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mercoledì 18 aprile 2018

Downsizing - Una gran cagata anche rimpicciolita resta sempre una gran cagata





Downsizing - Vivere alla grande
Regia: Alexander Payne
Cast: Matt Damon, Kristen Wiig, Christoph Waltz, Hong Chau, Jason Sudeikis, James Van Der Beek, Udo Kier, Rolf Lassgård


Alexander Payne ha firmato una pellicola fantascientifica?
Ma che sta succedendo nel mondo?
Il regista di lavori dal sapore folk-country come Nebraska e A proposito di Schmidt, o dal sapore alcolico come Sideways – In viaggio con Jack, o dal sapore di teen spirit come quel gioiellino di Election con una scatenata Reese Witherspoon, si è dato alla sci-fi?
Quando un regista, quando un artista in generale rischia e si mette in gioco in un campo differente rispetto a quello rassicurante dietro casa, c'è sempre da ammirarlo. A vedere il risultato finale poi magari non sempre apprezzarlo, ma se non altro ammirarlo. Sarà così anche in questo caso?

domenica 9 febbraio 2014

SOGNANDO IL NEBRASKA




Nebraska
(USA 2013)
Regia: Alexander Payne
Sceneggiatura: Bob Nelson
Cast: Bruce Dern, Will Forte, June Squibb, Bob Odenkirk, Mary Louise Wilson, Stacy Keach, Devin Ratray, Angela McEvan
Genere: grandpa movie on the road
Se ti piace guarda anche: Una storia vera, Parto con mamma, A proposito di Schmidt, Uomini di parola

California Dreamin’ on such a winter’s day” cantavano negli anni ’60 i Mamas & Papas.
Ti sogno California e un giorno io verrò” cantavano i Dik Dik plagiand… ehm coverizzando quel celebre brano in italiano.
California, here we come” cantavano pure i Phantom Planet nella sigla della serie tv teen The O.C..
Sognando la California, lo facevano pure i fratelli Vanzina nel loro trashissimo film omonimo che vidi addirittura al cinema quando avevo 10 anni. E mi piacque pure un casino.
In pratica tutti sognano la California, anche io. Tutti tranne Woody Grant, lo scorbutico alcolizzato (ma non osate dirglielo) vecchino protagonista del nuovo film di Alexander Payne. Lui sogna il Nebraska. What the fuck?
Oh, il mondo è bello perché vario e ognuno è libero di sognare quel che vuole. Certo che, con tutti i posti sulla faccia della Terra, per sognare proprio il Nebraska le rotelle a posto non devi avercele. Ma perché Woody Grant vuole andare proprio lì?
Per la figa?

Vi pare che il Nebraska sia un posto noto per la figa?
Sarà allora per i divertimenti?

Questo qui sopra è il massimo del divertimento che può offrire il Nebraska, quindi no, non è nemmeno per quello. Woody ci vuole andare per ritirare un premio da un milione di dollari. A questo punto ci vorrei andare pure io, nel merdoso Nebraska. Woody ha ricevuto a casa una lettera in cui gli si comunica la grandiosa vittoria e così decide di partire dal suo paesino nel Montana fino al Nebraska. Essendo un po’ troppo vecchio, e pure troppo alcolizzato (ma continuate a non dirglielo) per mettersi alla guida, il figlio decide di accompagnarlo e il film diventa il più classico dei road movies, dirigendosi a un bivio che può portare in due direzioni: da una parte la commedia in stile Parto con mamma, il recente film con Seth Rogen e Barbra Streisand, dall’altra la pellicola esistenziale alla Una storia vera di David Lynch.
Nebraska si posiziona su una strada intermedia. È una visione che garantisce un buon numero di risate, il tocco comedy è presente per tutto il percorso, eppure la sua ambizione è quella di raccontare qualcosa di più. Anche il risultato rimane intermedio. Nebraska è un film che procede molto bene e fa riflettere su tante cose, sul rapporto tra genitori e figli, su come i sogni siano la cosa più importante per farci andare avanti sempre e comunque nella vita, e soprattutto è un viaggio dentro la vecchiaia, osservata in maniera a tratti divertente e a tratti un pochino deprimente. Nonostante le ottime ambizioni, il film non raggiunge i vertici di poesia e gli abissi di profondità di Una storia vera. D’altra parte Alexander Payne, bravino e tutto eh, non è certo David Lynch. E a proposito… ma l’avete visto, domenica scorsa, David Lynch a Che tempo che fa?
Lui grandissimo. Un uomo stupendo dotato di un carisma unico anche se la spiegazione sulla meditazione trascendentale è risultata più complicata della prima visione di Mulholland Drive. Splendido vedere lui, Lui, però l’intervista portata avanti da Fabio Fazio e Carlo Verdone che facevano a gara su chi se ne intendeva di più di arte, citando Bacon e Hopper per fare i fighi, è stato un punto di televisione davvero basso. Tra un po' si tiravano giù i pantaloni per fare a gara anche a chi ce l'ha più lungo. Hai ospite uno dei più grandi registi e geni viventi e butti via tutto così?
E non gli fai manco mezza domanda su Twin Peaks?
È come avere ospite Messi e non parlare di calcio. Come avere Paul McCartney e non menzionare i Beatles. Come avere Justin Bieber e non chiedergli se Selena Gomez ha la patatina rasata o ha un boschetto.



