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martedì 26 giugno 2012

Mordi la Fiona Mela

Che bello, il nuovo disco di Fiona Apple, Gesù Santo.
Avevo un po’ paura, prima di ascoltarlo. Non sai mai che scherzi ti possano tirare i tuoi vecchi idoli.
Ma l’avete sentito ad esempio il nuovo album degli Smashing Pumpkins, Oceania?
Non farà sanguinare le orecchie come, per dire, l’ultimo degli Afterhours, ma questo può davvero essere considerato lo stesso gruppo che ha tirato fuori disconi come Mellon Collie, Siamese Dream e Adore? Vi prego, ditemi di no.
“No, non è la stessa band: a parte Billy Corgan, gli altri musicisti sono tutti cambiati!”.
Bene, grazie per la risposta.

Per fortuna, Fiona Apple non ha perso l’ispirazione come accaduto a Billy “non più the Kid” Corgan. Tutt’altro. Il paragone per lei può essere semmai quello con Terrence Malick.
Anche lei è infatti un’artista schiva, che odia i riflettori preferendo concentrarsi sulla sua arte e anche lei è tutto fuorché prolifica. Questo è appena il suo quarto album in 16 anni di carriera e arriva a 7 di distanza dall’ultimo. Una scarsa prolificità che la accomunava, al passato, con Malick, visto che il regista texano adesso s’è messo sotto al lavoro come un forsennato e gira un film dietro all’altro manco si fosse trasformato in Woody Allen.

Fiona Apple è davvero un’artista strana. La parola migliore per definirla sarebbe però “estranea”. Perché Fiona è del tutto estranea al resto dello showbiz musicale. Lo è sempre stata, anche se all’inizio c’avevano pure provato, a incasellarla.
A metà anni Novanta, nel 1996, esce il suo folgorante album d’esordio Tidal. Una raccolta di canzoni intime e personali. Solo per il fatto di essere una cantante donna, con testi più o meno arrabbiati e avere i capelli lunghi, l’industria discografica la etichetta così come nuova Alanis Morissette, che all’epoca vendeva milioni su milioni di dischi.
Ma vi rendete conta che quella era un’epoca in cui Alanis vendeva fantastiliardi di dischi? Quella dove non esisteva quasi lettore CD (perché allora c’erano ancora i lettori CD) su cui non girasse Jagged Little Pill? Non che non se lo meritasse o altro, però è ironic, come canterebbe lei, che oggi se esce un suo album nuovo a malapena una o due persone al mondo ne parlano e invece allora sembrava tipo la più grande cosa mai capitata sulla scena musicale. Davvero altri tempi.
Fatto sta che Fiona, capelli lunghi a parte, ben poco aveva a che vedere con la Morissette e la sua musica semmai portava più dalle parti di Tori Amos. E, di certo, ben poco aveva a che vedere con il resto della musica che passava sulle radio o in tv. Premiata come artista rivelazione agli Mtv Music Awards 1997, Fiona ha ad esempio “ringraziato” con il discorso più anti-Mtv mai sentito su Mtv. Dove – toh, guarda un po’ che caso – non è poi praticamente più passata…

"This world is bullshit. And you shouldn't model your life — wait a second — you shouldn't model your life about what you think that we think is cool and what we're wearing and what we're saying and everything. Go with yourself. Go with yourself."


Con il secondo album, Fiona ribadisce ancora di più la sua estraneità, la sua allergia al mondo dello showbiz. E al mondo, più in generale. Chiama alla produzione il compositore Jon Brion, fa un disco dalle forti atmosfere cinematografiche e gli dà il titolo più lungo nella storia della musica:

When the Pawn Hits the Conflicts He Thinks like a King What He Knows Throws the Blows When He Goes to the Fight and He'll Win the Whole Thing Fore He Enters the Ring There's No Body to Batter When Your Mind Is Your Might So When You Go Solo, You Hold Your Own Hand and Remember That Depth Is the Greatest of Heights and If You Know Where You Stand, Then You'll Know Where to Land and If You Fall It Won't Matter, Cuz You Know That You're Right

Roba che a Lina Wertmüller sarà preso un colpo dopo averlo letto, rimpiangendo non sia venuto in mente a lei.
Boicottato da Mtv, sbeffeggiato per il titolo, senza un singolone pop da sfoggiare, l’album commercialmente va molto meno bene rispetto all’esordio, eppure è una bomba pazzesca. Uno dei dischi più belli che io abbia mai sentito. Una gemma assoluta di rara intensità, paragonabile giusto alla grazia di Jeff Buckley.

