Visualizzazione post con etichetta anna gunn. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta anna gunn. Mostra tutti i post

martedì 26 agosto 2014

EMMY BANALITY AWARDS 2014





È andato tutto come doveva andare, o meglio come ci si aspettava sarebbe andata. Agli Emmy Awards 2014 c'è stato il trionfo di Breaking Bad e dei suoi ultimi episodi. Un trionfo meritatissimo, però la serie, che io adoro, era già stata ampiamente premiata in passato e io avrei preferito una vittoria a sorpresa di True Detective, la novità dell'anno, che invece si è dovuta accontentare appena di un premio alla (strepitosa) regia. Con tutto il rispetto per il grandioso Bryan Cranston, quest'anno il premio di miglior attore doveva poi andare solo e soltanto a Matthew McConaughey.
Ma agli Emmy e alle cerimonie di premiazione in generale le sorprese non piacciono, quindi è stato tutto all'insegna della prevedibilità e della noia. In ambito comedy, i premi a Modern Family e Jim Parsons di Big Bang Theory che ormai si ripetono da anni hanno strastufato. Scandalosa poi la vittoria della good wife Julianna Margulies nella categoria di miglior attrice in una serie drammatica, quando la vera vincitrice morale è la multipla Tatiana Maslany di Orphan Black, nemmeno finita in nomination.
L'unica novità premiata in pratica è stata la “folle” Uzo Aduba di Orange Is the New Black e mi ha stupito anche il doppio premio alla bravissima Allison Janney per i suoi ruoli in Mom e Masters of Sex.
Per il resto sono contento per i premi a Julia Louis-Dreyfus, a Fargo tra le miniserie e a The Normal Heart tra i film tv, ma di certo le delusioni sono state maggiori delle soddisfazioni. E gli sbadigli sono stati superiori agli applausi.
Terminato il mio sermone, vi lascio in compagnia di tutti i (prevedibili) vincitori degli Emmy Awards 2014.

I premi

"Mi stai guardando la scollatura, Bryan?"
"Sgamato!"
Outstanding Drama Series
Winner: "Breaking Bad" (2008)

Outstanding Comedy Series
Winner: "Modern Family" (2009)

Outstanding Lead Actor in a Drama Series
Winner: Bryan Cranston for "Breaking Bad" (2008)

Outstanding Lead Actress in a Drama Series
Winner: Julianna Margulies for "The Good Wife" (2009)

Outstanding Writing for a Drama Series
Winner: "Breaking Bad" (2008) - Moira Walley-Beckett ("Ozymandias")

Outstanding Supporting Actress in a Drama Series
Winner: Anna Gunn for "Breaking Bad" (2008)

Outstanding Directing for a Drama Series
Winner: "True Detective" (2014) - Cary Fukunaga ("Who Goes There")

Outstanding Writing for a Variety Special
Winner: Sarah Silverman for Sarah Silverman: We Are Miracles (2013)

Outstanding Supporting Actor in a Drama Series
Winner: Aaron Paul for "Breaking Bad" (2008)

Outstanding Directing For A Variety Special
Winner: Glenn Weiss for The 67th Annual Tony Awards (2013)

Outstanding Variety, Music Or Comedy Series
Winner: "The Colbert Report" (2005)

Outstanding Television Movie
Winner: The Normal Heart (2014)

Outstanding Miniseries
Winner: "Fargo" (2014)

Outstanding Lead Actress in a Miniseries or Movie
Winner: Jessica Lange for "American Horror Story" (2011)

Outstanding Lead Actor in a Miniseries or Movie
Winner: Benedict Cumberbatch for "Sherlock: His Last Vow (#3.3)" (2014)

Outstanding Directing for a Miniseries, Movie or a Dramatic Special
Winner: "Fargo" (2014) - Colin Bucksey

Outstanding Supporting Actor in a Miniseries or Movie
Winner: Martin Freeman for "Sherlock: His Last Vow (#3.3)" (2014)

Outstanding Supporting Actress in a Miniseries or Movie
Winner: Kathy Bates for "American Horror Story" (2011)

Outstanding Writing for a Miniseries, Movie or a Dramatic Special
Winner: "Sherlock: His Last Vow (#3.3)" (2014) - Steven Moffat

Outstanding Reality Competition Program
Winner: "The Amazing Race" (2001)

Outstanding Lead Actress in a Comedy Series
Winner: Julia Louis-Dreyfus for "Veep" (2012)