Lasciamo un vecchino in formissima (sarà merito della meditazione trascendentale?) come David Lynch e torniamo a un altro vecchino un po’ meno in forma, Woody Grant (interpretato dal ripescato Bruce Dern), che comunque è pure lui un idolo. Uno che, dialogando con il figlio, ci regala perle di saggezza come la seguente:

Avete mai parlato di avere dei figli?
No.
E perché ci avete fatto?
Perché a me piace scopare e tuo madre è cattolica. Fai un po’ tu la somma.

"Sono giovane, voglio un Manhattan Classic del McDonald's!"
"Giovane tu? Ma se potresti essere il nonno di Napolitano ahah!"
Il viaggio che intraprende è molto simile a quello di Una storia vera, con la differenza che Woody Grant, una versione più acida e bastarda di Alvin Straight, non lo compie su un tosaerba ma si fa scarrozzare in giro dal figlio. Lo ricorda molto anche per le atmosfere, per le musiche country e per i personaggi loser da white trash America. Ci sono persino due gemelli, e tra l’altro qui sono esilaranti, sembrano usciti da una puntata di Beavis & Butt-head o di King of the Hill, l’altro cartone creato da Mike Judge.
Nebraska è allora un viaggio delizioso, ma che si va inevitabilmente a confrontare e a scontrare con il capolavoro (uno dei tanti capolavori) di David Lynch, e che si accoda inoltre a quella che sta diventando la tendenza del momento: i Granpa movies. Con il genere adolescenziale un po’ in crisi, salvo alcune eccezioni di lusso come Spring Breakers, i nonnini si stanno ritagliando un ruolo sempre più di primo piano nella cinematografia attuale. Ai vari Uomini di parola, Last Vegas e Jackass Presents: Bad Grandpa e alla galleria di vecchini cinematografici recenti, Nebraska va ad aggiungere un paio di personaggi memorabili: il fun-tastico Woody Grant e la sua sboccatissima moglie, una vecchina fissata con il sesso che regala i momenti più divertenti della pellicola. Brava Jane Squibb a portarla sullo schermo, però a essere memorabile è più il personaggio che non la sua interpretazione, quindi ok la nomination agli Oscar, ma la statuetta deve andare nelle belle manine di Julia Roberts o di Jennifer Lawrence.

