La rubrica sulle uscite musicali mensili questo mese sembra uscita dritta dagli anni '90.
E invece no. Sfregatevi gli occhi finché volete, ma si parla del mese di giugno del 2016 e non del 1996, nonostante siano presenti un sacco di gruppi e artisti che da quel decennio sono usciti vivi, oppure altri che riprendono il suono di quel periodo.
Se ti piace guarda anche: Mamma Mia!, Grease, Glee
Il mio rapporto con i musical è storicamente complicato. Non ho mai retto granché quei film, soprattutto quelli della Disney come Mary Poppins ma non solo, in cui la gente all’improvviso si mette a cantare. Perché lo fa? Perché?
WHYYYYYY?
WHYYYYYY?
Tell me
WHYYYYYY?
WHYYYYYYY?
Non so perché si mettono a cantare. So solo che è una cosa che io non sopporto. Negli ultimi tempi però le cose erano cambiate. Tutto per merito di Moulin Rouge!, una pellicola in grado di rileggere in chiave post-moderna il genere, utilizzando dei classici della musica pop degli ultimi decenni, utilizzati all’interno di un’ambientazione di fine Ottocento.
Da lì in poi il musical non è più stato lo stesso e anche sul piccolo schermo il genere è stato riattualizzato in maniera interessante nelle primissime stagioni di Glee, che poi vabbè è svaccato alla grande, ma nei primi tempi era un prodotto originale.
Walking on Sunshine cancella invece i progressi fatti dal musical negli ultimi anni e torna a riproporlo in maniera vecchia e stanca. Come un Grease molto ma molto più imbruttito. O come una replica anonima di Mamma Mia!
L’operazione di ricontestualizzazione delle canzoni è poi fallimentare. Se in Moulin Rouge! l’uso di pezzi moderni inseriti in un contesto antico è geniale, qui il revival 80s è realizzato in maniera molto stereotipata e superficiale. D’altra parte…
Se la mia pelle è nel 2000
e la tua è ancora anni '80
non sai che non si esce vivi dagli anni '80
non si esce vivi dagli anni '80…
Non si conosce bene il motivo per cui i protagonisti del film d’un tratto di mettano a cantare, però le scelte non sarebbe neanche malaccio, a livello musicale. Certo, si tratta di brani stra famosi e non ci si è sbattuti manco un minimo per cercare qualche chicca meno nota del decennio, ma in ogni caso è sempre un piacere riascoltare brani come “Don’t You Want Me” degli Human League, “White Wedding” di Billy Idol, “Holiday” di Madonna, “Girls Just Wanna Have Fun” di Cyndi Lauper, “The Wild Boys” dei Duran Duran o la frizzante title track “Walking on Sunshine” di Katrina and the Waves.
Peccato che le riletture qui proposte siano degne di Amici di Maria de Filippi mentre la banalissima sceneggiatura e i terrificanti dialoghi hanno lo stesso spessore di un’esterna a Uomini e donne, tanto per restare in tema. L’uso dei brani inoltre è eccessivamente didascalico e letterale. Non c’è spazio per una rielaborazione creativa o un minimo di fantasia. Tutto è troppo scontato e prevedibile, un po’ come se io chiudessi questo post citando l’artista più popolare degli 80s, Michael Jackson.