Outstanding Lead Actor in a Comedy Series
Winner: Jim Parsons for "The Big Bang Theory" (2007)

Outstanding Directing for a Comedy Series
Winner: "Modern Family" (2009) - Gail Mancuso ("Vegas")

Outstanding Supporting Actress in a Comedy Series
Winner: Allison Janney for "Mom" (2013)

Outstanding Writing for a Comedy Series
Winner: "Louie" (2010) - Louis C.K.("So Did the Fat Lady")

Outstanding Supporting Actor in a Comedy Series
Winner: Ty Burrell for "Modern Family" (2009)

Outstanding Writing for a Variety Series
Winner: "The Colbert Report" (2005)

Outstanding Host for a Reality or Reality-Competition Program
Winner: Jane Lynch for "Hollywood Game Night" (2013)

Outstanding Directing for a Variety Series
Winner: "Saturday Night Live" (1975) - Don Roy King

Outstanding Guest Actress in a Comedy Series
Winner: Uzo Aduba for "Orange Is the New Black" (2013)

Outstanding Guest Actor in a Comedy Series
Winner: Jimmy Fallon for "Saturday Night Live" (1975)

Outstanding Guest Actress in a Drama Series
Winner: Allison Janney for "Masters of Sex" (2013)

Outstanding Guest Actor in a Drama Series
Winner: Joe Morton for "Scandal" (2012)

"Matthew, non hai vinto come miglior attore. Che ti è successo?"
"Mi sa che sono stato colto dalla Sindrome di DiCaprio, uahahah."


E ora, sbrigati gli awards, spazio alla parte più interessante della serata: il Red Porchet.

Il Red Porchet

Kerry Washington
Il diavolo veste Prada. E pure Kerry Washington.
Ma tanto addosso alla stilosissima protagonista di Scandal starebbe bene anche un sacco della monnezza.
(voto 7,5/10)

Zooey Deschanel
Questa sarebbe Zooey Deschanel??
Sempre meno indie girl e sempre più traditional girl. La stiamo perdendo.
(voto 6-/10)

Gwen Stefani
Tim Burton probabilmente apprezzerà il nuovo cadaverico look della cantante dei No Doubt. Io no.
(voto 5/10)

Hayden Panettiere
Il forno della Panettiere è stato riempito. E si vede.
(voto 6 politico)

Lizzy Caplan
Hai capito la master of sex, che stile.
(voto 7,5/10)

Julia Roberts
Più invecchia e più diventa bona.
Il MILF award quest'anno è tutto suo.
(voto 7,5/10)

Anna Gunn
Hai capito, la moglie di Walt White.
Subito dopo la Roberts per il MILF award c'è lei.
(voto 7+/10)

Allison Williams
La più affascinante tra le Girls ha scelto di indossare un abito antistupro, ma io le voglio bene lo stesso.
(voto 6+/10)

Lena Dunham
Grande!
Inguardabile, però va apprezzato il suo coraggio.
(voto 8/10)

Claire Danes
Se ieri Kim Kardashian per gli Mtv Video Music Awards aveva fregato dalla home(land) di Kanye West i tappeti del bagno, Claire Danes oggi mi sa che gli ha ciulato le tende.
Povero Kanye, tra un po' rimane senza niente.
(voto 5/10)

Heidi Klum
Finalmente ho trovato qualcuno che si fa più lampade di Carlo Conti!
(voto 6,5/10)

Taylor Schilling
Orange is the new black e tu ti presenti vestita in bianco, e per di più con decorazioni da centrotavola sopra?
In prigione le altre detenute sono pronte a farti la festa, cara Taylor.
(voto 6/10)

Lea DeLaria
Molto elegante l'attore di Orange is the New Black.
Ah, è un'attrice?
(voto 4/10)

Laverne Cox
Tutti a trans!
(voto 6,5/10)

Dascha Polanco
Respira, Dascha Polanco di Orange is the New Black.
Se il tuo abito te lo permette, respira.
(voto 5/10)

Aaron Paul
Il mistero della serata: che è successo alla fronte di Aaron Paul di Breaking Bad?
È diventata enorme.
Per il resto elegantissimo, ma quella fronte non si spiega.
(voto 7/10)

Kate Mara
Kate Mara di House of Cards mi fa sesso qualunque vestito indossi. O non indossi.
Per me sempre promossessissima.
(voto 8/10)

