Benedetta sia la prima stagione di The Handmaid's Tale. Una serie TV che non è che fosse proprio il massimo del divertimento da vedere, però sapeva conquistare grazie alla sua dose di angoscia settimanale. Un'angoscia che aveva un suo valore quasi rassicurante. Il futuro distopico immaginato da Margaret Atwood nel romanzo che ha ispirato lo show televisivo è talmente una merda, soprattutto per le donne, che la realtà dei Trump e dei Salvini in cui siamo costretti a vivere quotidianamente non appare manco troppo tremenda. Più o meno.
The Handmaid's Tale sapeva stupire. Proponeva qualche flashback in stile Lost, ma aveva uno stile tutto suo, tutto personale, fatto anche di frasi tormentone come “blessed be the fruit” e “nolite te bastardes carborundorum”. Bene. Cioè, bene per la prima stagione, male per la seconda che si trovava costretta a dover fare i conti con un inizio così folgorante. E infatti la prova non si può dire superata. Per niente.
Regia e sceneggiature: Amy Sherman-Palladino, Daniel Palladino
Cast: Lauren Graham, Alexis Bledel, Kelly Bishop, Scott Patterson, Sean Gunn, Matt Czuchry, Liza Weil, Yanic Truesdale, Milo Ventimiglia, Danny Strong, Jared Padalecki, Melissa McCarthy, Julia Goldani Telles, Ray Wise, Mae Whitman, Jason Ritter, Peter Krause, Stacey Oristano, Jack Carpenter, Carole King
Genere: materno
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Cannibal Kid
Ciao Lorelai, come stai?
Guarda, senza pensarci ho fatto la rima!
Potrei comporre la nostra intera conversazione sotto forma di rap... però hey, forse non è una gran buon idea. Siamo mica nel musical Hamilton. Non vorrei poi che mi accusassero di averlo copiato. E poi negli ultimi tempi sto scrivendo un po' troppi post in rima e la cosa comincia a diventare ripetitiva. Come una serie che va avanti per un sacco di stagioni e a un certo punto sembra riciclare sempre le stesse idee. Viene a noia. Meglio prendersi una pausa e poi ricominciare dopo anni, quando nessuno ormai se lo aspettava più. O al limite se lo poteva giusto sognare. Come avete fatto voi Gilmore Girls, ricomparse all'improvviso su Netflix dopo 9 anni di assenza dagli schermi. Sai Lorelai, è un vero piacere rivederti dopo tutto questo tempo.
Cast: Michael Angarano, Juno Temple, Alexis Bledel, Billy Magnussen, Alia Shawkat, Bobby Moynihan, Steve Park, Jack McBrayer, Debra Monk, Thomas Middleditch, Matt Walsh, Cristin Milioti
Genere: (s)fortunato
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Quali dolori sopportereste per denaro?
Io, da buon sadomasochista quale sono, arriverei ad accetterei di:
Fare una maratona di inguardabili film action selezionati apposta per me dal mio blogger nemico Mr. James Ford.
Guardarmi tutti gli episodi di tutte le stagioni di Walker Texas Ranger con l’amichevole compagnia di Chuck Norris in persona che replica su di me le mosse compiute sullo schermo.
Giocare una partita a calcetto con gli amici selezionando volutamente Paletta in squadra con me.
Considerare Laura Pausini una cantante rispettabile e, per dimostrarlo, assistere a un suo INTERO concerto.
Nah, quest’ultima cosa mi sa che non la farei per nessuna somma di denaro al mondo. I protagonisti di Botte di fortuna invece non si fanno alcun scrupolo e accettano in pratica qualsiasi tipo di cosa dolorosa per denaro. Accettano persino che il loro film, originariamente intitolato The Brass Teapot ovvero La teiera d’ottone, esca in Italia con questa assurda vanziniana denominazione, Botte di fortuna, e per altro mi risulta sia stato distribuito solo per il mercato home-video.
Cosa succede in questo film dal titolo tanto sfortunato?
