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martedì 10 giugno 2014

UNA SMIELATA SENZA FINE




Un amore senza fine
(USA 2014)
Titolo originale: Endless Love
Regia: Shana Feste
Scemeggiatura: Shana Feste, Joshua Safran
Tratto dal romanzo: Amore senza fine di Scott Spencer
Cast: Alex Pettyfer, Gabriella Wilde, Bruce Greenwood, Joely Richardson, Rhys Wakefield, Anna Enger, Dayo Okeniyi, Emma Rigby, Robert Patrick
Genere: romanticoso
Se ti piace guarda anche: I passi dell’amore, Ho cercato il tuo nome, Safe Haven, Le pagine della nostra vita, The Last Song

Se non vi viene il diabete guardando Un amore senza fine, tranquilli. Siete a posto per tutta la vita. Non vi verrà mai più. Fidatevi, ve lo dice il Dottor Hannibal Kid.
Di rado ho visto pellicole smielate quanto questa e sì che io di stronzate del genere, da buon bimbominkia quale sono, ne vedo spesso. D’altra parte con un titolo del genere, Un amore senza fine, non ci si poteva aspettare qualcosa di diverso. Oltre a farmi schizzare alle stelle gli zuccheri nel sangue, questo film è però riuscito anche a sorprendermi. È stato davvero uno shock scoprire che NON è tratto da un romanzo di Nicholas Sparks. È incredibile, ma è davvero così. Eppure i classici ingredienti della storiona sparkstica sembrano esserci tutti. Innanzitutto la love story tra due personaggi che sono due fighi della Madonna, lui è il teen idol Alex Pettyfer che scommetto persino Ellen DeGeneres se lo vorrebbe scopare, lei è la tipica biondazza perfetta, tale Gabriella Wilde già vista nel pessimo remake di Carrie e dotata di un’espressività di poco superiore a quella della sua fuck-simile Fiammetta Cicogna. Nonostante siano belli belli in modo assurdo, si sentono comunque sempre in qualche modo fuori posto. Sono tormentati. Lui perché ha un passato oscuro alle spalle, lei perché suo fratello è morto un paio d’anni prima. Morto di cancro, come in ogni storia di Nicholas Sparks che si rispetti.

All’appello non mancano anche vari altri elementi tipicamente sparkstici, come avevo elencato in maniera diligente nel post dedicato a Vicino a te non ho paura – Safe Haven: c’è la scenona di sesso patinato girata in maniera molto pudica, un drammatico incidente d’auto, una tipica ambientazione country-borghese da America di provincia, una colonna sonora romantica, una regia del tutto anonima, dei protagonisti che si conoscono da due ore ma già si giurano un amore, come dice il titolo, senza fine. C’è però una cosa che manca e fa capire come questo film, per quanto sia difficile da credere, per davvero NON è tratto da un libro sparkstico: non c’è una morale cattolica. Un amore senza fine avrà tanti difetti, per esempio è sdolcinato e buonista da morire, ma se non altro non ci propone la solita visione cristiana tipica di Nicholas Sparks, il Manzoni d’Oltreoceano.

Una volta appurato con sconcerto da chi non è tratto, diciamo da chi è tratto. Un amore senza fine è il remake di Amore senza fine, una pellicola di Franco Zeffirelli del 1981 con protagonisti Brooke Shields e tale Martin Hewitt che è anche nota per il tema musicale “Endless Love” cantato da Diana Ross e Lionel Richie, nonché per aver rappresentato l’esordio cinematografico di Tom Cruise e Ian Ziering…
Ian Ziering, chiii?
Lo Steve Sanders di Beverly Hills 90210, naturalmente, e pure il protagonista del memorabile Sharknado, il film trash dell’estate scorsa. L’avrete mica già dimenticato? Meglio per voi di no, perché il 30 luglio sulla tv americana arriva il sequel.

"Dalle immagini di 'sto post sembra che ci baciamo e ci abbracciamo
per tutta la durata del film..."
"Perché, non è forse così???"
All’epoca il film Amore senza fine, a sua volta tratto dall'omonimo romanzo di Spencer Scott, aveva ricevuto ben 6 nomination ai Razzie Awards, gli Oscar dedicati ai peggio film. Come resistere allora alla tentazione di ripescare un capolavorone del genere e realizzarne una versione aggiornata?
Aggiornata poi mica tanto, visto che resta una pellicola dall’impostazione molto anni ’80, e questa è forse la nota più positiva del remake, per via di un amore tormentato tra una lei di buona famiglia e un morto de fame, un po’ in stile Dirty Dancing e cagate del genere di quelle che andavano soprattutto in quel decennio. Per rendere il tutto più politically correct, questa volta c’hanno messo dentro un personaggio di colore, l’amico del protagonista interpretato da Dayo Okeniyi, dandogli però il minor spazio possibile. Un problema questo a dirla tutta comune pure agli altri personaggi minori della pellicola, che si concentra soprattutto sull’amore intensissimo e schifosamente zuccheroso tra i due belloni protagonisti, oltre che sulla rivalità tra Alex Pettyfer e l'insopportabile padre di lei, Bruce Greenwood, un villain psycopatico cattivo cattivo, di quelli molto anni ’80, di quelli che fanno più ridere che paura. Tutto il resto resta invece relegato in un angolino.
Se il film nel corso della prima parte procede in maniera piuttosto decente e guardabile, come una pellicola 80s ripescata dentro qualche vecchio scatolone di VHS abbandonate, nella seconda si scivola su territori da melodrammone eccessivo e (involontariamente) ridicolo. Roba che si finisce quasi per rimpiangere una pellicola ispirata a un romanzo di Nicholas Sparks.
Ho detto quasi, perché peggio di un film tratto da Sparks ci può essere solo un film di Moccia tratto da Moccia.
(voto 5--/10)

giovedì 10 aprile 2014

WILD CHILD, BIMBAMINKIA SELVAGGIA




Wild Child
(USA, UK, Francia 2008)
Regia: Nick Moore
Sceneggiatura: Lucy Dahl
Cast: Emma Roberts, Alex Pettyfer, Kimberley Nixon, Georgia King, Natasha Richardson, Juno Temple, Sophie Wu, Shirley Henderson, Nick Frost, Aidan Quinn, Lexi Ainsworth, Linzey Cocker, Shelby Young, Johnny Pacar
Genere: bimbominkioso
Se ti piace guarda anche: L’altra metà dell’amore, Ragazze a Beverly Hills, Mean Girls, Pretty Little Liars