Best of the night
January Jones
Look mad & red per January, che sta alla grande pure in August.
(voto 8+/10)

Worst of the night
Sarah Paulson
Questo abito entra di diritto nella American Fashion Horror Story.
(voto 2/10)

In chiusura, il momento più toccante della serata: l'omaggio di Billy Crystal all'amico Robin Williams.

martedì 8 ottobre 2013

BREAKING END




Breaking Bad
(serie tv, stagione 5)

È finito. Breaking Bad è finito. E adesso?
E adesso si attende la nuova ossessione telefilmica. Tutti a dire: “Non ci sarà mai un’altra serie come Breaking Bad” e forse è così. La stessa cosa però la si diceva anche il 23 maggio 2010, subito dopo la conclusione di Lost. Tutti lost senza Lost, eppure Breaking Bad c’era e c’era anche già da un po’. Breaking Bad ha cominciato le sue trasmissioni il 20 gennaio 2008, ma c’ha messo un po’ a carburare come serie. C’ha messo ancora di più a trasformarsi in un cult assoluto. Breaking Bad era ed è comunque rimasta fino alla fine una serie cult, non certo di massa, nonostante negli ultimi tempi il numero di suoi adepti sia aumentato in maniera esponenziale.

Ma perché Breaking Bad è diventato così cult? Qual è il suo segreto?
Avevo già provato a spiegarlo qua, e pure un pochino qua, ma c’è sempre qualcosa che sfugge. Il fascino di Breaking Bad è tutta una questione di chimica. Di chimica e di cura nei dettagli. Si dice che ci sono due cose che stanno nei dettagli: il diavolo e la grandezza. Da adesso facciamo che sono tre e aggiungiamoci pure Breaking Bad. La diabolica grandezza di Breaking Bad sta nei dettagli.
La storia del tranquillo professore di chimica che si trasforma in un produttore o meglio "cuoco" e poi pure in un boss del traffico di metanfetamine è indubbiamente affascinante. Uno spunto notevolissimo. Il bello della serie, il vero good dentro Breaking Bad, è però il modo in cui è stato preparato. Di storie intriganti ce ne stanno tante, così come in giro di droghe se ne trovano a bizzeffe. Almeno in certi quartieracci. La differenza sta nella qualità. La roba blu preparata da Walt White è pura, purissima, superiore al resto delle metanfetamine cucinate col buco del culo, per questo è così preziosa. Lo stesso vale per Breaking Bad. Breaking Bad è cucinata alla grande dal suo creatore Heisenberg Vince Gilligan e dai suoi fedeli aiutanti.
Ciò che fa andare Breaking Bad oltre le altre serie, oltre a quanto visto finora su piccolo schermo, è proprio questa attenzione maniacale ai più piccoli dettagli. La presenza del Pink Teddy Bear in alcuni episodi, ad esempio.


O il telefonino di Hello Kitty dato dal mitico avvocato Saul Goodman a Jesse Pinkman.


O ancora il fatto che quando Walt White va in esilio nella casa in mezzo al nulla, tra i film in DVD sono presenti due copie due di Mr. Magorium e la bottega delle meraviglie.


Lo so che possono sembrare delle piccole cose, delle stronzatine, e forse lo sono, ma ciò non di meno sono delle chicche che hanno contribuito a rendere questa serie qualcosa di strepitoso e unico. I dettagli. Mai sottovalutare i dettagli.
E ora veniamo alla puntata finale...

SERIES FINALE
Titolo episodio: "Felina"
(articolo pubblicato anche sul sito Oggi al cinema)
***ATTENZIONE SPOILER: SE NON AVETE VISTO L’ULTIMISSIMO EPISODIO DELLA SERIE, LEGGETE SOLTANTO A VOSTRO RISCHIO E PERICOLO***