Se la recitazione è a livelli di poracittudine totale, a livello vocale le cose non vanno molto meglio e l’unica a segnalarsi è la popstar Leona Lewis. Come cantante non mi fa impazzire. A livello sessuale però è una libidine e vederla con indosso la t-shirt “Italians do it better” è uno dei pochi – o dovrei dire l’unico? – motivo per sorbirsi questa porcheria. Peccato che non la facciano cantare
Boys, boys, boys
I'm looking for the good time
Boys, boys, boys
I'm ready for your love
Ah no, mi correggo: Leona non è l’unica cosa degna di nota. Anche le ambientazioni del Salento non sono niente male. Solo che per il resto di italiano c’è davvero poco o nulla. Conteso tra la porcella Annabel Scholey e la seriosa Hannah Arterton (sorella di Gemma Arterton), l’unico nostro connazionale presente nel cast insieme a Giulio Corso è il protagonista maschile Giulio Berruti. Bellissimo ragazzo, eh, come modello sono sicuro che funzioni alla grande, però come attore e pure cantante proprio non ci siamo. Per il resto, il “merito” di una schifezza del genere va tutto agli inglesi, in grado per una volta di realizzare un filmetto capace di far rimpiangere, e alla grande, Panarea e vanzinate nostrane varie. Non sarebbe stato male allora se qui dentro ci fosse stata più Italia, perché io sono un italiano, un italiano vero e allora…
Lasciatemi cantare, con la chitarra in mano
Lasciatemi cantare una canzone piano piano
Lasciatemi cantare, perché ne sono fiero
Sono un italiano, un italiano vero.
Se da un punto di vista musicale Walking on Sunshine fa venire voglia di riascoltarsi i pezzi degli anni Ottanta sì, però nelle versioni originali e non in queste riproposizioni da musicarello, da un punto di vista cinematografico fa venire una gran voglia di cambiare del tutto genere. Piuttosto che vedermi un altro schifo di musical come questo, mi faccio una serata thriller…
Negli ultimi giorni siete stati assenti - ingiustificati - e non sapete di cosa sto parlando?
Si tratta della classifica delle 100 canzoni preferite dall'autore di questo blog, Cannibal Kid, almeno al momento.
La prima regola di questa lista: non parlare mai di questa lista.
La seconda regola di questa lista: non dovete parlare mai di questa lista.
La terza regola di questa lista: lo stesso artista/gruppo non può essere presente con più di un unico brano. Cosa che significa 100 canzoni per 100 artisti/band differenti.
60. Manic Street Preachers “If You Tolerate This Your Children Will Be Next”
A lezione di educazione civica con i Manic Street Preachers: se tollerate la merda di mondo in cui viviamo, la stessa merda toccherà anche ai vostri figli. Quindi, fate qualcosa!
Cosa?
E che ne so io. Andate a chiederlo a loro!
59. Olive “You’re Not Alone”
Questa canzone magari la conoscerete nella cover acustica cantata da Mads Langer che andava una manciata di anni fa.
L'originale, nonché più affascinante versione, è però quella trip-hop/drum'n'bass degli Olive.
58. Busta Rhymes “Break Ya Neck”
La mia canzone da combattimento.
Quando sono incazzato contro qualcuno, mi carico ascoltandola.
Dopodiché il più delle volte, anziché andare a scatenare una rissa, me ne torno mestamente a casa con la coda tra le gambe.
57. Cars “Magic”
Un autentico numero di magia pop. Da rimanere a bocca aperta.
56. Robbie Williams “No Regrets”
No regrets they don't work, no regrets they only hurt.
Una preziosa lezione di vita da Robbie Williams.
E chi se l'aspettava di ricevere lezioni di vita da un ex Take That?
55. Afterhours “Non è per sempre”
Il tuo diploma in fallimento è una laurea per reagire.
Sì, va bene, Manuel Agnelli. Ma della mia laurea in Scienze della Disoccupazione invece secondo te cosa me ne devo fare?
54. Cocteau Twins “Heaven or Las Vegas”
Il Paradiso o Las Vegas?
Las Vegas tutta la vita. Senza nemmeno pensarci!
53. Dmitrij Šhostakovič “Waltz 2 from Jazz Suite”
Un pezzo di musica classica ci sta sempre bene.
Così, tanto per fare il tipo ricercato e colto.
E poi questo brano l'hanno usato, sempre per fare i fighi, pure Stanley Kubrick in Eyes Wide Shut e Lars von Trier in Nymphomaniac.
52. 2Pac ft. Talent “Changes”
I see no changes, all I see is racist faces, rappava 2Pac negli anni '90.
20 anni dopo e con nel frattempo un uomo di colore diventato Presidente degli Stati Uniti, i recenti fatti di Ferguson ci ricordano che le cose non sono poi cambiate così tanto.
