei Rolling Stones.

"Anche voi state cominciando a rimpiangere Trenitalia?"
Il treno per il Darjeeling è quindi un’altra corsa sul treno del cinema di Wes Anderson, con le sue canzoni, il suo stile, i suoi attori feticcio e che riprende qui la tematica famigliare come ne I Tenenbaum e Fantastic Mr. Fox. Owen Wilson, tutto fatto su perché ha avuto un incidente, ha deciso di organizzare un viaggio in India insieme ai due fratelli con cui non aveva più parlato dopo il funerale del padre. Un viaggio per riallacciare i rapporti con loro ma anche un viaggio, almeno nelle intenzioni, spirituale. Ovviamente, i tre fratelli sono uno più strambo e particolare dell’altro: il playboy sui generis interpretato da Jason Schwartzman, già idolo incontrastato di Rushmore così come della serie Bored to Death, Adrien Brody in crisi esistenziale perché sta per diventare papà e poi l’incidentato già citato Owen Wilson.

Nel cast non mancano le apparizioni di altri volti tipici del cinema wesandersoniano come Bill Murray e Anjelica Huston, mentre a livello registico Wes gioca con le zoommate alla Sergio Leone e i ralenty, che regalano alla pellicola una precisa cifra stilistica. La sceneggiatura è molto semplice, ma all’interno di questo particolare on the road movie che procede dritto per dritto (o quasi) sulle rotaie, Anderson riesce a infilare anche valori famigliari e spirituali con il suo tipico tono delicato e ironico.
A funzionare sono però soprattutto i tre strepitosi protagonisti, tanto che si vorrebbe viaggiare ancora con loro, da qualche altra parte. Si vorrebbe sapere qualcosa in più su questi personaggi e il cortometraggio iniziale, così come il flashback ambientato il giorno del funerale del padre, non bastano. No.
Propongo allora a Wes Anderson di realizzare un cinepanettone hipster ogni anno: dopo Vacanze in Darjeeling, voglio vedere questi tre anche a Cortina, Miami e sul Nilo!
(voto 7,5/10)

P.S. No, non ho fatto battute su un film indie ambientato in India, e allora?

VAGONE 3
Prada Candy
(spot, 2013)
Regia: Wes Anderson e Roman Coppola
Cast: Léa Seydoux, Peter Gadiot, Rodolphe Pauly


Abbiamo aperto con un corto ambientato a Parigi e chiudiamo con un corto ambientato a Parigi. Come non detto: con 3 corti, sponsored by nientepopodimeno che Prada, mica pizza e fichi.
Si tratta di 3 pubblicità dirette da Wes Anderson insieme al fido Roman Coppola (da solo non ce la poteva fare) del nuovo profumo Prada Candy L'Eau con protagonista la seducente Léa Seydoux.
No, non sono stato pagato da Prada per questa marketta, ma se volessero farlo a me andrebbe très bien.






martedì 26 giugno 2012

Detachment - Il distacco della retina per eccesso di bellezza

"Ragazzi, oggi lezione di cinema: verrò a trovarci Cannibal Kid..."
Detachment - Il distacco
(USA 2011)
Regia: Tony Kaye
Cast: Adrien Brody, Sami Gayle, Christina Hendricks, Betty Kaye, Marcia Gay Harden, James Caan, Lucy Liu, Bryan Cranston, Blythe Danner, Tim Blake Nelson, William Petersen, Celia Au, Renée Felice Smith
Genere: educational (non Rai)
Se ti piace guarda anche: La classe, American History X, Afterschool, Elephant

Apriamo il file Tony Kaye: chi è e che fine aveva fatto?
Tony Kaye è il regista di American History X, pellicola strepitosa del 1998 che riusciva a parlare di razzismo e neo-nazismo in maniera dura, cruda, nuda, senza moralismi o buonismi assortiti e con un Edward Norton impossibile da dimenticare con quella svastica tatuata sul petto. Una delle intepretazioni più magistrali nella storia del cinema incredibilmente non premiata con l’Oscar. Quell’anno hanno preferito consegnarlo nelle mani del nostro Roberto Benigni. L’unico attore italiano uomo di sempre ad aver avuto l’Oscar di miglior protagonista (tra le nostre attrici ce l’hanno invece fatta Anna Magnani e Sophia Loren) e lo vanno a dare al pur simpatico Benigni, recitativamente nemmeno lontanamente paragonabile all’American Norton X? Robe da non credere…
File Norton messo da parte in un’altra cartella, torniamo al file Tony Kaye. Al di là dell’interpretazione enorme del suo protagonista, American History X era un film girato alla grande, in grado di coniugare un cinema indie con qualche tentazione sperimentale al racconto preciso e puntuale di una storia. E che storia.

