Non solo tormentoni, quelli li abbiamo ahinoi già sentiti qualche giorno fa nella guida di Pensieri Cannibali. D'estate c'è spazio anche per della musica “normale”. Ebbene sì. Della musica riuscita e altra un po' meno. Vediamo allora quali sono i Top e quali i Flop mensili, secondo il parere soggettivo dell'autore di questo blog naturalmente, e poi c'è tempo e spazio pure per qualche rubrichetta, questo mese più divertente e pure più toccante del solito.
Top del mese
Lana Del Rey per la prima volta in vita sua sorride.
O forse è stata colpita da una paralisi facciale, chi può dirlo?
È arrivata l'ora per un cambiamento. La rubrica musicale di Pensieri Cannibali quest'anno si rinnova, si svecchia, diventa più (si spera) interessante ed elettrizzante e diventa anche più... competitiva.
Visto che ad esempio in tv la musica funziona più che altro quando c'è qualche gara di mezzo, dai reality stile X Factor fino al sempiterno Festival di Sanremo, vediamo di adottare un modello simile anche qui su questo blog.
Da questo mese le novità discografiche, sia a livello di album che di singole canzoni, saranno divise tra Top e Flop.
Tanto per esagerare, ci sarà anche qualche altra novità, come lo spazio dedicato alla musica presente in film e serie tv, più una rubrica all'interno della rubrica con il pezzo vintage del mese.
E allora cominciamo con i Top e poi i Flop musicali di questo ricchissimo gennaio, naturalmente secondo il personale giudizio di Pensieri Cannibali.
Attenzione, gente, perchè questa settimana arrivano una manciata di film ad alto potenziale.
Quali?
Scopritelo nella consueta rubrica sulle uscite settimanali realizzata da Pensieri Cannibali, il sito di cinema più divertente d'Italia e forse del mondo, con la collaborazione di WhiteRussian, il sito di cinema curato da Mr. James Ford, l'uomo che ambisce al titolo di blogger con più figli d'Italia e forse del mondo.
E tranquilli che, per bilanciare i film ad alto potenziale, ne sono in arrivo anche un sacco a basso potenziale. Bassissimo potenziale.
Suburra
(da mercoledì 14 ottobre)
"Ma che le è successo?"
"Normale routine: è finita in coma guardando un film che WhiteRussian ha definito entusiasmante."
La classifica dei video dell'anno di Pensieri Cannibali è divisa in due categorie. Un po' come agli Emmy Awards e ai Golden Globes. Solo che in questo caso la suddivisione non è tra comedy e drama, bensì tra video musicali e non.
Iniziamo con questi ultimi. Tra i miliardi di video caricati su YouTube e altri servizi di video streaming, ecco la Top 5 dei più divertenti, originali o semplicemente quelli che mi sono piaciuti di più tra quelli che ho visto.
Curiosi di sapere chi si sarà aggiudicato un posto nelle primissime posizioni della classifica delle 100 canzoni preferite di tutti i tempi, tutti i luoghi e tutti i laghi di Pensieri Cannibali?
Nooo?
Non ve ne frega niente?
La Top 100 prosegue comunque. Ormai l'ho iniziata a quindi va avanti. Prima di sentire la decina dalla 40 alla 31esima, qui c'è il recap delle posizioni viste finora:
Ricordo l'unica regola di questa classifica: lo stesso artista/gruppo non può essere presente con più di un unico brano. Cosa che significa 100 canzoni per 100 artisti/band differenti.
"Non c'è niente di meglio di un bagno caldo accompagnato da una playlist di Pensieri Cannibali.
Persino meglio di andare a battere in strada!"
Questa settimana è finalmente approdato anche nei cinema italiani Lei.
Chi è Lei?
È la nuova pellicola di Spike Jonze.
Chi è Spike Jonze?
E va beh, ma allora non sapete proprio un cacchio di niente!
Spike Jonze è Lui. È il geniale autore di alcuni dei videoclip più incredibili nella storia di Mtv, oltre che l’autore di una manciata di ottimi film. Per celebrare l’uscita del suo ultimo pargolo, visto che la recensione l’avevo già pubblicata in vista degli Oscar 2014 in cui Lei, o meglio lui Spike Jonze, si è portato a casa la statuetta per la miglior sceneggiatura originale, ecco a voi una Top 10 che ripercorre la carriera del regista, attraverso alcuni dei suoi lavori più memorabili.
10. Arcade Fire “The Suburbs”
La vita nei sobborghi raccontata dagli Arcade Fire è vista da Spike Jonze come una piccola guerra civile. Nemmeno così piccola.
Nel paese delle creature selvagge è forse il film più incompiuto, più abbozzato di Spike Jonze. Nonostante questo, resta pur sempre un gioiellino prezioso. Una pellicola infantile ma non bambineska. Una storia semplicissima e allo stesso tempo di enorme profondità.
8. Beastie Boys “Sabotage”
Per accompagnare il devastante pezzo dei Beastie Boys, Spike Jonze gira i (finti) titoli di testa più fighi nella storia delle serie televisive anni ’70.
7. Il ladro di orchidee
Charlie Kaufman scatenato in fase di sceneggiatura ha messo dentro quest’opera tutto se stesso. Il ladro di orchidee è forse più un film suo che non di Spike Jonze ma, quale sia la percentuale di merito divisa tra i due, non cambia il fatto che questo è un film davvero notevole. Unica pecca: il protagonista Nicolas Cage, presente addirittura in un ruolo doppio, per quanto sia qua a una delle sue migliori interpretazioni, resta pur sempre Nicolas Cage.
"Vorrei scrivere una lettera di protesta a Pensieri Cannibali,
però come diavolo si fa a usare questa macchina infernale?"
6. Bjork “It’s Oh So Quiet”
Come avrete forse intuito da alcune mie recensioni, come questa o questa, non amo particolarmente i musical, soprattutto quelli tradizionali. Ma questo video di Bjork riesce a condensare in 4 minuti tutte le potenzialità del genere. E un certo Lars von Trier per il suo Dancer in the Dark ne avrebbe poi preso non poca ispirazione, pur rileggendo il tutto con il suo solito pessimismo cosmico…
)
5. Essere John Malkovich
Dopo tanti meravigliosi videoclip, Spike Jonze fa l’inevitabile salto nel grande schermo, con un’opera prima che contiene al suo interno talmente tante idee pazzesche, che questo è anche il suo limite principale. Troppa carne al fuoco per una pellicola sola, ma ad avercene di film tanto originali.
4. Weezer “Buddy Holly”
I Weezer suonano da Arnold’s, il locale di Happy Days. Tutto è così finto da sembrare vero.
Capolavoro assoluto del post-moderno, in cui presente e passato, e passato nel passato, si mescolano in una clip sola, finendo per risultare qualcosa di troppo avanti persino per il mondo di oggi.
Una poesia lunga 30 minuti. Un mediometraggio meraviglioso che racconta l’amore tra due robot. Un antipasto per la nascita di Lei, ma che antipasto, signori e signore, robot e robottesse.
2. Daft Punk “Da Funk”
Uno dei miei video musicali preferito di tutti i tempi.