I see no changes.
51. Elton John “Crocodile Rock”
Una storia rock con un ritornello pop irresistibile, di quelli impossibili da togliere dalla testa. Laaaaa lalalalala lalalalalaaa!
Secondo appuntamento delle guida musicali galattiche di Pensieri Cannibali. Dopo aver parlato di Britpop, oggi tocca all’altra grande corrente musicale in voga negli anni ’90, in questo caso soprattutto (ma non solo), sull’altra sponda dell’Atlantico. Mi riferisco al grunge. Sì, quel genere che ascoltavamo noi teenager depressi in quel decennio. Allora non eravamo emo, eravamo grunge. Indossavamo camicione a quadretti sformate in flanella e jeans strappati, non ridevamo mai e ascoltavamo questo strano rock che mescolava influenze punk e metal, testi nonsense ed era costruito per lo più sull’alternanza di momenti acustici con improvvise accelerazioni elettriche.
La scena ha avuto come cuore pulsante Seattle, allora capitale dell’angoscia adolescenzial-esistenziale, oggi città hipster e ipertecnologica, in cui per di più sono ambientati Grey’s Anatomy e 50 sfumature di grigio. Che dire? I tempi cambiano.
Breve storia per i babbani del genere: la scena grunge ha avuto come basi fondamentali tra fine 80s e primi 90s l’alternative rock di band come Melvins, Mudhoney, Sonic Youth, Pixies, Dinosaur Jr. e Meat Puppets, ha poi raggiunto l’apice della popolarità con i paladini del genere, i Nirvana di Kurt Cobain, i Pearl Jam, gli Alice in Chains e i Soundgarden, senza dimenticare le Hole di Courtney Love, per arrivare poi alle derive post grunge di band come gli australiani Silverchair e gli inglesi Bush, che ne hanno proposto una versione se vogliamo più “commerciale” (il grido: “Venduti! Venduti!” riecheggia ancora nelle mie orecchie), mentre in Italia qualche ispirazione grunge la si è sentita nel suono degli Afterhours e dei primi Verdena.
Ecco ora le mie personali 10 canzoni preferite del genere. Ho scelto solo 1 canzone per band, altrimenti i Nirvana avrebbero rischiato di occupare da soli metà classifica…
Per un’immersione completa nel grunge, potete inoltre ascoltarvi tutta la mia playlist su Spotify (che trovate in fondo al post) e recuperare qualche bel filmetto di quel periodo come S.F.W. – So Fucking What, Assassini Nati - Natural Born Killers, Singles – L’amore è un gioco e Giovani, carini e disoccupati.
Top 10 – Le canzoni grunge preferite di Pensieri Cannibali
10. Afterhours “Male di miele”
9. Foo Fighters “Everlong”
8. Alice in Chains “Heaven Beside You”
7. Radiohead “Creep”
6. Bush “Swallowed”
5. Pearl Jam “Jeremy”
4. Hole “Violet”
3. Stone Temple Pilots “Plush”
2. Soundgarden “Pretty Noose”
1. Nirvana “Heart-Shaped Box”
La playlist Grunge di Pensieri Cannibali su Spotify
Lana Del Rey mentre riceve (più o meno) commossa i fiori dell'AntiSanremo.
Il Festival di Sanremo comincia la settimana prossima (dal 12 febbraio) e, temo, dovrò commentarlo. Almeno in parte. Almeno fino a che riuscirò a farcela.
L’AntiSanremo che si tiene nella blogosfera è invece già partito. Se la settimana scorsa si è potuto votare nelle categorie di Miglior canzone alternativa italiana degli anni zero e in quella dedicata alla peggior canzone italiana, questa settimana ci sono le altre due categorie.
Quella forse più importante di tutte, l’Italian Best, dedicata alla miglior canzone italiana tipo di sempre, e poi come categoria bonus c’è anche la scelta dell’ospite straniero.
Ogni blogger, così come ogni membro della società civile che ha partecipato all’AntiSanremo, ha proposto le sue candidature. Qui di seguito trovate le mie: 1 per l'ospite straniero, 3 per l'Italian Best.