Il finale di Breaking Bad è stato perfetto. A voler mettersi a fare i pignoli si può cercare di trovare qualche difetto, ma vi assicuro che è una perdita di tempo, una missione impossibile. Non è stato un perfetto di quelli precisini in cui tutto va come ci si aspettava. E' stato un perfetto emozionante, senza però essere un emozionante ruffiano o facilmente sentimentale. La conclusione di Breaking Bad è stata tutto ciò che quella di Dexter invece non è stata. Girata, scritta e interpretata in maniera magistrale, si è rivelata una chiusura in linea, del tutto coerente con quanto BB e il suo protagonista Walter White (un sempre più immenso Bryan Cranston) sono sempre stati. L’episodio finale ha rivelato sorprese, ma il creatore Vince Gilligan, che si è occupato in prima persona della sceneggiatura e della regia del series finale, non ha puntato sul colpone di scena finale assurdo e forzato, giusto per provare a shockare il pubblico. Ha realizzato una chiusura magnifica e per certi versi rivoluzionaria.
La confessione di Walter White alla moglie Skyler è qualcosa che non si sente tutti i giorni in film o serie tv, soprattutto americane: “L'ho fatto per me. Mi piaceva. Ed ero bravo. Ed ero davvero... Ero vivo.” Basta con la storia che ha fatto tutto per il bene della famiglia. Dopo aver scoperto di avere il cancro, White s’è messo a cucinare e a smerciare metanfetamine non solo e non tanto per mettere dei soldi da parte per i suoi cari. Forse quella era l’idea iniziale, lo spunto di partenza, poi le cose sono cambiate. L’ha fatto per se stesso, per puro egoismo. Stop con gli eroismi, con i sacrifici per gli altri. Walt White ha cercato di sistemare a livello economico i famigliari, nell’ultima puntata prova ancora a farlo, però il suo fine ultimo è stato il piacere personale. Non l’amore, non la famiglia, ma realizzare ciò in cui è più bravo, poco importa che ciò in cui il protagonista della serie è un fenomeno è l’essere un boss del narcotraffico. Sotto questo punto di vista, quello di Breaking Bad in fin dei conti è un happy ending, perché White muore felice. Ha avuto quello che chiunque può solo sognare: l’autorealizzazione, la consapevolezza di aver compiuto qualcosa di grande. Per farlo, ha dovuto distruggere la vita dei suoi famigliari, si è macchiato del sangue di varie persone ed è stato responsabile anche per la morte del cognato e amico Hank, avvenuta nella splendida, tesissima puntata "Ozymandias". Eppure, alla fine a ucciderlo non è stato il dannato cancro. È morto alle sue condizioni e l’ha fatto in compagnia della cosa a cui teneva di più, la metanfetamina blu, la sua amata “Baby Blue” per dirla insieme alla canzone dei Badfinger che accompagna l’ultima scena, o il suo “tesssoro”, per dirla come il Gollum del Signore degli anelli, citato dallo stesso creatore della serie Vince Gilligan in un’intervista a Entertainment Weekly.



Walt White, uno dei personaggi più originali, pazzeschi e controversi nella storia del piccolo schermo, se n’è quindi andato in maniera tutt’altro che convenzionale. Prima di morire ha comunque avuto modo di salvare Jesse Pinkman, lo sfortunatissimo Jesse Pinkman che durante le cinque stagioni ne ha subite di tutti i colori, il ragazzo con cui ha diviso quest’avventura incredibile, il suo discepolo che è riuscito a realizzare un prodotto purissimo e che quindi può considerare come il suo vero erede. Nonostante questo slancio di altruismo, Walt White muore odiato da tutti, anche dal figlio che non riesce a salutare e con cui ha avuto una terribile ultima conversazione telefonica, nell'unica scena madre di un personaggio che altrimenti nel corso della serie ha avuto un solo compito, questo...


Nonostante questo, nonostante tutto, Walt White muore felice. La sua vita ha avuto un senso. Non c’è spazio per i rimpianti. Avrà fatto del male a tante persone, allontanato tutti quelli che lo amavano, ma la sua è stata quella definibile come un’esistenza che è valsa la pena vivere. Quanti possono dire altrettanto?
(voto alla quinta stagione 9,5/10
 voto al series finale 10/10
 voto alla serie 10/10)




R.I.P. Walter White


domenica 23 ottobre 2011

Redstate sta finendo

Red State
(USA 2011)
Regia: Kevin Smith
Cast: Michael Angarano, Kyle Gallner, Nicholas Braun, John Goodman, Michael Parks, Melissa Leo, Kerry Bishé, Alexa Nikolas, Kaylee DeFer, Anna Gunn, Stephen Root, Kevin Alejandro, Kevin Pollack, Patrick Fischler
Genere: fritto misto
Se ti piace guarda anche: La casa dei 1000 corpi, Machete, South Park, Breaking Bad

Mi sono chiesto come mai non fossi un fan di Kevin Smith un sacco di volte. Okay, forse non un sacco di volte, ma solo una volta: questa volta. Comunque la cosa è piuttosto strana, visto che sembrerebbe avere tutte le carte in regola per piacermi: è un regista di culto uscito dalla scena indipendente, ha un umorismo politically scorrect che prende spesso di mira soprattutto la religione, i dialoghi dei suoi film sono infarciti di un sacco di riferimenti geek e in generale alla pop-culture. Eppure non mi ha mai convinto. Perché, perché?
Questo suo ultimo film, il cui pregio maggiore (e unico?) è proprio quello di NON sembrare un film di Kevin Smith, nonostante le differenze con il suo cinema precedente mi ha aiutato a capirlo. Forse.

