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venerdì 12 settembre 2014

LE MIE CANZONI PREFERITE - LA TOP 10





Il viaggio musicale di Pensieri Cannibali giunge oggi a destinazione.
La Top 100 delle canzoni preferite di tutti i tempi da questo blog svela oggi i primi 10 posti, se non altro di questo preciso momento, perché se dovessi rifare le classifica tra qualche mese, o anche solo tra qualche giorno, le cose potrebbero cambiare parecchio.
Prima di scoprire la Top 10, vi beccate intanto il solito riepilogone delle posizioni precedenti:


Nei prossimi giorni arriverà anche il riassuntone definitivo con tutti e 100 i pezzi, più la playlist Spotify.
Adesso però basta chiacchiere e passiamo a vedere e soprattutto a sentire la Top 10.

"Ora vi canterò tutte le canzoni della classifica di Pensieri Cannibali.
O magari soltanto una..."

martedì 28 febbraio 2012

Negozio di dischi: Air, Burial, Sleigh Bells, Ting Tings…

Pensavate che il negozio di dischi avesse già tirato giù la serranda?
In tempi di crisi, e di crisi discografica, non avrebbe certo stupito nessuno più di tanto. E invece no, non fate i soliti pessimi pessimisti. Dopo quello di gennaio, il negozio di dischi cannibale arriva al secondo appuntamento, sta volta con i dischi del mese di... febbraio, of course.
Alcuni dischi si sono già ritagliati dei più o meno meritati post personali: Lana Del Rey, Il Teatro degli Orrori, Bob Sinclar e i Cranberries, gli altri ve li faccio scendere a valanga qui sotto.



Ting Tings “Sounds from Nowheresville”
Genere: pop meticcio
Sono rari gli album che vanno bene in tutte le occasioni. La maggior parte dei dischi invece bisogna sapere quando suonarli, per apprezzarli in pieno. Il secondo dei Ting Tings dopo lo scoppiettante esordio non è un disco da domenica mattina. Ascoltato la domenica mattina può sembrare terribile. Questo è un disco divertente da venerdì sera. Da sparare a volume possibilmente da denuncia condominiale per tirarsi su. Il venerdì sera vi sembrerà fenomenale.
Dopo il successo dei singoli passati Great DJ, Shut Up and Let Me Go e That’s not My Name, i Rin Ting Tings tirano fuori una nuova carrellata di potenziali hit. Però non è più il 2008 e chissà se il mondo accoglierà pezzi infettivi come Hang It Up, Guggenheim, Day by day e Silence a braccia aperte come ho fatto io?
(voto 7+/10)



Air “Le voyage dans la Lune”
Genere: soundtrack
In attesa di potercela gustare insieme alla versione restaturata del capolavoro di Méliès, già da sola questa soundtrack dei due Air tornati in forma strepitosa è un puro spettacolo per le orecchie. Oui. Alla faccia dell’Hugo Capretto di Scorsese.
(voto 7,5/10)


Band of Skulls “Sweet Sour”
Genere: rock
Tempi duri per la musica rock: fare uscire un disco rocknrolla bello tosto al giorno d’oggi è una vera impresa. Ci saranno riusciti i Band of Skulls, all’opera seconda dopo il promettente esordio?
No, però almeno in questo disco ci regalano un paio di ottime canzoni (una “Bruises” vicina ai Radiohead dei tempi di The Bends e la delicata ballatona “Lay my head down”). Potevano sforzarsi un attimino di più, invece di cedere a modelli troppo facilmente White Stripes-zeppeliani, però in periodi di crisi rockettare come questo, accontentiamoci così.
(voto 6/10)


Black Bananas “Rad Times Xpress IV”
Genere: rock retro futurista
Un disco di rock tamarro tra anni ’70 e ’80 che suona fottutamente moderno. Tutto merito di Jennifer Herrema già in Royal Trux e RTX e ora con una band dal nuovo nome ganzo, Black Bananas, e un suono rock’n’roll così kitsch da avvicinarsi al sublime. Il pezzo “Hot Stupid” è già pronto per essere suonato all summer long.
(voto 7/10)