"Chi preferisce lasciare l'aula piuttosto che sentir parlare Cannibal Kid?"
Dopo quel gran film d’esordio, Tony Kaye è sparito dai radar, almeno di quelli del “cinema che conta” (scusate se non ho trovato una definizione migliore). Nel 2004 ha girato Snowblind, nel 2007 Lobby Lobster, nel 2009 Black Water Transit. Qualcuno li ha visti? Qualcuno li ha anche solo sentiti nominare? Si tratta di pellicole indipendenti, senza nomi di richiamo nel cast e che anche a livello di festival e/o critica cinematografica sono passati piuttosto inossevati. Quasi inutile aggiungere che in Italia non sono mai nemmeno arrivati. L’ultimo anzi non è nemmeno ancora uscito ufficialmente neppure negli USA.

"Questa è la mia relazione sull'intervento di Cannibal Kid: in pratica dice
che è la più grande marea di idiozie che io abbia mai sentito..."
La curiosità era dunque altissima per vedere questo suo nuovo film che, per quanto sempre pellicola indie, ha un cast di discreto richiamo: Adrien Brody, Marcia Gay Harden, Lucy Liu, James Caan, Blythe Danner, Tim Blake Nelson, più stelle dei telefilm come Christina Hendricks, William Petersen e Bryan Cranston. Con attori di questo livello e una distribuzione che raggiunge (a sorpresa) anche l’Italia, finalmente allora abbiamo l’occasione di scoprire se questo Tony Kaye è una meteora riuscita a fare il colpaccio con l’opera d’esordio per poi perdersi clamorosamente con i film successivi, come capita a un sacco di registi. Tra i casi recenti mi vengono in mente Florian Henckel von Donnersmarck, l’innominabile tedesco passato da Le vite degli altri all’inguardabile The Tourist, o Anton Corbijn, l’olandese fiondato dal bel Control al pessimo The American.

"Preferisco battere in strada piuttosto che sentire Cannibal in aula."
"Anch'io!"
Non potendo valutare le altre 3 pellicole uscite in mega-sordina e alla luce solo di questo nuovo Detachment, personalmente mi sento di affermare che Tony Kaye possa essere inserito di diritto tra i grandi registi mondiali contemporanei. Questa pellicola è una delle opere più belle sulla e nella scuola degli ultimi anni. Rispetto all’Elephant di Gus Van Sant è meno glaciale e più umano, rispetto al francese La classe di Laurent Cantet è meno neorealistico e più movimentato e inventivo, sia da un punto di vista cinematografico che da uno fisico, visto che non è ambientato interamente dentro le mura della classe. In ogni caso entra nella meglio scuola messa in scena al cinema.
Detachment ci introduce in un liceo americano, ma non è per nulla una pellicola teen o qualcosa di vicino alle solite high-school. Se proprio dobbiamo trovare un paragone, mi ha ricordato la serie Boston Public, per la durezza della rappresentazione di una scuola con studenti definiamoli “problematici”, oppure un Friday Night Lights, ma senza il football.
Gli studenti in questa storia rimangono piuttosto sullo sfondo (salvo il caso di una studentessa), però se non altro è un caso più unico che raro in cui non vediamo la solita divisione tra sportivi e cheerleader da una parte, e nerd e loser vari dall’altra. Qui gli studenti sono tutti in qualche modo senza speranza e senza futuro. Proprio come i professori. E il film è su di loro che si concentra.

Detchment ci parla dell’insegnamento, della professione del professore, della disperazione di questi insegnanti. In particolare di uno, il protagonista interpretato da Adrien Brody. Un attore che non mi ha mai convito del tutto, fatta eccezione per The Village di M. Night Shyamalan, dove faceva lo scemo del villaggio e guarda caso quella parte gli usciva alla perfezione. Dopo una serie di filmetti più o meno sbagliati, ma più più sbagliati che meno meno sbagliati, Brody qua mi è invece piaciuto parecchio. Il suo personaggio è quello di un supplente piombato a insegnare letteratura in una classe di degenerati. In qualche modo, riuscirà a far breccia nelle loro menti poco propense all’apprendimento e lo farà come capitano mio capitano alternativo. Un po’ Brody è un modello di ispirazione per questi ragazzi, un po’ è un’anima in pena nel mezzo del cammin della sua vita, e per certi versi è ancora più in pena lui di loro. Più che una guida, è una non-guida. Più che una persona, è una non-persona. Un personaggio estremamente sfaccettato, difficile da decrifrare e il suo bello è questo.

