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sabato 2 gennaio 2016

Star Wars: Il risveglio di Forza Italia





Star Wars: Il risveglio della Forza
(USA 2015)
Regia: J.J. Abrams
Sceneggiatura: J.J. Abrams, Lawrence Kasdan, Michael Arndt
Cast: Daisy Ridley, John Boyega, Adam Driver, Oscar Isaac, Harrison Ford, Mark Hamill, Carrie Fisher, Andy Serkis, Domhnall Gleeson, Max von Sydow, Lupita Nyong'o, Peter Mayhew, Anthony Daniels, Gwendoline Christie, Greg Grunberg, Ken Leung, Simon Pegg, Billie Lourd, Daniel Craig, Michael Giacchino, Nigel Godrich
Genere: stellare
Se ti piace guarda anche: gli altri Star Wars

venerdì 11 gennaio 2013

LA LOBBY DEGLI HOBBIT CHE HANNO UN HOBBY

Lo Hobbit - Un viaggio inaspettato
(USA, Nuova Zelanda 2012)
Titolo originale: The Hobbit: An Unexpected Journey
Regia: Peter Jackson
Cast: Martin Freeman, Ian McKellen, Richard Armitage, Ken Stott, Graham McTavish, William Kircher, James Nesbitt, Stephen Hunter, Aidan Turner, Elijah Wood, Ian Holm, Hugo Weaving, Andy Serkis, Christopher Lee, Cate Blanchett, Lee Pace, Benedict Cumberbatch
Genere: Signorino degli anelli
Se ti piace guarda anche: Il signore degli anelli, Game of Thrones

Peter Jackson ha un hobby. Ho detto un hobby, non un hobbit. Oddio, magari con tutti i soldi che si è fatto con il Signore degli anelli possiede pure un hobbit. Elijah Wood, ad esempio, cosa fa quando non gira la serie tv Wilfred? Dov’è? Secondo me, potrebbe benissimo essere il nano da giardino in casa Jackson. Chi lo sa?
Comunque, l’hobby di Peter Jackson è il fantasy. Fino a che ciò significa giocare a Dungeons & Dragons con la moglie e gli amichetti, cavoli suoi. Quando questa sua passione la riversa su grande schermo, però, sono anche cavoli nostri. Il più delle volte, cavoli piacevoli. La trilogia del Signore degli Anelli è stata una signora trilogia. Emozionante, fantasiosa, avventurosa. Un’esperienza piacevole anche per chi, come il sottoscritto, ha sempre gettato uno sguardo di traverso al mondo fantasy. Merito dei valori universali di amicizia, devozione e rispetto snocciolati dalla storia. Merito anche di una serie di personaggi carismatici, come Aragorn, o folli, grandiosamente folli come il Gollum, oppure simpatici e pasticcioni come i piccoli hobbit.
Al termine dell’immane quanto riuscita impresa di trasportare su grande schermo il tomo di Tolkien, Peter Jackson si era poi gettato su un’altra trasposizione letteraria, tirando fuori lo splendido Amabili resti, mio film dell’anno 2010. Una parentesi intimista, per quanto pure quella non priva di una componente fantasy, prima di ritornare nella terra di mezzo.

"Qualcuno spiega a quella Kristen Stewart che non siamo i 7 nani?"
"Ehm, qualcuno lo spiega anche a noi?"
In verità, il progetto de Lo Hobbit ha avuto una vita parecchio marcotravagliata. Già va considerato che è un libro che Tolkien ha scritto prima del Signore degli Anelli, che nasce quindi come sequel. Mentre questo adattamento cinematografico arriva dopo, in versione prequel. Ma questi sono dettagli che possono essere sistemati senza troppi problemi, a Hollywood.
Il progetto all’inizio era stato affidato alle mani messicane di Guillermo Del Toro. Regista che pure non è che mi entusiasmi completamente. Mi è piaciuto Il labirinto del fauno, ok, mentre i due Hellboy mi sono sembrati decenti ma niente di memorabile. Non sono un fan assoluto del Del Toro non Benicio, però ero curioso di assistere a ciò che avrebbe potuto tirare fuori dalla materia tolkieniana. Così, tanto per cambiare.
Per casini vari che adesso non conosco e che qualche recensore più professionale e qualificato e tolkieniano vi saprà spiegare meglio di me, il progetto Lo Hobbit è finito di nuovo tra le mani da hobbit di Peter Jackson.
Cosa che poi non ha sorpreso nessuno, visto che sapevamo sarebbe andata a finire così.
La cosa non mi dispiaceva nemmeno troppo, visti i buoni risultati ottenuti dalla trilogia anellare. Il problema è che quanto ne è uscito è un prodotto senza una sua identità specifica. Lo Hobbit sembra un altro episodio della saga in tutto e per tutto, senza presentare grosse novità, se non la velocità a 48 fotogrammi al secondo con cui alcune copie della pellicola sono state distribuite. Ma questi sono tecnicismi alla James Cameron e non devono ingannare. Per il resto, è un film del tutto adagiato nel passato. Se il livello fosse quello della Compagnia dell’anello, delle Due Torri o del Ritorno del re, mi starebbe anche bene. Il risultato invece mi è sembrato più come se stessi assistendo alle scene tagliate da questi episodi. A scene giustamente tagliate.