Io vi invito per prima cosa a votare nei due sondaggini presenti sulla colonna destra del blog L’OraBlù le canzoni che preferite e poi, se volete dare una preferenza a uno (o più) dei brani da me proposti, a me sta bene.
OSPITE STRANIERO
Per la categoria di ipotetico ospite straniero (ma il vincitore arriverà davvero nella sede de L’OraBlù?) ho scelto Lana Del Rey. Perché?
Il primo motivo è di carattere puramente estetico.
Il secondo motivo è invece strettamente musicale: io adoro lei e le sue canzoni, però dal vivo sembra non sia proprio la migliore interprete vocale del mondo. E quindi ci sta lei come ospite internazionale, così non fa sfigurare troppo i nostri artisti italiani…
ITALIAN BEST Afterhours “Non è per sempre” Il tuo diploma in fallimento è una laurea per reagire
Bluvertigo “La crisi” Quando inizia una crisi è un po' tutto concesso quasi come a Carnevale
Mina “Le mille bolle blu” Blu le mille bolle blu Blu le vedo intorno a me Blu le mille bolle blu che volano e volano e volano
Gli Afterhours sono tornati con un disco che fin dal titolo promette di fare scalpore, soprattutto in quest’ultimo periodo in cui un uragano di proporzioni katrinesche si sta abbattendo sulla Lega Nord. Che sia un complotto della «Roma ladronaaa eeeeh aiutatemi non riesco… più… a parlare… mi sta venendo… un altro… ictus… eeeeh... Roma farabutta...» come dice con un rantolo Bossy?
Che sia tutta una stategia promozionale orchestrata da Manuel Agnelli insieme alla guardia di finanza?
Ma questo disco, poi, è un disco politico?
Per esserlo davvero, io mi sarei aspettato qualcosa di più, magari una cover ironica di “Bossy” di Kelis.
Io, Manuel, l’idea te l’ho buttata lì, magari nei futuri concerti potete anche usarla…
Afterhours “Padania”
Genere: cantautorale
Provenienza: Padania
Se ti piace ascolta anche: Marlene Kuntz, Il Teatro degli Orrori, Moltheni, Nine Inch Nails
Lo specifico subito, visto che dopo questo post potrebbe non sembrare, però gli Afterhours sono sempre stati uno dei miei gruppi italiani preferiti. Sempre. O almeno, prima di questo disco. Fin dai vecchi anni ’90 quando li ho ascoltati per la prima volta. Credo fosse con “Voglio una pelle splendida” passata da Videomusic. Sì, allora esisteva una cosa chiamata Videomusic. E dire “Videomusic” mi fa lo stesso effetto di dire “Tirannosauro Rex”.
Questo loro nuovo disco però proprio no. Non ci siamo. Sarò cambiato io, saranno cambiati loro, saremo cambiati entrambi?
O forse il semplice fatto è che questa Padania è una terra talmente brutta che davvero non può ispirare un disco bello.
"Sì, bravo Cannibal! E, nel caso tu non capisca
più la mia ironia, sono ironico!"
Il primo pezzo dell'album presenta un’interpretazione vocale di Manuel Agnelli inconcepibile: va bene che si chiama Agnelli, però quel belato terrificante era davvero necessario? Per il momento, vince il premio di cosa più brutta sentita quest’anno. E sì che quest’anno ho pure seguito il Festival di Sanremo…
Ci sono poche cose che mi scandalizzano, ma la voce di Manuel Agnelli in questo brano sinceramente mi scandalizza. Non è che si sarà fatto troppo come il suo “parente” Lapo Elkann?
Nell’inizio di “Costruire per distruggere”, l’inascoltabilità si ripete con un suono fastidioso… cos’è, un violino stuprato? Ma perché tutto questo? È per ricreare il fastidio della Padania?
