The Last Dance è una docu-serie, ma non sul ballo come qualcuno potrebbe immagine. Parla di basket. Dell'ultima gloriosa stagione dei Chicago Bulls di Michael Jordan.
The Last Dance è una docuserie sul basket, ma non è solo quello. E' anche una macchina del tempo, che viaggia tra il presente, il passato e il passato ancora più passato. Va a spasso tra epoche differenti per cercare di comporre un puzzle unico, un po' come True Detective.
Cast: Sam Rockwell, Emma Roberts, Rooney Mara, Emily Rios, Rob Corddry, Jessica Hecht, Connor Paolo, Margo Martindale
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Rooney Mara: “Cos’è un culo a cipolla?”
Sam Rockwell: “È un culo che ti fa venire la lacrime agli occhi”.
E adesso un’altra domanda: cosa rende una squadra, una squadra vincente?
E cose rende un film, un film vincente?
Dei grandi singoli possono essere determinanti, eppure il segreto sta tutto nell’alchimia, nel gioco di squadra. Non basta un Messi per vincere, così come al cinema da soli non sono sufficienti un Nicolas Winding Refn o una Natalie Portman, sebbene io una Natalie Portman in squadra la prenderei sempre. Per arrivare fino in fondo e alzare la coppa serve qualcosa di più. Serve un team.
La squadra messa in campo dal film The Winning Season è di buon livello. C’è Sam Rockwell, attore spesso sottovalutato, anche dal sottoscritto, che qui dimostra di essere davvero bravo e convincente nella parte del loser, vestendo i panni dell’ex stella del basket liceale precipitato non in una stalla ma a fare l’allenatore di una squadretta di basket liceale. Una squadretta femminile. E il basket femminile, così come il calcio femminile da noi in Italia, non se lo caga nessuno.
Nella squadretta che allena Sam Rockwell ci sono un paio di star. Non star della pallacanestro, bensì del cinema. Una è Emma Roberts, pretty nipotina della woman Julia: una ragazzina pallida come la neve e secca come un fusciello che è l’esatto opposto di ciò che uno immagina quando pensa al basket, ovvero qualcuno più delle sembianze di Shaquille O’Neal. Eppure la squadretta dovrà contare su di lei, se vuole vincere qualche partita. Sam Rockwell, sei davvero in buone mani!
L’altra star è Rooney Mara. Lei probabilmente la ricorderete nei panni della bad girl Lisbeth Salander dell’Uomini che odiano le donne versione David Fincher. Qui però è decisamente meno cazzuta e più ragazzina liceale innocente e pure lei antitesi della giocatrice di basket ideale.
Un bel cast, quindi, a cui si aggiunge pure una bella storia. Una storia sportiva classica di una squadra di perdenti che, contro ogni pronostico, riuscirà a trovare la sua strada e incasellare una vittoria via l’altra…
Niente di nuovo o di mai visto, però è ben raccontata, sa come prendere lo spettatore e metterlo vicino vicino ai suoi personaggi, in particolare all’allenatore misogino e scontroso, ma in fondo in fondo in fondo in fondo in fondo in fondo pure lui dal cuore tenero. Ma in fondo in fondo in fondo in fondo.
Un film vincente, quindi?
Direi proprio di no. Questa è una storia di loser che rimangono fondamentalmente loser. Ed è così in empatia con i suoi protagonisti da rendersi un film loser esso stesso.
La regia del rookie James C. Strouse è decisamente piatta e non si segnala in alcun modo. Si limita a seguire in maniera diligente la vicenda raccontata. La sceneggiatura tratteggia bene i personaggi e fornisce assist a ogni componente del team da buon playmaker, e questo è un bene, però al contempo rimane un po’ troppo meccanica e legata al seguire partita per partita il campionato delle ragazze, e questo è un male. Per essere un campionato di basket liceale femminile è anche reso in maniera piuttosto avvincente, ma resta pur sempre un campionato di basket liceale femminile… Un po’ come Un anno da leoni, per quanto meglio del previsto, resta sempre un film su gente che fa bird-watching. Ovvero non proprio il massimo dell’interesse.
È allora un film perdente, alla fine, questo The Winning Season. Ma è anche una di quelle squadre che sai che non vinceranno mai e nonostante questo, o forse proprio per questo, non puoi fare a meno di tifare per loro. Una di quelle squadre che guardi perdere, ma sai che hanno dato tutto per perdere in una maniera così perdente.
"I Don't Want to Be" di Gavin DeGraw, per anni sigla dello show?
"One Tree Hill" degli U2, banalmente scelta proprio per l’ultima scena dell'ultimo episodio della serie?