Dopo Wild Boys dei Duran Duran, ecco a voi parecchi anni dopo… Wild Child.
Nei panni della Wild Child troviamo Emma Roberts che, insomma, tanto child non è, almeno non più. Wild invece sì. Parecchio. Immaginatevi un incrocio tra Paris Hilton e Lindsay Lohan ma ancora più festaiola, un po' meno fatta però più scatenata. Una ragazzina americana viziata e dedita alla bella vita che, dopo averne combinata una più grossa del solito, viene spedita dal papi dritta in un collegio inglese. Un collegio per sole ragazze di quelli in mezzo alla campagna in una dimora che sembra Downton Abbey. ‘Nammerda, in pratica. O anche a shit, per dirla con gli amici inglesi. Dalle stelle alle stalle, la nostra wild child poco child e molto wild all’inizio avrà vita dura nel collegio. Le sequestrano l’iPhone che tanto non può usare perché in campagna non c’è campo, ha un accesso limitatissimo a Internet e deve vestirsi con la divisa scolastica dell'istituto che nel film viene vista come una roba da sfigati, mentre in realtà ha il suo che di sexy. Perlomeno se a indossarla sono Emma Roberts e Juno Temple.


Come in ogni pellicoletta adolescenziale/di formazione che si rispetti, dopo le prime difficoltà con la mean girl della scuola di turno, la nostra wild child naturalmente si farà qualche amichetta e, altrettanto naturalmente, scatterà pure del tenero tra lei e l’unico wild boy che può frequentare l’istituto, ovvero il figlio della preside che, ancor più naturalmente, non è un nerd con gli occhialetti alla Harry Potter, ma è un bonazzo che pare uscito da un catalogo di Abercrombie. Sto parlando di Alex Pettyfer, quello che a Hollywood stanno provando in tutti i modi a trasformare in un divo con film come Sono il numero quattro, Beastly e Magic Mike, ma ancora non ci sono riusciti e chissà se ci riusciranno mai.


"Qui non c'è Internet! Come faccio a controllare Pensieri Cannibali?"
In Wild Child ci sono dunque il più o meno lanciato Alex Pettyfer e la ultra lanciata Emma Roberts, che di recente si è vista in parecchi film tra cui Come ti spaccio la famiglia e in più in tv in American Horror Story: Coven. Ma non è finita qui. Il cast di contorno della pellicola è di buon livello, con la pure lei più che lanciata Juno Temple, Georgia King avvistata nella serie tv The New Normal, Kimberley Nixon della serie UK Fresh Meat, e pure alcune presenze British garanzia di quality come Natasha Richardson e Shirley Henderson (Trainspotting e Il lercio).
Un cast valido pieno di sgallettate, più un tocco britannico che riesce a tenere lontano l’odore di americanata, pur presente, fanno di questo Wild Child un film tutt’altro che imprescindibile, ma se non altro una visioncina leggera leggera, buonista un po’ troppo per i miei gusti eppure non sdolcinatissima al 100%.
Riassumendo: se siete patiti di stronzate bimbominkiose (come me) e/o siete neo fan della neo divetta Emma Roberts (come me), un’occhiata potete dargliela, miei cari wild cannibal children. Altrimenti continuate pure ad astenervi in maniera altrettanto wild.
(voto 6/10)

"Eccola qua, la recensione cannibale. Beh, poteva anche sprecarsi un po' di più..."

mercoledì 15 gennaio 2014

THE BUTLER – UN BLOGGER ALLA CASA BIANCA




Buongiorno badroni bianghi, cosa vi botere bortare?
Voi volere recensione di The Butler?
Lo so che voi aspettare già da un bo’, berò io essere imbegnato con classifiche di fine anno e boi essere imbegnato a servire un tibo abbastanza imbortante, uno che vive in una casa bianga, bianga come voi, e quindi scusare tanto se no trovare tembo ber fare recensione. Che boi non essere una di quelle recensioni fondamentali, amico. No si trattare di una di quelle che esaltare e consigliare di vedere il film a tutti i costi, e no si trattare nemmeno di stroncatura secca. Essere biuttosto una di quelle recensioni medie per una bellicola media che avere bregi e difetti e io boi berché barlare così? Io avere studiato in ottima scuola con voi bianghi e boi in questo film gente no barlare così, io confondere con Australia di Baz Luhrmann, quindi io ora smettere di barlare così, okay badroni?