In questo Lo Hobbit, di momenti memorabili ce ne sono davvero pochi. Io ne ho contato uno: la scena del canto triste a casa di Bilbo prima della partenza per la grande (ma dove?) avventura. Per il resto, ci sono 3 ore 3 di scenette estenuanti, bambinesche, noiose, che mettono a dura prova la pazienza, e pure la sopravvivenza, dello spettatore meno avvezzo al fantasy.
Il grande pregio della trilogia del Signore degli anelli era quello di saper ammaliare e trasportare nella sua terra di mezzo anche i meno patiti del genere come me. Il grande difetto di questo è quello di non riuscire a farlo. Tra i motivi della scarsa riuscita de Lo Hobbit, sicuramente possiamo citare la scelta di trasformare il romanzo unico di Tolkien prima in due, poi addirittura in tre pellicole distinte. Giusto per capitalizzare al massimo gli incassi. E chissenefrega del risultato artistico.
Se Il signore degli anelli era stato pubblicato su tre volumi e quindi una trilogia cinematografica calzava a pennello, questo romanzo unico doveva diventare un film unico. Fine della storia.

"Il mondo finirà presto!"
"E fammi dare una toccata ai maroni, Galadriel, che porti più sfiga dei Maya!"
In attesa di giudicare anche i prossimi due capitoli (ma penso dovrò munirmi di molti caffè + red bull per reggerli da sveglio), il primo episodio Un viaggio inaspettato di inaspettato non ha proprio un bel nulla e appare come un capitolo introduttivo ricco di momenti riempitivo e poco altro.
La primissima parte ci riscaraventa in mezzo alla Terra di Mezzo e ci sta ancora. L’effetto nostalgia di ritrovare alcune vecchie conoscenze fa piacere. Compare persino Frodo/Elijah Wood! L’irruzione dei vari personaggi in casa Baggins è anche simpatica, strappa qualche sorriso e uno pensa: non è proprio come la prima trilogia, però magari da qui in poi la pellicola migliora…
Invece no. Quella è la parte migliore del film. Poi si peggiora. Quando l’avventura vera e propria comincia, comincia pure la noia. Manca giusto Barbalbero, e poi è una lunga, interminabile sequela di personaggi inverosimili e gag assurde. Persino il ritorno di altri volti familiari come l’inquietante Galadriel (Cate Blanchett), l’ancor più inquietante Saruman (Christopher Lee), o l’ancor ancor più inquietante Gollum (Andy Serkis) non sortisce l’effetto sperato.
Parentesi Gollum: per quanto la sua comparsata risulti ancora tra i momenti più interessanti della pellicola, appare qui come una parodia di se stesso. Sarà che la sua frase simbolo: “Il mio tesssoro” è stata sputtanata a forza di sentirla e riderci sopra, però ormai appare ridicolo piuttosto che no. Laddove nel Signore degli anelli appariva invece come il personaggio più ambiguo e sfaccettato dell’intera Opera.

"Pensieri Cannibali era il mio tesssoro di blog, adesso fa ssschifo!
Quassi quanto la connesssione Telecom in quessste terre..."
Vogliamo salvare qualcosa da tre infinite ore di fantasy puro?
E con fantasy intendo che ho passato tutto il tempo a fantasticare di vedere un altro film?
Per il momento non si è nemmeno ancora vista la tanto vociferata Evangeline Lilly, che probabilmente comparirà per tipo 5 minuti in uno dei prossimi due episodi, e allora salviamo il protagonista. Martin Freeman sembra nato per fare un hobbit, anzi per fare Lo Hobbit. Gli altri attori e gli altri personaggi invece non funzionano. Alcuni per altro sembrano truccati come Francesco Mandelli dei Soliti idioti, tanto che mi aspettavo un “Dai, cazzo, GianBilbo!” da un momento all’altro. L’Aragorn di Viggo Mortensen, il Sam di Sean Astin, i Pipino e Merry di Billy Boyd e Dominic Monaghan… quelli sì che erano personaggi.
Questi nuovi chi sono? Dove vogliono andare?
"Aragorn, ti batto quando vuoi!
...uff, ma perché non ci credo nemmeno io?"
Il Thorin interpretato da Richard Armitage, in particolare, vorrebbe davvero essere il nuovo Aragorn?
Ma per favore!