Tra gli altri nomi del super cast si segnala soprattutto Christina Hendricks. La rossa di Mad Men dopo Drive si ritaglia un’altra particina in un filmone e si conferma una delle poche attrici “tettone” in grado di recitare davvero bene. Per me che faccio parte della generazione cresciuta a pane e Baywatch non è una cosa così scontata. Per la mia generazione, le attrici tettone sono infatti buone solo a correre al rallentatore sul bagnasciuga. Almeno fino all’arrivo della Jimi Hendricks del cinema.
Attenzione poi all’emergente Sami Gayle, interprete di una giovanissima prostituta che incrocierà il suo destino con quello di Adrien Brody, mentre la studentessa preferita del prof. è interpretata da Betty Kaye, la figlia del regista. Nonostante le accuse di nepotismo che si potrebbero avanzare, diciamo subiot che se la cava bene.

Gli altri personaggi del film sono invece più abbozzati e l’errore che è stato fatto, se possiamo parlare di errore, è quello di aver preso volti parecchio conosciuti. Uno vede ad esempio Bryan Cranston di Breaking Bad e si aspetta che compaia più di due secondi. Oppure uno vede William Petersen nella sua prima e finora credo unica apparizione da quando ha finito l’impegno decennale di CSI e si aspetta che il suo sia un personaggio fondamentale nella storia. Lo stesso per gli altri, da Lucy Liu a Marcia Gay Harden. Comprimari di lusso e poco altro, eccetto un James Caan che riesce a ritagliarsi un paio di grandi scene.
Se proprio vogliamo trovare un difetto a questo film, è quindi quello di presentare troppi personaggi dal potenziale notevole e non riuscire, anche per mantenere un minutaggio decente, a svilupparli tutti del tutto. Detachment nel suo eccesso di creatività a tratti appare persino un poco pasticciato (vedi i titoli di testa con le interviste a veri professori), eppure offre così tanti spunti che potrebbe risultatare un’ottima fonte di ispirazione per un’intera serie tv, una serie in grado di riscrivere le regole della rappresentazione liceale classica.
Non credo ciò avverrà, però il legame tra film e mondo dei telefilm, si veda anche il già citato cast, è stretto. Al di là del fatto che potrebbe essere il pilota per una serie, Detachment resta comunque un film fatto e finito, con qualche imperfezione che però riesce solo a renderlo ancora più umano, più sofferto, più intenso.

Concludo come fa Adrien Brody in veste di professore in questo film: lui non obbliga i suoi studenti a restare in classe. Chi non ha voglia di imparare, è libero di andarsene seduta stante. Lo stesso faccio io: più che consigliarvi di guardarvi assolutamente questo film non posso fare. Se invece volete lasciare l'aula e perdervi questa nuova perla di American Tony Kaye X, che a tratti sembra di vedere un film di Terrence Malick sotto MDMA, non lamentatevi poi se di fianco al vostro nome comparirà la perentoria scritta: BOCCIATO.
(voto 8,5/10)

domenica 29 gennaio 2012

Cadillac Records: remembering Etta (e non solo lei)

Cadillac Records
(USA 2008)
Regia: Darnell Martin
Cast: Adrien Brody, Jeffrey Wright, Beyoncé Knowles, Cedric the Entertainer, Eamonn Walker, Mos Def, Columbus Short, Emmanulle Chriqui, Shiloh Fernandez, Suzette Gunn, Q-Tip, Norman Reedus, Gabrielle Union
Genere: musicale
Se ti piace guarda anche: Ray, La Bamba, Quando l’amore brucia l’anima - Walk the Line

Mosso, anzi commosso dalla scomparsa di Etta James, sono andato a recuperarmi Cadillac Records. Un film non solo sulla grande voce del soul recentemente volata in cielo a duettare con Amy Winehouse, ma più in generale sulla Chess Records.
La Chess Records, nonostante il nome, non faceva certo dischi da ascoltare nel cess. Quella è la Sugar, l’etichetta discografica di Caterina Caselli che “vanta” nel suo roster artisti del calibro di Negramaro, Andrea Bocelli, Raf e Raphael Gualazzi.
La Chess Records non era gestita dal casco d’oro italiano bensì da Leonard Chess, interpretato da un come al solito non pervenuto Adrien Brody, attore che ci è o ci fa? e che ancora non mi capacito come nella vita abbia vinto un Oscar. Ah, dite che l’hanno vinto pure Cuba Gooding Jr., Nicolas Cage e Angelina Jolie? Allora me ne capacito, eccome.
Decisamente molto più in parte Jeffrey Wright, grande attore visto di recente in Source Code e Le idi di marzo e abituato ai ruoli biografici tra Basquiat e il Colin Powell di W., a vestire questa volta i panni di Muddy Waters. E-sti-caz-zi. Mentre la figura di Chess viene tratteggiata in maniera confusa, non si capisce se agisca spinto da una reale passione per la musica o solo dai soldi, probabilmente la seconda, il personaggio di Muddy è più complesso e sfaccettato, diviso com’è tra talento musicale e amore per le donne. Un grandissimo, Muddy Waters, omaggiato anche dai Rolling Stones e più di recente nell’ipnotico grandioso pezzo “Bleeding Muddy Water” contenuto nel nuovissimo album di Mark Lanegan.