Il suo unico difetto è che dura solo 5 minuti, quando io avrei voluto un intero lungometraggio tutto dedicato a Charles, il mitico cane antropomorfo.
Tutta la genialità che Spike Jonze ha espresso tra videoclip, cortometraggi, mediometraggi e qua e là all’interno dei suoi lungometraggi, trova finalmente la più piena espressione in un film, in un capolavoro dei nostri giorni, nella storia d’amore più bella che oggi si possa raccontare. Se Dio ha originato Eva da una costola di Adamo, Spike Jonze ha originato Lei dalle costole di tutte le sue idee precedenti, dando vita alla sua creatura più meravigliosa.
"Agli Oscar non mi avete invitato, ma il selfie me lo faccio lo stesso!"
Secondo qualcuno sì, secondo me... no, altrimenti sarei proprio scemo a farne così tante.
Ma visto che non ne ho fatte già abbastanza, come i Telemici, i Teleratti e i Cannibal Music Awards, eccone un'altra, questa volta dedicata ai migliori video dell'anno e sdoppiata in due charts. La prima è una Top 10 dedicata ai miei 10 videoclip musicali preferiti del 2013, l'altra è una Top 5 dedicata ad altri filmati brevi/cortometraggi che sono stati apprezzati particolarmente quest'anno qui su Pensieri Cannibali.
Top 10 video musicali 2013
10. Killers "Just Another Girl"
I Killers sono una presenza fissa delle mie classifiche. Ormai più che per la musica, ancora valida ma non esaltante come un tempo, per i loro video. E così, dopo la loro presenza nella classifica del 2012 grazie a una clip diretta da Tim Burton, ecco che timbrano la loro presenza pure quest'anno grazie all'interpretazione di una straordinaria girl, la (ormai ex) star di Glee Dianna Agron, in questo video più Brandon Flowers dello stesso Brandon Flowers.
Tra(n)sformista.
9. Passion Pit "Carried Away (Tiësto Remix)"
Gli effetti speciali più spettacolari visti quest'anno. Cinema compreso.
Effettato.
8. Fiona Apple "Hot Knife"
La cantante Fiona Apple e il regista Paul Thomas Anderson qualche anno fa stavano insieme, poi si sono mollati. Adesso sono tornati insieme, anche se soltanto a livello lavorativo. E per l'occasione l'autore di Magnolia e The Master ci ha regalato una magistrale lezione su come si trasforma una canzone in immagini.
Bomba.
7. Tame Impala "Mind Mischief"
Lo studente e la prof.
Lo spunto per una commedia erotica italiana anni '70?
No, per un video psichedelico degli australiani Tame Impala comunque anch'esso molto erotico (ma non italiano) anni '70.
Intrippante.
6. Jon Hopkins "Collider"
Cosa succede se si confonde il giorno con la notte, se si rivive alla luce del sole quanto capitato in una serata parecchio movimentata?
Ce lo spiega il folle video per il pezzo "Collider" dell'artista elettronico Jon Hopkins.
Allucinato.
5. Indochine "College Boy"
La canzone è degli Indochine, storico gruppo rock francese. Praticamente noi c'abbiamo Vasco e loro c'hanno gli Indochine...
Perché continuo a vivere in Italia?
Per la loro "College Boy", il giovane regista canadese Xavier Dolan, quello di Les Amours Imaginaires e Laurence Anyways, ha girato un video sul tema del bullismo.
Potentissimo.
(grazie a Rumple del blog OverExposed per avermi segnalato questo gioiellino)
4. Lana Del Rey "Tropico"
Triplo video, tripla Lana, tripla goduria.
Esagerato.
3. Gesaffelstein "Hate or Glory"
Il gangsta movie dell'anno. Ed è "solo" un videoclip, con regia firmata dal promettentissimo duo di francesi Fleur & Manu.
Epico.
2. Justin Timberlake "Mirrors"
Una canzone ggiovane per un video diretto da Floria Sigismondi che ci racconta la storia d'amore di due vvecchini.
Poesia pura.
1. Arcade Fire "Afterlife"
Video girato dal vivo da Spike Jonze durante gli YouTube Awards 2013 e interpretato da un'incredibile Greta Gerwig. Dopo di questo, i video live non saranno mai più gli stessi.
Pazzesco.
Menzione d'onore
Menzione speciale per il video interattivo della celebre, così pare, "Like a Rolling Stone" di Bob Dylan, con cui potete divertirvi a interagire sul SITO UFFICIALE.
E ora una top 5 di cortometraggi e video virali parecchio apprezzati nel corso degli ultimi 12 mesi sempre qui su Pensieri Cannibali.
Top 5 corti 2013
5. How Animals Eat Their Food
Un video virale tanto stupido quanto geniale.
Animalesco.
4. It's not porn...
Un video dedicato a un noto network televisivo americano. Scoprite quale...
Veritiero.
3. James Franco & Seth Rogen "Bound 3"
La spassosa parodia del video "Bound2" di Kanye West con Kim Kardashian.
Meglio dell'originale. Molto meglio.
2. The Auteurs of Christmas
Il video più geniale di queste feste. Una chicca da non perdere per tutti i cinefili.
D'autore.
1. Paperman
C'è poco da fare, la Disney quando ci si mette sa ancora come colpire al cuoricino. Persino degli insensibili come me.
Da Oscar.
Ci siamo! Dopo aver ascoltato gli album dalla posizione 40 alla 31, quelli dalla 30 alla 21 e pure quelli dalla 20 alla 11, oggi è finalmente l'ora della top 10. I 10 dischi più lovvati nel corso del 2013 da Pensieri Cannibali.
Ma prima un breve palmarès dei migliori dischi cannibali degli anni passati, ovvero...
"Back to Black" di Amy Winehouse nel 2007
"Vampire Weekend" dei Vampire Weekend nel 2008
"Primary Colours" dei The Horrors nel 2009
"My Beautiful Dark Twisted Fantasy" di Kanye West nel 2010
"Conatus" di Zola Jesus nel 2011
"The Idler Wheel" di Fiona Apple nel 2012
Genere: evergreen Pezzo top: "The Stars (Are Out Tonight)" Da ascoltare: perché non tutti i "vecchi" sono da rottamare.
Ma, Bowie a parte, non ne restano poi così tanti da salvare LOL XD
Genere: puttanpop Pezzi top: "You (Ha Ha Ha)", "What I Like" Da ascoltare: per sentire oggi quale sarà il suono in radio e nei locali tra un paio d'anni.
Genere: alternative pop Pezzi top: "Nobody Asked Me (If I Was Okay)", "You're Not The One" Da ascoltare: perché oggi come oggi è la più grande popstar del mondo, se solo il mondo fosse pronto per lei.
3. King Krule "6 Feet Beneath the Moon"
Genere: spoken-jazz, new-blues, slow-punk... chiaro quale sia il suo genere, no? Pezzo top: "Easy Easy" Da ascoltare: perché la sua musica sfugge a qualsiasi genere o definizione ed è qualcosa di personale e nuovo. E perché è lui la vera grande sorpresa musicale di questo 2013, insieme a Rodriguez, che però i suoi dischi li ha incisi negli anni '70 e quindi è un fuoriclasse fuoriclassifica.
