Visualizzazione post con etichetta amanda seyfried. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta amanda seyfried. Mostra tutti i post

mercoledì 1 novembre 2017

Adorabile necrologio





Adorabile nemica
Titolo originale: The Last Word
Regia: Mark Pellington
Cast: Amanda Seyfried, Shirley MacLaine, Thomas Sadoski, AnnJewel Lee Dixon, Philip Baker Hall, Tom Everett Scott, Joel Murray, Anne Heche


Era sempre sembrata un'attrice mediocre e invece no, aveva qualcosa di speciale. Amanda Seyfried possedeva un gran talento, oltre a due grandi occhi fuori dalle orbite. Era una di quelle bellezze particolari, di quelle che a un primo sguardo dici: “Beh sì, due colpi glieli darei anche se boh, ha qualcosa di strano che non mi convince”, e a un secondo sguardo dici: “Ma sì dai, ho visto di meglio, però è caruccia”.

venerdì 17 luglio 2015

Ted 2, lettera aperta a Seth MacFarlane





Ted 2
(USA 2015)
Regia: Seth MacFarlane
Sceneggiatura: Seth MacFarlane, Wellesley Wild, Alec Surkin
Cast: Mark Wahlberg, Ted, Jessica Barth, Amanda Seyfried, Morgan Freeman, Giovanni Ribisi, Sam J. Jones, John Carroll Lynch, John Slattery, Tom Brady, Jessica Szohr, Jay Leno
Genere: ripetitivo
Se ti piace guarda anche: Ted, I Griffin, The Cleveland Show, American Dad, Un milione di modi per morire nel West

Scrivo questa lettera aperta a Seth MacFarlane direttamente dalla pagina web Pensieri Cannibali, molto nota, almeno tra noi orsetti. Il motivo?
Voglio esprimere tutto il mio dissenso nei confronti dell'immagine che le sue due pellicole Ted 1 e Ted 2 danno di noi orsetti. Non siamo tutti così. Non siamo tutti dei maleducati e dei drogati. Insomma, porca puttana, nel periodo d'oro dell'ero ci facevamo, però adesso alcuni di noi sono puliti o quasi. Non è che passiamo tutto il giorno a farci dei bong cantando Maria Salvador. Di tanto in tanto ci facciamo pure di crack. Caro rimbombamico rinconglionito, se vuoi fare un film su noi orsetti, ti invito quindi a documentarti per bene, prima.

mercoledì 15 luglio 2015

Giovani si diventa, hipster pure





Giovani si diventa
(USA 2014)
Titolo originale: While We're Young
Regia: Noah Baumbach
Sceneggiatura: Noah Baumbach
Cast: Ben Stiller, Naomi Watts, Adam Driver, Amanda Seyfried, Adam Horovitz, Maria Dizzia, Peter Yarrow, Brady Corbet, Ryan Serhant
Genere: quaranteen
Se ti piace guarda anche: Questi sono i 40, Lo stravagante mondo di Greenberg, Wish I Was Here, Afternoon Delight

Vi sentite vecchi?
Vi sentite costantemente fuori posto?
Vi sembra che il mondo di oggi non sia più lo stesso in cui siete cresciuti?
Vi sentite come il mio blogger rivale Mr. James Ford in un qualsiasi giorno della sua vita?
Non preoccupatevi. Il regista Noah Baumbach ha la soluzione che fa per voi: dovete cominciare a frequentare dei giovani, ma non dei giovani qualunque, dei giovani hipster.

venerdì 5 dicembre 2014

I CULT DI PENSIERI CANNIBALI – MEAN GIRLS





Mean Girls
(USA, Canada 2004)
Regia: Mark Waters
Sceneggiatura: Tina Fey
Ispirato al romanzo: Queen Bees & Wannabees di Rosalind Wisenman
Cast: Lindsay Lohan, Rachel McAdams, Lacey Chabert, Amanda Seyfried, Lizzy Caplan, Daniel Franzese, Jonathan Bennett, Tina Fey, Amy Poehler, Tim Meadows, Neil Flynn, Ana Gasteyer, Rajiv Surendra
Genere: perfido
Se ti piace guarda anche: Ragazze a Beverly Hills, Gossip Girl, Suburgatory

Quando penso a un film perfetto da un punto di vista registico, mi viene subito in mente 2001: Odissea nello spazio.
Quando penso a una pellicola che non potrebbe essere recitata in maniera più perfetta, il mio pensiero (cannibale) corre a Il silenzio degli innocenti.
Quando penso a una sceneggiatura perfetta, tra i primi titoli che mi vengono in mente c'è invece... Mean Girls. Proprio così. Sto delirando?
Può darsi, ma per quanto mi riguarda Mean Girls è un piccolo capolavoro. Un film teen che rasenta la perfezione, in cui al suo interno c'è tutto quello che ci deve essere. Impeccabile non solo a livello di script, ma pure nella scelta del cast.

"Un piccolo capolavoro???
Ma taci Cannibal, Mean Girls è un GRANDE capolavoro!"

martedì 21 ottobre 2014

UN MILIONE DI MODI PER RIDERE DEL WEST





Un milione di modi per morire nel West
(USA 2014)
Titolo originale: A Million Ways to Die in the West
Regia: Seth MacFarlane
Sceneggiatura: Seth MacFarlane, Alec Sulkin, Wellesley Wild
Cast: Seth MacFarlane, Charlize Theron, Amanda Seyfried, Liam Neeson, Giovanni Ribisi, Sarah Silverman, Neil Patrick Harris, Christopher Hagen
Genere: comedy western
Se ti piace guarda anche: Ritorno al futuro – Parte III, Django Unchained, Rango, Ted, I Griffin

Il West è stato un periodo davvero, davvero, davvero di merda. Lo penso io, ma lo pensa anche Seth MacFarlane. Perché mi si faccia digerire un film western occorrono allora dei grandi uomini. Il primo è stato Michael J. Fox alias Marty McFly in Ritorno al futuro – Parte III. Il capitolo inferiore della saga, però pur sempre un più che rispettabile sequel di un sequel. Il secondo è stato Quentin Tarantino, con quello che a oggi è il mio western preferito, ovvero Django Unchained. Il terzo è ora appunto il papà dei Griffin, Peter Griffi... pardon intendevo Seth MacFarlane. Se vogliamo ce n’è stato anche un quarto, Jim Jarmusch con il suo Dead Man, ma quello è un film talmente strambo e fuori da ogni genere che non mi sento neanche di classificarlo tra i western.