Il personaggio top è però Chuck Berry, portato sullo schermo dall’ottimo attore e rapper Mos Def, unica nota lieta dell’ultima, sconvolgentemente deludente stagione di Dexter. Chuck Berry è forse il personaggio più importante per quanto riguarda la musica moderna, ancor più del sopravvalutato (sì, l’ho detto!) Elvis Presley. Quello a cui persino i Beach Boys hanno rubato gli accordi. Quello che ha portato il divertimento, l’eccitazione e l’esaltazione nella musica. Quello che ha inventato il rock’n’roll. Il primo, il più grande. E smettetela co’ ‘sto Elvis.


Altre figure chiave sono Little Walter, prima un tranquillo armonicista poi all’improvviso quando scopre l’alcool un pazzo pericoloso, quindi il feroce “lupo” Howlin’ Wolf...


...lo speaker della pellicola Willie Dixon e poi lei, Etta James, resa da una Beyoncé molto valida. Non eccezionale, con margini di miglioramento a livello recitativo, ma comunque parecchio valida. Se la pellicola parte alla grande con Muddy Waters, poi si spegne un po’, poi risale con l’arrivo di Chuck Berry, quindi ha un nuovo calo, è con Etta che il film si accende definitivamente. At last, è proprio il caso di dirlo. La sua figura avrebbe meritato un maggiore approfondimento, così come quella di diversi altri artisti qui presentati, però alla fine questa è una storia corale, un ritratto non monografico ma stereo.
Una pellicola girata in maniera molto convenzionale e precisa, con una narrazione di stampo hollywoodiano un po’ semplicistico, che vive di ottime interpretazioni (eccezion fatta per il solito Brody), e soprattutto di grandi suoni. Una pagina importantissima della musica raccontata in un film cinematograficamente no incredibile ma sì godibile. Consigliato per andare a scoprire un po’ più da vicino la musica e le vite di un branco di personaggi fenomenali come Muddy, Chuck, Wolf, Lil' Walter e lei, naturalmente lei, Etta.
(voto 6,5/10)

giovedì 12 gennaio 2012

I PEGGIO FILM 2011


Gli Oscar Cannibali hanno decretato il meglio passato sugli schermi di questo blog nel corso del 2011, ma tutti i cattivoni che pensavano di essere stati semplicemente e bellamente ignorati, adesso devono fare i conti con le loro malefatte.
Questi sono infatti i contro-Oscar cannibali, sì una sorta di scopiazzatura dei Razzie Awards, per decretare il peggio dell’annata. Alcuni film sono davvero tremendi, altri sono noiosi ma proprio noiosissimi (cosa che da queste parti è vista come una colpa ancora peggiore dell’essere semplicemente brutti), altri sono odiosi, sopravvalutati, irritanti.
Vediamo quindi la Top 10 dei peggio (per varie ragioni) film cannibali 2011.

"Finchè la barca va, lasciala andare...
Con un repertorio del genere, come abbiam fatto a non piacere a Cannibal?"
10. Il discorso del re
A me la storiella dell'uomo più privilegiato d'Inghilterra la cui unica preoccupazione è quello di fare un discorso in radio di 30 secondi mentre là fuori sta solo scoppiando la Seconda Guerra Mondiale mi sembra rappresenti un comportamento un filino egoista e quindi io, altrettanto egoisticamente, non ho provato la minima pietà o empatia nei suoi confronti.
A parte il piccolo dettaglio di raccontare una delle storie più ridicole della Storia, Il discorso del re è un film modesto e parecchio noioso, talmente mediocre che non rientrerebbe nemmeno nella classifica dei peggiori. Non fosse per una ragione: ‘sta robetta ha battuto super filmoni come Il cigno nero, The Social Network, Un gelido inverno e Inception agli scorsi Oscar. Uno scandalo peggiore persino di Gandhi che batte E.T. e Forrest Gump che ha la meglio su Pulp Fiction.
Non sarà colpa del film in sé, bensì delle decisioni dell’Academy Awards, ma ciò non toglie che Il discorso del re è per me il film più odioso del 2011.
Leggi la mia RECENSIONE

"Ma che minkia c'abbiamo da festeggiare?"
9. Qualunquemente
Un film comico dovrebbe far ridere, si suppone.
Ecco, Qualunquemente non fa ridere. Mai. In qualunque(mente) momento della sua durata.
La parte di pseudo-critica politica naufraga poi miseramente dietro una sceneggiatura inesistente ed è stata ampiamente superata da un’attualità molto più tragicamente comica di quella rappresentata dal pur valido (almeno un tempo) Antonio Albanese.
Leggi la mia RECENSIONE

"Tieni lontano quel coso dalla mia vagina!
Con quel coso intendo Mel Gibson!"