No no, ci vuole questa qua…
One Tree Hill
(serie tv, stagioni 1-9)
Reti americane: The WB, The CW
Reti italiane: Rai 2, Mya
Creato da: Mark Schwahn
Cast: Chad Michael Murray, James Lafferty, Hilarie Burton, Sophia Bush, Bethany Joy Galeotti, Paul Johansson, Lee Norris, Craig Sheffer, Moira Kelly, Barry Corbin, Barbara Alyn Woods, Antwon Tanner, Danneel Harris, Jackson Brundage, Austin Nichols, Lisa Goldstein, Robert Buckley, Shantel VanSanten, Jana Kramer, Stephen Colletti, Tyler Hilton
Genere: teen drama prima, old drama poi
Se ti piace guarda anche: Dawson’s Creek, Friday Night Lights, Beverly Hills 90210
One Tree Hill è la serie peggio peggiorata che io abbia mai visto.
Spiace dirlo, perché all’inizio era un ottimo telefilm.
All’inizio inizio magari proprio no. Nel corso delle prime puntate infatti la serie pareva indecisa su quale direzione prendere. Nata sulla scia del successo di Dawson’s Creek, sembrava volerne riprendere lo stesso sguardo piuttosto innocente sul periodo dell’adolescenza e allo stesso tempo voleva essere qualcosa di diverso. La componente sportiva si inseriva prepotentemente, almeno nei primi episodi, con il basket, gli allenamenti al campetto e la squadra dei Ravens usati come elementi fondamentali all’interno delle storie. Elementi via via spariti sempre più. Un po’ come se in Friday Night Lights a un certo punto avessero deciso di togliere il football e sostituirlo con una dose massiccia di soap-opera. Una cosa per fortuna mai successa, mentre in OTH sì. Ahimè.
"Se fate pure una decima stagione, giuro che compio una strage!"
One Tree Hill è partito quindi in maniera confusa, però a poco a poco ha assunto una sua identità. In particolare quando Lucas Scott, il protagonista principale fin dalla sigla, ha avuto un incidente che l’ha tenuto per un po’ lontano dal basket. È qui che la serie è esplosa nel suo potenziale, attraverso una serie di conflitti che sono stati sviluppati in maniera notevole.
OTH per un certo periodo è stato una sorta di dramma shakespeariano in versione teen. Vedendo le ultime tristissime stagioni è difficile crederlo, però era davvero così. Molto interessante era il rapporto conflittuale tra Lucas e il fratellastro Nathan, prima nemici e poi amici, un po’ come Holly e Benji. Ancor più conflittuale il rapporto di entrambi con il loro satanico padre Dan Scott, che è stato qualcosa a tratti di davvero notevole. La figura di Dan in particolare è stata a lungo grandiosa. Prima della sua prevedibile e odiosa svolta buonista, Dan Scott è stato infatti uno dei più grandi figli di puttana mai visti nella storia della tv americana.
Peyton in versione angelo della morte: che figata era, una volta, One Tree Hill?
L’altra figura chiave della serie, nonché personaggio di rottura rispetto alla precedente tradizione teen, è stata Peyton Sawyer. Se Lucas era diviso tra l’attività sportiva e interessi più culturali, attraverso la sua attività da giovane scrittore in erba, lo stesso vale per Peyton: stufa di essere una ragazza cheerleader e una biondina qualsiasi del liceo, cerca la sua vera identità attraverso la passione per l’arte, il disegno, la musica indie e punk-rock. Portando con sé tutto un immaginario visivo e musicale. Coniugando un immagine popular e cool con una spiccata personalità nerd e geek. Tutto questo ancor prima dell'avvento di Seth Cohen di The O.C..
Se vogliamo aprire il capitolo musicale, e lo vogliamo fare, One Tree Hill ha avuto per anni una colonna sonora fenomenale. Nel corso delle varie stagioni, il meglio della scena indie americana ma pure brittanica è passata come colonna sonora degli episodi, che non a caso “rubavano” il titolo ogni volta a quello di una qualche song.
"Ah già che un tempo in questa serie non si sfornavano solo bambini,
ma si giocava anche a basketball!"
La qualità delle puntate per anni si è contraddista da una cura notevole nelle sceneggiature, nei dialoghi, nelle dinamiche tra i personaggi, sì pur sempre da teen serie americana, però un momento più realistiche rispetto ad esempio ai patinati Beverly Hills, 90210 o a Gossip Girl.