Succede che i due protagonisti, il simpatico Michael Angarano e la simpatica ma soprattutto sexy gnocchetta Juno Temple, una coppia di giovani sposini, un giorno per caso trovano una teiera d’ottone. Trovano non è la parola più esatta… Diciamo che Juno Temple la ruba a una povera vecchina che di lì a poco morirà.
La teiera d’ottone non è però solo una semplice teiera d’ottone di quelle che si vedono tutti i giorni. Anche in questo caso si fa per dire, considerando che io in tutta la mia vita credo di non aver mai visto una teiera d’ottone prima di questa bislacca pellicola.
L’unica altra teiera a cui sono abituato è La teiera volante, ovvero il blog di Lucien. Per il resto, io il tè me lo faccio quasi tutte le mattine, ma dentro un semplice merdoso pentolino a buon mercato e poi lo verso nella scodella senza l’utilizzo di sofisticate teiere.
Dicevo che la loro non è una semplice teiera. È una teiera magica. Ogni volta che qualcuno si fa del male o prova del dolore, sia fisico che psicologico, mentre si trova vicino ad essa, dalla teiera spuntano fuori delle banconote. Dei bei dollaroni fumanti tutti da spendere. Una volta che scoprono ciò, Juno Temple e Michael Angarano si danno alla pazza gioia. O meglio al pazzo dolore. Si provocano del male in tutti i modi possibili pur di far sputar fuori alla teiera dei soldi. Da squattrinati quali erano, lui lavorava in un call center mentre lei era una laureata che non riusciva a trovare un lavoro all’altezza dei suoi studi (no, a sorpresa il film non è ambientato in Italia!), si trovano così a nuotare nel denaro come Paperon de’ Paperoni. Come ben si sa, il denaro cambia le persone e, come diceva Notorious B.I.G., mo’ money mo’ problems, più soldi più problemi. Io non so se aveva ragione, ma proverei ad avere tanti soldi giusto per vedere se è vero. Fatto sta che i due, da simpatici fancazzisti quali erano, si trasformano in delle persone orribili, disposte a fare del male a se stessi e pure agli altri per denaro.
Lo spunto di questa pellicola è parecchio originale e curioso. Il film è fondamentalmente una commedia, ma ha anche dei risvolti fantasy che, almeno all’inizio, lasciano presagire a uno di quei filmoni anni ’90 per tutta la famiglia in stile Jumanji, con la teiera del potere che ricorda pure il tesssssoro de Il signore degli anelli. Nonostante questi vaghi riferimenti, Botte di fortuna non entra mai del tutto in territori fantasy per restare in quelli della comedy grottesca, avvicinandosi dalle parti di film come Fatti, strafatti e strafighe, ma senza provocare mai vere risate.
Botte di fortuna non azzecca allora la classica botta di fortuna e non riesce a trasformare una trama sconclusionata e spesso non solo assurda, quanto propria scemotta, in una pellicola davvero convincente. Sarà perché in casi come questo una semplice botta di fortuna non basta. Ci va proprio una gran botta di culo.
Cast: Alexis Bledel, Saoirse Ronan, James Gandolfini, Marianne Jean-Baptiste, Danny Trejo, Cody Horn, Tatiana Maslany
Genere: teen pulp
Se ti piace guarda anche: Hanna, Byzantium, Kick-Ass
Violet & Daisy, o meglio: Alexis Bledel & Saoirse Ronan.
"Hey, ma dov'è il pistolino?"
"Te l'avevo detto io: non ce l'ha!"