The Butler – Un maggiordomo alla Casa Bianca
(USA 2013)
Titolo originale: The Butler
Regia: Lee Daniels
Sceneggiatura: Danny Strong
Ispirato all’articolo: A Butler Well Served by This Election di Wil Haygood
Cast: Forest Whitaker, Oprah Winfrey, David Oyelowo, Cuba Gooding Jr., Terrence Howard, Yaya Alafia, Jesse Williams, Lenny Kravitz, John Cusack, Robin Williams, James Marsden, Minka Kelly, Liev Schreiber, Nelsan Ellis, Alan Rickman, Jane Fonda, Mariah Carey, David Banner, Alex Pettyfer, Vanessa Redgrave
Genere: servizievole
Se ti piace guarda anche: The Help, Forrest Gump

La prima cosa di una pellicola che salta all’occhio di un pubblico di bianchi sono i difetti. Ah, i bianchi, mai contenti di niente! Sempre a guardare il lato negativo delle cose. The Butler è un film di quelli che trattano una tematica impegnata, come lo schiavismo e il razzismo, è pieno di retorica, è un’americanata ruffianata, in pratica. Questo è un difetto, senza dubbio. Però al suo interno non ci sono solo difetti.
Gli attori sono bravissimi e questo potrebbe non sembrare un difetto, però forse un po' lo è perché sono di quel bravissimo perfetto per l’Academy e per i premi vari. Un bravissimo talmente perfetto che perfino l’Academy potrebbe non cascarci più, considerando ad esempio come ai Golden Globe il film a sorpresa sia stato ignorato alla grande. Ed è un peccato, perché Forest Whitaker offre una performance notevole, non ai livelli di Ghost Dog, che quello rimane un film che vale una carriera e pure una vita, però è comunque notevole. Molto più ad esempio del pessimo Tom Hanks del pessimissimo Captain Findus. E ancor più degna di nota è la non protagonista Oprah Winfrey. Sì, “quella” Oprah Winfrey. La presentatrice più importante e ricca della tv americana, qui davvero fenomenale nei panni vestiti in maniera dannatamente naturale della moglie di Forest Whitaker.


Stupisce pure una irriconoscibile Mariah Carey in un piccolo ruolo, mentre Lenny Kravitz si conferma caratterista di razza ed è ormai capace di far dimenticare di essere una rockstar sexy e desiderata in tutto il mondo. Al cinema anzi è proprio bruttarello. È più bello Forest.
Da tenere d’occhio poi la fighissima e stylosissima Yaya Alafia (anche nota come Yaya DaCosta), quella de I ragazzi stanno bene, e il giovane David Oyelowo, che ha la parte del figlio maggiore di Whitaker. È proprio nel rapporto padre/figlio, nello scontro tra due differenti generazioni e tra due differenti modi di essere “negro” che il film ha i suoi momenti più intensi ed efficaci. È qui che sta il cuore del film.


Forest Whitaker è il cameriere di colore che passa la sua vita al servizio dei bianchi. Vive dentro al Sistema ma, zitto zitto, contribuisce in qualche modo a cambiarlo. Se oggi alla Casa Bianca siede un uomo di colore è anche grazie a uno come lui. Dall’altra parte il figlio David Oyelowo è invece un rivoluzionario, un ribelle, una Black Panther, uno che non ci sta a servire l’uomo bianco, lo Zio Tom, sì badrone. È anche grazie a quelli come lui se oggi alla Casa Bianca siede un uomo di colore. È qui che il presunto buonismo della pellicola, molto evidente in superficie, comincia a non essere poi tanto evidente. A contribuire al cambiamento sociale, al Change, ci sono stati pure i movimenti violenti. Questo è ciò che suggerisce il film e non è che sia proprio un messaggio così ruffiano o politically correct, che ne bensate, badroni?
La vera mazzata offerta dallo script di Danny Strong, mitico Jonathan in Buffy – L’ammazzavampiri e goldenglobbizzato per l’ottima sceneggiatura del film tv HBO Game Change, è però un’altra. Il film paragona infatti in maniera esplicita la segregazione razziale americana ai campi di concentramento nazisti, una cosa che non si sente certo tutti i giorni in una grossa produzione hollywoodiana. Non ad esempio nel ben più ruffiano Forrest Gump, film che voi badroni bianchi tanto amare.

"Il mio nome è Forest Gum... volevo dire Forest Whitaker."

Peccato che non tutta la pellicola sia altrettanto coraggiosa. Non lo è ad esempio la regia di Lee Daniels. L’autore del notevole Precious sembra aver messo da parte la ferocia di quel film, potente non solo a livello di contenuti ma anche stilisticamente, e qui adotta una regia molto formale, molto piatta. È come se Lee Daniels fosse passato dall’essere un giovane ribelle nero incazzato, come David Oyelowo nel film, a un uomo maturo che cerca di convivere dentro il sistema giocando secondo le regole, come Forest Whitaker nel film. Ed è così che ha firmato una pellicola che a livello registico poteva osare di più e che a livello di contenuti ha qualche spunto non male ma poi a un certo punto è come se tirasse indietro la mano, mentre a livello emotivo non riesce a essere coinvolgente tanto quanto una pellicola che affronta una tematica simile come il più efficace The Help.

La sfida di un racconto diluito parecchio nel tempo come questo, si parte dagli anni ’20 e si arriva al presente, era ardua. La sceneggiatura di Danny Strong ne esce in maniera tutto sommato decente, considerando i quasi 100 anni da raccontare. Nel voler trattare una storia e una Storia tanto ampie e lunghe, a essere tratteggiati in maniera inevitabilmente superficiale sono i vari presidenti degli USA per cui il personaggio di Forest Whitaker lavora: John Cusack nonostante il nasone che gli hanno appiccicato in faccia non c’azzecca un granché con Richard Nixon, Robin Williams è un Eisenhower macchiettistico, James Marsden si sforza ma non è per niente un JFK convincente, Liev Schreiber come Lyndon Johnson si poteva evitare, mentre Alan Rickman come Ronald Reagan ci sta, così come Jane Fonda nei panni della moglie Nancy Reagan.


Tanto tempo, troppo tempo, troppi Presidenti, troppi decenni da raccontare, troppi cambiamenti epocali e parecchi ovviamente non trovano lo spazio che avrebbero meritato. Da una materia così complessa, sia a livello temporale che di contenuti, si poteva tirare fuori un disastro, invece The Butler riesce a portare il suo servizio a buon, diciamo discreto compimento. Il film non dice niente di troppo nuovo a parte il citato paragone schiavismo/nazismo, e ci racconta storie che già conoscevamo. Eppure si lascia guardare dall’inizio alla fine e alcuni momenti, per quanto noti, è sempre bello riviverli. Come l’insediamento di Barack Obama alla Casa Bianca, un passaggio storico epocale almeno quanto il primo passo dell’uomo sulla Luna.