Seth MacFarlane attraverso la sua nuova opera Un milione di modi per morire nel West rappresenta bene il mio pensiero (cannibale) nei confronti di quel periodo storico. Tutti a lamentarsi che c’è crisi, che l’Italia è 'nammerda, che la vita di oggi è un disastro, ma non è vero. Vivere nel selvaggio West americano sì che era uno schifo. Oltre al fatto che il massimo del divertimento all’epoca era fare una scazzottata al saloon che, a meno che non ti chiami come il mio blogger rivale Mr. James Ford, non è proprio il top dei top, se arrivavi a 35 anni ancora vivo potevi considerarti molto fortunato. In quel periodo era infatti parecchio facile morire in qualunque momento e nella maniera più tragica e assurda immaginabile. Si può realizzare un film spassoso su un periodo tanto deprimente già per i bianchi, figuriamoci per indiani e neri?

Se non ti chiami Mr. James Ford bensì Seth MacFarlane, la risposta è sì. Il geniale creatore de I Griffin, American Dad! e The Cleveland Show torna al cinema con il suo secondo film da regista e sceneggiatore dopo l’esilarante Ted e ancora una volta non delude. Dico subito che non mi è piaciuto allo stesso modo del precedente, dopo tutto si tratta pur sempre di un comedy western, genere ibrido che ha generato porcherie assolute come Wild Wild West, però anche in questa occasione ho riso dal primo all’ultimo istante, o quasi.
Dal film non aspettatevi innovazioni o rivoluzioni. Lo stile MacFarlane è sempre lo stesso, tanto che in alcuni punti sembra di trovarsi dentro a una puntata dei Griffin con un'ambientazione da vecchio West e poi, così come Ted rileggeva a suo modo il genere romcom, lo stesso accade qui con il western. I punti di riferimento, più che i classici del genere, sembrano proprio i film che nominavo in apertura. Un pizzico di Django Unchained per il tocco post-moderno e l’ironia, e soprattutto Ritorno al futuro 3. Non a caso entrambe le pellicole sono citate esplicitamente in un paio di scene chicca di cui non vi svelo di più.

Il punto forte non sta comunque nella revisione del genere western, né in una trama che non si distingue certo per originalità. Così così anche la scelta del cast. Seth MacFarlane si è qui auto assegnato il primo ruolo da attore protagonista della sua carriera e, per essere un esordiente o quasi (prima era apparso giusto in L’acchiappadenti e Comic Movie), se la cava in maniera decente, senza però convincere del tutto. In certi momenti, più che recitare per il cinema sembra stia facendo uno dei suoi monologhi da cabarettista, come alla notte degli Oscar 2013. Charlize Theron poi, dopo avermi esaltato in Young Adult, è tornata a lasciarmi freddo. Splendida donna, eh, però troppo glaciale e non troppo adatta alla commedia.

"La vita nel West faceva cacare, ma se non altro i cappelli erano cool.
Soprattutto se indossati da me. Modestamente, eh."

Più azzeccati i personaggi negativi del film, con Amanda Seyfried e Neil Patrick Harris che riescono a essere perfettamente odiabili. Che sia un merito o un demerito?

"Cannibal voleva insultarci o farci un complimento?"
"Penso che moriremo senza scoprirlo."
"E qui nel West è una cosa che accadrà molto in fretta..."

Ancora più odioso è Liam Neeson, uno degli attori più detestati in assoluto qui dalle parti di Pensieri Cannibali. È stata allora un’autentica goduria vederlo smerdato in un paio di occasioni!

"Me la pagherai cara prima o poi, Cannibal the Kid!"

Molto simpatica invece la coppia formata da Giovanni Ribisi e dalla comica Sarah Silverman in versione prostituta, anche se il migliore in assoluto è il padre del personaggio di Seth MacFarlane interpretato dal cattivissimo Christopher Hagen.

"Non c'è nessun Cannibal qui.
Vattene via dalla mia proprietà, dannato Neeson!"

A mancare è però un personaggio mitico come il mitico orsetto Ted, o scene cult come quelle del precedente film macfarsesco. Non mancano invece le battute esilaranti e una piacevolezza di fondo in grado di farsi apprezzare anche da chi, come me o come il protagonista della pellicola, in mezzo alla polvere, alle sparatorie e alle scazzottate è a suo agio come un pesce fuor d’acqua. E allora abbasso il western e viva Seth MacFarlane!
(voto 6,5/10)

venerdì 4 luglio 2014

BIG WEDDING, UN GRAN MATRIMONIO (DI MERDA)





Big Wedding
(USA 2013)
Titolo originale: The Big Wedding
Regia: Justin Zackham
Sceneggiatura: Justin Zackham
Ispirato al film: Mon frère se marie
Cast: Robert De Niro, Diane Keaton, Susan Sarandon, Katherine Heigl, Topher Grace, Amanda Seyfried, Ben Barnes, Ana Ayora, Patricia Rae, Robin Williams, Kyle Bornheimer
Genere: matrimoniale
Se ti piace guarda anche: Tre uomini e una pecora, Ancora tu!, (S)ex list, Last Vegas


BIG WEDDING
Il matrimonio dell’anno si sta per celebrare tra la giovane di buona famiglia Missy (Amanda Seyfried) e il giovane latino americano adottato da una buona famiglia Alejandro (Ben Barnes). E non sarà un matrimonio solo, bensì a sorpresa diventeranno delle doppie nozze. Wow!


BIG CAST
Per l'occasione è stato messo insieme un gruppo di attori fenomenale che vanta i premi Oscar Robert De Niro, Diane Keaton, Susan Sarandon e Robin Williams, più giovani attori lanciatissimi a Hollywood come Katherine Heigl, Amanda Seyfried, Topher Grace e Ben Barnes.


BIG WEDDING + BIG CAST = BIG MOVIE???

No.
Col cazzo.
Big Wedding è un film di merda e scusate le volgarità, ma questo è un film volgare.
Prima che pensiate che il difetto della pellicola sia questo lo specifico: a me la comicità volgare piace. Quando fa ridere. Quando non fa ridere, come nel caso di questa commediola che vorrebbe essere trasgressiva e politically incorrect, diventa solo triste.
Così com’è triste lo sguardo di Robert De Niro, un’anima in pena che vaga tra una scenetta che sembra uscita da un American Pie della terza età e l’altra. Per tutta la durata del film, il povero De Niro si guarda intorno come a scusarsi con gli spettatori per quello che sta facendo, per il ruolo ridicolo del vecchio arrapato che gli hanno cucito addosso. Lui, l’uomo che ci ha offerto alcune delle intepretazioni più memorabili e pazzesche della Storia del Cinema, caduto tanto in basso. Stesso discorso per Diane Keaton, Susan Sarandon e Robin Williams, loro più attapirati che arrapati come De Niro, ma anche loro con addosso lo stesso sguardo che suggerisce agli spettatori: “Scusate tanto, ma pure noi teniamo un mutuo da pagare”.

"M'è venuta una tremenda voglia di piangere, chissà perché?"