La prima è la “figlia per amica”, quella che per anni è stata la insopportabile secchioncella Rory Gilmore nella serie Una mamma per amica. Da allora in poi, l’obiettivo unico nella sua vita è stato quello di cercare di affrancarsi da quella parte molto identificativa. Come molte altre baby-star e come molti altri attori conosciuti per un solo ruolo, si tratta di una missione dura e impegnativa. Non possiamo comunque dire che la ragazza non ci stia mettendo impegno. In Sin City si è infatti mostrata nella parte della baby-prostituta e no, Sin City non è Roma. Non credo, almeno. Quindi nel thriller The Kate Logan Affair è una poliziotta sessualmente disinibita e pure nella quinta stagione di Mad Men appare come guest-star in abiti molto sexy. Good girl gone bad, per dirla con Rihanna, e in questo film la Bledel si mostra in vesti ancora più bad. Alexis è Violet, apparentemente un’innocente ragazzuola, in realtà una spietata assassina su commissione.
Come avrete facilmente intuito dal titolo del film, almeno se siete svegli e, se leggete questo blog vuol dire per forza che siete mooolto svegli, Violet non è sola. Con lei c’è Daisy, pure lei killer senza scrupoli, o forse qualche scrupolo ce l’ha?
Tra le due, l’anello debole, la più tenerosa sembra essere propria Daisy, interpretata dalla solita straordinaria Saoirse Ronan qui però, a dirla tutta tutta, meno straordinaria del solito, un po' come nel recente spento How I Live Now. Che le sta succedendo? Sta perdendo il tocco magico?
A vederle così, queste due sembrano delle ragazzine delle medie che fanno la fila per un concerto dei One Direction e invece no, se ne vanno in giro a uccidere la gente sulle note di canzoncine retrò tipo “Angel of the Morning”. Ah, ‘sti giovani d’oggi! È tutta colpa della violenza nei film, io lo dico sempre.
Un giorno, Violet & Daisy si ritrovano con un caso particolare per le loro belle manine. Devono far fuori James Gandolfini, qui come in Non dico altro in una delle sue ultime interpretazioni. Due bimbetteminkia contro il boss Tony Soprano che minghia di possibilità possono avere, eh?
ATTENZIONE SPOILER
Il loro problema non è tanto questo. Il loro problema è che devono farlo fuori ma poi ci stringono amicizia e tra le due e il Gandolfini si instaurerà un rapporto…
Nah, sbagliato, non di tipo sessuale, soliti maniaci malpensanti che non siete altro, bensì un rapporto di tipo paterno. Il film è tutto qua e io ho spoilerato un po’ troppo o forse è la pellicola che non offre davvero molto di più.
FINE SPOILER
Violet & Daisy è una visione fondamentalmente non necessaria, che non consiglio manco ai fan di Alexis & Saoirse, se non quelli più hardcore. Ed è un peccato, perché il soggetto avrebbe potuto regalare una pellicoletta criminale divertente e cazzara e invece, dopo la battuta che fa molto Tarantino della prima scena, si perde in una serie di dialoghi senza mordente, con l’aggiunta di qualche sparatoria che gioca sul contrasto innocenza delle protagoniste VS violenza in stile Hit-Girl di Kick-Ass o Hanna con la stessa Ronan che però ormai non shockano più nessuno, oltre a presentare un’evoluzione nella storia piatta e priva di sorprese.
Questo film è più efficace di Monuments Men... come sonnifero.
L’esordiente regista Geoffrey Fletcher, che finora aveva curato giusto l’adattamento di Precious dal romanzo di Sapphire come sceneggiatore, non mostra mai un briciolo di personalità e si limita a girare con qualche ammiccamento alla vecchia scena pulp, solo che non siamo più negli anni ’90 e oggi appare fuori tempo massimo. I tentativi di approfondimento dei personaggi rimangono poi molto in superficie e, per quanto ben recitato dai tre protagonisti principali e in un piccolo ruolo da Tatiana Maslany, protagonista della mia nuova droga telefilmica del momento Orphan Black, non c’è niente che rimanga impresso. No, per una volta nemmeno l’interpretazione della piccola grande Saoirse Ronan.
Non brutto, nè tanto meno terribile, Violet & Daisy è un film di quelli che rientrano in una categoria forse ancora peggiore: quella dei film inutili.
Se ti piace guarda anche: Qualcosa di travolgente, Blow Out
The Kate Logan Affair è un thriller che si pona una spinosa domanda: ma i francesi, sarà vero che sono tutti finocch… omosessuali?