Ai tempi del terzo album, Fiona viene poi boicottata persino dalla sua stessa etichetta discografica, la ben poco epica Epic Records, che non vuole farlo uscire perché “troppo poco commerciale”. Il lavoro rimane bloccato, i fan mettono in piedi un’organizzazione chiamata “Free Fiona” manco fosse Free Willy, fino a che la Mela non è costretta a tornare in studio con dei nuovi producer che regalano al tutto un po’ più di ritmo e alla fine, nel 2005, Extraordinary Machine vede extraordinariamente la luce. Disco notevolissimo, sebbene inferiore ai due precedenti, cui fa seguito un altro lungo stop ora interrotto con un nuovo album che è appena uscito a sorpresa sempre per la stessa Epic Records e con un titolo pure questo parecchio lunghetto:

Fiona Apple “The Idler Wheel Is Wiser Than The Driver of The Screw And Whipping Cords Will Serve You More Than Ropes Will Ever Do”
Genere: melò ma non smielato
Provenienza: New York
Se ti piace ascolta anche: Regina Spektor, Lana Del Rey, St. Vincent, Bjork, Joanna Newsom, Cat Power, Feist, Kimbra

Il nuovo album di Fiona, cui anziché l’intero titolo originale ci riferiremo con il più breve The Idler Wheel, è una magia fatta di voci, piano, qualche percussione e poco altro. Essenziale. È un disco essenziale. In tutti i sensi comunemente intesi del termine. Essenziale perché non potete perdervelo. Ed essenziale perché ha un suono scarno (ma tutt’altro che scarso), fatto di pochi elementi e del tutto naturale. Come se Fiona tenesse un concerto davanti a noi, solo per noi.
La sua voce regala magie a profusione ed è protagonista unica di uno spettacolo lungo 40 minuti. Non pensate però a vocalizzi, sfoggi inutili di virtuosismi o gorgheggi alla Mariah Carey. Fiona vomita fuori le parole che ha tenuto dentro di sé negli ultimi anni.
La sua voce sussurra, accarezza le orecchie, per poi accendersi all’improvviso a sottolineare alcune parole, come in “Daredevil” e “Valentine”, trasformarsi in coro come in “Periphery” o nel ritornello del singolo “Every Single Night”, toccare la poesia assoluta nell’incantevole “Anything We Want”, raggiungere il sublime in “Hot Knife” e poi pugnalarti quando meno te lo aspetti.

The Idler Wheel è un disco di canzoni pop con testi di un'urgenza espressiva di matrice quasi rap e suonato con un'attitudine jazz.
Un disco figlio diretto dei suoi album precedenti eppure dal suono diverso, scarno, ancora più personale, sentito e vissuto, un pugno dritto alla bocca dello stomaco della scena musicale di oggi. Un disco… essenziale, non ci sono altre parole per descriverlo.
E allora, che altro aspettate ancora ad addentare la Fiona Mela?
(voto 9+/10)


giovedì 17 maggio 2012

Garbage, my kind of people

Garbage “Not Your Kind of People”
Genere: alt-rock
Provenienza: Madison, Wisconsin, USA
Se ti piace ascolta anche: The Sounds, Metric, Birthday Massacre, Gossip, Ladyhawke, Republica, Cardigans, My Bloody Valentine, Placebo

Parlare dei Garbage per me è come per un genitore parlare di un figlio. Difficile essere obiettivo.
Il loro primo omonimo album rappresenta il Passato il Presente e il Futuro della musica che mi piace. Chitarre elettriche distorte, beat tra hip-hop e trip-hop, suoni electro, melodie pop, voce cazzuta e sensuale allo stesso tempo della rossa Shirley Manson. Rabbia e dolcezza. Depressione ed energia. Tutto in un disco solo.
Poi è arrivata la volta della Version 2.0 ed è stata un’altra notevole figata. Un uno-due micidiale che li conserverà per sempre tra le mie band preferite di tutti i tempi.
E poi l’inevitabile inesorabile declino, prima con il pasticciato Beautiful Garbage, comunque pieno di spunti notevoli, e quindi con Bleed Like Me, disco dall’attitudine rockettara non troppo convinta e convincente.
Questo disco nuovo Not Your Kind of People invece come suona?
Diciamo subito che non è mitico come il primo. E non è nemmeno ganzo come il secondo.
Diciamo che si inserisce bene o male al livello degli altri due album, forse un po' più in su. Con buone intuizioni, qualche ottima song, complessivamente molto figo eppure non soddisfacente al 100%. Forse perché le mie aspettative, nei loro confronti, sono sempre troppo alte.

Erano passati 7 anni dal loro ultimo lavoro e quanto cazzo mi erano mancati?
Davvero tanto, cazzo, e l’emozione di risentirli di nuovo è sempre alta. Il singolo “Blood For Poppies” fin da subito funziona. Funziona eccome. Un pezzo che mi ha scaraventato indietro nel tempo. Battito esaltante, chitarrona tipicamente garbagiana, melodia catchy, ritornello paraculo il giusto: tutto il meglio del loro passato frullato insieme. Garbage are back, bitches!


Smaltito dopo giorni e giorni l’entusiasmo iniziale per questo ritorno a grandi livelli, il resto dell’album viaggia tra alti e bassi, tra eccitazione alcolica ed hangover. Propone alcune cose buone, molto buone: l’inizio è a bomba con la tiratissima “Automatic Systematic Habit”, fresca come il pezzo d’apertura del disco d’esordio di una band tutta nuova e in “Man on a Wire” picchiano di brutto, forse come non mai. “I Hate Love” è il suono intripposo del passato che ritorna in una forma nuova, "Sugar" è la zolletta perfetta da infilare dentro la tazza di "Milk" e “Battle in Me” è una battaglia devastante, nel senso buono del termine. E ancora “Big Bright World”, il suono del Paradiso in cui ogni Garbage-fan può solo sognare di finire.