Peccato, perché “Costruire per distruggere” per il resto è di gran lunga il pezzo portante dell’intero album, insieme alla title-track “Padania”, che nel ritornello pare una rilettura di “Hurt” dei Nine Inch Nails (“Tu puoi quasi averlo sai” VS. “You can have it all”). Peccato Johnny Cash avesse già fatto di meglio...
Due valide, o quasi, songs. E poi? D’interessante poco, pochino altro. Ci metto dentro pure "Nostro anche se ci fa male", che sembra una outtake da "Non è per sempre".
Le fiammate rock presenti all’interno del disco appaiono invece modeste quanto quella di un accendino scarico, soprattutto se paragonate al fuoco che bruciava nel loro passato e che a quanto pare ha ormai bruciato il presente. Tra i pezzi rockettari, il meglio arriva da “La tempesta è in arrivo”, usata pure come soundtrack della fiction “Faccia d’angelo”.
Uno scatto recente di Manuel Agnelli
Il resto scivola via tra ballate cantautorali, qualche pezzo fastidioso piuttosto che no ("Fosforo e blu", "Ci sarà una bella luce", "Spreca una vita"...) e suoni di violino sigurrossiani di per sé anche belli ma che non si sposano per nulla con il resto del sound. Spiace davvero dirlo, visto che gli After, ribadisco, sono sempre stati tra le mie band italiane preferite. Però questo disco è proprio come la Padania. Una landa desolata in cui vivere.
“Il mondo cui appartengo è già invecchiato”, canta Manuel Agnelli in “Costruire per distruggere”. Proprio così. Un’amara autoriflessione su come la band sia musicalmente rimasta ancorata ancora ai 90s, mentre a livello di testi pare priva della stessa mordente efficace ironia.
Si prenderanno mica troppo sul serio, questi nuovi (?) Afterhours? Ieri sera al Concertone del Primo Maggio, causa problemi di tempo, la loro performance è stata spostata dalle 23 a mezzanotte. Ma loro, offesi, hanno lasciato Piazza San Giovanni.
Calma, Manuel. Non sei mica Trent Reznor. Anche se ti piacerebbe...
Il peccato principale che fa suonare questa Padania come un’occasione mancata, è che gli Afterhours non sono un gruppo che non ha più niente da dire. In passato magari non avevano niente da dire (l’esaltante Male di miele ad esempio cosa significa?), però lo dicevano bene. Oggi sono un gruppo con (forse) ancora qualcosa da dire, ma che questo qualcosa lo dice male.
Proprio come gli ultimi imbolsiti, spenti, svuotati d’anima e di vita Marlene Kuntz apparsi al Mausoleo di Sanremo. E a proposito del Festival, niente di male che gruppi come i Marlene o gli stessi After vi partecipino. Però poi sentirli fare i duri e puri come nell’interludio di “Messaggio promozionale n. 1” lascia un pochino perplessi:
Un'altro scatto recente di Manuel Agnelli
Tutta la merda che è in tv,
oggi l’ho spenta e non conta più
O in “Messaggio promozionale n. 2”:
Hai mai pensato a quanto spazio in un CD viene occupato da inutili canzoni?
Anche su quello che stai ascoltando.
Potresti occupare questo prezioso spazio con degli spot promozionali per incrementare la tua attività e dare forza al tuo talento…
Pezzi che una volta sarebbero magari suonati divertenti, oggi sembrano un’amara riflessione sulla loro apparizione al Festival di Bonolis. Che se ne siano pentiti?
I giornalisti musicali tipo quelli di XL probabilmente lo saluteranno come la rinascita del rock italiano. Diranno che questo disco è il perfetto specchio del nostro paese e dei nostri tempi. In tal caso: bel paese e bei tempini, quelli in cui viviamo!
"Il mio applauso è sempre ironico, Cannibal!"
Hai paura del buio? Se ascolto questo disco al buio, sì.
I milanesi ammazzano il sabato? E la domenica ammazzano questo album.
Quello che non c’è? Le grandi canzoni.
Germi? Quelli invece ci sono.
Non è per sempre? Eh no, caro Manuel, l’ispirazione non è per sempre.
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