Dall’esordio con Clerks ho sempre pensato che allo Smith fosse andata di culo. Con quel film ha infatti avuto un’idea davvero azzeccata: quella di girarlo in bianco e nero. Fosse uscito a colori, sono convinto sarebbe passato del tutto inosservato. Così invece con quel suo piglio finto amatoriale (ma nemmeno tanto finto) e con quel b/n finto intellettualoide assumeva i contorni del film finto artistico. Dopo quell’esordio fortunato (nel senso appunto che gli è andata di culo), Mr. Smith ha abbandonato la scena indipendente per darsi alle major.
Roba da gridargli: sei un venduto!
Peccato che tutti i suoi film pseudo commerciali si siano rivelati un flop dietro l’altro, nonostante la presenza di attori solitamente abituati a fare buone cose ai botteghini come i vari Matt Damon, Ben Affleck, Bruce Willis, Seth Rogen.
E così Smith si è buttato a fare una serie di commedie di medio livello, qualcuna guardabile, qualcuna quasi divertente, qualcuna pessima come Poliziotti fuori e quell’orrore di Jersey Girl, film che ha rischiato di stroncare la carriera di Ben Affleck, il quale però lì ha avuto l’illuminazione: se il mio amico Smith fa il regista, perché non posso farlo pure io? E lì Affleck ha trovato la sua vera strada, a differenza dell’amico Smith…

Dopo la lunga parentesi major, adesso Kevin Smith è finalmente tornato ora a fare un film indie. Cosa che, almeno da un punto di vista visivo, segna un punto a favore del regista, che però si ispira qui per stile in maniera un po’ troppo sospetta alla serie tv Breaking Bad, tra riprese a mano e lunghe scene lente che poi all’improvviso si accendono in lampi di violenza. Peccato non abbia nemmeno da lontano la stessa forza della serie, cui di certo Smith avrà dato un’occhiata molto attenta, considerando anche la presenza in una piccola parte di Anna Gunn, la protagonista femminile appunto di Breaking Bad.
Red State segna quindi una svolta totale, molto ambiziosa, per il cinema dello Smith. Pur tornando a riprendere in mano la spinosa tematica della parodia religiosa come in Dogma, questa è infatti la sua prima non-commedia, ma se si sa quale tipo di film non-sia, non si capisce invece bene che genere di film sia. La partenza è da teen horror puro, con tre liceali che in cerca di una scopata assicurata si affidano a Internet, alla versione porno di Facebook, dove beccano una MILF promettente. Arrivati alla roulotte della tipa, si trovano davanti una Melissa Leo che non è tutta ‘sta bomba sexy però si accontentano, peccato che la storia finirà per loro molto male…
Il film qui svolta, con una lunga e verbosa scena dedicata al sermone di un tizio di una setta che annoia come un qualunque altro sermone di una qualunque altra parrocchia. La parodia delle sette religiose è ammirevole, ma finisce per essere troppo esagerata e assurda per andare a colpire veramente il bersaglio e per attaccare realmente il bigottismo americano. Inoltre la tematica ricorda molto quella della seconda stagione di True Blood (la presenza di Kevin Alejandro, il boyfriend di Lafayette, conferma che Smith è probabilmente pure un True Blood-addicted), con la differenza che se lì la setta se la prendeva con i vampiri, qui il bersaglio sono gli omosessuali. E, non so bene perché, mi è venuta in mente anche una delle primissime puntate dei Griffin dedicata all’uomo in bianco, il capo di una setta altrettano fuori di testa.