Il resto della scaletta si mantiene su livelli un filo più bassi, pur sempre carini ma non del tutto esaltanti, soprattutto nelle superflue bonus tracks della deluxe edition.
E quindi alla fine si rimane interdetti. Per metà felici, perché i Garbage sono tornati, sono carichi, sanno ancora scrivere dei pezzi fottutamente cool, e per l’altra metà malinconici. Consapevoli che gli anni ’90 sono finiti, non torneranno, l’ispirazione è rimasta, loro sono sempre alive and kicking, ma il tempo passa, niente sarà più come prima e un disco come quello spettacolo d’esordio i Garbage non lo faranno mai più.
Lacrimuccia.
(voto 7/10)

mercoledì 8 febbraio 2012

Il mondo nuovo de Il Teatro degli Orrori. E se fosse meglio quello vecchio?

Il teatro degli orrori “Il mondo nuovo”
Genere: alt-rock impegnato
Provenienza: Venezia, Italia
Se ti piace ascolta anche: Nine Inch Nails, One Dimensional Man, Super Elastic Bubble Plastic, Linea 77, Zen Circus, Deftones, Melvins, Motorpsycho

Va in scena un nuovo atto del Teatro degli orrori, con una sorta di concept album (e a me il termine concept album mette una certa paura) sul tema dell’immigrazione.
Anche se veramente più che un nuovo atto va in scena un mondo nuovo. Il mondo nuovo. Sarà davvero così?

L’attacco paura è puro alternative di matrice so 90s e "Rivendica" il diritto di fare un disco rock nell’Italia di oggi. Cosa non così scontata. Soprattutto se si vuole pure parlare di storie di immigrati. Si citano Pier Paolo Pasolini, Slavoj Zizek e Asor Rosa e non è che qui ci stiamo addentrando su lidi troppo intellettualoidi? Può darsi, per fortuna i riferimenti acquistano un senso all’interno di un’opera complessa ed estremamente matura a livello di testi, quanto diretta e d’impatto a livello musicale. Almeno nei momenti più riusciti, come nel primo singolo "Io cerco te" che fa:

Roma Capitale
sei ripugnante
non ti sopporto più

e mi stupisco che non sia ancora diventato un travisato inno leghista. Probabilmente perché nessun leghista ascolta Il Teatro degli Orrori, altrimenti gli esploderebbe la testa.


"Non vedo l’ora" nonostante un ritmo nervoso stile sigla di Misfits si fa un pochetto più melodica, ma non melodica alla musica leggera italiana (e tra poco, tremate tremate, arriva Sanremo!), più melodica alla non vedo l’ora che la musica leggera italiana sparisca dalla faccia della Terra. Quello sì che sarebbe un bel mondo nuovo.
Non ho detto Terra Nova. Non menzionatemi nemmeno quella stronzata di Terra Nova.
La successiva "Skopje" prende il titolo dalla capitale della Macedonia. Non lo sapevate? Ignoranti. Comunque nemmeno io lo sapevo, ho dovuto googlearla. E poi ho dovuto googleare anche Macedonia, che ero rimasto a quella con fragole, banane e pere. Sì, anche frutti di bosco, se è stagione e se non avete paura di uno squaraus.
Certo che ascoltando il mondo nuovo del Teatro degli orrori sto imparando più cose che in 5 anni di università…

"Gli Stati Uniti d’Africa" è il pezzo più fico dell’album, con un suono che riporta dritto dalle parti del monumentale capolavoro dei Nine Inch Nails “The Fragile”.


"Cleveland-Baghdad" gioca su toni parecchio teatrali. Ao’, pensavate mica che si fossero chiamati Il Teatro degli Orrori mica per niente? Come dite, si sono chiamati così come omaggio ad Antonin Artaud? Ma dovete proprio fare sempre i sapientini? Da dov’è che arrivate, da Skopje?
Anyways, sarebbe interessante vederlo messo in scena, un pezzo del genere, che dopo una prima parte non eccezionale si evolve tra atmosfere sognanti e un finale dirompente che prende il volo (non Fabio).
In "Cuore d’oceano" compare a sorpresa - ma non troppo - Caparezza, che si inserisce in maniera naturale all’interno del suono degli orrori, come se fosse un'estensione delle corde vocali di Pierpaolo Capovilla e del suo stile molto recitato, mentre in "Martino" si cammina più sulla Linea (77).
Quanto al resto, che dire? Eh, che dire? Piacevole la parentesi onirica di "Ion" (ma gli M83 sullo stesso terreno di recente han saputo fare di meglio), molto bella l’epicità di "Dimmi addio", il pezzo che preferisco dell’album, e l’attacco nirvaniano di "Doris", anche se la cosa più interessante in assoluto è forse la conclusiva "Vivere e morire a Treviso", un “parlato” su una base elettronica che spezza la monotonia dell’impianto rock tradizionale dei precedenti pezzi.