8. Mr. Beaver
Premio di più imbarazzante dell’anno: Mel Gibson con un castoro pupazzo attaccato al braccio. Non c'è storia, vince su tutta la linea!
Se fosse stato interpretato da un Robin Williams, il film della Jodie Foster sarebbe risultato magari non dico bello, ma se non altro accettabile.
Ma con Mel Gibson davvero NO!
Leggi la mia RECENSIONE

"Certo che tra l'ultima pessima stagione di Dexter e
'sta roba ho avuto davvero un bell'annetto di merda!"



7. Skyline
In un anno ottimo per la fantascienza, con un sacco di film che hanno saputo riadattare il genere con una componente più umanistica o partendo dalla sci-fi per riflessioni più vaste, come Melancholia o Another Earth, Skyline rappresenta invece una fantascienza vecchia, stanca, senza idee e ridicola nella sua realizzazione. Atroce.
Leggi la mia RECENSIONE



"Tu... non puoi... passare!"
6. TrollHunter
Blair Witch Project c’era stato nel 1999. Già bastava e avanzava da solo e invece sono arrivati un sacco di cloni vari.
A 12 anni di distanza, c’era davvero il bisogno di proporre la stessa identica idea, aggiungendoci degli involontariamente comici Troll norvegesi?
La mia risposta la potete capire dalla presenza del film in questa classifica…


Uno Shakespeare peggiore di Joseph Fiennes.
Impossibile? No, eccovelo qui!
5. Anonymous
Secondo la teoria espressa in questo film di Roland Emmerich, William Shakespeare in realtà era un analfabeta. Secondo me, Roland Emmerich è cinematograficamente un analfabeta. Direi che siamo pari, no?

"Dai che le riprese sono finite!
Siamo liberi!"
4. I fantastici viaggi di Gulliver
Jack Black una volta era simpatico. Adesso è diventato la parodia di se stesso e questa versione dei fantastici (ma dooove?) viaggi di Gulliver è una schifezza cui è davvero un’impresa gulliveriana arrivare fino al fondo. La dimostrazione di come a Hollywood possano essere buttati nel cesso oltre 100 milioni di dollari con una facilità impressionante. Alla faccia della crisi.
Leggi la mia RECENSIONE




"Al mio fan numero uno: Mr. James Ford. Con amore, JBeebs!"
3. Justin Bieber: Never Say Never
Certo che pure io me le vado a cercare…
Questo documentario sulla vita del 15enne Justin Bieber se non altro fa riflettere profondamente, non tanto sulle nuovissime generazioni, ma su quelle vecchie che cercano di sfruttarle. Per certi aspetti è più inquietante persino di Inside Job!
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"Facciam pure la parodia di Grease.
Ma quanto siam giovani?"




2. Box Office 3D: Il film dei film
Questo non si può nemmeno considerare un film, altroché il film dei film…
Un insieme di scenette slegate tra loro, una serie di pseudo parodie per nulla divertenti e invece tristissime da film che Ezio Greggio probabilmente in realtà non ha mai nemmeno visto (Harry Potter, Twilight), insieme ad altri non esattamente nuovissimi (Il Gladiatore, Il codice da Vinci, Grease...).
Una schifezza degna di un Tapiro d’Oro speciale, mio caro Ezino.

"Questa ce la pagherai cara, stupido Cannibal!"
1. Transformers 3
Il nulla. Il vuoto totale fatto film. Un insieme di effettacci speciali messi insieme senza logica. Un cinema, se cinema lo si può considerare, che si dimentica dell’uomo e diventa robot, programmato per macinare incassi. In più, in questo capitolo Michael Bay e soci hanno pure tolto l’unica ragione d’essere di questa serie: ovvero Megan Fox. E per questo non vi potrò mai perdonare, brutti bastardi!
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E se il molto ambito premio di Ciofeca Cannibale d’Oro quest’anno è finito a Transformers 3, ecco anche qualche altro bell’awarduccio in arrivo…

Premio critici non capite un ca$$o (Film più sopravvalutato)
1. Il discorso del re
2. La pelle che abito
3. Biutiful
4. Il Grinta
5. Corpo celeste

Innanzitutto Il discorso del re, che come già detto ha “rubato” l’Oscar a filmoni enormemente superiori, quindi La pelle che abito, che ho trovato assurdo e ridicolo anche volendolo considerare un film grottesco. Oltre ad essere un thriller con una tensione pari allo zero. Con Biutiful, Inarritu per la prima volta mi ha deluso (non a caso per la prima volta non si è avvalso di una sceneggiatura del suo fido collaboratore Guillermo Arriaga), mentre Il Grinta è uno dei film dei Coen che mi è piaciuto di più, ma nonostante questo continuo a ritenerli enormente sopravvalutati. Corpo celeste, opera d’esordio della sorella “d’arte” (?!) Alice Rohrwacher è stato salutato da una parte della critica come il film italiano dell’anno cosa che, ammesso e non concesso sia vera, ci dà un’idea precisa dello stato di salute del cinema nostrano. Una pellicola pseudo neo-realista che dà un buffetto alla Chiesa viene vista come un pugno allo stomaco? Vabbè…