"Che hai tanto da ridere, Topher Grace?"
"Stavo solo pensando alla brutta fine fatta dalla tua promettente carriera, Kat."
"Io almeno ce l'ho avuta, una promettente carriera..."
A essere coinvolta in questa disastrosa farsa è anche la parte ggiovane del cast. Katherine Heigl, che ormai non è più manco tanto ggiovane, fino appena a una manciata di anni fa era la fidanzatina d’America e, grazie a una serie di romcom come Molto incinta, 27 volte in bianco e La dura verità sembrava destinata a diventare la nuova Julia Roberts barra la nuova Meg Ryan. Poi non ne ha più azzeccata mezza. O meglio, ha azzeccato solo un floppone in pieno dietro l’altro. Ancora più anonimi di una Katherine Heigl in prematura fase calante sono l’ex star della serie That ‘70s Show Topher Grace, una come al solito inutile Amanda Seyfried e il britannico Ben Barnes, spacciato per colombiano con un po’ di autoabbronzante spalmato sulla faccia. Prendere un attore latino americano VERO sarebbe stato troppo semplice?

Se il cast appare intristito, il “merito” oltre che di una regia inesistente è di una sceneggiatura agghiacciante. Non tanto per la trama, che è un po’ la solita da commedia matrimoniale sciocca, con Robert De Niro e Diane Keaton che sono divorziati ma per un weekend devono fingere di stare ancora insieme per fare un favore al loro figlio adottivo che si sta per sposare e la cui madre biologica è una bigotta colombiana che non concepisce il divorzio. Una vicenda da tipica farsa degli equivoci così originale che gli americani non sono nemmeno riusciti a partorirla da soli. Big Wedding è infatti il remake della pellicola franco-svizzera del 2006 Mon frère se marie. Strano che non abbiano rubata l’idea a un film italiano, visto che la maggior parte delle nostre commedie sono giocate su trame simili.
Non solo la storiella è banale e scontatissima. Il problema del film come detto è che non fa ridere. Le battute sono terrificanti. Al punto che, dopo il disastroso inizio, si comincia a entrare nella mentalità delle pellicola e si ride da quanto il film non faccia ridere. Il risultato è qualcosa di talmente tragicomico che, grazie anche alla sua breve durata, non fai nemmeno in tempo ad annoiarti troppo guardandolo e alla fine, mentre scorrono i provvidenziali titoli di coda, ti chiedi: “Ma ho riso col film, oppure ho riso del film?”.
(voto 4/10)

domenica 30 marzo 2014

LOVELACE, LA PROFONDA STORIA DI GOLA PROFONDA




Lovelace
(USA 2013)
Regia: Rob Epstein, Jeffrey Friedman
Sceneggiatura: Andy Bellin
Cast: Amanda Seyfried, Peter Sarsgaard, Juno Temple, Robert Patrick, Sharon Stone, Adam Brody, Chris Noth, Bobby Cannavale, Hank Azaria, Chloë Sevigny, Debi Mazar, Wes Bentley, Eric Roberts, James Franco
Genere: soft-porno
Se ti piace guarda anche: Boogie Nights, Dietro i candelabri

Hanno fatto un film su Linda Marchiano.
Chiiiiiiii?
Codesto nome non vi dice nulla? Riproviamo con quello di battesimo: Linda Susan Boreman.
Ancora niente?
E va bene, diciamolo in un altro modo: hanno fatto un film su Linda Lovelace.


A questo punto, ai più esperti di cinema porno tra voi, ovvero il 90% dei lettori cannibali, saranno scattate le antenne, e pure qualcos’altro. Linda Lovelace è stata infatti la prima vera pornostar dell’industria delle pellicole per adulti. Questo per una sua grande abilità.
La recitatione?
No, l’arte nel fare i pompini, esibita generosamente, mooolto generosamente in Gola profonda, un pornazzo che nel 1972 si è trasformato in un vero e proprio fenomeno della pop culture e ha sdoganato il genere a luci rosse presso un pubblico vasto e anche intellettualoide. Ovvio, non è che le famiglie si siano messe a portare i bambini a vederlo al posto dei film Disney, però ha fatto registrare incassi paurosi, mai realizzati prima e credo nemmeno dopo da un porno. Il merito di tanto clamore stava in una cura quasi autoriale nella realizzazione da parte del regista e sceneggiatore (ebbene sì, il film aveva una sceneggiatura di 42 pagine!) Gerard Damiano, così come in una buona dose di ironia presente e poi soprattutto in lei, Linda Lovelace, lei e la sua bocca. Gola profonda è stato un cult movie che ha sdoganato i film erotici e pure l’arte del pompino presso il pubblico di massa, o quasi, talmente entrato nell’immaginario collettivo dell’epoca da essere persino usato come alias dall’informatore segreto dello scandalo Watergate.

Lovelace il film racconta di come una ragazza timorata di Dio, una brava ragazza con dei genitori vecchio stampo e solidi valori sulle spalle, sia diventata un fenomeno del porno. Racconta della lavorazione della tanto discussa, famosa e famigerata pellicola Gola profonda, con tanto di protagonista maschile interpretato da Adam “Seth Cohen di The O.C.” Brody. O almeno nella prima parte racconta questo, risultando un Boogie Nights meno d’autore, d’altra parte tali Robert Epstein e Jeffrey Friedman in 2 non fanno 1 Paul Thomas Anderson, ma comunque è una piacevole ricostruzione del mondo del porno degli Anni Settanta.

"Sono la bomba sexy di Basic Instinct, non si vede?"
Nella seconda parte il film prende invece tutta un’altra piega. Si trasforma nel dramma di Linda Lovelace, fanciulla sfruttata dal sistema pornografico e che vedrà a mala pena $1000 dei $600 milioni che il suo film di maggior successo frutterà nel mondo. Soprattutto, ci mostra una fanciulla sfruttata dal marito, interpretato da un perfido Peter Sarsgaard, a mio parere uno degli attori più in forma del moemnto, si veda anche la sua recente partecipazione all’ultima stagione di The Killing, ma purtroppo troppo sottovalutato. È lui il più convincente del cast, che vede anche il prezzemolino James Franco nei panni di Hugh Hefner di Playboy, una sempre spumeggiante Juno Temple e una Sharon Stone irriconoscibile, lontana anni luce dai tempi sexy di Basic Instinct e che qui ha la ben poco hot parte della madre della protagonista.


"Giro 50 film all'anno, volevate me ne perdessi uno sul mondo del porno?"

E la protagonista?
Mi sono sempre chiesto se Amanda Seyfried mi piacesse o meno. In Mean Girls era spassosissima, in Jennifer’s Body veniva offuscata alla grande da Megan Fox, in filmetti come Dear John e Letters to Juliet mi era sembrata parecchio insipida, in Les Misérables è una lagna come del resto tutta la pellicola, mentre in cose non eccezionali come Cappucetto rosso sangue, Gone e In Time non mi era dispiaciuta. Questo film però ha risolto il dubbio: Amanda Seyfried non mi piace. Nonostante abbia il ruolo di una pornostar, nonostante si intravedano le sue tettazze che non sono niente male, mi ha fatto meno sesso di quanto immaginassi e la sua performance anche a livello recitativo mi ha convinto ben poco.