Si poteva, era legittimo pretendere un maggiore coraggio, certo. Ma a volte è meglio non strafare. A volte è meglio agire in maniera più composta, più sotterranea, e contribuire anche così a mutare le cose. C’è poco di rivoluzionario in un film come The Butler, però solamente un paio di passaggi di sceneggiatura per niente politically correct e scontati, come in questo caso, possono bastare. Le cose si possono cambiare pure così. Passo dopo passo. Presidente dopo Presidente. Film dopo film. Un pochino alla volta. Come fare Forest Whitaker in questo The Butler e come fare io, umile cameriere blogger al servizio di voi breziosi e illustri lettori bianghi di Bensieri Cannibali. Certo berò che una volta voi botere anche lasciare a me mancia, brutti badroni sbilorci!
(voto 6+/10)

mercoledì 26 settembre 2012

È quasi magia Mike

Magic Mike
(USA 2012)
Regia: Steven Soderbergh
Cast: Channing Tatum, Alex Pettyfer, Matthew McCounaghey, Cody Horn, Joe Manganiello, Matt Bomer, Adam Rodriguez, Olivia Munn, Camryn Grimes, Riley Keough, Reid Carolin
Genere: strippone
Se ti piace guarda anche: 8 Mile, Le ragazze del Coyote Ugly, Erin Brockovich

Avevo sentito delle voci strane in giro su questo film. Dicevano che faceva impazzire le donne. Dicevano che rischiava di far diventare gli uomini etero gay e gli uomini gay ancora più gay. Avevo sentito di organizzazioni religiose bigotte che volevano boicottare la visione del film per il pubblico maschile. Una cosa analoga a quanto successo, al contrario, una decina d’anni fa con Le ragazze del Coyote Ugly. All’indomani dell’uscita di quella pellicola, si era assistito nel mondo a un incremento pazzesco nel numero di lesbiche.
Voci vere, voci false?
Questo film di certo è un buon test sui propri gusti sessuali. Se non m’è venuto duro durante la visione di Magic Mike, direi che sono irrimediabilmente etero. O magari è solo che non mi piacciono gli uomini muscolosi. In ogni caso, rivolgo un invito: uomini, guardate questo film e mettete alla prova le vostre preferenze.
L’invito alle donne invece non lo rivolgo nemmeno, che quelle sono già corse a vedersi il film almeno 3 o 4 volte.

Al di là dell’aspetto sessuale, tra una chiappa di Channing Tatum e un six-pack di Joe Manganiello, Magic Mike comunque non è solo una parata dell’orgoglio muscoloso, ma è anche un film di tutto rispetto.
Steven Soderbergh is back. Se si sposta l’attenzione dagli strip degli strapponi alla regia, Steven chiappe Sode-rbergh ha fatto un gran bel lavoro, ancor più degno di nota del fisico sfoggiato dal 42enne Matthew McCounaghey.
Dimenticate l’ultimo modestissimo Contagion, il flop Knockout (che mi sono fatto il favore di risparmiarmi considerando i pareri tragici sentiti in giro) o le sue recenti prove troppo sperimentali. Alle prese di nuovo con una signora sceneggiatura, il signor Soderbergh è tornato a essere un signor regista. Splendide riprese, montaggio preciso, il tutto accompagnato da una fotografia coi fiocchi. La mente ritorna allora ai tempi di Erin Brockovich, per via anche di una storia ispirata a un personaggio reale. Là la Erin Brockovich del titolo, appunto, qua il Channing Tatum auto proclamatosi protagonista della pellicola.
"Sono 2 minuti che nessuna tipa sta sessaggiando con me.
Starò mica perdendo la mia figosità?"
Ebbene sì, lo script molto ben scripto da Reid Carolin è basato proprio sulle esperienze del giovane Tatum il quale, prima di diventare un attore, prima ancora di diventare un modello, faceva lo spogliarellista. In questa parte si è quindi calato alla perfezione. E poi s’è pure calato le mutande.
Un film sui suoi esordi, un po’ come 8 Mile con Eminem. E a proposito…

Magic Mike è un film che racconta un ambiente particolare, quello degli spogliarelli maschili, come 8 Mile faceva con le rap battles, come Fast & Furious faceva con le corse clandestine di auto tuningate, come Point Break faceva con il surf o come le prime puntate della serie The O.C. facevano con il mondo dei party di lusso di Los Angeles.
Magic Mike è quindi un’immersione nella vita di questi belli belli in modo assurdo, in particolare del Magic Channing e del novellino Alex Pettyfer. È attraverso i suoi occhioni verdi che vediamo la vicenda e ci introduciamo nell’intimo e soprattutto nella biancheria intima degli spogliarellisti di Tampa, Florida.

"Queste banconote saranno anche finite sul manganello di Manganiello,
ma io me le intasco lo stesso!"
Ci sono film che funzionano e film che non funzionano. Non sarà un capolavoro, Magic Mike, non dirà niente sui massimi sistemi, eppure funziona. Ha tutte le carte giuste in mano e sa quando giocarle. In particolare, a funzionare alla grande è tutta la prima parte, quella in cui ci presenta i personaggi. Personaggi che poi non verranno sviluppati del tutto però attenzione: non è una scelta sbagliata. Questi spogliarellisti non è che abbiano una profondità intellettuale ed emotiva enorme, quindi scavare troppo a fondo sarebbe stata, quella sì, una scelta sbagliata. Alcuni personaggi, come quelli di Joe Manganiello from True Blood, di Adam Rodriguez from CSI: Miami o di Matt Bomer from WhiteRussian Collar, parlano unicamente attraverso i propri corpi, più che a parole. Inutile scavare sotto, si rischiava solo di non trovare niente.
Un ulteriore approfondimento l’avrebbe invece meritato il personaggio di un sorprendentemente bravo Matthew McCounaghey, che nel monologo iniziale mi ha ricordato il Tom Cruise (ancor più fenomenale) di Magnolia. Solo che laddove Cruise là era un motivatore che si rivolgeva ai peni, qui McCounaghey è uno spogliarellista sul viale del tramonto che sussurra alle vagine.