Dicono di lui su
tetter
Burger King@forzapanino
Al prossimo che si accatta il disco di #KingKrule in regalo un menù Burger Diet da 5000 calorie omaggio. Succede solo da #BurgerKing
Pitchforkoni: fotomontaggio geniale realizzato dal sito PopTopoi.
Genere: post-rap Pezzi top: "Black Skinhead", "I Am a God", "New Slaves" Da ascoltare: perché Yeezus è il nuovo Vangelo o, più modestamente, il nuovo hip-hop.
Il suo 2013: ha interpretato e co-sceneggiato insieme al regista Noah Baumbach lo splendido indie movie Frances Ha ed è stata la straordinaria protagonista del video live di "Afterlife" degli Arcade Fire diretto da Spike Jonze.
Se ti piace lei, ti potrebbero piacere anche: Chloe Sevigny, Amy Adams, Allison Mack, Evan Rachel Wood, Kate Winslet, Lena Dunham
È in classifica: ha un irresistibile fascino impacciato e molto alternative.
Il suo discorso di ringraziamento: "Invece di un discorso di ringraziamento che non sono capace di fare, vi regalerò un balletto dei miei. Dite che non sono capace a fare manco quelli, eh?"
Dicono di lei su tetter Noah Baumbach@noahsebastianbach
Ma usate ancora Twitter, sfigati? Il futuro sono #Instagram e soprattutto #Tetter.
Adam Driver@adamoguidatore
@gretagerwig, sarai anche finita tra le cotte adolescenziali, ma resti sempre troppo #undateable!
Cast: Greta Gerwig, Mickey Sumner, Michael Zegen, Adam Driver, Grace Gummer, Michael Esper, Justine Lupe, Patrick Heusinger
Genere: indie
Se ti piace guarda anche: Girls, Damsels in Distress, Manhattan, Io e Annie Uscita italiana prevista: aprile 2014 (forse)
Mi sono innamorato.
Di chi?
Mi sono innamorato di Frances Ha.
Ci sono le recensioni razionali, e poi ci sono quelle che iniziano come sopra e capite già che non lo saranno. Per niente. Tutti i film ovviamente possono essere visti in maniera più o meno soggettiva, ma questo è un caso a parte. Se alla fine della visione di Frances Ha senti le farfalle allo stomaco e vorresti che la pellicola non fosse finita, che non finisse mai e vorresti solo continuare a vedere per sempre cosa la protagonista Frances combinerà, vuol dire che il film ha funzionato. Vuol dire che ti sei innamorato.
Frances Ha è un film sull’amore, ma non è una commedia romantica. Non è una storia d’amore tradizionale. Non è una storia d’amore etero, non è una storia d'amore lesbo e non è nemmeno tanto una storia d’amore. A pensarci bene, non è nemmeno un film proprio sull’amore amore comunemente inteso. È più una storia d’amicizia, però ciò non rende bene l’idea. Frances è innamorata della sua migliore amica Sophie, solo non in un senso sessuale, né romantico. È una persona su cui può contare, con cui ha un’intesa particolare.
Capito?
No, vero?
È una cosa difficile da spiegare, per provarci passo la parola direttamente a lei, la protagonista del film Frances:
“È quella cosa quando sei con qualcuno e tu lo ami e lui lo sa e anche lui ti ama e tu lo sai. Ma sei a una festa e tutte e due state parlando con altra gente, poi guardi in fondo alla sala e i vostri sguardi si incrociano, ma non in maniera possessiva o con l’intenzione di fare sesso, ma perché quella è la tua persona in questa vita.”
Non avete ancora capito?
Allora non vi resta che guardare questo film che provoca lo stesso effetto. Lo guardi e sai di amarlo. Però non è che te lo vorresti scopare. Lo ami e basta. Ami tutto di questo film.
La protagonista, per prima cosa. Greta Gerwig è la nuova fenomena del cinema indie americano, già splendida rivelazione nell’horror The House of the Devil e poi protagonista di quel sottovalutato gioiellino di Damsels in Distress. Un’attrice che si fonde in un tutt’uno con il suo personaggio, l’originalissima, folle Frances. Un’attrice, ma anche una sceneggiatrice, che qui firma a 4 mani con il regista Noah Baumbach uno degli script più freschi e frizzanti degli ultimi tempi. Nonostante tutti questi talenti, il suo vero sogno, il sogno di Greta non ha a che vedere tanto con il cinema, ma è quello di fare la ballerina, come la Frances del film. Non è che sia proprio un fenomeno come la Nina del Cigno nero, eppure ha uno stile tutto suo, molto personale, messo in mostra già nel mitico balletto della Sambola in Damsels in Distress, così come anche nel pazzesco video live agli YouTube Awards di “Afterlife” degli Arcade Fire diretto da Spike Jonze.
Come fai a non amare Greta Gerwig?
Come fai a non voler uscire con la sua “undateable” Frances?
E poi, una volta investito da quest’ondata di amore, oltre a Greta/Frances cominci ad amare anche tutto il resto. Tutto ciò che rende questo film da semplice film indie tra i tanti a Film Indie per eccellenza. E così ami anche la trama/non-trama che sembra quella di un episodio allungato di Girls, un episodio bellissimo di Girls. L’episodio definitivo di Girls.
“Credo che potrei essere la voce della mia generazione, o almeno una voce di una generazione,” diceva Lena Dunham nella puntata pilota di Girls e così è stato. La sua serie tv sta già facendo scuola, anche all’interno del nuovo cinema alternative americano. Perché, vedete, Frances è uno dei personaggi più singolari mai visti su schermo, e non solo su schermo, eppure allo stesso tempo riesce pure lei a farsi simbolo universale di un’intera generazione, proprio come la Hannah/Lena Dunham di Girls. La generazione dei 20/30enni incasinati di oggi. La mia generazione. Una generazione precaria. Una generazione multitasking che si trova a fare un sacco di cose differenti senza riuscire a portarne a termine manco mezza. Una generazione fottuta. Laddove però Girls, per quanto scritto alla grandissima, dà spesso un senso di incompiutezza, qui Greta Gerwig, grazie probabilmente all’aiuto della mano ormai esperta di Noah Baumbach, riesce a trovare una quadratura, a chiudere il cerchio con un (doppio) finale splendido.
Pur partendo da uno stile hipster alla Girls, Frances Ha possiede comunque uno slang e un linguaggio tutti suoi, e percorre anche altre strade. A livello visivo, Noah Baumbach sceglie di fotografare una New York City in bianco e nero che riporta esplicitamente alla mente Manhattan di Woody Allen, il tutto però con una spruzzata profumata di Nouvelle Vague, messa in evidenza dallo stile registico, narrativo, così come anche dalle numerose splendide musiche di Georges Delerue, Jean Constantin, Antoine Duhamel e altri compositori transalpini recuperate da varie pellicole anni ’60 tra cui I quattrocento colpi, più un’aggiunta di David Bowie con “Modern Love” che non fa mai male.
Ami la colonna sonora, dunque.