"Ma cos'avrà quella Jennifer Lawrence più di me?"
C’è un’altra cosa che Nebraska ricorda, a parte Una storia vera o gli altri “grandpa movies” recenti: i film di... Alexander Payne. D'altra parte il regista è lui. Questo è un tipico Alexander Payne movie e a me i suoi movies piacciono, solo che non riescono mai a conquistarmi del tutto. Questo non fa eccezione. Come road story ricorda da vicino soprattutto un altro suo grandpa movie come A proposito di Schmidt, ma ha anche un pizzico di follia alcolica alla Sideways, senza dimenticare i complicati intrecci famigliari del recente Paradiso amaro. Nebraska insomma è una specie di summa del cinema molto americano di Alexander Payne, girato questa volta con un evocativo bianco e nero, un gran bel viaggio in un paese per vecchi (siamo sicuri sia il Nebraska e non l’Italia?) che però, come già gli altri film del regista, non riesce a essere del tutto originale e trascinante.
Ora vi saluto, babbei. Mi è appena arrivata una lettera che dice che ho vinto un milione di dollari. Nebraska, aspettami che sto arrivando!
(voto 7/10)


"Hai dato un voto più alto a quella robetta per ragazzine di Hunger Games? Li mortacci tua, Cannibal Kid!"

giovedì 23 febbraio 2012

Le brave ragazze vanno al Paradiso amaro, a quelle cattive va la mamma in coma

Paradiso amaro
(USA 2011)
Titolo originale: The Descendants
Regia: Alexander Payne
Cast: George Clooney, Shailene Woodley, Amara Miller, Nick Krause, Patricia Hastie, Beau Bridges, Michael Ontkean, Matthew Lillard, Judy Greer, Robert Forster
Genere: dolcenera negramaro  dolceamaro
Se ti piace guarda anche: Ragazzi miei, Sideways, A proposito di Schmidt, Election

George Clooney è diventato papà. No, non è passato Weah. E non s’è nemmeno fatto prendere dalla mania di Angelina Jolie di noleggiare bambini da varie parti del mondo. E no, non ha nemmeno messo incinta una delle sue girlfriend intercambiabili. Anche perché le conoscete le voci che circolano sul suo conto... Dai, quelle messe in giro dai soliti invidiosi. Sì, quelle che non gli piaccia tanto la farfallina...
"Anche se non sembra, la Canalis in realtà
è una persona molto intelligente..."
Sono voci vere: infatti preferiva i tatuaggi da carcerato della Canalis alla farfallina di Belen. So' gusti.
George Clooney ha a che fare non con una ma con due discendenti non nella realtà, bensì nel suo nuovo film The Descendants. Come è uscito un film con un titolo del genere in Italia?
Come Paradiso amaro.
No, sul serio, come l’hanno intitolato?
Paradiso amaro.
Che poi guardando il film un suo senso questo titolo ce l’ha anche, cosa che non sembrerebbe ma invece è così. Ebbene sì, il Paradiso amaro sono le Hawaii. Uno dice: “Cazzo, vivi alle Hawaii? Figata! Non può capitare nulla di brutto, alle Hawaii!”. E invece shit happens. Persino alle Hawaii.
Sua moglie finisce infatti in coma vegetativo dopo un terribile incidente nautico e così per il bel George sono cazzi amari, più che un Paradiso amaro.
Il film gioca con situazioni sentimentali facili: moglie in coma, eutanasia, un uomo che per la prima volta nella sua vita si deve prendere davvero cura delle due figlie. Va bene che il Clooney già nella sua vita si è dovuto occupare della sopra menzionata Elisabetta “gloria nazionale” Canalis, però pure adesso la situazione per lui non è delle più facili.

"Ok, questa era davvero divertente eheheh!"
Paradiso amaro mi ha ricordato un pochino Ragazzi miei, film con Clive Owen che si ritrova a dover badare ai figli in seguito alla tragica scomparsa della moglie. In quel caso i figli erano due maschi (il film si chiamava Ragazzi miei mica a caso) e l’ambientazione era quella australiana, mentre qui George Clooney ha due descendants al femminile e l’ambientazione è quella più esotica delle Hawaii. E poi qua, riconosciamolo, abbiamo una sceneggiatura decisamente migliore e con qualche momento divertente in più. Un paio di situazioni sono persino davvero esilaranti. Ma come? Non era un drammone?
La situazione è drammatica assai, però il tono del film rimane per lo più sul leggero andante. Un po’ come in 50/50, film con Joseph Gordon-Levitt alle prese con il cancro che riesce davvero a far morire sia dal ridere che dal piangere e che eppure agli Oscar è stato snobbato clamorosamente (ma mica tanto clamorosamente, considerando i giochini di potere e il pessimo gusto dell’Academy). Non che Paradiso amaro sia malaccio, per carità, però tutto questo entusiasmo tra nomination agli Oscar e Golden Globe vinto come miglior film drammatico, quando manco è un film del tutto drammatico, forse è un tantinello esagerato.