La prima parte della pellicola ci fa pensare che sì, lo sono.
Appena mette piede sul suolo americano, un uomo d’affari francese viene arrestato da una sexy poliziotta interpretata da Alexis Bledel. Per errore, viene scambiato per un maniaco sessuale ricercato in zona per aver stuprato alcune ragazze. Quando specifica che è francese, viene immediatamente scagionato. “Ah, sei francese. Allora non puoi essere stato tu, fossero stati molestati dei ragazzi oui, saresti sospettato, ma ragazze no, pardon.”
Non è certo finita qui. Più tardi la sexy poliziotta becca il francese per strada e si scusa con lui per le false accuse. Per farsi perdonare, la ex figlia per amica Alexis Bledel offre da bere all’uomo francese in un bar. E poi in maniera esplicita gli offre pure se stessa e il suo caldo corpo. È vero, in Una mamma per amica la Bledel era una tutta secchiona e dire che vestiva come un’educanda era l’eufemismo degli eufemismi. Nel corso del tempo, la fanciulla ha però dimostrato di possedere un notevole sex appeal, come nella parte della giovane zoccola di Sin City e soprattutto nella quinta stagione di Mad Men, dove era l’amante di Pete Campbell. Pure in questo The Kate Logan Affair, nella parte della Kate Logan del titolo, si mostra ancor di più in tutto il suo splendore.
E il francese che fa?
"Ueeé, mi sono fatta la bua. Voglio una mamma per amica!"
Dice: “No, no, sono sposato, non posso.”
Confermando il teorema iniziale, ciò che il mondo intero sospetta: i francesi sono tutti finocch… omosessuali.
Dice: “No, no, no. Non posso tradire mia moglie. Ho anche una figlia. No, no, no.” E poi però Alexis Bledel insiste talmente tanto che il suo: “No, no, no” si trasforma in un “Sì, sì, sì, bella porcellona poliziottona per amica.”
E così Alexis Bledel con questo film è riuscita a sfatare questo mito, a quanto pare falso, secondo il quale tutti i francesi sono finocch… omosessuali. Colpo di scena!
Adesso cosa succede? Il film finisce qui? Dopo aver ribaltato una credenza che tutto il mondo aveva sempre considerato vera?
No, in realtà questo non è altro che l’incipit di un thriller che sa riservare qualche altra sorpresa. Grazie a un ritmo incalzante, a una buona regia e soprattutto a un’ottima interpretazione da parte dell’Alexis Bledel che qui si dimostra, oltre che bona, pure parecchio brava. Il film in fin dei conti è tutto giocato sul suo personaggio, scava bene all’interno della sua psicologia, e poi sì, c’è anche il francese, interpretato dal parecchio anonimo Laurent Lucas. Tutta la vicenda è incentrata sul loro rapporto, a partire da una classica situazione da boy meets girl movie, di quelle in stile Qualcosa di travolgente, solo meno travolgente. Tra loro via via le cose si incasinano però sempre di più e a tratti la storia si fa piuttosto inverosimile, ma nemmeno troppo, e poi basta, non vi racconto altro per non spoilerarvi troppo di questo piacevole thrillerino, perfetto per una serata estiva senza enormi pretese.
Tettine time!
Chiudo con un ringraziamento.
Ho recuperato The Kate Logan Affair grazie alla segnalazione di Cinemaout, blog dedicato esclusivamente a pellicole che in Italia non sono mai arrivate, oppure sono uscite solo in home video.
Roba giusta, in pratica, visto che un sacco di films interessanti da noi non li fanno uscire e il cinema out spesso si rivela più interessante del cinema in.