Burial “Kindred EP”
Genere: dubstep
Burial il Genio della lampada ci sta facendo sospirare il suo terzo album come una tipa che se la tira e non vuole mollarla. Più precisamente ci sta facendo aspettare dal capolavoro Untrue del 2007. Il guru fondatore, simbolo e Messia della scena dubstep lo pubblicherà mai? Nel frattempo ci stuzzica con un secondo EP dopo lo Street Halo dell’anno scorso. Dentro Kindred ci sono altre 3 tracce che definire la fine del mondo è poco, con Loner a rappresentare il trip definitivo stile enter the void.
E così ho finalmente capito il nome che questo misterioso figuro si è scelto. Burial significa sepoltura e infatti la sua musica seppellisce tutto il resto.
(voto 9/10)


Die Antwoord “Tension”
Genere: crazy rap
Hip-hop, electro, rap, pop, dub… Si può cercare di definire il suono del trio sudafricano in tanti modi, ma il modo più semplice per parlare di loro è bollarli semplicemente come tre qui quo qua pazzi e finirla lì.
Il loro disco suona come i Prodigy che uccidono i Pokemon a un rave che uccidono Dragon Ball che uccide Chuck Norris che stupra Lisbeth Salander che uccide i Die Antwoord.
(voto 6,5/10)


John Talabot “fIN”
Genere: intelligent dance music
Ho ascoltato questo disco incuriosito dal votone 8.5 di Pitchfork, che l’ha anche insignito con il prestigioso marchio “Best new music”. Solita esagerazione? Solito hype?
No, questo disco è una sorpresa dietro l’altra. Musica elettronica da colonna sonora esistenziale. E con il voto plagio Pitchfork.
(voto 8.5/10)


Rebecca Ferguson “Heaven”
Genere: the Voice
Che voce, la signorina Rebecca Ferguson. Il corpo è ancora caldo, ma l’erede di Whitney Houston è già arrivata?
Per ora le sue canzoni sono pure migliori, le stupende Shoulder to Shoulder e Nothing’s Real but Love su tutte. Se volete far rifiatare un po’ 21 di Adele, questo disco è una buona strappalacrime alternativa.
(voto 6,5/10)
Sleigh Bells “Reign of Terror”
Genere: noise melodico
Non lo so se tra qualche anno un disco come questo avrà ancora un senso. Non so se resterà impresso
come una pietra miliare. Probabilmente no, però who cares?
Questo è il suono del qui e ora. E suona terribilmente fico. Una bordata di chitarre noise che fanno un’orgia con melodie di impronta pop e R&B e pezzi come “End of the line” e “Leader of the pack” che sono già considerabili dei classici moderni.
A un primo ascolto vi suonerà come rumore puro. A un secondo ascolto comincerete a muovere la testa a tempo. A un terzo ascolto, non ascolterete più nient’altro.
(voto 8/10)


Speech Debelle “Freedom of Speech”
Genere: rap
Con il disco d’esordio, Speech Debelle aveva conquistato solo il Mercury Prize, il premio più prestigioso del mondo discografico britannico. Davvero scarsa, me ne rendo conto. Con questo secondo album, Speech prosegue con la sua musica rappata/parlata su ballate un sacco raffinate e non modificando granché la formula del precedente lavoro. Manca l’effetto sorpresa, ma il disco è comunque una bella bomba.
(voto 7+/10)


Van Halen “A Different Kind of Truth”
Genere: da ricovero
Prima o poi i soldi finiscono a tutti e quel momento dev’essere arrivato anche per David Lee Roth e soci. E come suona il loro primo album nuovo da 14 anni a questa parte?
Trash fuori tempo massimo.
Un differente tipo di verità sarebbe definire bello un disco del genere.
Ma più che un differente tipo di verità sarebbe la più grande balla mai raccontata.
(voto 1/10)