Ami pure i personaggi comprimari. Magari Sophie (Mickey Sumner) non tanto, perché è così egoista ed è così cattiva nei confronti della povera Frances che le vuole tanto tanto bene. Ecco, Sophie magari è l’unica cosa del film che non ami.
Sophie, sei una bruttona!
Sì, l’ho detto.
Sophie: "Credevi forse non avrei letto quello che hai scritto su di me, maledetto d'un cannibale?"
E poi ci sono i coinquilini della nostra (nostra? della “mia”) Frances: Holly e Benji… volevo dire Lev e Benji, il primo interpretato dall’Adam Driver proveniente – guarda caso – dalla serie Girls e il secondo dal volto nuovo Michael Zegen. E ami pure loro.
E ancora, ami la regia non invasiva ma funzionale al racconto di Noah Baumbach, uno che già aveva fatto cose niente male come Il calamaro e la balena e Lo stravagante mondo di Greenberg, pellicole che però lasciavano un po' con l’amaro in bocca e che erano un filino deprimenti. Frances Ha invece no. Nonostante la sua forte componente intellettualoide e sfacciatamente radical-chic, è una visione leggera come un palloncino che si libra in volo e che non puoi fare a meno di continuare a seguire con lo sguardo, fino a che non scompare all’orizzonte. Quando ciò accade, ti prende una sensazione triste ma allo stesso tempo buffa, che ti lascia con un sorriso ebete stampato in faccia. È questo che ti fa l’amore. È questo che ti fa Frances Ha. Tutto qua.
Il nuovo doppio album degli Arcade Fire, “Reflektor”, è un’opera mastodontica. Già solo per la durata: 85 minuti. Al giorno d’oggi ci va del coraggio ha tirare fuori un lavoro della durata del genere. Gli Arcade Fire, grazie allo status di cult band (meritatamente) guadagnato con i tre lavori precedenti, il fondamentale “Funeral”, il notevole “Neon Bible” e il mio preferito “The Suburbs”, sono tra i pochi a poterselo permettere, a poter richiedere ai fan, così come ai detrattori, un impegno del genere.
“Reflektor” è un album pieno. Strabordante, quasi. Già solo dentro la title track, il pezzo che apre il lavoro e che è anche stato scelto come primo singolo, ci sono più cose di intere discografie di altre band. C’è il sound degli LCD Soundsystem che emerge prepotente e che mostra fin da subito in maniera chiara lo zampino di James Murphy, il produttore dell’intero lavoro, che qui ricopre un po’ il ruolo decisivo avuto da Nigel Godrich su “Ok Computer” dei Radiohead o da Brian Eno sugli album della trilogia berlinese di David Bowie. E a proposito di David Bowie, ecco a un certo punto comparire proprio il Duca Bianco come guest-vocalist a sorpresa del pezzo. All’interno del brano c’è poi anche una forte influenza dei Talking Heads e c’è un andamento ritmico danzereccio. Si potrebbe quasi pensare a una svolta dance per gli Arcade Fire, ma così non è. I bassi pulsano di più, lo zampino LCD di James Murphy si fa sentire lungo tutta la lunga durata del lungo lavoro, eppure c’è anche altro, tanto altro.
In “Here Comes the Night Time” gli Arcade Fire regalano al termine dream-pop un significato nuovo; in “Normal Person” emerge l’anima più rockettara della band; l’attacco di “Joan of Arc” è ‘na figata totale e pure il suo evolversi non è niente male, "You Already Know" sembra uscita dritta dai Suburbs del disco precedente e “Flashbulb Eyes” è un pezzo frizzante che regala all’insieme una piacevole leggerezza. Questo giusto per citare alcune delle chicche presenti.
Non tutte le note sono però positive. I 10 minuti strumentali della ghost track “We Exist” sono ad esempio qualcosa di davvero necessario? I don’t think so. Nel secondo disco appare anche qualche altro momento che sembra un mero riempitivo e un albumone che dura 85 minuti non aveva bisogno di riempitivi, semmai di uno sfoltimento. La reprise “Here Comes the Night Time II” ad esempio non suona come qualcosa di fondamentale. La psychedelica “Awful Sound (Oh Eurydice)” fa un po’ troppo comunità hippie e con il resto del menù c’azzecca quanto cavoli a merenda. La sognante “It’s Never Over (Oh Orpheus)” è talmente sognante che a un certo punto rischia di far addormentare. In “Porno” il tocco di James Murphy diventa talmente invasivo che sembra di ascoltare un pezzo degli LCD Soundsystem con Win Butler guest-vocalist, piuttosto che un pezzo degli Arcade Fire prodotto da James Murphy.
Il secondo disco di questo doppio lavoro, per quanto sia il più coraggioso e distante dal suono abituale degli Arcade Fire, appare allora meno convincente, con la band non del tutto a suo agio con un nuovo sound. O forse è solo ancora troppo presto per una valutazione definitiva. “Reflektor” è un super album molto ambizioso, che necessita ancora di altri ascolti per essere decifrato, compreso e amato in pieno, ma che al momento suona come qualcosa di affascinante, eppure non riuscito fino in fondo. Nonostante il giudizio per ora resti in bilico, è proprio verso la fine che gli Arcade Fire mettono a segno il colpaccio della vittoria, la meravigliosa “Afterlife”, un brano immenso da ascoltare per tutta la vita, da qui fino all’Aldilà.
Facciamo quelli lucidi, o almeno proviamoci, e andiamo a vedere cosa ci aspetta da questo 2013, a livello di film, serie tv e musica, ovvero i campi d’interesse principali di codesto blog.
C’è tanta roba buona in arrivo e oggi ne vedremo un po’. Non una guida esaustiva, completa al 100%, ma solo le cose più attese da queste parti per quanto riguarda i prossimi mesi. Ecco la top 20.
20. Promised Land
Il nuovo film di quel Santo di Gus Van Sant. In una parola sola: promettente.
19. La grande bellezza
Dopo la parentesi ammerecana, che a me me è piasciuta, di This Must Be the Place, il nostro Paolo Sorrentino torna in Italia, con un nuovo misterioso film che vanta un cast assai variegato: Carlo Verdone, Toni Servillo e Sabrina Ferilli... In uscita ad aprile.
18. The Impossible
Il film americano di Juan Antonio Bayona, il regista spagnolo del bellissimo The Orphanage, racconta di Ewan McGregor e Naomi Watts alle prese con lo tsunami. Che possa essere un grande film è tutt’altro che impossible.
17. Nuove serie tv: The Americans, House of Cards e The Forgotten
Ecco il trio di serie tv più promettenti per quanto riguarda il primo scorcio di anno nuovo. The Americans segna il ritorno di Keri Russell (Felicity) sul piccolo schermo, in una serie spionistica che potrebbe essere un Homeland ambientato negli anni ’80.
Di House of Cards dico solo che vede lo zampino di David Fincher e Kevin Spacey, mentre The Forgotten è una serie thriller scritta da Kevin Williamson (Scream, Dawson’s, The Vampire Diaries) con protagonista Kevin Crispy McBacon.
Tra le nuove serie tv, attenzione poi anche ad Hannibal, Deception, Do No Harm, Red Widow, Cult, e Masters of Sex.