"Mi stai sempre addosso, mi succhi via la vita.
E io che pensavo fossi brava a succhiare solo qualcos'altro..."
Il problema del film comunque non è la Seyfried che, sebbene meno Sexyfried del previsto, bene o male se la cava ancora. Il problema è lo svaccare della pellicola nella seconda parte, nel suo trasformarsi in un melodrammone in cui alla povera Linda Lovelace ne capitano di tutti i colori, manco fossimo dentro un film di Lars von Trier. A differenza delle pellicole del bastardissimo Von Trier, qui però le sue sofferenze ci vengono inflitte in maniera ruffiana, per impietosire lo spettatore, e ne emerge anche un discorso moraleggiante e accusatore nei confronti della pornografia. La denuncia nei confronti di un ambiente maschilista è del tutto giusta e condivisibile fin che si vuole, ma il modo in cui viene messa in scena non convince molto. Un peccato, perché l’inizio del film intriga con le sue atmosfere 70s e invece nel finale si sprofonda nel biopic televisivo. Televisivo? Magari, visto che il recente film tv Dietro i candelabri – Behind the Candelabra della HBO è parecchio più avvincente e riesce a evitare le trappole del facile pietismo in cui cade questo film per il cinema.

Attenti allora a come vi approcciate a questo Lovelace. Se vi aspettate un film su:
- Porno, yeah!
- Trombate, doppio yeah!!
- Pompini, triplo yeah!!!
Sarete soddisfatti solo in piccola parte. Uno pensa a una roba come Gola profonda e si immagina il sesso e il divertimento, quando dietro alla sua realizzazione e alla sua protagonista in realtà c’è tutta un’altra storia. Lovelace è un biopicone drammone non malvagio, solo deprimente come pochi altri film visti di recente. Ebbene sì. Lovelace è un film sul mondo del porno, ma lo fa ammosciare.
(voto 6-/10)

lunedì 4 febbraio 2013

LES MISERABLES, MISERABILI NOI SPETTATOOORIIIII

Les Misérables
(UK 2012)
Regia: Tom Hooper
Tratto dal musical: Les Misérables di Claude-Michel Schönberg (musiche) e Alain Boublil (testi)
A sua volta tratto dal romanzo: I miserabili (Les Misérables) di Victor Hugo
Cast: Hugh Jackman, Anne Hathaway, Russell Crowe, Sacha Baron Cohen, Helena Bonham Carter, Eddie Redmayne, Amanda Seyfried, Aaron Tveit, Samantha Barks, Daniel Huttlestone, Isabelle Allen
Genere: canta tu
Se ti piace guarda anche: Rent, Nine, Sweeney Todd, Moulin Rouge!

Mi ha sempre fatto ridere questa espressione: I dreamed a dream. Ho sognato un sogno. E per forza, cosa dovevi fare? Incubare un incubo?
Comunque, “I Dreamed a Dream” è il brano più celebre e identificativo di Les Misérables, romanzo di Victor Hugo trasformato in uno dei musical di maggior successo nella storia di Broadway a partire dagli anni ’80, quando era al top della popolarità (non a caso viene spesso citato nel romanzo di Bret Easton Ellis American Psycho). Adesso è finalmente (finalmente?) diventato anche una pellicola cinematografica.

I dreamed a dream. Ho sognato un sogno. Nel sogno, non guardavo questo film ed ero più felice. Avrei potuto impiegare molto ma molto meglio le 2ore e 40minuti della durata del musical. Non so, ad esempio avrei potuto cominciare a giocare a Ruzzle, il gioco di parole che fino a qualche giorno fa non avevo mai sentito nominare e di cui adesso invece tutti parlano. Ovunque. Su Facebook, sui blog, per strada. Sembra di essere finiti nell’alba dei giocatori di Ruzzle viventi. C’è gente al volante che non guarda la strada per giocarci. Ne hanno parlato persino al TG5! A quel TG5 dove di solito la cosa più nuova di cui discutono è il nuovo disco di un nuovo artista emergente, un certo nuovo Vasco Rossi.

I dreamed a dream, dicevo. “I Dreamed a Dream” è un brano di sicuro impatto, non lascia indifferenti. È riuscito persino a trasformare Susan Boyle, e ho detto Susan Boyle, in una superstar mondiale, e ho detto superstar mondiale.



Figuriamoci allora se Anne Hathaway, grazie alla sua intensissima interpretazione nella parte di Fantine e soprattutto di questo brano, non riuscirà a portarsi a casa uno scontatissimo Oscar come miglior attrice non protagonista, dopo aver già vinto ai Golden Globes.



Non fraintendetemi, Anne Hathaway qui è davvero bravissima e l’Oscar sarà anche meritato, non certo un furto. Però non è il genere di performance recitative che preferisco. Troppo sopra le righe. Troppo eccessiva. Un talento troppo sbandierato. Come nel campo delle performance musicali fanno Andrea Bocelli, o Celine Dion o Mariah Carey. Nessuno mette in dubbio che abbiano un gran talento vocale, però io personalmente non riesco a sentirli se non munito di appositi tappi per le orecchie.
Anna Hathaway con la sua intepretazione breve ma intensa, pure troppo, rientra comunque tra le note più positive di questo Les Misérables e la scena in cui canta “I Dreamed a Dream” è impressionante per bravura recitativa. Il regista Tom Hooper invece strabilia parecchio di meno. Si limita a mettere la camera fissa su di lei e a far compiere tutto lo sforzo all’attrice. Così sono capaci tutti. Anche i Vanzina.

"Uh, mamma! Svegliateci quando il film è finito..."
Il film gode di una manciata di altre buone intepretazioni: Hugh Jackman se la cava bene, ma nel suo caso l’Oscar sarebbe davvero eccessivo.  Bravi poi Sacha Baron Cohen ed Helena Bonham Carter (entrambi già nel musical burtoniano Sweeney Todd), protagonisti dei siparietti più divertenti, in grado di alleggerire un pochetto la situazione di un drammone che stava diventando insostenibile e in cui alle disgrazie personali dei miserabili protagonisti si aggiungono pure quelle legate alla Rivoluzione francese e alle guerre napoleoniche. Va bene il dramma, va bene il melodramma, però Les Misérables più che un semplice drammone è un invito al suicidio.
A colpire in positivo, oltre ad Anne Hathaway, sono soprattutto i volti più nuovi: il bambinetto Daniel Huttlestone è il protagonista del momento musicale più figo, la scena in cui canta convintissimo “Look Down (Beggars)”. Perché sì, questo Les Misérables ha anche dei momenti buoni. Peccato che su 2 ore e 40 minuti ci siano giusto quelle 2 ore di troppo ad appesantire il tutto.
Non male anche l’emergente Samantha Barks, che arrivava già dalle versione concertale del musical. A lei è affidato l’altro brano più celebre de Les Misérables, ovvero “On My Own”. Più celebre almeno per me, visto che lo conoscevo grazie all’interpretazione di Katie Holmes/Joey Potter in Dawson’s Creek. Pensate un po’ voi su quali solide basi poggia la mia cultura.