"Non so che sto facendo, ma fare così fa molto regista che sa cosa sta facendo"
Ma torniamo indietro. Innanzitutto, parliamo del regista: Alexander Payne.
Alexander Payne è un onesto Cristo, ma non ho mai capito tutti gli osanna che ha sempre ricevuto. Visivamente è piuttosto limitato e i suoi film non fanno certo gridare al miracolo per riprese strabilianti o per gusto estetico sopraffino, mentre a livello di sceneggiature se la cava meglio, diciamo che sembra un terzo fratello Farrelly però meno scemo e più introspettivo. Dopo gli esordi con pellicole che hanno visto giusto lui e, forse, i suoi genitori come The Passion of Martin e La storia di Ruth, il suo primo film a creare un certo hype è stato Election, commedia liceale stralunata in cui una scatenata Reese Witherspoon se la vedeva con il preside della scuola Matthew Broderick, in una storia per certi versi simile al Rushmore di Wes Anderson (che però era uscito un anno prima) e che in qualche modo ha anticipato lo stile grottesco del Glee dei primi tempi (senza però la parte musical).
Con il successivo A proposito di Schmidt, complice una gigiona interpretazione di Jack Nicholson, si comincia a venerare questo Payne al di là dei suoi reali meriti, visto che se il precedente Election era parecchio scoppiettante, questo è una sorta di on the road sulla vecchiaia più convenzionale e tradizionale che perde e di brutto il confronto con quella perla di Una storia vera di David Lynch, simile per tematiche.
Passiamo quindi a Sideways - In viaggio con Jack, il film che riesce a trasformare uno come Paul Giamatti, certo non un bellone alla Clooney, in una sorta di icona del cinema, perlomeno di quello indie. La pellicola è un’avventura piacevolmente alcoolica, un’ottima visione però sì, pure qui le lodi nei suoi confronti sono sempre sull’esagerato andante.
E così siamo andati a vedere da dove questo The Descendants discenda. Perché? Perché non avevo mai parlato del cinema di Alexander Payne e mi andava di farlo, va bene?

"Aiuto, c'è Steve-O che mi insegue!"
Dopo un’assenza di 7 anni dal grande schermo, Payne è tornato con una storia nuova, o quasi nuova, visto che trattasi di un adattamento dal romanzo della scrittrice hawaiiana, come si evince dal nome, Kaui Hart Hemmings e intitolato - ma va? - The Descendants (in Italia Eredi di un mondo sbagliato). Storia che, come abbiamo visto, si presenta bella drammatica e pesante, ma che il regista con il suo solito tocco ironico è riuscito ad alleggerire.
Il film gioca le sue carte migliori proprio sulla parte più comedy, mentre sul versante drama non convince del tutto e sfiora in un paio di momenti ma non riesce a strapazzare fino in fondo il cuoricino, non il mio almeno. Anche se ci prova in maniera un pochino ruffiana (altrimenti all’Academy Awards mica piaceva), ma nemmeno troppo, per fortuna (e infatti l'Oscar non lo vincerà).