Premio Valium (Film più noioso)
1. Valhalla Rising
2. Il dilemma
3. La versione di Barney
4. Il discorso del re
5. L’alba del pianeta delle scimmie

Se soffrite d’insonnia, prendete una bella dose di Valhalla Rising: una garanzia.
Quanto a Il dilemma firmato da Ron Howard, non ricordo nemmeno bene se sono riuscito ad arrivare alla fine. Un dilemma riuscire a stare svegli. Soporiferi anche La versione di Barney, il già pluri-nominato Il discorso del re e L’alba del pianeta delle scimmie, nemmeno film del tutto brutti, quanto ben poco interessanti sia per ritmi (ritmi?) che per argomenti trattati. ZZZZZZZZZZ


"Ma peeerché?" award (Scena scult)
1. Immaturi (balletto Ufo Robot)
2. Real steel (balletto del bambino col robot)
3. Drive Angry 3D (Nicolas Cage fa una sanguinosa sparatoria mentre scopa con una tipa)
4. The Next Three Days (Russell Crowe fa il Will Smith di turno)
5. Super (una scena qualunque)

Scena scult dell’anno il balletto degli Immaturi sulle note di Ufo Robot. Una scenona che fa di tutto per essere retrò-cult, ma per quanto mi riguarda è riuscita a fare l’esatto opposto. Tragico pure il balletto dell’odioso bambino di Real Steel insieme al suo robot (se non si era capito, io ooodio i robot!). Lo scenone di sesso e omicidio di Nicolas Cage in Drive Angry cammina sul bilico del cult/scult, ma alla fine il parrucchino anzi parruccone di Cage fa propendere per lo scult. Inverosimile la parte finale di The Next Three Days in cui il tranquillo professore Russell Crowe si trasforma in una specie di supereroe in grado di fare numeri incredibili con pistole e auto, mentre il (poco) supereroico Super è tanto scult in ogni suo momento quanto Kick-Ass era invece un cult in (quasi) ogni suo momento.


Premio speciale “Ho fatto la cazzata dell’anno”
James Franco in 127 ore

(Cazzata dell’anno non il film, che è anche piuttosto interessante sebbene non eccelso, ma il comportamento del protagonista, ispirato alla vera storia di Aron Ralston)

Per la serie: alla larga dai guai! James Franco si va a fare una tranquilla escursione tra i canyon dello Utah e stranamente finisce con un braccio incastrato in mezzo a due rocce.

“Miii che paura!” award (Peggior cattivo)
Lord Voldemort (Ralph Fiennes), Harry Potter e i doni della morte: Parte II

Talmente temibile che viene sconfitto da un paio di bimbiminkia. Devo aggiungere altro?
Ah sì: Gargamella quest’anno mi ha terrorizzato di più!

Premio “tappi alle orecchie” (Peggior canzone)
Don Omar feat. Lucenzo “Danza kuduro” (Fast & Furious 5)

Danza Kuduro suonata nella parte finale dell’inutile sequel Fast & Furious 5 fa tanto cinepanettone… Che orrore!


“Rinchiudetelo in uno zoo” award (Peggior animale cinematografico)
1. Braccio-castoro di Mel Gibson (Mr. Beaver)
2. Troll  (TrollHunter) (i mostri meno spaventosi nella storia del cinema, dopo Voldemort!)
3. Grande Puffo (I puffi)
4. Scimmietta (Una notte da leoni 2)
5. Elefantessa emo innamorata di Robert Pattinson (Come l’acqua per gli elefanti)

Se nel corso degli Oscar Cannibali c’è stato spazio per i migliori animali cinematografici, in questa sede non potevano mancare pure i peggiori: su tutti il castoro (pu)pazzo che abita nel braccio di Mel Gibson in Mr. Beaver, ma atroci pure Troll e Puffi (non so se possano essere considerati animali veri e propri, ma facciamo finta di sì), in particolare il saccente Grande Puffo che già non sopportavo nei cartoni, figuriamoci qui. Per la serie non abbiamo altre idee e allora usiamo gli animali, vergognoso lo sfruttamento di una scimmietta ben poco esilarante in Una notte da leoni 2, e menzione finale anche per l’elefantessa innamorata di Robert “Edward Cullen” Pattinson in Come l’acqua per gli elefanti, manco fosse un'adolescente emo in calore.