We Have Band “Ternion”
Genere: cool
Dico solo che questo album a tratti mi ha ricordato i Blur dei tempi migliori, per quanto abbiano per altri tratti un suono del tutto differente e sempre personale.
Che fare, or quindi?
Ipnotici e affascinanti, i We Have Band sono una band da ascolto obbligatorio.
(il titolo del disco Ternion non so cosa significhi, ma non credo sia un insulto razziale verso i meridionali)
(voto 8/10)

sabato 25 febbraio 2012

Hugo Cabret, ti ci spedisco io a fare il viaggio nella Luna

Tutti seduti ai vostri posti? Avete preso il vostro caffè? Fumato le vostre due-trecento siga?
Tranquilli? Quieti? Pronti per la lezione?
La Storia del Cinema ve la racconta oggi un personaggio (incompetente) d’eccezione: Cannibal Kid.
Siete proprio finiti in buone mani, vero? Vi immaginate che vi racconti che tutto è iniziato con Quentin Tarantino?
Sdeng, sbagliato.
Anche se avrei potuto tranquillamente sostenere una tesi del genere, preferisco rispettare la tradizione e seguire i libri di scuola.
Tutto è iniziato con i fratelli Lumiere. Ma se loro li possiamo considerare i padri biologici, il vero papà del Cinema, quello è stato Georges Méliès.
Fosse stato solo per i Lumiere, adesso ci ritroveremmo forse con le sale piene solo di documentari e di un approccio alla visione di pura osservazione. Esatto: il Grande Fratello trasmesso su grande schermo.
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH
Oppure ci ritroveremmo proprio del tutto senza film, visto che, come sosteneva Louis, uno dei due illuminati fratelli Lumiere: “Il cinema è un’invenzione senza avvenire”.
A regalare un avvenire al cinema è allora stato un mago: Georges Méliès. È con lui, e con chi se non con un mago?, che il cinema si è fatto magia, trucco, illusione. Ha preso uno strumento che fino ad allora serviva a documentare la realtà e l’ha usato per documentare qualcos’altro: la dimensione del sogno.
Tirando fuori opere di pura fantasia e genio come il suo film più famoso, Viaggio nella Luna - Le voyage dans la lune.


Tutte queste cose sono raccontate, bene, in Hugo Cabret da Martin Scorsese, un regista che - non c’è certo bisogno che lo dica io - ha una cultura cinematografica immensa e che, ad esempio, prima dell’inizio delle riprese di un suo film dà sempre ai suoi attori qualche film da vedere e da studiare per prepararsi alla parte. Come un bravo professore che si rispetti.
Se Scorsese è bravo a raccontarci la storia, giusto un po’ romanzata, di Georges Méliès, sarà anche il regista più adatto a raccontarci quello che era, e che è ancora, il grande fascino del cinema di Méliès?

Andiamo a scoprirlo…

Hugo Cabret
(USA 2011)
Regia: Martin Scorsese
Cast: Asa Butterfield, Chloe Moretz, Ben Kingsley, Helen McCrory, Sacha Baron Cohen, Emily Mortimer, Jude Law, Christopher Lee, Ray Winstone, Richard Griffiths, Michael Stuhlbarg, Martin Scorsese, Michael Pitt
Genere: cine-fiabesco
Se ti piace guarda anche: Neverland, Harry Potter, A.I., Big Fish, Ember - Il mistero della città di luce

Si può immaginare un regista più lontano da Georges Méliès di Martin Scorsese?
"Che impresa sfuggire all'occhio vigile di quel furbone di Borat!"
Difficile, considerando come Scorsese si sia finora tenuto a parecchie distanze dal cinema fantastico, preferendo immergersi in un iperrealismo più da incubo che da sogno. A livello cinematografico, il regista italoamericano è un virtuoso, un fuoriclasse della macchina da presa, dei movimenti vorticosi, come ci tiene bene a sottolineare subito nell’apertura di questo Hugo Cabret, con una spettacolosa carrellata in avanti della stazione ferroviaria in cui gran parte del film è poi ambientato. Oppure nei rocamboleschi inseguimenti tra il piccolo protagonista e un odioso Sacha Baron Cohen, a metà strada tra slapstick comedy e Tom e Jerry, o anche tra Benny Hill Show e Mamma ho perso l’aereo.
Georges Méliès invece la telecamera si limitava a tenerla fissa, anche perché con i pesanti mezzi dell’epoca non è che si potesse fare altrimenti, e costruiva degli affascinanti quadri animati. Non potendo contare sui movimenti di macchina, i giochi di illusione del regista illusionista venivano creati attraverso il montaggio, di cui è considerato il padre. Anche perché se aspettavamo i Lumiere… bon voyage!
A livello stilistico il regista italoamericano e il suo cugino francese non c’entrano una beneamata mazza l’uno con l’altro. Cosa che comunque rende la sfida ancora più interessante e stimolante, sebbene il candidato ideale per portare oggi sullo schermo la figura di un Méliès sarebbe stato un certo altro regista…