"Non sono riuscita a vedere un'intera stagione di Teen Mom e 16 and Pregnant
per girare 'sto film e manco m'hanno nominata per gli Oscar?"
E il cast, il cast? Com’è il cast? Com’è? Eh?
Se state calmi ve lo dico.
Allora: il cast è ottimo. A brillare però non è tanto un George Clooney già premiatissimo e nominatissimo ovunque, che se la cava ma insomma preferirlo a Gosling/Fassbender/Gordon-Levitt/Shannon è qualcosa di un attimo esagerato. La rivelazione del film è la giovane Shailene Woodley e l’Oscar che fa? Ha fatto piovere nomination sul film ma di lei si è scordato. Prevedibile. Shailene, e chi segue i telefilm teen trash lo sa bene, è la protagonista di La vita segreta di una teenager americana, serie nata sulla scia di Juno ma prima del proliferare dei reality in stile Teen Mom, 16 and Pregnant e Sono una bambina ma l’ho già data via.
Nel telefilm è una ragazzina tutta a modo e studentessa modello che fa sesso una volta sola e ovviamente finisce subito incinta. Un po’ come capita a Bella in Twilight: Breaking Dawn, perché gli americani ci tengono sempre a far sapere alle giovani generazioni che il sesso è peccato e se lo fai - cazzi tuoi! - devi pagarne le conseguenze per tutta la vita. Fatto sta che la serie tv è abbastanza odiosa, dopo tutto la creatrice è pur sempre la stessa di quell’orrore di Settimo Cielo, però la Shailene è parecchio brava e mi fa pure parecchio sesso. Posso dirlo? Sì, miei cari. Prima che chiamiate l’FBI vi dico che ha 20anni compiuti e quindi è maggiorenne e vaccinata. E nella serie tv è pure una giovanissima MILF.
"Massì, mamma sta morendo, ma noi vamos a la playa oh oh oh oh!"
Il suo personaggio nel film è invece quello della figlia di Clooney che - ovviamente - ha lasciato delle situazioni in sospeso con la mamma in coma ed è insieme a lei che viviamo le scene più intense e palpitanti della pellicola, come la splendida seguenza in cui il bel George ha il brutto compito di darle una spiacevole notizia.
Il personaggio top, almeno a livello di risate, è però l’amichetto fidanzatino della Shailene, un tipo tanto idiota quanto esilarante intepretato dal giovane Nick Krause di cui magari in futuro sentiremo ancora parlare. Meno approfondito invece il ruolo della figlia minore di Clooney, una bimbetta che all’inizio ci regala una scenetta divertente con tanto di dito medio stile Adele e M.I.A. ma viene ben presto accantonata dalla storia.
La chicca del cast è poi Michael Ontkean.
Chi è Michael Ontkean???
Ma è lo sceriffo Harry Truman di Twin Peaks, Santo Lynch! Peccato che in questo film si veda, abbronzatissimo tra l’altro e ben lontano dal look montanaro della serie 90s, ma non mi sembra gli facciano dire nemmeno una parola una. Vabbè, fa piacere rivederlo dopo 20 anni passati a non combinare praticamente nulla di rilevante, però sprechiamo così uno dei personaggioni della serie simbolo nella storia della tv intera…

"Sì, Bob di Twin Peaks me lo sogno ancora anch'io di notte!"
Non del tutto sfruttata al massimo anche l’ambientazione hawaiiana: i paesaggi sono molto da cartolina e la colonna sonora è fatta di tipiche canzoni hawaiiane, quindi sull’inascoltabile andante. Una scelta musicale che se da una parte prova a ricreare l’atmosfera tipica del luogo, dall’altro lato è davvero scontata e banale. Come se in un film ambientato a Napoli si dovesse suonare per forza O sole mio tutto il tempo. Andiamo, un po’ di fantasia.
Il discorso sull’identità culturale hawaiiana rimane quindi decisamente abbozzato in appena un paio di scene e infine George Clooney come abitante hawaiiano non è che sia proprio il massimo della credibilità. È più a suo agio a una serata di gala con un Martini in una mano e una Elisatetta nell’altra, mentre a stare in calzoni e inguardabili camicione colorate alle Hawaii non mi sembra si possa considerare nel suo habitat naturale. Quindi ebbravo Giorgione, però non sei da Oscar. Anche se probabilmente te lo daranno.

Mi sto dilungando? Chiudiamo questo post?
Riassumendo: Paradiso amaro è carino, piacevole, un’avventura on the road tra le strade della vita in tipico Alexander Payne style. A tratti fa ridere, i suoi personaggi riescono a coinvolgere e a farci entrare nella loro particolare e non messa benissimo famiglia (ma ne abbiamo viste di ben peggiori e di ben più stralunate). Un buon dramedy, però per l’Oscar facciamo che sia un discorso aperto tra The Tree of Life e The Artist, ok?
(voto 7+/10)

Lo so: tanto The Tree of Life non vincerà mai…

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