"Senti come pompa questa nuova hit dall'Italia: Pulcino Pio!"
Magic Mike segna un curioso ribaltamento di ruoli, con gli uomini ridotti a un mero oggetto sessuale. Ed è proprio qui che la pellicola gioca la sua carta migliore.
Mettendo in campo il dream-team dei manzi attualmente al pascolo tra le colline di Hollywood?
No, anche se le donne non saranno d’accordo, non mi riferisco al cast, comunque davvero ben assortito nel realizzare ogni fantasia femminile possibile, dal novellino Pettyfer all’anzianotto Tarzan intepretato dal wrestler Kevin Nash, che non a caso sembra Mickey Rourke proprio in The Wrestler.
Mi riferisco al senso dell’umorismo sfoggiato ancor più delle ignudità dei protagonisti. C’è ad esempio una esilarante scena con l'ex numero 4 Pettyfer che si fa la ceretta alle gambe mentre la sorella gli parla attraverso la porta. Questa è vera comedy, molto più divertente di tanti film comici in senso stretto.
"Hey, ma allora c'è anche della figa in questo film."
"Sì però ora dobbiamo smammare, stiamo togliendo spazio a voi manzi e
c'è già qualche spettatrice indispettita che sta lasciando il cinema."
Spassoso poi anche l’uso delle musiche, con l’immancabile “It’s Raining Men” per il numero di gruppo e una “Like a Virgin” suonata per lo stripper debuttante.

I film sugli strip al femminile, fatta eccezione per qualche eccezione tipo Exotica di Atom Egoyan, si sono rivelati più che altro delle autentiche ciofeche, oltre che dei flop clamorosi: cito solo Showgirls e Striptease. Terribili. A sorpresa, ma non troppo, le pellicole dedicate agli strip maschili sono invece più riuscite e si sono rivelate anche dei notevoli successi. Full Monty è stato un autentico caso e questo Magic Mike ha spopolato prima negli Usa e ora anche da noi.
Perché, questa differenza?
Proprio per la presenza di un forte humor, che invece manca alle pellicole sullo strip femminile.

Poteva essere solo un film di manzi, muscoli e dollari infilati in mezzo alle natiche, invece Magic Mike è una bella storia di iniziazione a un mondo, quello dello spogliarello maschile, visto in maniera ironica ma non stupida. Visto attraverso i suoi lati positivi così come pure quelli negativi. Perché anche la vita dei belli belli in modo assurdo può essere dura.
E comunque se non sono diventato gay guardando questo film, mi sa che non lo diventerò più...
(voto 7,5/10)

martedì 28 febbraio 2012

In time - Raga, vi presento mia mamma: Olivia Wilde

In Time
(USA 2011)
Regia: Andrew Niccol
Cast: Justin Timberlake, Amanda Seyfried, Olivia Wilde, Cillian Murphy, Johnny Galecki, Matt Bomer, Alex Pettyfer, Vincent Kartheiser, Rachel Roberts, Jessica Parker Kennedy, Melissa Ordway
Genere: fantamoney
Se ti piace guarda anche: I guardiani del destino, Demolition Man, Io Robot, Il mondo dei replicanti

In Time parte da un bello spunto, una buona base di partenza per una storia: in un ipotetico futuro, tutte le persone sono geneticamente modificate in modo da avere 25 anni per sempre.
Forever young, I want to be forever young, do you really want to live forever, forever young?
Lacrimuccia alphavillosa.
La tematica si fa quindi molto Peter Panesca, anche molto vampiresca. Le saghe letterarie, cinematografiche, telefilmiche sui succhiasangue da Twilight a The Vampire Diaries vanno forte per quale motivo? Perché i vampiri sono creature non solo immortali, ma anche eternamente giovani e fighe. Avete mai visto un vampiro cesso?
Sì, una volta in True Blood ce n’era uno obeso e inguardabile, ma infatti l’han fatto durare giusto una o due puntate…
Come si gioca questa carta dell’eternà giovinezza il film In Time? Male, il tema non viene assolutamente sviluppato a sufficienza. Se non con scenette come quella mostrata nel trailer: queste sono mia moglie, mia suocera e mia figlia. E sono tre biondazze giovani che sembrano uscite da un catalogo di Victroia's Secret.

"Aiuto, voglio la mamma! Anzi, la vorrei anche se non fossi in pericolo..."
Andiamo avanti nel time con la trama.
Dopo aver raggiunto i 25 fatidici anni, ogni persona ha un solo altro anno di vita. A meno che non si guadagni più tempo. Sì, guadagnare, perché il tempo è la moneta del futuro, o almeno di questo strambo futuro. Niente euro. Niente dollari. Niente yen. Il tempo è denaro, letteralmente.
Bello spunto di partenza dicevamo. Peccato che sortisca anche degli effetti ridicoli assai.
Il protagonista Justin Timberlake ha infatti come mamma… Olivia Wilde!
Olivia Wilde mamma di Justin Timberlake?!?!
What the fuck!
Credo che in questo caso la parola M.I.L.F. (Mother I'd Like to Fuck) non sia nemmeno abbastanza sufficiente per definire la situazione dentro cui si trova il Justin. Una situazione in cui se non pensi all’incesto non sei normale.
Il pericolo di scadere in situazioni potenzialmente ridicole è di per sé molto presente nel cinema di fantascienza, più che in altri generi. Alcuni film riescono comunque ad aggirare l’ostacolo bene, qui invece l’ostacolo non viene saltato proprio.
Olivia Wilde mamma di Justin Timberlake?
Dai, è davvero troppo comico.
Ci manca solo la scena in cui Justin fa conoscere la mamma agli amici:
"Per l'ennesima volta, Justin: sei troppo grande per essere ancora allattato!"
“Hey raga, vi presento mia mamma… E dai, non sbavate. È pur sempre mia mamma. Sì, va bene, anch’io c’ho perso la vista a forza di fare pensieri impuri su di lei, però dai raga, è la mia vecchia mamma. Riallacciatevi quei pantaloni, forza. Mamma, io comunque ti amo… ehm, volevo dire ti voglio bene. Come un figlio può voler bene a una madre, non intendo mica come un camionista che vorrebbe possederti carnalmente in un cesso di uno squallido benzinaio sull’autostrada potrebbe volerti bene. Ah, mamma: questa sera posso dormire insieme a te che ho ancora quegli incubi ricorrenti?”.