"Questo automa per caricare un'immagine ci mette più di una connessione 56k!"
Ma mentre Steven Spielberg è troppo impegnato a fare all’amore con i cavalli, ecco che il buon Martin Scorsese gli ha bagnato il naso e ha realizzato il film che ci saremmo aspettati dal papà di E.T. e non da lui.
È di certo apprezzabile il tentativo di Marty McFly Scorsese qui in versione viaggiatore nel tempo di tuffarsi in una Parigi degli anni ’30 e raccontarci una fiaba dal sapore antico, ben lontana da tutto il resto del suo cinema, facendosi ispirare dal romanzo illustrato La straordinaria invenzione di Hugo Cabret di Brian Selznick. Un rinnovamento che fa piacere per la voglia di cambiare del regista sulla soglia dei 70 anni, ma allo stesso tempo il risultato è deludente piuttosto che no.
La prima parte in particolare è di scarso interesse ed è un’oretta buona di pellicola buttata via. Hugo Cabret è infatti il solito orfanello dickensiano che ha da poco perso il padre, un Jude Law che sembra uscito dritto da A.I. Intelligenza artificiale e che lavorava a un misterioso automa che ricorda L’uomo bicentenario con Robin Williams. Rimasto con uno zio (ovviamente) ubriacone (ovviamente) menefreghista e che a breve (ovviamente) sparisce, Hugo vive da solo all’interno della stazione di Parigi, dove per sopravvivere si arrangia come può.
Ovvero? Si prostituisce?
"Martin? Chloe? Beeen? Aiutoregistaaaa? Camerameeeen?
Hey, io sono ancora qui... qualcuno mi aiuta a scendere?"
No, questo non è il vecchio Scorsese, quello che faceva battere sulla strada una giovanissima Jodie Foster in Taxi Driver. Il nuovo Scorsese in benevola versione nonnetto ci presenta un Hugo Capretto ladruncolo, inseguito dal perfido Sacha Baron Cohen in scenette che ho trovato di una inutilità fastidiosa. A livello personale, io il personaggio di Borat l’avrei proprio eliminato del tutto, visto che è una macchietta stereotipata che non fa ridere e annoia. Così come ATTENZIONE SPOILERONE la sua conversione al pacifismo nel finale fa pensare di trovarsi uno Scorsese in versione davvero troppo natalizia (ma grazie Dio almeno non cinepanettona!).

Adesso dirò una cosa in stile vecchio che rimugina sul passato e su come erano belli i bei tempi andati. Parlerò come il mio blogger rivale Mr. James Ford, insomma. Uno dei problemi dei film per ragazzi di oggi è che sono quasi del tutto privi di ironia. Si prendono troppo sul serio, da un Harry Potter precisetti che sembra gli abbiano infilato una scopa volante su per il culo a tutte le varie altre saghe teen fantasy in cui l’assurdità delle situazioni di rado viene alleviata da una sana risata.
Se invece andiamo indietro nel tempo, non fino agli anni ’30 francesi di cui sembrano essere in fissa tutti i registi americani settantenni, ma indietro solo fino agli anni ’80, possiamo prendere come esempio I Goonies: tra Chunk e Mouth c’era da ammazzarsi dalle risate con ben due personaggi due. In un film come Hugo Cabret il simpatico umorista di turno sarebbe Borat in versione accalapia-orfani?
Bambinetti di oggi, non vi invidio proprio.