Interessanti, profondi e impegnati i testi, roba che ci si dovrebbe soffermare ad ascoltare e pure a leggere con attenzione. A livello musicale le corde toccate non sono però tantissime, stiamo dalle parti di un alternative rock che non apporta grosse modifiche o novità rispetto al periodo d’oro degli anni Novanta, ma che fa comunque piacere riscoprire rispolverato con energia e buoni argomenti dalla propria parte.
Musicalmente mi sembra quindi un passo indietro rispetto al precedente "A sangue freddo", in cui splendevano quella gemma prodotta dai Bloody Beetroots "Direzioni diverse", pezzi di impatto devastante come "Due" e la title track, e quella preghiera bastarda del "Padre nostro". Perle pregiate di cui in questo mondo nuovo, per quanto complessivamente compatto e omogeneo, purtroppo si sente la mancanza.
Un disco pesantuccio, lungo e con qualche passaggio a vuoto e qualche pezzo di troppo, eccessivamente enfatico e drammatico e quasi privo di quel senso dell’umorismo sbilenco e balordo che aveva contraddistino i loro lavori precedenti. E che fa capolino giusto in "Adrian", con quel "lievissima, purissima" e il grido finale alla Rocky: “Adrian!”.
Un disco fatto di storie e di vite più che di canzoni, che richiede tempo per essere metabolizzato, e con cui Il Teatro degli Orrori ha messo in atto un atto affascinante. Però adesso definirlo un mondo nuovo mi sembra un tantino eccessivo.
(voto 6,5/10)

Potete ascoltare l’album interamente in streaming sul canale YouTube de Il teatro degli orrori.


mercoledì 19 ottobre 2011

Sogno o son destro?

M83 “Hurry up, we’re dreaming.”
Genere: elettronica sognante
Provenienza: Antibes, Francia
Se ti piace ascolta anche: Washed Out, My Bloody Valentine, Smashing Pumpkins, Air, Sigur Ros, Radio Dept., Beach House, Zola Jesus

Dopo 5 album tutti in crescendo e la colonna sonora realizzata per l’ottimo L’autre monde (film ancora inedito da noi, ma non è certo cosa sorprendente), attendevo il sesto dei francesi M83 come il nuovo Avvento e i due mi hanno non solo accontentato, ma sono andati persino oooltre realizzando un doppio album monumentale. Cazzo, che botta. Che botta, cazzo!
L’intro con il featuring di quell’altra mia paladina che risponde al Sacro nome di Zola Jesus è l’anticipazione della grandezza, che esplode in tutto il suo splendore con il primo singolo Midnight City, un pezzo che manda in orbita, accompagnato da un video fresco fresco molto piccoli X-Men crescono.

   

La band, anzi il duo francese ha dichiarato di essersi ispirato come concezione del doppio a Mellon Collie and the Infinite Sadness, e infatti echi pumpkinsiani si sentono qua e là, tra un rullante alla Tonight Tonight in New Map, una ballata alla Corgan dei tempi migliori come Splendor e un’atmosfera post-grunge epica che avvolge il tutto, in chiave però meno rockettara e più elettronica, avvolgente, sognante.
Un trip che scivola incantato per tutto il tempo, fino a uno spettacolare finale che ci risveglia e ci riporta alla realtà, con la musica che con un coup de théâtre letteralmente svanisce nel nulla.
Che gruppo, anzi che duo, che musica, che album. E se non ascolti il secondo cd godi solo a metà.
(voto 8/10)

 

domenica 26 giugno 2011

Jukebox DeLorean, Sonic Youth

Sonic Youth “Sunday”
Anno: 1998
Genere: alternative rock
Provenienza: New York City, USA
Album: A Thousand Leaves
Canzone sentita anche in: Daria, SubUrbia
Video: diretto da Harmony Korine con Macaulay Culkin e Rachel Miner
Nel mio jukebox perché: è un ascolto perfetto la domenica, ed è la canzone che mi ha fatto scoprire e amare i Sonic Youth

Testo liberamente tradotto
Domenica arriva da sola ancora
un giorno perfetto per un amico silenzioso
guarda la magia nei tuoi occhi
io la vedo arrivare e non mi sorprende
e tu, tu volti lo sguardo dall’altra parte
penso sia vero, non è mai troppo tardi
ma io non so ancora che fare oggi
domenica arriva e domenica va via
domenica sembra sempre muoversi troppo lenta
per me, ecco che arriva di nuovo
la perfetta fine a una perfetta giornata
una perfetta fine, che altro dire
a te, solitario amico della domenica
con te, la domenica non ha mai fine

lunedì 25 aprile 2011

Ci sono più cose nel mio hard-disk, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia

Viviamo nell’era dell’abbondanza. Tutto: ogni film, serie tv, disco, persino quasi ogni persona è a disposizione attraverso un click e l’unica cosa che manca è abbastanza tempo per “consumare” tutto questo ben di Dio.
Comunque, nella moltitudine infinita di tale grandiosa offerta dalla rete, sono andato a pescare alcuni dei dischetti che negli ultimi tempi ascolto, o meglio “sento”, di più.