16. Warm Bodies
Un ragazzo zombie si può innamorare? Se i produttori cercano di venderlo come il nuovo Twilight, questo film vanta un regista indie (Jonathan Levine di 50 e 50, Fa la cosa sbagliata e All the Boys Love Mandy Lane) e si preannuncia in realtà ricco di umorismo e più dalle parti di Benvenuti a Zombieland, nonché una delle possibili rivelazioni dell'anno.
15. Spring Breakers
Nuovo film del regista indie Harmony Korine con protagoniste le teen idols Selena Gomez, Vanessa Hudgens e Ashley Benson. Non oso nemmeno immaginare quale assurda figata abbia potuto tirare fuori!
14. The Knife e Vampire Weekend
Il geniale duo elettronico svedese torna con il primo vero album da Silent Shout del 2006. Si chiamerà Shaking the Habitual e sono sicuro che sarà qualcosa di diverso dall’abituale.
Di ritorno nell’anno nuovo anche i Vampire Weekend con il loro ancora misteriosissimo terzo album.
Attesa a mille!
13. Il grande Gatsby
Il grande Gatsby sarà anche un grande film? Le premesse ci sono tutte: ispirazione dal romanzo di F. Scott Fitzgerald, regia di Baz Luhrmann (Moulin Rouge!), protagonisti Leonardo DiCaprio, Tobey Maguire e Carey Mulligan.
12. Nymphomaniac
Lars Von Trier alle prese con un nuovo film avvolto nel mistero, ma che già dal titolo è tutto un programma…
11. The Bling Ring
Del nuovo film di Sofia Coppola si sa che è ispirato alle vere vicende di un gruppo di improvvisati rapinatori teenager che tra il 2008 e il 2009 hanno svaligiato le case di alcune celebrità come Paris Hilton e Lindsay Lohan. Per vederlo, ci sarà però da attendere probabilmente la fine dell’anno…
Tra gli altri registi chic, occhio poi anche a Mood Indigo di Michel Gondry e ad Her di Spike Jonze.
10. Jennifer Lawrence
La Cotta adolescenziale 2012 di questo blog sarà una delle grandi protagoniste anche del 2013: prima con Silver Linings Playbook (in Italia forse uscirà con il titolo L'orlo argenteo delle nuvole), che potrebbe portarla alla seconda nomina agli Oscar, e poi con il secondo capitolo delle avventure di Hunger Games: La ragazza di fuoco.
9. Operazione Zero Dark Thirty
Kathryn Bigelow e Jessica Chastain alle prese con la cattura di Osama Bin Laden, in un film già osannato dai critici americani e in profumino di Oscar. Sarà l’Homeland del cinema?
8. Lady Gaga
La regina del pop sta per tornare.
Madonna? Madonna chi?
No, sto parlando di Lady Gaga e il suo nuovo terzo album ha un titolo che non lascia spazio a dubbi: ARTPOP.
7. My Bloody Valentine
Di solito sono contro le reunion delle band del passato, però in questo caso è un ritorno clamoroso e inaspettato: i My Bloody Valentine, leggendario gruppo autore di due album a cavallo tra la fine degli anni ’80 e i primi ’90, torneranno con un terzo disco a oltre 20 anni di distanza da quel capolavoro supremo di Loveless.
Aspettative oltre ogni livello, speriamo solo non deludano come le reunion di vari altri loro colleghi.
6. Arcade Fire
Il gruppo indie più infuocato degli ultimi anni pubblicherà nel 2013 il suo quarto album. Dopo tre dischi uno più bello dell’altro, non ci si può aspettare niente di meno che un altro capolavoro.
Tra gli altri dischi che attendo di più e che dovrebbero arrivare da qualche parte nel corso del nuovo anno ci sono poi James Blake, M.I.A., Everything Everything, Yeah Yeah Yeahs, Paramore, Phoenix, Azealia Banks, Woodkid, AlunaGeorge, Earl Sweatshirt, Royksopp, Franz Ferdinand, Christopher Owens, Foals, John Grant, Hurts, Kings of Leon, Sky Ferreira, Eminem, Katy Perry e Travis.
5. Django Unchained
Quentin Tarantino.
Basta solo il suo nome per genere un’attesa enorme. Di certo sarà una figata, ma il fatto che sia un western, genere che storicamente non amo, mi fa temere che questo possa essere il suo film che amerò di meno. Spero di sbagliarmi.
4. Only God Forgives
Nicolas Winding Refn + Ryan Gosling insieme di nuovo dopo Drive.
Se non tirano fuori un altro capolavoro, nemmeno Dio potrà perdonarli!
(e, per quanto riguarda Ryan Gosling, occhio anche a The Place Beyond the Pines)
3. The Master
Paul Thomas Anderson, il regista di Magnolia e Il petroliere, con il suo nuovo discusso film liberamente ispirato a una setta religiosa in stile Scientology. La domanda da porsi non è se sarà un grande film, ma quanto sarà grande.
2. Breaking Bad finale
Il 2013 ci consegnerà la fine di due serie storiche: una è Dexter ma, visto il livello scandaloso raggiunto dalle ultime due stagioni, le mie aspettative non sono molto alte. L’altra è Breaking Bad e in questo caso le aspettative sono estremamente esagerate.
Cosa succederà?
Lo scopriremo quest’estate con gli ultimissimissimi episodi.
1. Terrence Malick
Per decenni uno dei registi meno prolifici nella storia del cinema, negli ultimi anni il regista texano si è scatenato e dopo The Tree of Life sta lavorando su talmente tanti nuovi progetti che è difficile capire quali sono e quando usciranno. Il primo è To The Wonder, si è intravisto al Festival di Venezia, ma l’uscita nelle sale italiane è stata spostata all’estate. Poi ci sono Knight of Cups, con Christian Bale e Natalie Portman, il misterioso documentario The Voyage of Time e quindi un nuovo progetto, ancora senza titolo, con un cast assurdo che sembra possa comprendere ancora Christian Bale e Natalie Portman, più Michael Fassbender, Ryan Gosling, Rooney Mara, Cate Blanchett e la cantante Florence Welch alias Florence + the Machine.
Uno che riesce a mettere insieme un cast del genere non può essere altri che Dio in persona.
Se ti piace leggi anche: 1984, Il signore delle mosche, Il mito di Teseo, Battle Royale (manga)
Genesis
Cominciamo dall’inizio. Da Suzanne Collins, che un bel giorno si sveglia e ha una bella idea per un romanzo. L’idea di per sé non è delle più originali. L’autrice afferma che le è venuta mentre cazzeggiava e faceva zapping in tv, alternando qualche reality con un reportage dalla guerra in Iraq.
Reality + guerra = Hunger Games.
“Perché non è venuto in mente a me?” si è chiesta Maria de Filippi.
Alla base della storia vi sono inoltre i ricordi personali della Collins di quando il padre combatteva in Vietnam e di come è andato a scovare il colonnello Kurtz. Ah no, quello è Apocalypse Now.
Ma, soprattutto, alla base vi è il mito di Teseo.
"Ma perché nel nostro film non c'hanno messo Jennifer Lawrence?