ATTENZIONE SPOILER
Fatto sta che questa situazione tanto assurda non regge molto. Tempo una manciata di minuti e la povera mamma MILF super MILF super extra MILF di Justin ci rimette la vita, in una sequenza altamente patetica, eccessiva e ridicola in cui Justin si ritaglia il solito momento da filmone americano, dove è lasciato libero di gridare:
“NOOOOOOOOOOOOOO! Prendi meeeeeeeee!”

"Sei meno figa della mia anziana madre, Amanda, però mi ti farei comunque..."
Quindi la storia si evolve, entra l’inevitabile interesse amoroso che ha le vesti di Amanda Seyfried, da me anche ribattezzata Amanda Seyfrigida. Tipa caruccia, ma che non mi ispira troppo sesso. Sarà l’omosessualità che avanza… chi lo sa?
Fatto sta che la premiata (?) accoppiata Justin + Amanda together forever tiene in piedi la baracca di una storia che si sfilaccia mano a mano che procede, ma che rimane comunque entro i limiti della guardabilità. Come se ci trovassimo di fronte a un film con Will Smith, però senza l’insopportabile presenza di Will Smith. Differenza non da poco.
Non che JT sia fenomenale in questo film, in The Social Network ad es. era molto più convincente, però è pur sempre moooooolto meglio di WS. Sia al cinema che in ambito hip-hop.
Yo, Willy, beccati questa.
"Affare fatto, Vincent: se tu torni a fare Mad Men, io torno insieme a Britney."
Dietro la macchina da presa siede un regista che un tempo faceva sperare grandi, grandissime cose. Andrew Niccol ha infatti esordito alla regia con quell’autentico gioiellino della fantascienza recente che è Gattaca, uno spettacolo per gli occhi come per il cuore, grazie alla toccante parabola di un uomo imperfetto in un mondo di essere geneticamente perfetti e programmati per eccellere, di cui questo In Time è solo un pallido riflesso.
Subito dopo, il buon Niccol firmava anche la sceneggiatura di The Truman Show, pellicola che nel 1998 affrontava credo prima di tutti gli altri la complessa tematica della reality tv, che avrebbe poi segnato, e purtroppo segna tutt’ora, i successivi Anni Zero.
Dopodiché Niccol aveva girato un’altra riflessione interessante sul rapporto reality-fiction con la diva creata al computer di S1mOne, film magari non del tutto riuscito ma comunque affascinante che aveva tra l’altro il merito di lanciare una giovanissima Evan Rachel Wood. Scusate tanto se è poco.
Quindi, Niccol sganciava un'altra bomba come Lord of War, pellicola notevolissima sul commercio d’armi in cui - udite udite - riusciva a far passare Nicolas Cage per un attore vero! Era il 2005 e quello sarebbe stato l’ultimo film decente con Cage protagonista [in Kick-Ass, per fortuna, è solo un comprimario di lusso (lusso?)].
Viene da chiedersi allora cosa sia successo tra quelle pellicole, in cui delineava un suo stile bello personale, e un filmetto d’intrattenimento, decente ma nemmeno dei migliori, come questo. La risposta sono sicuro ve la possiate immaginare anche perché è un po’ la tematica di In Time stesso: il denaro.
È un vero peccato che grandi talenti visivi passino da grandi film a robette commerciali del genere, parlo di Andrew Niccol ma anche di un altro regista che me lo ricorda come Alex Proyas, trasferitosi dagli ottimi e scurissimi Il Corvo e Dark City a - per parlarci chiaro - puttanatine come Io, Robot e Segnali dal futuro. Non a caso con i già menzionati Willy Smith e Nicky Cage.

"Sbrigati, che se la nostra fuga funziona ti posso cantare: Aaamanda è libera!"
Ci sono esempi di pellicole di fantascienza entertaining che riescono a fare il loro porco dovere alla grande, come un paio con gli eroi del mio antagonista Mr. Ford, ovvero Demolition Man con Stallone e Atto di forza con Schwarzy, ma questo In Time resta a un livello inferiore, diciamo più dalle parti de Il sesto giorno sempre con l’ex governatore della California. O anche de Il mondo dei replicanti, quello invece con Bruce Willis. Ecco, In Time pressappoco è su quei livelli lì. È un film che scivola e ogni tanto cade proprio nel ridicolo ed è un peccato, perché da Andrew Niccol mi aspettavo molto di più. E perché alla fine la pellicola lancia anche un bel messaggio anti-capitalista sulla redistribuzione della ricchezza che, soprattutto di questi tempi, avrebbe potuto condurre a ben altre e più alte riflessioni. Invece si è preferito puntare sul solito filmone, o meglio filmino, di puro intrattenimento di stampo action hollywoodiano blockbusteriano. In Time? Sì, magari l’avessero fatto negli anni Novanta. Adesso è arrivato un pochino fuori… time.
(voto 5,5/10)

venerdì 20 maggio 2011

Bestia che roba

Era così...
Beastly
(USA 2011)
Regia: Daniel Barnz
Cast: Alex Pettyfer, Vanessa Hudgens, Neil Patrick Harris, Mary-Kate Olsen, Peter Krause, Erik Knudsen, Lisa Gay Hamilton, Dakota Johnson
Genere: teen fantasy new romantic
Se ti piace guarda anche: La bella e la bestia (Disney), Vanilla Sky, Cappuccetto rosso sangue