The Kills “Blood Pressures”
I Kills non deludono mai. Anche noti come Alison Mosshart (pure nei Dead Weather con Jack White) e Jamie Hince (pure futuro marito di Kate Moss per quelle che saranno le VERE nozze dell’anno), i due hanno sfornato un altro ottimo disco. Il loro capolavoro assoluto secondo me ce l’hanno in canna e non l’hanno ancora tirato fuori, però fanno sempre il rock’n’roll più cool in town.
(voto 7,5)


Noah and the Whale “Last night on Earth”
Noah e la balena hanno fatto uno di quei dischetti di canzoni pop irresistibili e “facili”. Ma questo non significa che sia facile farli dischi del genere, anzi. Una volta ci riuscivano i Travis, ad esempio, oggi loro. Non cambieranno la storia della musica, ma forse cambieranno la vostra giornata. O anche la vostra nottata, perché "Tonight’s the kind of night".
(voto 8)



Yelle “Safari Disco Club”
Un disco di pop elettronico francese sbarazzino è quanto di meglio riesco a immaginare per la primavera/estate. E, nonostante il nome dell’artista, potete ascoltarlo tranquillamente: Yelle non porta iella!
(voto 7,5)


Yuck “Yuck”
Il revival dell’alternative rock anni ’90 parte da loro.
E parte bene.
(voto 7/8)


The King Blues “Punk & Poetry”
Si chiamano King Blues, il loro album si chiama “Punk and Poetry”, quindi che razza di musica faranno questi guys from London? Blues? Punk? Faranno poesia di strada?
Direi tutte le cose messe insieme, più un po’ di parlata rap cockney alla The Streets e un pub sound tipicamente british.
Incredibilmente esaltanti, anzi exciting.
(voto 7)

domenica 24 aprile 2011

Jukebox DeLorean, Beck

Beck “The New Pollution”
Anno: 1997
Genere: hip-folk
Provenienza: Los Angeles, USA
Autori: Beck Hansen, John King e Michael Simpson (Dust Brothers)
Album: Odelay
Canzone sentita anche in: Daria (il cartone di Mtv)
Nel mio jukebox perché: è ritmo, invenzione, idee, fantasia (e per la scena del video in cui un tizio barbuto si sbrodola il latte addosso)





She's alone in the new pollution

domenica 10 aprile 2011

Jukebox DeLorean, Pixies

Con la DeLorean a disposizione vuoi non fare un salto negli anni Ottanta?

Pixies “Where is my mind?”
Anno: 1988
Genere: alt-rock
Provenienza: Boston, USA
Autore: Black Francis
Album: Surfer Rosa
Sentita anche in: Fight Club, Mr. Nobody, Sucker Punch, Veronica Mars, Criminal Minds, Cold Case
Coverizzata da: Placebo, Nada Surf, Yoav con Emily Browning, Maxence Cyrin, Professor Green, Kings of Leon, James Blunt
Campionata da: M.I.A. (in “20 Dollar”)
Nel mio jukebox perché: nemmeno io so dove sia la mia testa (e perché ha il riff di chitarra più fico di sempre)


Testo liberamente tradotto
Con i piedi su per aria e la testa giù sul pavimento
prova questo giochetto e ruotala, yeah
la tua testa collasserà
ma tanto dentro non c’è niente
e tu ti chiederai:
"Dov’è la mia mente?"

Ooooh

Ooooooooh

domenica 3 aprile 2011

Jukebox DeLorean, Smashing Pumpkins

Nuova tappa spazio-temporale tra le mie canzoni preferite di tutti i tempi. Questa volta andiamo avanti fino al 1995 con un pezzo che si chiama 1979. Digito le coordinate sulla DeLorean che però va in crisi: stiamo tornando indietro negli anni Settanta o all’epoca del post-grunge? Grande Giove, ridigito l’anno e speriamo di avere abbastanza plutonio per arrivare a destinazione…

Smashing Pumpkins “1979”
Anno: 1996
Genere: alternative rock
Provenienza: Chicago, USA
Album: Mellon Collie and the Infinite Sadness
Canzone sentita anche in: Clerks 2, Grand Theft Auto 4, Gran Turismo 5
Nel mio jukebox perché: rappresenta la fine dell’innocenza, o anche l’inizio di tutto il resto

Testo liberamente tradotto
La città della morfina dorme ma deve venir giù a vedere
che a noi non ce ne frega niente talmente siamo irrequieti
e che sentiamo la forza nella terra delle mille colpe
andiamo più veloci della luce
verso le luci delle città
più veloci di quanto pensassimo poter mai andare,
la strada si scalda all’urgenza del suono
e come puoi vedere non c’è più nessuno intorno

venerdì 25 febbraio 2011

Radiohead "The King of Limbs": No surprises o yes surprises?

Se ti chiami Radiohead le possibilità sono fondamentalmente due:
1) I tuoi genitori sono dei tipi belli strambi. Più di Briatore e della Gregoraci che hanno chiamato loro figlio Nathan Falco. Però almeno diamo loro atto, intendo ai tuoi genitori, di avere infinitamente più buon gusto di quegli altri due.
2) Sei la più grande band nella storia della musica (o perlomeno degli ultimi 20 anni) e quindi ogni nuovo disco che fai uscire da una parte sarà accolto a priori come un capolavoro assoluto e dall’altra ci sarà sempre chi rimarrà deluso perché dare una replica a capolavori come Ok Computer e Kid A mica è semplice. Provateci voi.

Ci sono album che mi entusiasmano fin dal primissimo ascolto, tanto per fare esempi recenti molto diversi tra loro cito gli ultimi di Kanye West e PJ Harvey. E poi ci sono altri lavori che richiedono maggiore pazienza. Questo nemmeno troppa comunque. Se al primo ascolto lampo sono rimasto mezzo deluso per non aver trovato una nuova rivoluzione copernicana, con i replay successive le cose sono andate progressivamente meglio.