Almeno morivamo felici..."
La battagliera questione Battle Royale
E Battle Royale? Il romanzo, nonché manga, nonché film giapponese?
È vero, i punti di contatto ci sono, piuttosto evidenti, soprattutto per quanto riguarda i Games veri e propri, però l’ispirazione principale è quella del mito secondo cui gli atieniesi ogni 9 anni mandavano 7 ragazzi e 7 ragazze ad un incontro, amichevole, con il Minotauro.
Quindi okay: Hunger Games è una copiatura. Però non di Battle Royale, bensì di un mito greco. E allora, ecco, lo dico: prima di sparare merda contro i miti di noi ggiovani come Hunger Games, almeno documentatevi, almeno!
Anche perché il tema di un gruppo di ragazzini costretti a scannarsi tra loro non è prerogativa del pur splendido e potentissimo Battle Royale, bensì è presente pure in altre opere come Il signore delle mosche. Ma quello mi sa che è servito più da ispirazione per Lost…
Sicuramente Hunger Games parte da uno spunto simile a quello di Battle Royale, però dire che ne sia la semplice copia americana è molto limitativo. La prima parte di HG, quella di preparazione ai giochi, è del tutto assente in BR, così come HG è parecchio più incentrato su una sorta di parodia estremizzata dei reality-show che non sulla violenza fine a se stessa. La storia è sviluppata poi intorno a un personaggio principale, quello di Katniss, mentre BR è molto più dispersivo e racconta un numero esagerato di sottostorie e di sottopersonaggi, non tutti ugualmente interessanti.
Analogo in entrambi è il senso di critica, però è una critica più politica in BR, dove viene preso di mira il Giappone del periodo fascista, mentre quella di Hunger Games è una critica di stampo orwelliano più sociale e ancora più attuale: agli Stati Uniti del presente, a un sistema capitalistico malato, al pubblico dei reality-show.
"Certo che se Taricone era ancora in vita, due colpi davanti alle telecamere
non si sarebbe fatto problemi a darmeli. Mica come te, Peto..."
Reality-show o (pulp) fiction?
Al di là del semplice gioco al massacro cui sono costretti a partecipare i 24 giovani Tributi dei vari Distretti, l’aspetto più interessante degli Hunger Games è il loro riflettere i meccanismi dei reality-show televisivi. La storia in tal senso è perfettamente giocata sul non far capire i veri sentimenti di Katniss e Peeta. Sono innamorati per davvero o è solo una messinscena per ottenere i favori degli sponsor e del pubblico? Un rapporto realtà/finzione mai svelato del tutto, perché è proprio così che funzionano i reality. Se Katniss sottostà alle regole del gioco non è per cambiare il sistema dall’interno. I suoi intenti, almeno in questo primo capitolo della saga, non sono tanto politici. A lei interessa soltanto l’unica cosa che ha conosciuto da quando è in vita: sopravvivere.
Se non uccide brutalmente gli altri concorrenti, non è tanto per un senso di buonismo in lei del tutto assente. È solo perché quella è la tecnica migliore che ha escogitato insieme al suo tutor Woody Harrelson. Aspettare che gli altri si scannino, scappare e solo dopo diventare lei stessa cacciatrice.
Il segreto del suo successo
Hunger Games è un blockbusterone assolutamente atipico. C’è una componente fantascientifica, ma gli effetti speciali non hanno mai la meglio sulla storia e sui personaggi. La vicenda sentimentale non viene caricata troppo e, anzi, ricopre un ruolo ancora minore rispetto al libro. In entrambi i casi, romanzo e pellicola, siamo comunque lontani anni luce dalle smancerie twilightiane. Non ci sono poi nemmeno vampiri, licantropi, maghetti, supereroi o altri personaggi tipici dei successoni degli ultimi anni. Non ci sono grosse scene d’azione, a parte il combattimento finale, e questo è il motivo per cui probabilmente qualcuno l’ha bollato come “noioso”. E non è nemmeno un film uscito in 3D!
Allora, perché è diventato un fenomeno globale?
Forse perché, come abbiamo visto, nasce come un mix di influenze dal passato anche molto remoto dei miti greci quanto dal presente di Battle Royale in versione occidentalizzata ed è una critica alla reality tv che ha imperversato negli ultimi anni. Uno dei motivi del successo di questa saga sta quindi tutto qui, nel riuscire a riflettere la società di oggi attraverso archetipi di stampo classico.
Un altro motivo del suo successo? Forse anche lei, Jennifer...
Suzanna tutta panna
L'autrice della saga letteraria Suzanne Collins non è una virtuosa della parola. Non è una scrittrice sopraffina. Il suo stile è molto semplice e di immediata comprensione. Suzanne Collins ha però una dote rara: sa tenerti incollato alla pagina. Quando mi sono addentrato nella lettura di Hunger Games ho pensato: “Mi leggo il primo capitolo, poi se non mi prende aspetto di vedermi il film per sapere come avanti la storia.”
Invece mi ha preso, cazzo se mi ha preso.
Ogni capitolo si chiude in una maniera diabolica, con un colpo di scena, una rivelazione che ti costringe ad andare avanti nella lettura. Uno stratagemma che ricorda la costruzione degli episodi delle serie tv più avvincenti, come Lost, dove si accumula e si accumula la tensione, fino a che sul più bello parte lo stacco pubblicitario. Il suo stile di scrittura è quindi molto moderno, molto televisivo, molto young adult, visto che il pubblico di riferimento è quello ggiovane, ma la sua fruibilità risulta universale. E il suo stile è anche molto cinematografico.
"Potrei aver aggiunto del Roipnol al tuo cocktail. Però bevi tranquilla, Katniss."
Lost in translation
Il pregio, e anche il limite, dell’adattamento per il grande schermo è quello di aver preso il libro pari pari e averlo semplicemente trasposto in immagini. Opinione personale: gli adattamenti migliori dei film sono quelli infedeli, almeno in parte, all’originale, perché il mezzo letterario e quello cinematografico sono parecchio differenti e quindi se ci si limita a una semplice traduzione da un media all’altro, qualcosa inevitabilmente va “lost in translation”.
Gary Ross e Billy Ray, unendosi nella sceneggiatura a 6 mani con Suzanne Collins, si sono quindi mantenuti molto fedeli all’originale, e lo si può accettare, però avrebbero potuto osare qualcosa di più. Una scelta piuttosto azzeccata, e per nulla scontata, che hanno fatto è comunque stata quella di NON adottare la voce fuori campo.
Il romanzo è scritto in prima persona e tutti gli eventi li viviamo attraverso lo sguardo di Katniss Everdeen. La scelta più facile sarebbe stata quindi quella di inserire la voce off della protagonista per spiegarci il suo punto di vista e tutto quello che succede. Così non è e credo sia un bene. La voce fuori campo può portare a risultati straordinari, come in Viale del tramonto, American Beauty o nei film di Terrence Malick, soprattutto quando viene usata per dare voce all’interiorità dei personaggi, però il più delle volte si rivela uno stratagemma pigro per raccontare a parole ciò che può essere raccontato con le immagini.