Trama semiseria
La bella e la bestia 2.0: un tizio strafico & strasuperficiale viene trasformato in un mostro da una strega che ha le fattezze a sua volta mostruose di Mary-Kate Olsen: tornerà quindi alle sue più gradevoli fattezze soltanto se troverà il vero amore. Ed è qui che entra in scena la bella (anzi, diciamo strafiga pure lei) Vanessa Hudgens. Si innamorerà di quello scorfano cyber-punk (che poi ha il suo fascino pure così)?
Ma siete davvero così ingenui da porvi questa domanda?
Il bimbominkia che vive dentro di me a quanto pare sì…

...poi ha partecipato a Plastik su Italia 1 ed è diventato così. O è il contrario?
Recensione cannibale
Visto il successo di Alice in Wonderland ai botteghini mondiali continuano a spuntare come fiori a primavera un sacco di pellicole più o meno adolescenziali ispirate alle fiabe. Potremmo definirle delle rivisitazioni moderne di classici, o potremmo definirla anche la crisi di mezza età di una Hollywood rimasta senza più idee originali e che non sa più davvero che pesci pigliare. Comunque la si voglia mettere, almeno se non si ripongono aspettative troppo alte, prodotti del genere possono risultare anche guardabili e in qualche modo rassicuranti, visto che sappiamo già bene o male come le cose andranno a finire.
Il mio errore nell’approcciarmi all’Alice di Tim Burton è stato infatti proprio quello di avere avuto aspettative esagerate, d’altra parte mica potevo immaginarmi che il king of the dark potesse cadere tanto così tanto in the dark… e invece l’ha fatto. E così con Cappuccetto rosso sangue o questo Beastly, sarà che già di partenza non sono mai state tra le mie storie preferite, sono partito sull’attenti. E invece questi filmetti hanno saputo se non conquistarmi totalmente, perlomeno intrattenere il mio lato più bimbominkia. Ognuno ha i propri demoni interiori, inutile negarlo, e io purtroppo ho un bimbominkia-bestia che vive dentro di me e ogni tanto viene fuori. Non c’è niente da fare, o forse mi servirebbe un esorcismo?

Per quanto difficile sia da credere: NON è lei la Bestia
Beastly è un prodotto gradevole, una rilettura per quanto ne so non troppo rivoluzionaria ma piuttosto fedele alla storia originale della Bella e la bestia. Se Cappuccetto rosso sangue scadeva in diversi punti nel trash, qui ci si limita alla sola apparizione di Mary-Kate Olsen (l’altra Olsen per fortuna ce l’hanno risparmiata), presente in versione inquietante strega emo che, come sottolineato da AlmaCattleya, è mostruosamente simile a Patty Pravo.
L’inizio del film fa quindi temere il peggio, con una malefica ma più che altro ridicola gemella Olsen e un protagonista che segue tutti gli stereotipi del bello & stronzo del caso. Con la trasformazione in mostro però finalmente il film prende quota e riesce a ritagliarsi uno spazio nel nostro cuoricino.
(Quest’ultima frase, tanto per essere chiari, non l’ho scritta io, ma il bimbominkia mostro che vive dentro il mio cervello).
È qui che troviamo una scena molto simbolica per i tempi in cui viviamo: quando il protagonista cancella il suo profilo sul social network facebook/myspaceiano di turno. È allora che avviene il cambiamento. Prima in rete, e solo dopo dentro di sé.

Tra gli attori ho notato un miglioramento di Alex Pettyfer rispetto alla sua impassibile recitazione in Sono il numero quattro, sarà dovuto al trattamento alla Charlize Theron di Monster? Quanto a Vanessa Hudgens non è che non sia brava a recitare, solo non è (ancora) così brava. Le fanno sempre fare la parte della mezza sfigata quando invece è una gran gnugna, per quello che le è un po’ difficile risultare credibile. Ma non è colpa sua, è colpa dei ruoli che le danno. E se avete qualcosa da dire contro Vanessa Hudgens, attenti: il bimbominkia che vive dentro di me potrebbe venire a cercarvi uno per uno.
Veniamo comunque all’idolo assoluto del film: Neil Patrick Harris nei panni dell’insegnante cieco (un personaggio inventato rispetto alla fiaba tanto per giustificare lo stipendio degli sceneggiatori) ci regala un po’ di impagabile ironia, con battute come: “A 15 anni i miei amici hanno perso la verginità, io la vista.”
È il suo personaggio a far fare il salto alla pellicola, altrimenti per molti versi simile ad altri filmini di stampo teen fantasy degli ultimi tempi in stile Twilightiano, in cui lo humour è assente, oppure se presente è del tutto involontario.
Per il resto c’è una piacevole soundtrack pop con Pixie Lott, Death Cab, Natalia Kills, Vines e Lady Gaga, compare pure Peter Krause (quello che si è fatto tutti i telefilm da Six Feet Under a Dirty Sexy Money e Parenthood) e c'è un finale altamente e ovviamente prevedibile.

Insomma, questo film mi è piaciuto una cifra. Cioè sì è una storia sturiosa, Bella raga e Bestia raga, andate a vederlo!