"Non è il caso che continui a mentire dicendo che sono meglio di Marilyn,
tanto te la smollo lo stesso."
Tra gli altri giovani attori da tenere d’occhio, occhio appunto poi anche ad Aaron Tveit, già intravisto in Gossip Girl, e alla piccola Isabelle Allen, quella dell’inquietante manifesto della pellicola.
Mi ha convinto di meno invece Amanda Seyfried. Amanda sey fregna, okay, ma il musical non mi sembra troppo nelle tue corde. Continua a non dirmi nulla invece Eddie Redmayne, già anonimo protagonista di Marilyn (dove non era Marilyn, ma il giovane che ne era innamorato, nel caso aveste dubbi in proposito). Io sono il primo a sponsorizzare i giovani attori britannici, lui però no. Sarò comunque felicissimo se mi smentirà in futuro, ma di certo anche lui non mi sembra molto a suo agio con il musical e a livello vocale è il più miserabile del cast.
Se la cava a cantare Russell Crowe, d’altra parte è pure il leader di una rockband, i Russell Crowe & The Ordinary Fear of God, però dentro Les Misérables sembra davvero un pesce fuor d’acqua. Non che ci siano numeri di ballo, perché questo è uno di quei musical in cui non è che si balla. Non più di tanto. Si canta, sempre e soltanto. Il roccioso Russell Crowe comunque pare uno che si aggira in scena chiedendosi: “Ao’, io so’ Massimo, er Gladiatò. Che ce faccio in ‘sto musicarello per effeminati?”.

"Tutto bene, Anne?"
"No, mi si è rotto il karaoke. E mo' come faccio a esprimermi?"
La pellicola viaggia quindi a corrente alternata, tra intepretazioni, canzoni e scene più o meno apprezzabili. Il tutto tenuto insieme da una cura tecnica impeccabile, abiti e scenografie per carità magnifici, e dalla regia del menzionato Tom Hooper.
Riconosco a Tom Hooper di avere stile, un suo stile. Che poi a me questo stile faccia schifo, è un dettaglio non da poco. Adesso non so bene neanche quali termini tecnici sono più appropriati per descrivere il suo modo di girare. Propone spesso e volentieri delle inquadrature sbilenche, come fosse un Terry Gilliam privo però di tutto il talento visionario. Privilegia poi i primi piani e, come dire?, schiaccia la messa in scena, toglie profondità. Magari è solo un’impressione mia, ma quando guardo un suo film mi sento schiacchiato. Mi sento soffocare. Mi manca il respiro. Sto male fisicamente. È per questo che, dopo la già fastidiosa esperienza de Il discorso del re, quello che ha fatto una gran rapina agli Oscar di due anni fa, non ho mai visto il suo acclamato film d’esordio Il maledetto United, nonostante il Manchester United sia una delle mie squadre preferite. Perché ho paura del suo cinema. Mi fa stare male, maledetto Hooper.

"Al prossimo che si mette a cantare gli faccio saltare le cervella, intesi?"
La regia di Tom Hooper mi ha fatto stare male anche questa volta, nel caso ve lo chiedeste, ma non è la sola cosa ad aver avuto un effetto devastante sulla mia visione del film.
Non ho mai visto il musical da cui è tratto, quindi prendetele come considerazioni basate unicamente come supposizioni, ma un problema di Les Misérables il film è che ha troppo rispetto di Les Misérables il musical. E, per quanto riguarda gli adattamenti, l’eccessiva fedeltà per me non è mai un gran bene. Nel passaggio da un media a un altro vanno operate delle scelte, anche spietate se necessario. Guardando Les Misérables ho avuto l’impressione di un lavoro che a teatro sarebbe funzionato alla grande, ma su pellicola meno. Perché?
Perché questo musical è troppo… musical. Troppo cantato. I dialoghi sono pressoché inesistenti. Una scelta interessante, rischiosa, estrema. Dai risultati però devastanti per la psiche del miserabile spettatore. Terminata la visione del film, mi sono chiesto perché le persone intorno a me parlassero. Parlassero e non cantassero. Se odiate i musical quindi vi consiglio di girare al largo, perché questo film potrebbe farvi lo stesso effetto del sole per i vampiri: provocarvi combustione spontanea.

Per quanto mi riguarda, non sono mai stato un grosso fan dei musical. Ultimamente però ho apprezzato parecchio alcune rivisitazioni originali del genere, come Moulin Rouge! e Dancer in the Dark (che al confronto di questo era quasi una commedia goliardica), così come ho seguito con interesse il Glee dei primi tempi e pure l’altra serie musical Smash e tra poco vi parlerò pure di Pitch Perfect. Non partivo quindi del tutto a digiuno dal genere. Però vi assicuro che, se non siete fan hardcore dei musical, 2 ore e 40 minuti senza pause, tutte cantate, TUTTE cantate, vi faranno impazzire.

Ma perché diavolo cantate seeempreeeeeeeeee?
Vi fa così schifo parlareeeeeeeeee?
Non se ne può davvero piùùùùùùùù
e non mi resta altro che invocare Belzebùùùùùùù
Perché diavolo diavolo diavolo
diavolo diavolo diavolo
(tutti in coro) DIAVOLO DIAVOLO DIAVOLO
perché diavolo cantate seeempreeeeeeeeeee?
Qualcuno me lo vuol spiegar?
qualcuno me lo sa spiegar?
La la la la la lalaaa?
La la la la la la laaaaa?
Les Misérables ti mando fuori di testaaaaaaa.
Les Misérables ti fa gridare: “Ma bastaaaaaaa!”.

Poi basta. Mi è passata.
Dopo due giorni in cui sono andato in giro per strada a cantare e la gente, tra una partita a Ruzzle e l’altra, mi guardava come se fossi pazzo, alla fine l’ho capito chi sono les misérables del titolo: noi poveri spettatori.
(voto 5/10)

Post pubblicato anche su L'OraBlù, con la nuova locandina minimal firmata da C(h)erotto.


lunedì 1 ottobre 2012

L'angolo del Cannibale

Da questo mese ho iniziato a collaborare con un nuovo sito.
Si tratta di Sdangher!, un blog molto metal-oriented con cui non è che abbia poi molto a che fare, a dirla tutta. Però Francesco, uno degli autori di suddetto sito, mi ha invitato a contribuire a modo mio e quindi l'ho fatto con piacere.
Di tanto in tanto proporrò quindi un mio intervento, incentrato non sul metal bensì su qualche film/serie tv di genere horror o qualcosa del genere.
Per il primo appuntamento con questa rubrica denominata "L'angolo del Cannibale" ho scelto un film davvero da paura. Per lo schifo.
Potete leggere la mia opinione qui sotto, o anche su Sdangher!