Optando per una scelta del genere, nel film di Hunger Games molte cose non sono spiegate e per chi non ha letto il libro possono risultare di difficile comprensione. La storia a grandi linee arriva a tutto il pubblico, però ci sono un sacco di piccole finezze che possono essere colte solo da chi ha letto il romanzo. Ad esempio, Gale che chiama scherzosamente la protagonista Katnip, storpiando il suo nome, o il gesto di rispetto che le rivolgono le persone del Distretto 12 quando decide di prendere il posto di tributo di sua sorella, o ancora la scena da brividi con il saluto di Katniss alla gente del Distretto 11 dopo la morte della loro Rue. Il momento emotivamente più forte della pellicola.
Questo è un pregio come anche un difetto della pellicola: un pregio perché comunque in un film non può essere spiegato tutto in maniera didascalica, altrimenti anziché 2 ore dovrebbe durarne 4, un difetto, perché sono delle piccole (ma nemmeno troppo) chicche che aggiungono significato e spessore alla storia, ma soprattuto alla figura di Katniss che emerge come personaggio molto più tridimensionale su carta che non su pellicola.
"Lenny, ma ti sembra questo il momento per fare del sesso selvaggio?
Comunque forza, prendimi su questo lettino, sarò la tua American Woman!"
Katnip
Sia il romanzo che il film sono divisi nettamente in due parti. La prima è quella costruita meglio, quella in cui il senso di ineluttabilità circonda la vita della protagonista. Un aspetto che nel film forse non è del tutto comprensibile a chi non ha letto il libro è l’incapacità, quasi totale, di amare o di provare emozioni da parte di Katniss. La sua non è un’apatia esistenziale, né una cattiveria intrinseca. È nata in un mondo privo di bellezza e soprattutto di speranza. Ogni cosa capita e bisogna accettarla. Ci sono i cazzo di Hunger Games? Seguiamo le estrazioni degli Hunger Games. Bisogna partecipare agli Hunger Games? Partecipiamo agli Hunger Games.
Panem è un mondo anestetizzato, in cui i Distretti più poveri non hanno niente, sono stati del tutto annientati e non hanno nemmeno la forza di ribellarsi. A questo servono gli Hunger Games. A privare la gente della capacità di immaginare un futuro diverso. “Non voglio avere figli” dice Katniss, perché questo non è un mondo in cui sente che una nuova creatura meriti di vivere, un po' come pensa Lori Grimes nella terra post-zombie di The Walking Dead.
Il suo atteggiamento non è comunque per nulla passivo: quando, con un colpo di sfiga totale, viene estratta la sorellina Prim come Tributo (ma sarebbe meglio dire Sacrificio) per gli Hunger Games, lei si offre per prendere il suo posto. E quando durante la competizione/show muore la sua amichetta Rue, lei le porge dei fiori come saluto funebre prima che vengano a rimuovere il cadavere, sebbene sia una cosa proibita. Ma l’affronto più grande Katniss lo compie nel finale, quando minaccia di suicidarsi in diretta insieme a Peeta. Questo è un aspetto poco approfondito nel film, che rimane fedele a grandi linee al romanzo, tranne proprio nella cruciale conclusione. La pellicola si chiude con un lieto fine, il trionfo dei due eroi che tornano a casa. Nel libro invece, per quanto trionfatori, si sentono entrambi sconfitti. Peeta, che viene rifiutato dalla sua amata, ma anche Katniss, incerta dei suoi sentimenti per Peeta e per Gale e convinta che, a causa dell’umiliazione inflitta agli autori degli Hunger Games, il peggio per lei debba ancora venire.
Un peccato che il finale del film addolcisca una pellicola che per il resto è decisamente scura e riflette bene prima l’atmosfera deprimente del Distretto 12 e poi quella surreale e kitsch dei preparativi agli Hunger Games in quel di Capitol City.
"Rosica, Gaga, rosica."
Dalle stalle alle stelle
Come dicevamo, la storia è divisa in due parti distinte. Se la seconda parte, quella degli Hunger Games veri e propri, segue le trame del survival in maniera avvincente (soprattutto nel romanzo) ma comunque piuttosto tradizionale, a convincere di più è tutta la grandiosa prima parte. È qui che Katniss si ritrova catapultata all’improvviso dalla sua vecchia vita nel Distretto 12, apparantemente grigia e priva di soddisfazioni, eppure anche piena di piccoli piaceri quotidiani, agli sfarzi di Capitol City.
Un contrasto stridente in cui le sue emozioni sono combattute. La vita vera per lei è sempre stata dura, nel Distretto più merdoso di Panem, dove ogni giorno deve andare a caccia per provvedere alla famiglia, visto che il padre è morto in un incidente in miniera. I piccoli piaceri sono però dati dall’andare a caccia in compagnia dell’amico e forse qualcosa più che amico Gale, o dal vedere il sorriso sul volto di quella cagacazzo di sua sorella dopo averle regalato una capretta.
Da quando entra tra i concorrenti degli HG, tutto invece diventa più facile: il cibo è buonissimo e sempre a disposizione, la sua stanza è piena di ogni comfort e anche il suo aspetto cambia. Da ragazzetta mascolina si trasforma in un gran figone. Quella però non è lei. La vera Katniss è la Katniss cacciatrice, quella dei boschi. C’è una scena molto bella e simbolica, nel film, in cui Katniss sceglie cosa vedere alla finestra della sua lussuosa camera: alle immagini della bella vita a Capitol City, lei preferisce gli alberi del distretto 12, la sua sola e unica casa.
Jennifer’s Body
La scelta di Jennifer Lawrence come protagonista era la più ovvia, almeno per chi ha visto Un gelido inverno - Winter’s Bone. Il personaggio di Katniss è infatti molto vicino alla Ree di quel film. Entrambe sono costrette a crescere senza il padre e a occuparsi della famiglia, vista l’incapacità delle madri. Entrambe sono in qualche modo cacciatrici. Entrambe vivono in due mondi (più reale uno, più immaginario ma nemmeno troppo l’altro) desolati, dove non c’è speranza di un miglioramento di vita effettivo. Entrambe vanno avanti con grandi dignità e senza mostrare mai le proprie emozioni, eppure mantengono sempre anche un certo senso di positività, di coraggio. Per quella parte, Jennifer Lawrence s’era beccata una meritata nomination agli Oscar e pure qui si conferma assolutamente perfetta.
Se proprio vogliamo trovarle un difetto, si può dire che è persino troppo gnocca per il ruolo, visto che nel libro la figura di Katniss sembra esteticamente meno dirompente. Però, oh, è un difetto che possiamo accettare.
"La smetti di chiamarmi Brunetta,
Anno Montano?"
I trombamici di Katniss e tutti gli altri
Nella parte di Peeta, il ragazzotto apparentemente ingenuo e sprovveduto che si trova suo malgrado a dover affrontare gli Hunger Games, è stato ingaggiato un altro mio idolo personale: Josh Hutcherson. Josh Hutcherson della commedia indie I ragazzi stanno bene e soprattutto dello splendido, commovente, fondamentale Un ponte per Terabithia, insieme a questo Hunger Games uno dei prodotti teen più interessanti e intelligenti degli ultimi anni. Con quella faccia da cane bastonato, quasi una versione al maschile di Carey Mulligan, è pure lui ideale per la parte. Azzeccato, in fin dei conti, pure il piuttosto inespressivo Liam Hemsworth (finora noto per essere il boyfriend di Miley "Hanna Montana" Cyrus e il fratello di Chris "Thor" Hemsworth) nei panni del pane e salame Gale, al momento piuttosto ininfluente nella storia ma in attesa di ricoprire un ruolo maggiore nei prossimi due capitoli della saga.