Quest’ultima frase è sempre tutta farina del sacco del dannato bimbominkia-bestia che vive dentro di me e che oramai mi sta quasi rimpiazzando. L’unica cosa che vi chiedo di fare è: chiamate un esorcista prima che mi sostituisca del tutto, oppure dite che mi amate così romperete l’incantesimo!
(voto 6/7)

lunedì 9 maggio 2011

“Sono il numero 4!” Ca**o mene, pirla, io sono il numero 1

Non sono il numero 1, ma solo il numero 4...
Sono il numero quattro
(USA 2011)
Titolo originale: I am number four
Regia: D.J. Caruso
Cast: Alex Pettyfer, Dianna Agron, Timothy Olyphant, Teresa Palmer, Callan McAuliffe, Jake Abel, Beau Mirchoff, Kevin Durand
Genere: (non proprio) fantastico
Se ti piace guarda anche: Smallville, Terminator, Transformers, Twilight

Trama semiseria
Il protagonista è un tizio venuto sulla Terra da un altro pianeta. Esatto: un immigrato da accogliere a braccia aperte per Bersani, un clandestino da mandar “for dai bali” per Bossi, un terrorista da uccidere brutalmente non mostrando poi né immagini né filmati per gli americani.

...come superpotere faccio luce da una mano
e la figa del liceo non me la smolla nemmeno...
A dare la caccia a questo affascinante E.T sbarcato nel nostro paese per rubarci il lavoro e la figa non sono però i terrestri, bensì un gruppo di mostri provenienti dal suo pianeta che già hanno ucciso i primi 3 della lista e ora lui è il numero 4, il prossimo a dover essere eliminato.
A proteggerlo comunque c’è un guardiano, il suo personale Terminator che non ha le fattezze inespressive di Schwarzy ma quelle un pochino più espressive (ma non troppo) di Timothy Olyphant, e che gli suggerisce di non farsi notare troppo in giro per non rischiare di essere beccato. Peccato che il numero 4 sia un tipo alto, biondo, fisicato, un figo da cinema in pratica in mezzo a dei liceali brufolosi, un po’ difficile non si faccia notare… Come escamotage per passare inosservato si mette il cappuccio in testa, ma non è che funzioni più di tanto. Infatti la super gnugna del liceo Dianna Agron (già super gnugna di Glee) lo nota subito. E tra i due biondazzi scoppia l’attrazione fatale e da lì nasceranno tanti bambini geneticamente perfetti. Fu così che nacque la nuova razza ariana.
A no, questa è un’altra storia.

In questo film succede invece che a un certo punto il n. 4 scopre di avere dei superpoteri. Tipo? Tipo che proietta un’accecante luce blu dalle mani… bel potere del cazzo! Mi sa che quando c’è stata l’assegnazione dei poteri Superman, Flash e persino Hiro Nakamura lo hanno fregato alla grande.
...a proteggermi mi han dato un tizio che di solito nei film è lo psicopatico...
Comunque poi il numero 4 scopre di possedere altre doti, come una gran forza e la capacità di fare salti spettacolari, nella solita scena che da Spider-Man in avanti negli ultimi 10 anni ci hanno propinato in ogni film/telefilm di supereroi che si rispetti (e che non si rispetti). Fantasia, portami via.
Dopo un solo giorno che si sono conosciuti, la Dianna Agron, una tizia fissata con la fotografia ma fissata tanto tipo stalker, lo invita subito a cena dai suoi genitori. E poi lo fa salire in camera. Proprio quando il numero 4 sta per pucciare il biscottino alieno nella vagina numero 4 (lascio a voi la libera scelta delle prime 3) del pianeta Terra, ecco che viene interrotto dal suo cane protettore (oltre al Timothy Olyphant/Terminator ha infatti pure un cane che si rivela una specie di Cerbero!).
“Che tempismo da cane!” commenta il nostro numero 4, nella battuta più divertente dell’intera pellicola (fate voi quanto esilaranti siano le altre).
E quindi siamo alle solite. La morale della favola è che in questi film puritani di oggi stile Twilight non si ciula mai!

...ci manca solo che mi fanno cantare come in una puntata di Glee...

Recensione cannibale
La trama rivisitata, ma non troppo, del film è talmente inverosimile che ha risucchiato spazio alla recensione vera e propria, che tanto può essere riassunta in due modi.
Soluzione veloce: questo film è una cagata pazzesca.
Soluzione più lunga: questo film sta ai supereroi un po’ come Twilight sta ai vampiri, quindi regolatevi voi. Comunque rispetto a una pellicola simile tipo L’apprendista stregone è già parecchio meglio, ma anche questa informazione non è che giochi troppo a favore di un filmetto di discreto intrattenimento adolescenziale ma nulla più.

A una trama assurda che fonde insieme alla buona le avventure di Superman e Terminator, aggiungiamo una serie di cattivoni monodimensionali che sembrano usciti da una puntata di Smallville e degli effettacci speciali davvero mediocri: terribile ad esempio l’inseguimento tra il cane-Cerbero e un lucertolone/dinosauro sbucato non si sa da dove che sembra una versione mal riuscita di Jurassic Park, oltre che un esperimento genetico finito male.

...insomma, io me ne vado a Lampedusa che lì mi accolgono meglio!
Piacevole invece la colonna sonora con hit del momento di Kings of Leon, Adele, Temper Trap, Black Keys e XX (splendida la loro “Shelter”). I due protagonisti Alex Pettyfer e Dianna Agron devono ancora crescere parecchio come attori, ma io voglio dar loro fiducia, anche perché in film del genere è difficile fare grandi performance a meno che non ci si chiami Natalie Portman. E poi ancora...
A incorniciare il tutto in una veste (finto) spettacolare ci pensa la regia del DJ Caruso (non un membro degli Articolo 31, bensì il regista di Disturbia e Eagle Eye) e la produzione dell’immancabile Michael “fracassone” Bay.
Attenzione però, perché il finale lascia aperta la strada per un’intera saga. Peccato che, visti gli esiti non del tutto flopposi ma nemmeno troppo esaltanti del film ai botteghini, è alquanto improbabile che prosegua. E se un "Sono il numero cinque" non arriverà, credo proprio ce ne faremo una ragione.
(voto 6-)

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