Solstice
(USA 2008)
Regia: Daniel Myrick
Cast: Elisabeth Harnois, Shawn Ashmore, Hilarie Burton, Amanda Seyfried, Matt O’Leary, Tyler Hoechlin
Genere: horrido
Se ti piace guarda anche: qualsiasi altro horror con un gruppo di ragazzi che va in gita in una casa misteriosa, sarà di certo meglio di questo

Il sospetto che Solstice possa essere una schifezza colossale non ti entra dentro lentamente, poco a poco. Viene da subito. Leggendo il nome del regista sui titoli di testa: Daniel Myrick. Ovvero uno dei due artefici di The Blair Witch Project. Ovvero uno dei due artefici di una delle operazioni di marketing più geniali nella storia del cinema. Ovvero anche uno dei due artefici di una delle più grandi porcherie del cinema horror degli ultimi anni. Perché lo spunto di The Blair Witch Project, quello di girare un mockumentary de paura a bassissimo costo in maniera finto (?) amatoriale, possiamo anche ammettere che è geniale. Il risultato, in termini di qualità filmica, è invece di qualità parecchio inferiore. O, per dirla in termini fantozziani, è una cagata pazzesca.
Questo Solstice non può nemmeno vantare di avere un’idea di partenza valida e ciò che resta è solo una cagata pazzesca.

La storia, vabbè diciamo la storiella, è infatti la solita, la più sfruttata nel cinema di genere degli ultimi anni barra decenni barra secoli: un gruppo di ragazzotti va in vacanza, in questo caso – non si sa bene perché – in una casa di campagna, e finirà inevitabilmente vittima di strani avvenimenti. La storia in sé può non essere delle più originali, però può esserlo la sua realizzazione. Si veda in proposito il recente The Innkeepers del nuovo Dio dell’horror Ti West: poteva essere il solito filmino su un hotel infestato dai fantasmi, e invece è molto di più. O anche il fenomenale Quella casa nel bosco di Drew Goddard: poteva essere il solito filmino su un gruppo di giovani americani in gita e invece è tipo un capolavoro.

"Mi spieghi un'altra volta perché ho fatto questo film, che non l'ho ancora capito?"
Questo Solstice è persino molto di meno del solito filmino su un gruppo di giovani americani per lo più idioti che se ne vanno in gita. È persino inferiore, e parecchio, alla poco esaltante media del genere.
La regia del Myrick è imbarazzante, da film tv di quart’ordine, se non proprio da fiction Mediaset. Va detto anzi che la serie Il tredicesimo apostolo è realizzata meglio. Il cast è quello classico di attori da serie teen USA: c’è Hilarie Burton, la mitica Peyton Sawyer di One Tree Hill, e Tyler Hoechlin, il meno mitico attore di serie come Settimo cielo e Teen Wolf. C’è persino Amanda Seyfried, di lì a poco (il film è uscito nel 2008) destinata a diventare, se non una star di prima grandezza, se non altro la più famosa del lotto. La protagonista di Solstice però non è lei, sacrificata in un ruolo minuscolo e parecchio da sfigata. Elisabeth Harnois, attricetta senza arte né parte pure lei intravista in One Tree Hill, per una sfortunata scelta di casting ha avuto la parte di protagonista di questo Solstice e ha addirittura un ruolo doppio, visto che interpreta due gemelle. Una delle due morta, nel caso aveste dubbi. E interpreta male tutte e due le gemelle, nel caso aveste dubbi pure su questo.

"Oddio, aiuto!"
"Che c'è, hai visto un fantasma?"
"No, ho dimenticato la tessera Coop: oggi niente sconto soci..."

"Ci baciamo?"
"Ma non c'è scritto sul copione."
"Vabbè, ma almeno succede qualcosa di interessante..."
Ciliegina sulla torta: alla prevedibilità del tutto, alla totale assenza di tensione o di un minimo interesse per la stravista vicenda e i vuoti personaggi, si aggiunge pure una componente di occultismo che fa sprofondare il tutto nel ridicolo. E poi, a un certo punto, all’improvviso il film finisce. Con una risoluzione affrettatissima. Come se lo stesso regista si fosse rotto le balle e avesse detto: “Ragazzi, finiamola qui che The Blair Witch Project al confronto di questo era Psycho.”
Se la pellicola è finita, il nostro post non lo è ancora. C’è infatti ancora un piccolo particolare da aggiungere: un filmetto del genere non è nemmeno un’idea “originale”, bensì è tratto dal film danese Midsommer. Ebbene sì, questa non è solo una schifezza, ma è pure una schifezza scopiazzata.
Adesso il post è finito? Sì, siamo arrivati al termine di questo primo appuntamento con l’angolo del cannibale. Ci vediamo alla prossima occasione, dove la sfida sarà quella di trovare una pellicola più spaventosa di questa. Ce la farò?
(voto 2/10)

martedì 22 maggio 2012

Gone-orrea

"Pronto, ma chi è?"
Gone
(USA 2012)
Regia: Heitor Dhalia
Cast: Amanda Seyfried, Jennifer Carpenter, Wes Bentley, Daniel Sunjata, Emily Wickersham, Katherine Moennig, Sebastian Stan, Joel David Moore, Sam Upton
Genere: bel film di merda
Se ti piace guarda anche: Faces in the Crowd, Dream House, La scomparsa di Alice Creed, The Vanishing - Scomparsa
(uscita italiana non ancora prevista)

Amanda Seyfried non mi piace particolarmente.
Me la inchiappetterei a sangue, ma non mi piace particolarmente.
Se però voglio vedermi un bel di merda, allora so che Amanda Seyfried è una buona garanzia in proposito. E con “bel film di merda”, io lo intendo nell’accezione positiva dell’espressione, se può esisterne una. Con “bel film di merda” intendo infatti uno di quei film che sai che sono una cagata, di quelle che due settimane dopo ti chiederanno: “L’hai visto Gone?” e tu risponderai: “Gooon? Mi stai chiedendo se ho la gonorrea?”, eppure nonostante questo lì per lì lo guardi senza problemi e un pochino ti appassioni pure alla vicenda.
Un bel film di merda, capito, no?

"Amanda, cercano te: è ancora quel maniaco..."
E i bei film di merda dell’Amanda io li ho apprezzati praticamente tutti: sono tra le uniche 3 persone al mondo cui è piaciuto Cappuccetto rosso sangue (le altre 2 sono i genitori della Seyfried), sono l’unica persona al mondo a cui è piaciuto Jennifer’s Body (no, quello manco ai genitori della Seyfried), mi sono tutto sommado goduto la visione del modesto In Time, ho guardato senza nemmeno morire gli smielati Dear John e Letters to Juliet. In qualche perverso modo, alla fine devo dire che Amanda Seyfried mi piaciucchia abbastanza. O forse mi piace proprio particolarmente, sebbene a inizio post abbia sostenuto il contrario. Ma mai fidarsi troppo della mia parola.
In attesa di vederla negli irriconoscibili panni della pornostar gola profonda Linda Lovelace, è arrivato un suo nuovo thrillerino e vogliamo perdercelo, vogliamo?
Direi proprio di no.