Steven Seagal Award (Peggior attore)
1. Adrien Brody/Byron Deidra (Giallo/Argento)
2. Mel Gibson (Mr. Beaver)
3. Nicolas Cage (qualunque film)
4. Tom Hanks (L’amore all’improvviso)
5. Antonio Banderas (La pelle che abito)

Cinquina che in altri posti e in altri tempi sarebbe stata considerata da Oscar, ma non qui su Pensieri Cannibali e non certo ora. La palma di peggiore va al “doppio” Adrien Brody di Giallo/Argento: se già in versione detective è pessimo, in versione pazzo serial killer si è dovuto nascondere dietro l’alter ego di Byron Deidra (che altro non è se non l’anagramma di Adrien Brody) talmente è penoso.
Mel Gibson in Mr. Beaver, l'abbiamo già detto ma meglio ribadirlo, è davvero troppo ridicolo per essere vero, Nicolas Cage ormai ogni film che tocca si trasforma non in oro bensì in un altro meno nobile materiale, Tom Hanks in L’amore all’improvviso è detestabile persino più del suo solito in quella che può tranquillamente essere considerata la peggiore commedia sentimentale dell’anno e Antonio Banderas in La pelle che abito semplicemente no, non è credibile. Non come chirurgo plastico, intendo come attore.


Cagna maledetta award (Peggior attrice)
1. Carla Bruni (Midnight in Paris)
2. Rosie Huntington-Whiteley (Transformers 3)
3. Sarah Jessica Parker (Ma come fa a far tutto)
4. Ambra Angiolini (Immaturi)
5. Selena Gomez (Monte Carlo)

Carla Bruni sarà brava in tante altre cose… forse, anche se adesso non me ne viene in mente nessuna, però di sicuro a recitare non è buona. Esordire poi in un film di Woody Allen con un cast della Madonna non è proprio l’ideale. Prima dovrebbe partire per gradi, non so, magari da qualche fiction con Manuela Arcuri… Se la Carlà è l’unica nota stonata di Midnight in Paris, Rosie Huntington-Whiteley è solo una delle tante cose a non funzionare in Transformers 3. Sarà anche una bella gnoccolona, però NON è Megan Fox. Assolutamente no. E come attrice è espressiva tanto quanto i Transformers. Nomina necessaria anche per una Sarah Jessica Parker che dopo la fine di Sex and the City dovrebbe ormai pensare seriamente a una pensione anticipata (che Monti e la Fornero gliela concedano o meno, noi spettatori la PRETENDIAMO), un’Ambra Angiolini che, checché se ne dica in giro, come attrice (e non solo come attrice) è uno strazio, mentre Selena Gomez non è nemmeno così terribile a recitare, però il fatto che stia insieme a Justin Bieber le ha fatto guadagnare una nomina di diritto, tiè!


"Ridatemi i soldi del biglietto anche se l'ho visto gratis su Internet" award (Delusione dell’anno)
1. Biutiful
2. Harry Potter e i doni della morte: Parte II
3. Hereafter
4. Una notte da leoni 2
5. Your Highness - Sua maestà

Avendo sempre amato i film di Inarritu, Biutiful davvero non me l’aspettavo: tra facile pietismo e visioni paranormali, una pellicola davvero bruttiful! Per poco non preferivo vedermi una delle diecimila puntata della quasi omonima soap-opera.
Non sono mai stato un potteriano, però avrei desiderato diventarlo con l’ultimo capitolo. E invece I doni della morte - Parte 2 si sono rivelati un dono davvero mortale, con un finale telefonatissimo e gettato via in maniera frettolosa, senza spazio per i personaggi più fighi (Hermione e... ehm, basta) e con un Voldemort così cattivo da non far paura nemmeno al ridicolo Colin Hanks dell’ultima stagione di Dexter! Dall’Hereafter di Clint Eastwood mi aspettavo qualcosa in più di una copia sbiadita dei film di Shymalan e di Inarritu (quello dei vecchi tempi). Una notte da leoni 2 si è dimostrato il sequel più scontato che potevano fare, una replica sterile e inutile del primo spassosissimo film, mentre da Your Higness non è che mi attendessi grandi cose, però gettare così un super cast con Natalie Portman, Zooey Deschanel e James Franco è stato davvero lo spreco dell’anno.


Menzioni speciali per film mediamente brutti ma talmente mediocri da non riuscire a rientrare nemmeno in qualche categoria qui sopra: Red State, Red White and Blue, C’è chi dice no, Prom - Ballo di fine anno, Per sfortuna che ci sei, Come ammazzare il capo e vivere felici, Horror Movie, Mia moglie per finta, Faster e Priest.