È un disco davvero strano, questo The King of Limbs. Si ha la sensazione che manchi qualcosa, come un pezzo da (s)ballo alla Idioteque ad esempio, e il disco finisce proprio lì, sul più bello, dopo 8 canzoni che ti lasciano ancora con la voglia di. L’effetto probabilmente è voluto, visto ora come ora faccio fatica ad ascoltare qualcos’altro con altrettanto interesse. Perché questo forse non è l’album migliore dei Radiohead, non è il più emozionante, non è il più sorprendente. Che però possa diventare il loro più “addictive”, nel senso che crea una dipendenza stile droghe pesanti?

Leggendo nella miriade di commenti di fan o meno della band in rete ne ho trovato uno fantastico che dice all’incirca: “Cari Radiohead, sono sicuro che dopo 90 ascolti il vostro nuovo album possa essere apprezzato appieno. Però io ho anche una vita e non ho tutto questo tempo. Addio.”
Ecco, se cercate un disco da mettere su e da goderne istantaneamente andate da altre parti. Se invece siete più pazienti qui dentro troverete qualcosa di pazzesco. Io non ci ho messo nemmeno 90 ascolti per amarlo, me ne sono bastati appena 4/5.

Primo ascolto: No surprises? Siamo tra “Amnesiac” e “In Rainbows”. Bella “Little by little” e “Codex” è subito da brividi.
Secondo ascolto: “Feral” ti avvolge nello spazio come se ti trovassi in 3001: Odissea nello spazio. La conclusiva incantata splendida “Separator” non suona affatto come un pezzo conclusivo e forse segna la separazione da un altro album radioheadiano, una seconda parte in arrivo a breve? If you think this is over, then you’re wrong.
Terzo ascolto: “Lotus Flower” è una delle canzoni più grandiose degli ultimi 10 barra 20 barra 100 anni e con la sua leggerezza pop è la vera novità di questi nuovi Radiohead. E il video è indubbiamente il più geniale e cult da molto tempo a questa parte (vedi le numerosissimissimissime parodie/imitazioni/remake che circolano in rete). Era forse dagli anni ’90 che non usciva un videoclip così pazzesco.


Quarto ascolto: Non posso più immaginare un risveglio senza “Morning Mr. Magpie”.
Altroché la Macarena o il Waka Waka: balla anche tu la Thom Dance!
Quinto ascolto: “Give up the Ghost” manda K.O. tutta la nuova (e pure la vecchia) scena folk. “Bloom” da panico assoluto, con quel piano meraviglioso tolto subito per lasciare spazio a distorsioni digitali e a un ritmo sghembo da jazz-band che suona su un altro pianeta, mentre la voce di Thom Yorke esce da un altro pianeta ancora. La sensazione è quella di avere a che fare un gruppo che suona via chat attraverso galassie diverse che però si fondono e parlano un linguaggio umano: quello delle emozioni.

Trattandosi di Radiohead avevo, e ho ancora, una grande paura di parlare di questo album. Mi sembra prematuro, visto che una seconda parte potrebbe (o dovrebbe?) arrivare. Almeno, le teorie dei Radiohead fans sono decisamente chiare: l’ultimo pezzo “Separator” non è la conclusione, bensì solo il divisore verso un secondo (e magari anche un terzo?) atto. Potrebbe essere vero, però c’è da dire che le teorie cospiratorie dei fan dei Radiohead sono pari solo a quelle dei fan della serie tv Lost (visto che io appartengo a entrambe le categorie, immaginate un po’ come sono messo!) e quindi bisogna vedere se si concretizzeranno o sono solo frutto della loro (anzi, della nostra) fantasia gigantesca. Ché poi il paragone con Lost è particolarmente calzante, visto che entrambi hanno un seguito molto grosso, ma comunque di culto. Insomma, un disco nuovo dei Radiohead quando esce anche se è già stato anticipato da settimane in rete arriva comunque alla numero 1 negli USA, in Inghilterra e pure in Italia, ma comunque non fanno le vendite di band di massa come gli U2 o i Coldplay, così come Lost ha fatto 6 stagioni parecchio seguite, ma mai raggiungendo gli ascolti di un CSI, per dire. Questo perché di CSI puoi anche non vedere un singolo episodio e bene o male lo capisci lo stesso; con Lost invece se ti perdi una puntata (a volte anche se ti perdi solo 10 minuti) sei fregato. Lo stesso discorso vale con i Radiohead, li lasci con Ok Computer, li ritrovi con Amnesiac e ti chiedi: “Cosa diavolo è successo nel frattempo?” I Radiohead sono quindi un gruppo per forza di cose elitario, in cui ogni disco costituisce un tassello di un quadro più grosso difficile da decifrare se non si conoscono bene tutti i pezzi. Per capire il progetto The King of Limbs nella sua interezza ci sarà allora forse da aspettare. O magari le testine di radio ci hanno semplicemente tirato uno scherzetto, lasciandoci con un disco che suona come un antipasto, ci fa restare ancora affamati e poi… niente. Presto probabilmente lo scopriremo ma la sensazione è che le surprises debbano ancora arrivare, magari sotto forma di una seconda parte o qualcosa di diverso che non ci possiamo nemmeno immaginare.