"Che figata, 'sto film di Scorsese! Come si chiama?"
"Taxi Driver."
A parte questo dettaglio non da poco, a non funzionare è anche il protagonista Hugo Cabret. Per un personaggio che dà il titolo al film, un problema certo non minore. Il giovanissimo attore Asa Butterfield non recita male, però nemmeno lascia il segno. Chloe Moretz, già esalta(n)tissima Hit Girl di Kick-Ass, qui è tutta smorfiette e faccette e il suo personaggio è davvero campato via; la bambinetta che accompagna Hugo nelle sue poco avventurose avventure a un certo punto sembra infatti volerci portare in un posto che è come “l'isola che non c'è, l'isola del tesoro ed il mago di Oz messi insieme”. Peccato che risulti come i politici italiani (e non solo italiani): brava a parole e a proclami esagerati, ma molto meno veritiera alla prova dei fatti.
Tutta la prima parte, molto fanciullesca, lascia quindi il tempo che trova, perfetta per una visione natalizia ma poco altro. Più che un omaggio al cinema di una volta, sembra un tributo alle pellicole fantasy Harry Potter style che vanno forte oggi (e infatti non a caso un paio di attori potteriani ce li ritroviamo pure qui dentro).

Le cose per fortuna vanno un po’ meglio nel secondo tempo, quando finalmente i riflettori si accendono su Georges Méliès e sulla sua storia.
È qui che il film ci regala i momenti migliori. Tutti le scene più magiche della pellicola sono quelle legate al regista francese, dalle animazioni dei suoi schizzi che si animano letteralmente, alle fantasmagoriche scenografie dei suoi set ricreate dai “nostri” Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo. Delle 11 nomination regalate dagli Oscar a questo film, quella per le scenografie è l’unica che appare davvero giustificata (ma, se vogliamo, ci possiamo mettere dentro anche quella agli effetti speciali). Le altre candidature sono invece regali puri tipici dell’Academy, compresa quella alla stucchevole colonna sonora francesizzante di Howard Shore. Sì, proprio l’autore delle musiche inquietanti del Silenzio degli innocenti che qui si è impegnato per suonare come una brutta copia della soundtrack di Amélie.
Per il resto, l’unica magia compiuta da Scorsese con questa pellicola è quello di aver convinto l’Academy Awards di aver realizzato qualcosa di grandioso, quando invece per lunghi tratti questo film è una semplice favoletta, arricchiata giusto da qualche riuscito omaggio cinematografico sparso qua e là: da Preferisco l’ascensore con la nota scena delle lancette (già citata peraltro, e in maniera molto più avvincente, in Ritorno al futuro) all’arrivo del treno dei Lumiere rivisitato in versione 3D. Che secondo me è l’unico vero motivo per cui Marty McFly Scorsese ha voluto girare questa pellicola in tre dimensioni.

Ne è uscita insomma una visione carina fin che si vuole, che però presenta anche delle notevoli lacune.
Cosa manca al film di Scorsese? L’ILLUSIONE. Cos’altro manca? LA MAGIA. Cosa si è dimenticato di inserire? IL TRUCCO. E poi? L’INVISIBILE AGLI OCCHI. Ma il peccato principale del film è un altro. Ha fallito di raccontare per davvero uno dei più grandi geni nella storia del cinema, la cui storia ci viene sì presentata con diligenza, ma senza riuscire a ricreare in pieno il misterioso fascino che opere come Les Voyage dans la Lune sprigionavano.
La cosa pazzesca di quei film è che sapevano sorprendere. Gli spettatori dell’epoca, così come quelli di oggi. La pellicola dello Scorsese nonnetto capretto invece non sorprende. Mai. Tutto è prevedibile, scontato, già visto. Ogni scena, così come ogni “colpo di scena”. Non bastano certo i camei suoi o di Michael Pitt per far gridare di stupore.
E poi io avrei voluto un film tutto sul grande regista francese, anziché su un bambinetto di scarso interesse.
Viva Georges Méliès, abbasso Hugo Cabret!
(voto 6+/10)

Dopo la delusione cabrettiana, aspettiamo allora di vedere la versione restaurata di Viaggio nella Luna - Le Voyage dans la Lune, con tanto di splendida colonna sonora firmata dagli Air e già presentata allo scorso Festival di Cannes.


Anche se l’omaggio migliore alla poetica, o per meglio dire alla magia del Méliès, resta sempre uno dei videoclip più belli mai realizzati: “Tonight, Tonight” degli Smashing Pumpkins, girato da Jonathan Dayton e Valerie Faris (futuri registi di Little Miss Sunshine). Quattro minuti che da soli valgono molto più di tutte le due ore del capretto.

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