Chiudo il peggio (naturalmente secondo il mio discutibile punto di vista) cinema dell’anno con una nota positiva: con dei buoni propositi. Sì, di ciò che gradirei NON vedere più in questo 2012:

- Film di tizi normali che si improvvisano supereroi. Supereroi che si improvvisano tizi normali. Supereroi che nemmeno il proprietario del negozio di fumetti dei Simpson conosce cui viene dedicata un’intera pellicola. Insomma, tutti i film sui supereroi che non rispondono al nome di Batman o Spider-Man.

- Commedie all’italiana. Di qualunque tipo. Vi prego, basta così!

- Horror o pseudo horror incentrati su torture/sequestri/rapimenti vari che finiscono immancabilmente e prevedibilmente nell’ennesimo bagno di sangue.

- Horror o pseudo horror su un gruppo di ragazzi in vacanza verso mete esotiche che finiscono immancabilmente e prevedibilmente in un bagno di sangue. Una volta potevano anche risultare divertenti, però adesso cambiate copione.

- Documentari su cantanti di 15 anni la cui vita NON è stata così interessante da essere già raccontata. E forse mai nemmeno lo sarà.

- Personaggi animati cult degli anni ’80 riproposti in computer grafica.

- Mel Gibson con un castoro al braccio.

- Film col 3D nel titolo.

- Film con Nicolas Cage.


sabato 13 agosto 2011

Giallo, rosso e argentone

Director: Dario Argento. Are we sure?
Giallo/Argento
(Italia, USA 2009)
Regia: Dario Argento
Cast: Adrien Brody, Byron Deidra, Emmanuelle Seigner, Elsa Pataky, Valentina Izumi, Taiyo Yamanouchi
Genere: giallo?
Se ti piace guarda anche: un altro Dario Argento qualsiasi, che sarà di certo migliore di questo

Mizzega, un nuovo film di Dario Argento! Nuovo poi relativamente, visto che era già stato lanciato in DVD e da un po’ quei soliti geni della distribuzione cinematografica italiana (ma chiiii sono veramente?) hanno deciso di piazzarlo pure nelle sale. Con un interesse del pubblico pari a zero. Giusto così, anche perché dell’Argento vecchio stampo è sì rimasto qualcosa, ma giusto un’ombra. E nemmeno un’ombra così paurosa e inquietante come sarebbe lecito aspettarsi da quest’uomo. Nella prima parte si intravede il tocco del Maestro, tra atmosfere glamour e una Torino a fare da cornice affascinante a una vicenda che però ben presto si rivelerà poco affascinante. Pochi minuti dopo però si capisce che era solo un’impressione erronea…

"Ma che stamo 'ah fà?"
La storia: un taxista pazzo sequestra una serie di belle donzelle straniere sul suo mezzo, per poi portarle nel suo appartamentino molto carino (ooooooh!), torturarle un po’ per qualche giorno per il suo piacere sessuale e poi ammazzarle. Una persona a modo, normale insomma, se non fosse per un certo particolare: è giallo. Nel senso che ha il volto giallo. Sì, esatto, questo è il modo migliore che Dario Argento ha trovato per giocare con il genere “giallo”. Tristezza. Ma ciò che fa ancora più tristezza è proprio questo serial killer, uno dei pazzi più involontariamente ridicoli mai visti in un thriller e interpretato da tale Byron Deidra. Chi è? Se risolvete l’anagramma avrete la soluzione…
Esatto: Adrien Brody! (Vedo che sulle spiagge vi state allenando con la settimana enigmistica. Bravi, bravi…)
Proprio lui, il premio Oscar Adrien Brody. Poteva cadere più in basso?

Certo, anche il resto del cast non si segnala per tutto l’impegno del mondo. Una sempre magnifica Emmanuelle Seigner vaga qua e là per Torino spersa come una turista appena arrivata a Porta Nuova e sembra cercare costantemente suo marito Roman Polanski che la tiri fuori da questo film per portarla in uno dei suoi bei thrilleroni. Ma lui nel periodo delle riprese era forse ai domiciliari? In ogni caso Polanski non arriva e anche Argento non sarebbe male, quello di una volta si intende, peccato che il suo tocco si veda giusto in qualche ripresa e poi neanche. Comunuque capita che la sorellina modella della Seigner, quella gran patatona di Elsa Pataky, venga rapita dal pazzo giallo di cui (purtroppo) vi ho detto sopra, e allora la Seigner si rivolgerà a un detective solitario e misterioso per ritrovarla. Il detective è interpretato dallo stesso Adrien Brody che stavolta non ha trucchi da mostro di sorta, però fuma una sigaretta via l’altra, superando persino il record mondiale del Don Draper di Mad Men. Unico pregio del film.
Il problema di tutto il resto invece è che non c’è tensione, non c’è mistero, non c’è suspense. E quindi “giallo”, ma dove? A me il primo colore che viene in mente piuttosto è il marrone…
(voto 4)

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