Appena 8 canzoni, uno stile che prosegue il discorso iniziato dai dischi precedenti e per il momento un filino di delusione che aleggia nell’aria. Però questo The King of Limbs anche se probabilmente non è il top dei Radiohead è comunque di gran lunga superiore al 99% del resto della musica passata, presente e futura. Quindi, ad avercene.
Nonostante adori dare un voto a qualunque cosa, questa volta allora un voto non lo do. Non ancora almeno. Anche perché chi può considerarsi davvero degno di giudicare i Radiohead?
Iddio?
Naaah, nemmeno lui.
(voto ?)

(album completo in streaming, trovato sul blog Appunti Novalis)

venerdì 18 febbraio 2011

Nato prematuro

Lo aspettavamo per domani con parto cesareo, è invece lui non ce l'ha fatta a stare ancora per un giorno nel grembo materno. Era già da lunedì che aveva cominciato a scalciare in maniera impaziente e allora ha deciso di venire fuori prematuro con parto naturale.
È un bel maschietto, vivace, gode di buona salute, si chiama "The King of Limbs" e i suoi "mammi" sono i Radiohead.
Capolavoro? Ciofeca? Sorpresa? Delusione? Conferma? Sconferma?
Presto presto, davvero troppo presto per dirlo.
Lasciamolo prima camminare e fargli pronunciare le sue prime parole, poi capiremo cos'ha da dirci.
In attesa di scoprirlo, benvenuto tra noi piccolo King.

martedì 15 febbraio 2011

Last night a PJ saved my life

PJ Harvey “Let England Shake”
Genere: altro
Provenienza: Yeovil, England
Se ti piace ascolta anche: Joanna Newsom, Sonic Youth, Bat for Lashes, Soap & Skin, Cocteau Twins
Pezzi cult: “Let England Shake”, “The Glorious Land”, “All and everyone”

La cosa che più mi piace di PJ Harvey è che a ogni disco sembra diversa, suona diversa, canta diversa. È diversa. E per chi come me odia gli artisti che clonano se stessi a ogni uscita in una versione ogni volta più vecchia e trista non ci può essere cosa migliore.
PJ parte quindi verso direzioni differenti da quelle con cui ci aveva lasciati con l’ultimo “White Chalk”, disco sinistro e oscuro che io personalmente adoro: il perfetto ascolto per la notte. Il nuovo “Let England Shake” non è un disco più luminoso, però ha un atmosfera del tutto altra. È fortemente bellico, getta in mezzo a un campo di guerra, invita a una scossa, a un “Dai, cazzo!”, non solo i suoi conterranei inglesi ma tutto quel mondo in bambola paralizzato tra crisi economica e politica devastata. Una chiamata alle armi dolce e sinistra allo stesso tempo.



"Let England Shake" è un album che si ama (o almeno, io ha amato) fin da subito per la sua obliquità e forza ma che per un giudizio più completo richiede di parecchi ascolti, tanto non ci si annoia di certo visto che ogni volta si scoprono nuovi dettagli curiosi.
Ci sono delle marcette pop inquiete, delle filastrocche perfette per tempi malati come “The Glorious Land” con tanto di trombetta militare e una “The words that maketh murder” che riecheggia sinistramente “Surfin’ Bird” dei Trashmen, o una “Written in the Forehead” che suona come la sua versione malata di certo pop 60s radiofonico di oggi tipo Eliza Doolittle. E ci sono poi momenti di quiete almeno apparente (l’incantata “All and everyone”, “Hanging in the Wire”), che rendono l’album ancora più vario e vivo.
Al suo ottavo disco in proprio, PJ si conferma una DJ molto varia nelle sue scelte e un ascolto fondamentale per i nostri tempi. E soprattutto riesce ancora a sorprendere con un album che non solo parla di guerra, ma è anche una bomba.
(voto 8+)




mercoledì 26 gennaio 2011

I nuovi Nirvana?

Creepoid “Horse Heaven”
Genere: slow grunge
Provenienza: Philadelphia, USA
Se ti piacciono ascolta anche: Alice in Chains, Vaselines, Nirvana
Pezzo cult: "Wishing Well"

I Creepoid sono i nuovi Nirvana. Nooo, vabbé adesso non esageriamo e non spariamo cazzate, era giusto per creare un po’ di sano e ingiustificato scalpore. Il cantante però ha una voce e soprattutto un modo di cantare piuttosto simili a Kurt Cobain, cosa che li rende degni almeno di un ascolto.
A livello di suoni c’è un numero minore di chitarre elettriche distorte (a un certo punto però arrivano pure qui), ma pur intrappolandoci dentro atmosfere meno soniche, i brani sono comunque nervosi, inquieti. La seconda cantante della band ha poi una gradevole voce che rende più varia la loro proposta, come fossero dei Sonic Youth acustici, mentre qualche pezzo va in direzioni radioheadiane. Dopo tutto, voglio dire, si chiamano pur sempre Creepoid (Creep + Paranoid Android?).
Un gruppo quindi leggermente derivativo che però sta cercando di trovare la sua strada e il suo suono. Acerbi, ma promettenti.
(voto 7-)

martedì 4 gennaio 2011

Album 2010 - n. 5 Spoon "Transference"