Lo Hobbit è una versione in tono minore del Signore degli anelli. Un signorino degli anelli, nonché un film sbattito zero. Persino il compositore Howard Shore non si è sforzato manco un minimo e ha riciclato i temi musicali già noti della precedente trilogia. Quanto a Peter Jackson, ha girato in maniera sicura e impeccabile, è pur sempre Peter Jackson, ma col pilota automatico inserito. Se dal Signore degli anelli emergevano chiaramente l’entusiasmo e il divertimento del regista neozelandese, qui sembra quasi che si sia annoiato lui stesso. Figuriamoci noi poveri spettatori.
Un consiglio: per passare meglio le 3 estenuanti ore di visione, è meglio se vi trovate un hobbit… volevo dire un hobby.
(voto 5,5/10)

Post pubblicato anche su L'OraBlù, con una nuova splendida locandina realizzata per l'occasione dal mio grafico di fiducia C(h)erotto.


mercoledì 30 giugno 2010

Sesso, handicap e rock'n'roll

Sex & Drugs & Rock & Roll
(UK, 2010)
Regia: Mat Whitecross
Cast: Andy Serkis, Naomie Harris, Olivia Williams, Ray Winstone, Mackenzie Crook, Toy Jones, Bill Milner

In un tempo lontano lontano (un paio di giorni fa) vi ho parlato del film sulle rockers anni ’70 Runaways e ora è tempo di aggiornarvi con un nuovo biopic musicale ambientato all’incirca in quel periodo, ma stavolta dedicato a Ian Dury, strambo personaggio famoso soprattutto in Gran Bretagna, autore con i suoi Blockheads di un paio di grandi hit come Hit me with your rhythm stick e soprattutto il pezzo che dà anche il titolo al film: Sex and drugs and rock and roll.
Oh yes.

Colpito da poliomielite in tenera età, Ian rimane storpio a vita, ma questo non gli impedisce di prendere la vita di petto, salire su un palco e diventare un grande intrattenitore. Perché di questo si tratta, lui stesso non si definisce un cantante (le sue doti canore non è che siano proprio eccelse, d’altra parte) però è un entertainer notevole e, soprattutto, un funambolo della parola, un giocoliere che si destreggia in rime e assonanze pazzesche. Il suo è uno stile very davvery british che influenzerà parecchia musica successiva (i Blur degli anni 90 o gli Arctic Monkeys, soprattutto per il modo di raccontare storie, ma anche The Streets e molti rapper made in England).
A vestire i panni di questo singolare personaggio (una sorta di folle incrocio tra Johnny Rotten e il Dr. House) c’è Andy “tessssoro” Serkis, nientepocodimenoche il Gollum nella trilogia de Il signore degli anelli.
La diversità viene però gestita da Dury in maniera ironica (vedi il pezzo “Spacticus Autisticus”); la tematica principale su cui il film si sofferma non è dunque questa quanto il controverso rapporto di Dury con il padre e con il figlio. Sullo sfondo ci sono anche le due donne della sua vita, interpretate peraltro da due ottime attrici: la glaciale Olivia Williams (vista nella serie tv Dollhouse) e l’afroamericana Naomie Harris.


Il regista Mat Whitecross adotta uno stile videoclip pop velocissimo alternato a momenti più lenti e riflessivi, eppure non convince al 100%. Anche perché alla fine si ha come la sensazione di aver “vissuto” un’esistenza molto interessante, ma è come mancasse un tassello per dare al racconto un valore superiore, così come i pezzi di Dury sono interessanti (e splendidi a livello di lyrics) ma musicalmente non eccelsi. Manca qualcosa, insomma. Come dice però lo stesso Ian Dury: “E la morale della storia è… non andate a cercare morali nelle storie. Se volete un messaggio, levatevi dalle palle e andate all’ufficio postale.”
(voto 7)

Considerata la non enorme popolarità del personaggio in Italia, non so se questo film arriverà da noi tanto presto. La versione in lingua originale per fortuna è QUI, con i sottotitoli italiani QUI.

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