Cast: Jon Hamm, Jessica Paré, John Slattery, Vincent Kartheiser, Christina Hendricks, Elisabeth Moss, January Jones, Kiernan Shipka, Jared Harris, Rich Sommer, Aaron Staton, Robert Morse, Ben Feldman, Jay R. Ferguson, Alexis Bledel, Alison Brie, Christine Estabrook, Julia Ormond, Christopher Stanley, Peyton List, Michael Gladis, Joel Murray, Marten Holden Weiner
Genere: retrò
Se ti piace guarda anche: The Hour, Mildred Pierce, Revolutionary Road
“Come disse una volta una persona saggia: l’unica cosa peggiore di non ottenere ciò che desideri, è vedere qualcun altro che la ottiene.”
Roger Sterling (John Slattery)
Spiegare la grandezza di Mad Men a un profano, a chi magari ne ha visto giusto mezzo episodio o appena qualche minuto, è come spiegare l’esistenza di Dio a un ateo.
Tanto per continuare nella non richiesta metafora religiosa, Dio è nei dettagli, così come il diavolo. Lo stesso discorso vale anche per Mad Men. Sono i dettagli di classe, sono i lampi improvvisi di genio, sono gli scarti dalla norma del tutto inattesi a rendere la serie qualcosa all’infuori e all’insopra del resto del panorama. Televisivo quanto cinematografico.
La maggior parte delle serie tv raggiunge il suo picco nel corso delle prime stagioni, poi quasi inevitabilmente va incontro a un declino, più o meno rapido. Ci sono anche alcuni telefilm che il meglio l’hanno dato in là con gli anni: Buffy, ad esempio, ha raggiunto il suo picco di creatività, ironia e genialità solo nel corso della season 6. Ma Mad Men resta un caso a parte. La qualità si è mantenuta paurosamente alta. Sempre. Come mai mi era capitato di vedere in alcuna altra serie. A una prima stagione folgorante, piovuta dal cielo come un meteorite destinato a polverizzare ogni altra cosa fosse in onda in quel momento in tv, sono seguite due stagioni con qualche lievissimo calo fisiologico, ma limitato giusto a una manciata di episodi. La quarta stagione aveva quindi rappresentato una ventata di aria fresca per la serie, una rimescolata a uno show che sembrava vivere di vita nuova. Poteva bastare così? No, perché la quinta stagione si è spinta ulteriormente oltre.
"Oddio, ma come ti sei vestito?"
"Perché tu, invece?"
13 episodi fenomenali, uno più bello dell’altro, in grado di costruire un corpus unico e allo stesso tempo di regalare a ognuno (o quasi) dei personaggi principali il suo momento personale di epifania joyciana. Senza dubbio alcuno, una delle stagioni migliori mai viste di una qualsiasi serie tv e probabilmente la migliore in assoluto per lo stesso Mad Men. Nel complesso persino meglio di quel miracolo di stagione 1. Non pensavo sarebbe potuto succedere e a questo punto mi aspetto una season 6 ancora più incredibile. Perché la sesta sarà anche l’ultima. Scriverà la parola fine a una delle più belle narrazioni di sempre, non solo in campo televisivo ma prendendo in considerazione anche letteratura e cinema e qualunque altra cosa.
Mad Men con la scusa di parlare di un gruppo di pubblicitari ha ridisegnato un decennio, levando via un sacco di stereotipi e di miti sui favolosi anni Sessanta e ha ridisegnato il significato stesso della parola “stile”. In più, ci ha regalato una serie di personaggi meravigliosi, complessi, mutevoli, indecifrabili e proprio per questo umani come raramente è capitato di vedere. Mad Men è come il tonno. Insuperabile.
Per una riflessione più ampia sull’importanza storica avuta da Mad Men nel rivedere oggi il passato (si veda in proposito l’influenza non solo estetica su produzioni come The Help o Mildred Pierce) ci sarà tempo con la stagione finale, per il momento concentriamoci sulla season 5. Una mad season che ha tenuto fede al titolo della serie.
"I dilemmi della vita: sono più gnocca o più brava a recitare o a cantare?"