Spoon "Transference"
Genere: indie rock
Provenienza: Texas, USA
In classifica perché: difficile dire quando scatta, può succedere prima o può succedere dopo, ma alla fine la scintilla con gli Spoon si accende. I loro primi album mi piacevano ma non mi avevano mai convinto del tutto. Con questo nuovo "Transference" mi ci è voluto qualche mese di frequentazione, poi l'amore è diventato assoluto. Presto o tardi succede. È inevitabile.
Se ti piace ascolta anche: Blur, Cold War Kids, The National, Arcade Fire, Pavement
Pezzo cult: "Out go the lights", la loro "1979"



domenica 2 gennaio 2011

Album 2010 - n. 12 These New Puritans "Hidden"

These New Puritans "Hidden"
Genere: soundtrack rock
Provenienza: Southend-On-Sea, UK
In classifica perché: suona come la colonna sonora di un film stupendo a metà strada tra "Il silenzio degli innocenti" e "Inception" che però deve ancora essere tutto girato
Se ti piace ascolta anche: Klaxons, Horrors, Metronomy, Foals, Errors, Doves
Pezzo cult: "We Want War"



venerdì 31 dicembre 2010

Album 2010 - n. 14 Sleigh Bells "Treats" e buon 2011!

Ultimo post per questo 2010 (da leggersi rigorosamente tutausendendten) e cosa meglio di un gruppo musicale che è già proiettato nel futuro e se vogliamo anche ben oltre il 2011 come gli Sleigh Bells?

Concludo facendovi quindi "gli auguri più cordiali di buon anno affinché ciascuno possa realizzare nel nuovo anno tutti i progetti e i sogni che porta nella mente e nel cuore per sé e per i propri cari". Parole mie? No, sono tratte dal "sentitissimo" e "sincerissimo" discorso di cuore fatto da Berlusconi al (ma che strano...) TG5, subito dopo aver tracciato un bilancio entusiasta del 2010: a sentir lui è stata un'annata eccezionale per l'Italia, la migliore da decenni. Per un attimo ho quasi pensato di pensare di credergli. Poi l'unica cosa che ho pensato è stata: "Mavadaviail..."

Ok gente, dopo aver citato quest'uomo si chiude baracca, almeno per il 2010.
E nel 2011 proseguono le classifiche e c'è anche una piccola novità...
Buon anno e ricordatevi di ridere, perché come dice Vasco Brondi, il nostro ridere fa male al Presidente.

Sleigh Bells "Treats"
Genere: rock band che suona electro, o è il contrario?
Provenienza: Brooklyn, NYC, USA
In classifica perché: suonano oggi la musica del 2020
Se ti piace ascolta anche: M.I.A., Daft Punk, Crystal Castles, Prodigy, Chemical Brothers, HEALTH, Fang Island
Pezzo cult: "Crown on the ground"
Leggi la mia recensione



Sleigh Bells - Crown on the Ground
Caricato da OkLinus. - Guarda altri video musicali in HD!

giovedì 30 dicembre 2010

Album 2010 - n. 19 Salem "King Night"

Salem "King Night"
Genere: witch house
Provenienza: Michigan, USA
In classifica perché: la fine del mondo non ha mai avuto una colonna sonora migliore
Se ti piace ascolta anche: LAKE R▲DIO, Crystal Castles, oOoOO, How to dress well, Zola Jesus
Pezzo cult: "King Night"
Leggi la mia recensione


mercoledì 29 dicembre 2010

Album 2010 - n. 21 Foals "Total Life Forever"

Foals "Total Life Forever"
Genere: math rock
Provenienza: Oxford, Inghilterra
In classifica perché: è un ascolto apparentemente freddo che con gli ascolti rivela tutte le sue emozioni. Praticamente un duro dal cuore tenero
Se ti piace ascolta anche: Klaxons, Delphic, These New Puritans, Slint
Pezzo cult: "Spanish Sahara"



lunedì 27 dicembre 2010

Album 2010 - n. 27 M.I.A. "/\/\/\Y/\ (MAYA)"

M.I.A. "/\/\/\Y/\ (MAYA)"
Genere: street avante-garde
Provenienza: Sri Lanka
In classifica perché: prova a riscrivere la maniera di fare musica e politica oggi. Riuscendoci solo in parte, ma comunque riuscendoci
Se ti piace ascolta anche: Sleigh Bells, Nicki Minaj, Santigold, Uffie, Diplo, Major Lazer, Crystal Castles
Pezzo cult: "Born Free"
Leggi la mia recensione


sabato 20 novembre 2010

Saturday music

3 band di perfetti sconosciuti da suonare in questo rainy saturday

I Naked and Famous sono un gruppo neozelandese perfetto per il sabato, electro ma non truzzi, ballabili ma non scemi, nudi ma non (ancora) famosi.
Potete ascoltare il loro album QUI




I Japanese Voyeurs sono un gruppo di sbandati alternative rock come quelli che si sentivono nei magnifici anni 90, tra Elastica, Hole e Sonic Youth. Il video di “Milk Teeth” è ai limiti del disgustoso, la canzone è ai limiti dell’esaltazione.
Per ora hanno fatto uscire giusto una manciata di pezzi, ma mi sono già messo in lista d’attesa per il loro album d’esordio.



Per chiudere questa breve schizzata rassegna, un altro gruppo di totalmente emergenti totalmente sconosciuti, i Funeral Party, band brit-rock yeah yes.

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