Dopo abbiamo un’altra svolta nel film: entra in scena John Goodman, che porta con sé un tocco un po’ Coeniano, alla Fargo in questo caso, e un po’ alla Damages, serie da lui interpretata di recente. Quindi è la (s)volta di dare una spruzzata di splatter al tutto, visto che le intenzioni iniziali erano pur sempre quelle di fare un horror, e quindi ci mette dentro un bel massacro in stile film di Rob Zombie.
Il problema è che la pellicola è girata tutta con un tono profondamente ironico, eppure non si ride quasi mai. Ma pur non divertendo, questo tocco grottesco è comunque ben presente e impedisce di avere una visione davvero tesa o angosciante. Il risultato finale assomiglia così a una puntata di South Park (omaggiato ad esempio nella scena in cui lo sceriffo idiota uccide uno dei ragazzi in ostaggio), peccato non faccia (quasi) mai ridere e non possieda nemmeno lontanamente lo stesso livello di genialità.

Ci troviamo insomma di fronte a un gran calderone molto confuso in cui Kevin Smith sbatte dentro tutti i suoi pensieri sull’America contemporanea, fondendoci dentro anche le sue visioni, cinematografiche e soprattutto televisive, ma quello che ne esce è un fritto misto in cui c’è di tutto e di più, tranne una vera personalità. E se vanno apprezzate le buone intenzioni di criticare aspramente gli IuEsEi of America, allo stesso tempo Smith non ci dice fondamentalmente niente di nuovo.
La White America conservatrice è bigotta? Non sopporta i gay? Ama le armi e la violenza? Dopo l’11 settembre si sente in diritto di fare di tutto con la scusa della guerra al terrorismo?
Nooo, ma cosa mi dici mai, Kevin? Se non c'eri tu, non lo sapevamo proprio!
L’unico momento davvero riuscito è allora l’ultimissima scena, che mi ha strappato la prima (e unica) fragorosa risata della visione.
Red State si rivelerà allora un primo passo verso una nuova fase nella carriera del regista oppure, come lui stesso ha dichiarato, farà ancora un film (o forse un doppio film) sull’hockey e poi si ritirerà? Di certo non perderò il sonno la notte in attesa di una risposta, come forse invece faranno i fan dell’autore, una cerchia di seguaci, agguerriti e fedeli (quasi) quanto quelli della setta religiosa qui presa di mira.

Se la critica di Kevin Smith si perde dentro la sua stessa confusione mentale, a salvare (parzialmente) il film è un valido cast in cui spiccano un’inquieta e inquietante Melissa Leo, la bionda rivelazione Kerry Bishé, i due teen Michael Angarano e Kyle Gallner, un John Goodman ultimamente in gran spolvero e soprattutto un ottimo Michael Parks, attore ritirato fuori dal cassetto dal solito Tarantino in Kill Bill Vol. 2…
Ma hey, ecco qui la folgorazione! Ho capito perché non sono un fan di Kevin Smith. Quella del “copiare” è un’arte molto complicata e per maneggiarla bisogna fare molta attenzione: un’arte in cui Quentin con tutte le sue citazioni e omaggi è un Maestro assoluto, perché riesce a fonderle all’interno di un prodotto del tutto nuovo e personale; al limite opposto troviamo invece Zucchero, uno che più che citare saccheggia a man bassa e ultimamente tra l’altro lo fa dai Coldplay (gruppo che già nel “prendere in prestito” le idee da altri ci va giù pesante). Kevin Smith, purtroppo per lui, non riesce a raggiungere i livelli di Quentin. Neanche lontanamente, in questo che è un po’ il suo film Grindhouse non richiesto, visto che Tarantino e Rodriguez non l’hanno invitato a giocare insieme a loro. Per fortuna però non sprofonda nemmeno nella “zuccherata” totale. Almeno di questo rendiamogli atto.
E alla fine fa quasi tenerezza, lo Smith, perché con questo film ricorda un po’ il Kluivert quando era arrivato al Milan: gioca in attacco, ci prova, peccato non c’entri mai nemmeno una volta, manco per sbaglio, lo specchio della porta.
(voto 5/10)

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...

DISCLAIMER

Questo blog non rappresenta una testata giornalistica, pertanto non può considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001. L'autore, inoltre, non ha alcuna responsabilità per il contenuto dei commenti relativi ai post e si assume il diritto di eliminare o censurare quelli non rispondenti ai canoni del dialogo aperto e civile. Salvo diversa indicazione, le immagini e i prodotti multimediali pubblicati sono tratti direttamente dal Web. Nel caso in cui la pubblicazione di tali materiali dovesse ledere il diritto d'autore si prega di Contattarmi per la loro immediata rimozione all'indirizzo marcogoi82@gmail.com