ATTENZIONE SPOILER
La partenza è stata grandiosa. La doppia prima puntata, season chicken premiere double burger, è stata una lezione autentica di scrittura televisiva. A un occhio mad-men-ateo, sarà potuto sembrare un episodio in cui nulla succede. A me è sembrato un episodio dalla struttura quasi da thriller. L’attesa di un qualcosa che sta per succedere. Tutta la puntata è incentrata su una festa, a casa di Don Draper. Tutta la festa e le discussioni post-festa sono incentrate su un singolo momento, la performance sorprendente e incredibile della neo signora Draper, la francesina Megan, interpretata da una Jessica Paré bomba sexy a livello fisico e da Emmy immediato a livello recitativo. Zou Bisou Bisou, canta Megan/Jessica riecheggiando Gillian Hills e la nostra Sophia Loren, e tutto il resto del mondo scompare. Un momento musicale che da solo vale 3 intere stagioni di Glee.
Il bello di Mad Men è anche quello di saper affrontare tematiche tipiche degli anni ’60, senza per forza voler sviscerare tutto l’argomento con triti e ritriti sermoni. Mad Men preferisce suggerire, offrire spunti. In questa stagione 5 è stata quindi introdotta la tematica dell’integrazione razziale, con le prime segretarie di colore assunte da Draper e soci, si è intravista la fascinazione per le religioni orientali, con il ritorno da guest-star di Paul Kinsey (Michael Gladis) in versione santone, e poi c’è stato il rock’n’roll, con un episodio in cui Don e Harry (Rich Sommer) vanno dietro le quinte di un concerto dei Rolling Stones.
Al proposito, è fondamentale l’uso delle musiche in Mad Men. Le canzoni sono usate con grande parsimonia, in genere una ad episodio, non di più, ma sempre in maniera ma-gi-stra-le. La scena in cui Don Draper ascolta “Tomorrow Never Knows”, probabilmente il pezzo più avanti dell’intera discografia dei Beatles, e poi la toglie dal giradischi prima che finisca la dice lunga, dice tutto, su un uomo d’altri tempi che non riesce ad adattarsi alla modernità e non riesce a cambiare. Il dilemma fondamentale intorno a cui ruota la serie intera è proprio questo: riuscirà mai a cambiare, Don Draper? L’ultimissima inquadratura del season finale ci suggerisce che probabilmente la risposta è un no. Ma staremo a vedere…
"Cosa essere questo?"
Tornando in campo musicale, un altro esempio di quanto bastino poche note per cambiare tutto ce l’ha dato l’episodio in cui Peggy (Elisabeth Moss) abbandona definitivamente la società e si appresta a prendere l’ascensore. È triste perché si lascia alle spalle un pezzo importante della sua vita. Poi partono le note di “You Really Got Me” dei Kinks e la sua espressione cambia improvvisamente, come se davanti a sé vedesse un futuro nuovo ed eccitante, indipendente e molto rock’n’roll.
Che dire poi dell’esaltante stagione vissuta da Roger Sterling (John Slattery)? Scatenato, dirompente, ironico ancor più che in passato, annoiato dalla sua vecchia vita e pronto a lasciarsi l’amarezza del passato alle spalle grazie a una passione tutta nuova: l’LSD. E così Mad Men per un episodio è diventato più visionario del solito, quasi un Twin Peaks Sixties. Una scena grandiosa, quella di Roger sotto LSD, che fa il paio con un momento onirico e thriller con protagonista un Don Draper in versione American Psycho ante litteram.
"Perché ce so' stata poco in 'sta stagione? Ero troppo impegnata a magnà!"
Un po’ sacrificato in questa stagione invece il personaggio di Betty, l’ex signora Draper ora (in)felicemente sposata con un altro uomo e alle prese con dei per lei inediti problemi di peso e di insicurezza fisica. Per la Grace Kelly dei nostri giorni un cambiamento di look radicale, quasi un I Used To Be Fat di Mtv al contrario, coinciso tra l’altro con la gravidanza dell’attrice January Jones.