"Tanto io ho Tim, tu Vodafone, quindi non ti ricarico nemmeno!"
Dopo i noiosi titoli di testa come solita intro pseudo inquietante da thrillerino americano di medio livello che mette meno tensione di un giro sulle giostre per bambini, si parte subito con la scenona immancabile di Amanda Seyfried che si fa la doccia.
Beeene.
Anche se una scena del genere, immancabile in ogni thriller che si rispetti da Psycho in poi, qui se la sono bruciata subito all’inizio e quindi uno perché dovrebbe vedere il resto? Per la trama?
Con la speranza che prima o poi arrivi un’altra scena di doccia con Amanda Seyfriend (e mi duole dirvi che purtroppo non arriverà), non ci resta altro che goderci la trama. Ebbene sì. Solita trama (poco) thriller (molto) standard.
Una tizia, la Seyfiga, è stata rapita da un pazzo maniaco serial-killer, ma lei oltre che Seyfiga è pure Seysveglia ed è riuscita a fuggire. L’unica a essere riuscita a sfuggirgli. Dopo essere stata internata in un istituto psichiatrico perché nessuno credeva alla sua storia, l’hanno liberata e lei è andata a vivere in una casina sperduta insieme alla sorella. Fino a che la sorella scompare. Rapita pure lei?
Amanda Seyfiga va dalla polizia a denunciarne la scomparsa, ma nessuno le crede e le dicono: "Seypazza!" E così lei da sola dovrà mettersi sulle sue tracce.
Le domande a questo punto sono 2:
1) Ce la farà a ritrovare la sorella, sgnacchera pure lei?
2) Si farà un'altra doccia?
Le risposte:
1) Chi lo sa. Guardatevi il film.
2) Ve l’ho detto: nooo.

"Amanda, puoi dire ai tuoi amichetti maniaci di non rompere
le scatole pure a me?"
Nonostante il personaggio stereotipato e le situazioni tipiche da thrillerino, la Seyfried ci crede abbastanza alla parte (non si sa bene perché) e se la regia del brasiliano Heitor Dhalia è senza infamia e senza lode, ma soprattutto senza lode, non è malaccio il cast di contorno della pellicola: ci sono un Wes Bentley di recente tornato sulla cresta dell’onda con Hunger Games come non capitava dai tempi in cui filmava in maniera poetica sacchetti di plastica in American Beauty, Katherine Moennig che era la playgirl di The L Word, Joel David Moore visto con la sua faccia da pirla in Avatar e nell’horror Hatchet, Sebastian Stan già in Gossip Girl e ne Il cigno nero, e poi Jennifer Carpenter, la sorella di Dexter. ATTENZIONE SPOILER SU DEXTER! E colgo l’occasione per rivolgere un appello agli sceneggiatori di Dexter: vi prego, nella prossima stagione non proseguite con la storia incestuosa tra lei e il fratello, ok?


Ecco svelato il mistero di dov'è finito l'attore scomparso Nick Stahl:
a sta(h)lkerare Amanda Seyfiga.
Il film Gone, per quanto alla fin fin non sia altro che un semplice thrillerino americano, tratta un tema importante: le persone scompaiono.
L’attore Nick Stahl ad esempio è scomparso.
Non intendo che è scomparso dalla scena cinematografica, anche se un po’ è vero pure quello.
Qualche anno fa era uno degli attori più promettenti di Hollywood, con all’attivo film come L’uomo senza volto (da bambino), Generazione perfetta, La sottile linea rossa (di Terrence “sticazzi” Malick), In the Bedroom, Bully, Sin City, Terminator 3 (il suo maggiore successo commerciale). Dopodiché una serie di filmetti che nessuno si è filato ed è scomparso dal giro hollywoodiano che conta.
Qualche giorno fa però Nick Stahl è scomparso per davvero. Il 9 maggio è stato visto per l’ultima volta, poi di lui si sono perse le tracce. Fino ad essere stato ritrovato. Dove? E dove volete che finisca un attore hollywoodiano in crisi se non in rehab?
Morale della fiaba: le persone scompaiono nella realtà. E pure nei film. E pure nei bei film di merda. Come Gone.
(voto 6-/10)

martedì 28 febbraio 2012

In time - Raga, vi presento mia mamma: Olivia Wilde

In Time
(USA 2011)
Regia: Andrew Niccol
Cast: Justin Timberlake, Amanda Seyfried, Olivia Wilde, Cillian Murphy, Johnny Galecki, Matt Bomer, Alex Pettyfer, Vincent Kartheiser, Rachel Roberts, Jessica Parker Kennedy, Melissa Ordway
Genere: fantamoney
Se ti piace guarda anche: I guardiani del destino, Demolition Man, Io Robot, Il mondo dei replicanti

In Time parte da un bello spunto, una buona base di partenza per una storia: in un ipotetico futuro, tutte le persone sono geneticamente modificate in modo da avere 25 anni per sempre.
Forever young, I want to be forever young, do you really want to live forever, forever young?
Lacrimuccia alphavillosa.
La tematica si fa quindi molto Peter Panesca, anche molto vampiresca. Le saghe letterarie, cinematografiche, telefilmiche sui succhiasangue da Twilight a The Vampire Diaries vanno forte per quale motivo? Perché i vampiri sono creature non solo immortali, ma anche eternamente giovani e fighe. Avete mai visto un vampiro cesso?
Sì, una volta in True Blood ce n’era uno obeso e inguardabile, ma infatti l’han fatto durare giusto una o due puntate…
Come si gioca questa carta dell’eternà giovinezza il film In Time? Male, il tema non viene assolutamente sviluppato a sufficienza. Se non con scenette come quella mostrata nel trailer: queste sono mia moglie, mia suocera e mia figlia. E sono tre biondazze giovani che sembrano uscite da un catalogo di Victroia's Secret.