Grandioso, ma non è una sorpresa, Woody Harrelson come tutore e mentore ubriacone dei due Tributi del Distretto 12 e bene pure Lenny Kravitz, che dopo Precious si conferma credibile anche come attore. A lasciare un po’ più perplessi è una irriconoscibile Elizabeth Banks nei pitturatissimi panni di Effie Trinkett/Lady Gaga 2.0, personaggio che con la sua bonaria stupidità risultava più divertente all’interno del romanzo.
"Ti faccio diventare orphan di nuovo,
cara Katniss!"
Ampliati all’interno della pellicola, sebbene non in maniera del tutto convincente, i ruoli del presentatore Stanley Tucci con tanto di capello blu che sembra uscito da una band di J-pop, del perfido Donald Sutherland e di un Wes Bentley cui è stato regalato un ruolo nemmeno menzionato nel libro. Un po’ in ombra anche gli altri Tributi, tra cui c’è la bambina del film Orphan Isabelle Fuhrman e un Cato somigliante a Joffrey di Game of Thrones. Questa comunque è una scelta precisa di Suzanne Collins che nel libro mantiene il punto di vista sempre puntato sulla protagonista ed è questa per me una delle caratteristiche vincenti di Hunger Games, laddove in Battle Royale con tutta la sua marea di personaggi si fa più fatica a empatizzare con uno in particolare tra loro.
Er Direktor
Quando parliamo di un franchise, il nome del regista ha un peso relativo. Non ci troviamo ad avere a che fare con un’opera d’autore. Non d’autore a livello cinematografico, almeno, visto che il peso come autrice sembra essere rimasto saldo tra le mani di Suzanne Collins. Per quel che può valere, quindi, dietro la macchina da presa di questo primo capitolo della trilogia collinsiana è stato messo Gary Ross. Gary Ross che io voglio ricordare per quello splendido incanto di Pleasantville e non per il successivo Seabiscuit che, essendo allergico alle pellicole con i cavalli, ho sempre evitato di vedere. E poi… basta, ha diretto solo questi due film.
Pleasentville che pure era un’acuta riflessione sul potere della televisione: in quel caso ci si concentrava su una vita da sitcom anni ’50, mentre in Hunger Games i riflettori sono accesi su un reality-show portato alle estreme conseguenze.
Quasi quasi me lo rivedo, Pleasantville, che era poesia allo stato puro…
"Hai finito di cercare di inquadrarmi il culo?"
Trattandosi pur sempre di un franchise, i poteri di Gary Ross sulla pellicola sono in qualche modo limitati. La sua regia si mantiene sul tradizionale andante e prova giusto a inserire qualche momento più movimentato con la camera a mano nelle scene action, però il film sa convincere soprattutto nei momenti più tranquilli e riflessivi.
Per il prossimo episodio della saga, pare che Ross volesse più soldi e allora l’hanno rimpiazzato. La scusa ufficiale è che non aveva abbastanza tempo per preparare adeguatamente la pellicola, visto che è prevista in uscita per il novembre 2013 e in “solo” un anno e mezzo non ce la faceva… E così per La ragazza di fuoco (Catching Fire) hanno chiamato Francis Lawrence, non proprio una sceltona illuminata visto che ha diretto i modestissimi Constantine, Io sono leggenda e Come l’acqua per gli elefanti. Perché hanno scelto proprio lui? Probabilmente hanno fatto estrarre a Effie Trinket un nome a caso tra quelli del Distretto 12 dei registi.
Arcade Fire VS. Taylor Swift
Una grande cura al progetto Hunger Games è stata riposta anche nei dettagli, nonostante il budget relativamente contenuto per una grande produzione del genere (“appena” $78 milioni, fonte IMDb). Dai costumi molto kitsch della gente di Capitol City (a metà strada tra un video di Lady Gaga e quello di “Black Hole Sun” dei Soundgarden), alla notevole fotografia di Tom Stern (abituale collaboratore di Clint Eastwood), per arrivare alle musiche, orchestrate dall'esperto nel settore James Newton Howard (Il sesto senso, Il cavaliere oscuro, Collateral e un sacco di altre robe), autore di uno dei suoi score più riusciti degli ultimi anni.
Il fischio di Katniss che viene riprodotto in stereo dalle ghiandaie imitatrici, nella sua semplicità è poi una delle melodie che più mi rimarranno impresse di quest’annata cinematografica. Davvero inquietante.
Ottima anche la soundtrack uscita in accompagnamento al film, per quanto le canzoni dal Distretto 12 non vengano effettivamente utilizzate all’interno della pellicola, a eccezione del grandioso pezzo degli Arcade Fire “Abraham’s Daughter” suonato sui titoli di coda.
Le canzoni dal “Distretto 12 and Beyond” comunque fanno la loro bella figura come ascolto a parte e riescono a rendere bene l’atmosfera della pellicola. La proposta è parecchio varia e passa dal rap-rock di Kid Cudi al folk dei Decemberists, dal country di Neko Case e Miranda Lambert alla ballatona di Birdy, più dei Maroon 5 sorprendentemente (e irriconoscibilmente) riflessivi. E persino Taylor Swift riesce a fare la sua porca figura in inedita versione (all'incirca) rockeggiante con “Eyes Open” e nella sua più consueta veste virgin-pop-country con “Safe and Sound”.
"Nessuno riuscirà a fermarmi. Nemmeno mio figlio Jack Bauer!"
In the end
Per chiudere (in)degnamente questo post fiume, quello di Hunger Games è un mondo parecchio sfaccettato e complesso, che la pellicola è riuscita a ricreare in maniera per forza di cose più stringata rispetto al romanzo. Il personaggio di Katniss non viene fuori nella sua interezza, visto che si è scelto di evitare l’uso della voce fuori campo, eppure prende vita grazie allo sguardo freddo e impassibile di una Jennifer Lawrence perfetta. Per quanto nell’adattamento si potesse osare qualcosa in più, l’unico scivolone della pellicola risulta comunque il finale, in cui si sceglie l’happy ending e la tipica americanata di chiusura con il cattivone, anziché l’amarezza della conclusione del libro di Suzanne Collins. Decisamente meno “commerciale”, ma più efficace e malinconico.
In attesa di scoprire i prossimi due capitoli, nel complesso ne esce un primo episodio di una teen saga, anzi young adult saga, che poco o nulla ha a che fare con le altre serie fantasy in circolazione. E allora dopo questo post (quasi) serioso, permettemi una chiusura da perfetto bimbominkia: Hunger Games dà un sacco di merda a Twilight ed Harry Potter. Tiè, vampirelli e maghetti, io faccio parte del Team Katniss!
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