Betty si è comunque ritagliata un episodio da protagonista ma per il resto, per quanto lo dica con un velo di tristezza, la sua assenza non si è fatta certo sentire più di tanto. Troppo dirompente la nuova Megan per far sentire la mancanza di qualcun altro.
Oltre al numero musicale di cui abbiamo parlato sopra, è stata lei il personaggio in più, la quinta marcia inserita nella Jaguar guidata questa stagione dal creatore Matthew Weiner e dal suo formidabile team di sceneggiatori.
La vitalità di Megan, la sua gioventù, anche le sue idee a livello creativo, hanno in qualche modo provato a dare una scossa a quel gran musone di Don. Riuscendoci anche, sebbene solo in parte. Rappresentando il nuovo che avanza e che Don fa così tanto fatica ad accettare ma con lei al suo fianco sembra almeno sforzarsi di fare un tentativo.
Il nuovo è rappresentato anche dal novello creativo assunto da Peggy: si tratta di Michael Ginsberg (Ben Feldman), un personaggio di quelli che per ora rimangono tra le belle speranze non ancora pienamente espresse e che magari troveranno un maggiore spazio nella stagione finale.
Chi ha avuto un maggiore risalto, suo malgrado, è stato Lane Pryce (Jared Harris), l’economista, il Tremonti dello studio pubblicitario, protagonista della svolta più drammatica e traumatica dell’intera storia della serie.
Tra i personaggi femminili più spazio anche per la prosperosa rossa Joan (Christina Hendricks), ora nelle vesti di nuova socia della compagnia e pure di madre single. E ricordo che siamo sempre negli anni ’60 e non è che allora fosse una cosa così comune e socialmente accettata. Forse nemmeno oggi lo è ancora.
L’altro grande personaggio femminile venuto fuori sempre più in questa stagione è Sally Draper, la figlioletta di Don ormai diventata una piccola donna che sta cominciando ad accettare il divorzio dei genitori. A interpretarla troviamo una Kiernan Shipka giovanissima fenomena che se continua così si candida al titolo di prossima Kirsten Dunst, piccola star ai tempi di Intervista col vampiro e Jumanji poi maturata alla grande come vergine suicida, o di nuova Natalie Portman, bimba prodigio all’epoca di Leon e poi trasformatasi in un cigno (nero). Sperando invece che non faccia la fine tossica di Lindsay Lohan o di Macaulay Culkin o caschi nel dimenticatoio come Haley Joel Osment.
Haley Joel chiii?
Piccolo spazio curiosità: l’altro figlio di Don, Bobby, è stato interpretato nelle precedenti stagioni da Jared Gilmore, che adesso è diventato l’(insopportabile) Henry di Once Upon a Time. Fine piccolo spazio curiosità. L’ho detto che era piccolo.
"No, non la voglio conoscere tua mamma Lorelai. Quella non tace un secondo!"
E chiudiamo questa lunga quanto meritata disamina dell’universo Mad Men con il mio personaggio preferito, enorme Don Draper escluso: Pete Campbell (Vincent Kartheiser). Opportunista, insensibile, spesso bastardo in passato, nei nuovi episodi ha trovato una nuova e inedita dimensione umana, grazie all’amore. Per quanto si tratti di amore adultero, altrimenti non sarebbe il vero Pete Campbell. Molto bella e tragica la relazione con Alexis Bledel, figlia per amica di Una mamma per amica, qui nelle vesti di tentatrice e Mad Woman nel senso letterale del termine, visto il suo ricovero in manicomio. Le fanno pure l’elettroshock. Anche qui, la serie ci ricorda che siamo negli anni ’60 e queste cose allora le facevano. Che le facciano pure oggi?
Nemmeno un trattamento con elettroshock può farci comunque guarire da una passione folle. Quella per Mad Men. Già in passato serie fenomenale, adesso diventata una serie mastodontica.
E infine, tanto per chiudere con una citazione pubblicitaria di quelle che avrebbe potuto tirare fuori un Don Draper: che mondo sarebbe, senza Mad Men?
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