"Aiuto, voglio la mamma! Anzi, la vorrei anche se non fossi in pericolo..."
Andiamo avanti nel time con la trama.
Dopo aver raggiunto i 25 fatidici anni, ogni persona ha un solo altro anno di vita. A meno che non si guadagni più tempo. Sì, guadagnare, perché il tempo è la moneta del futuro, o almeno di questo strambo futuro. Niente euro. Niente dollari. Niente yen. Il tempo è denaro, letteralmente.
Bello spunto di partenza dicevamo. Peccato che sortisca anche degli effetti ridicoli assai.
Il protagonista Justin Timberlake ha infatti come mamma… Olivia Wilde!
Olivia Wilde mamma di Justin Timberlake?!?!
What the fuck!
Credo che in questo caso la parola M.I.L.F. (Mother I'd Like to Fuck) non sia nemmeno abbastanza sufficiente per definire la situazione dentro cui si trova il Justin. Una situazione in cui se non pensi all’incesto non sei normale.
Il pericolo di scadere in situazioni potenzialmente ridicole è di per sé molto presente nel cinema di fantascienza, più che in altri generi. Alcuni film riescono comunque ad aggirare l’ostacolo bene, qui invece l’ostacolo non viene saltato proprio.
Olivia Wilde mamma di Justin Timberlake?
Dai, è davvero troppo comico.
Ci manca solo la scena in cui Justin fa conoscere la mamma agli amici:
"Per l'ennesima volta, Justin: sei troppo grande per essere ancora allattato!"
“Hey raga, vi presento mia mamma… E dai, non sbavate. È pur sempre mia mamma. Sì, va bene, anch’io c’ho perso la vista a forza di fare pensieri impuri su di lei, però dai raga, è la mia vecchia mamma. Riallacciatevi quei pantaloni, forza. Mamma, io comunque ti amo… ehm, volevo dire ti voglio bene. Come un figlio può voler bene a una madre, non intendo mica come un camionista che vorrebbe possederti carnalmente in un cesso di uno squallido benzinaio sull’autostrada potrebbe volerti bene. Ah, mamma: questa sera posso dormire insieme a te che ho ancora quegli incubi ricorrenti?”.

ATTENZIONE SPOILER
Fatto sta che questa situazione tanto assurda non regge molto. Tempo una manciata di minuti e la povera mamma MILF super MILF super extra MILF di Justin ci rimette la vita, in una sequenza altamente patetica, eccessiva e ridicola in cui Justin si ritaglia il solito momento da filmone americano, dove è lasciato libero di gridare:
“NOOOOOOOOOOOOOO! Prendi meeeeeeeee!”

"Sei meno figa della mia anziana madre, Amanda, però mi ti farei comunque..."
Quindi la storia si evolve, entra l’inevitabile interesse amoroso che ha le vesti di Amanda Seyfried, da me anche ribattezzata Amanda Seyfrigida. Tipa caruccia, ma che non mi ispira troppo sesso. Sarà l’omosessualità che avanza… chi lo sa?
Fatto sta che la premiata (?) accoppiata Justin + Amanda together forever tiene in piedi la baracca di una storia che si sfilaccia mano a mano che procede, ma che rimane comunque entro i limiti della guardabilità. Come se ci trovassimo di fronte a un film con Will Smith, però senza l’insopportabile presenza di Will Smith. Differenza non da poco.
Non che JT sia fenomenale in questo film, in The Social Network ad es. era molto più convincente, però è pur sempre moooooolto meglio di WS. Sia al cinema che in ambito hip-hop.
Yo, Willy, beccati questa.
"Affare fatto, Vincent: se tu torni a fare Mad Men, io torno insieme a Britney."
Dietro la macchina da presa siede un regista che un tempo faceva sperare grandi, grandissime cose. Andrew Niccol ha infatti esordito alla regia con quell’autentico gioiellino della fantascienza recente che è Gattaca, uno spettacolo per gli occhi come per il cuore, grazie alla toccante parabola di un uomo imperfetto in un mondo di essere geneticamente perfetti e programmati per eccellere, di cui questo In Time è solo un pallido riflesso.
Subito dopo, il buon Niccol firmava anche la sceneggiatura di The Truman Show, pellicola che nel 1998 affrontava credo prima di tutti gli altri la complessa tematica della reality tv, che avrebbe poi segnato, e purtroppo segna tutt’ora, i successivi Anni Zero.
Dopodiché Niccol aveva girato un’altra riflessione interessante sul rapporto reality-fiction con la diva creata al computer di S1mOne, film magari non del tutto riuscito ma comunque affascinante che aveva tra l’altro il merito di lanciare una giovanissima Evan Rachel Wood. Scusate tanto se è poco.
Quindi, Niccol sganciava un'altra bomba come Lord of War, pellicola notevolissima sul commercio d’armi in cui - udite udite - riusciva a far passare Nicolas Cage per un attore vero! Era il 2005 e quello sarebbe stato l’ultimo film decente con Cage protagonista [in Kick-Ass, per fortuna, è solo un comprimario di lusso (lusso?)].
Viene da chiedersi allora cosa sia successo tra quelle pellicole, in cui delineava un suo stile bello personale, e un filmetto d’intrattenimento, decente ma nemmeno dei migliori, come questo. La risposta sono sicuro ve la possiate immaginare anche perché è un po’ la tematica di In Time stesso: il denaro.
È un vero peccato che grandi talenti visivi passino da grandi film a robette commerciali del genere, parlo di Andrew Niccol ma anche di un altro regista che me lo ricorda come Alex Proyas, trasferitosi dagli ottimi e scurissimi Il Corvo e Dark City a - per parlarci chiaro - puttanatine come Io, Robot e Segnali dal futuro. Non a caso con i già menzionati Willy Smith e Nicky Cage.

"Sbrigati, che se la nostra fuga funziona ti posso cantare: Aaamanda è libera!"
Ci sono esempi di pellicole di fantascienza entertaining che riescono a fare il loro porco dovere alla grande, come un paio con gli eroi del mio antagonista Mr. Ford, ovvero Demolition Man con Stallone e Atto di forza con Schwarzy, ma questo In Time resta a un livello inferiore, diciamo più dalle parti de Il sesto giorno sempre con l’ex governatore della California. O anche de Il mondo dei replicanti, quello invece con Bruce Willis. Ecco, In Time pressappoco è su quei livelli lì. È un film che scivola e ogni tanto cade proprio nel ridicolo ed è un peccato, perché da Andrew Niccol mi aspettavo molto di più. E perché alla fine la pellicola lancia anche un bel messaggio anti-capitalista sulla redistribuzione della ricchezza che, soprattutto di questi tempi, avrebbe potuto condurre a ben altre e più alte riflessioni. Invece si è preferito puntare sul solito filmone, o meglio filmino, di puro intrattenimento di stampo action hollywoodiano blockbusteriano. In Time? Sì, magari l’avessero fatto negli anni Novanta. Adesso è arrivato un pochino fuori… time.
(voto 5,5/10)

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...

DISCLAIMER

Questo blog non rappresenta una testata giornalistica, pertanto non può considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001. L'autore, inoltre, non ha alcuna responsabilità per il contenuto dei commenti relativi ai post e si assume il diritto di eliminare o censurare quelli non rispondenti ai canoni del dialogo aperto e civile. Salvo diversa indicazione, le immagini e i prodotti multimediali pubblicati sono tratti direttamente dal Web. Nel caso in cui la pubblicazione di tali materiali dovesse ledere il diritto d'autore si prega di Contattarmi per la loro immediata rimozione all'indirizzo marcogoi82@gmail.com