Alcuni episodi poi sono stati davvero fenomenali. Su tutti lo snodo cruciale, sia nel bene che nel male della serie: la puntata in stile Elephant ispirata al massacro di Columbine "With Tired Eyes, Tired Minds, Tired Souls, We Slept", in cui uno studente del liceo di Tree Hill vuole compiere una strage. Non si sa bene perché. Forse era una fan di Dawson's Creek impazzito che rimpiangeva la sua serie preferita...
Da lì in poi le cose cambieranno per sempre, visto che quell’evento segna l'intero telefilm. Dan Scott fa qui i conti faccia a faccia con i suoi demoni personali, così come saranno costretti a farlo anche gli altri personaggi. Il problema è che la qualità degli episodi, portata qui all’estremo, non raggiungerà più quei livelli e quell’evento traumatico verrà rivissuto in tutte le salse anche stagioni e stagioni dopo. In maniera persino eccessiva.
Comunque, per tutte le prime 4 stagioni, One Tree Hill ha dimostrato di essere una delle serie teen più interessanti e meglio realizzate della tivì americana. Partendo da Dawson’s Creek come modello di ispirazione, è riuscito a inserire l’elemento sportivo (poi sviluppato alla grande da Friday Night Lights), ha aggiunto un andamento indie-rock, quando ancora l’indie-rock non era cool per niente, e ci ha messo dentro persino elementi thriller con il comportamento deviato di vari personaggi (oltre a Dan Scott, la tata Carrie, il fratellastro di Peyton e qualche altro maniaco assortito…).
"GRRR, quel Cannibal ha parlato un sacco di Peyton e zero di me!"
La svolta si è avuta con la quinta stagione. Siccome molte serie adolescenziali si sono perse per strada nel passaggio dal liceo all’università, da Beverly Hills a Dawson a perfino Buffy che ha avuto all’inizio qualche scossa di assestamento, l’autore di OTH Mark Schwahn ha saggiamente deciso di saltare a piè pari tutto il periodo universitario. Quello solitamente di crisi per i telefilm teen. La season numero 4 si chiudeva con la fine del liceo, la season numero 5 si apre così 4 anni più avanti, con i personaggi ormai adulti. Idea quasi geniale, poi ripresa anche da altre serie come Desperate Housewives, e che per i primi tempi è sembrata funzionare. One Tree Hill restava sempre una serie di impronta adolescenziale, però cercava in maniera volenterosa e piuttosto azzeccata di evolversi in qualcosa di più adulto e maturo.
Nathan e la mogliettina Haley hanno avuto un figlio, la cheerleader superficiale Brooke ha trovato la sua strada ed è diventata una stilista di successo e Lucas e Peyton sembrano intenzionati a metter su famiglia… Tutto è cambiato e la serie ha avuto una bella scossa rispetto al passato. Il finale della stagione 6, con Lucas e Peyton che hanno una figlia e lasciano Tree Hill, è la chiusura perfetta del cerchio.
Per me l'intero One Tree Hill, quello vero, è finito lì. O meglio: è morto lì.
"Che famo? Annamo via adesso, prima che sia troppo tardi?"
Invece no. Purtroppo no.
Il network The CW e l'autore Schwahn hanno deciso di resuscitare la serie e tirarla avanti per altre 3 insopportabili stagioni. Come è cosa ben nota ai frequentatori di telefilm, da Buffy a The Walking Dead, una persona resuscitata non è MAI come quando era in vita. Non è più una persona, è uno zombie. Lo stesso vale per le serie tv. Le ultime 3 seasons di One Tree Hill sono state 3 stagioni zombie. Una lenta agonia che si è protratta attraverso situazioni improbabili e sempre più da soap-opera e idee riciclate malamente dalle puntate precedenti.
A parte il fatto che One Tree Hill aveva ormai raccontato tutte le storie che doveva raccontare, la mazzata definitiva è stata l’abbandono di Lucas e Peyton. I due personaggi cardine della serie. Due dei più sfaccettati, complessi e interessanti personaggi mai apparsi in un telefilm teen. Senza di loro ovviamente le cose non sono state più le stesse: come Misfits senza Nathan.
Ma, per rendere meglio l’idea, immaginate Dexter senza Dex. O Dawson’s Creek senza Dawson. O Buffy senza Buffy. O La signora in giallo senza la signora in giallo.
È vero che in questo caso non c’era il loro nome nel titolo, però Lucas e Peyton ERANO One Tree Hill e senza di loro niente ha avuto più alcun senso.
"Ma noi, ma che cazzo c'entriamo con questa serie?"
"Non lo so, sorridi e fai finta di saperlo!"
La serie avrebbe comunque potuto tirare avanti in maniera quasi decente, se solo al loro posto fossero arrivati degli altri personaggi almeno dignitosi. Giammai!
Infatti è arrivato il peggio del peggio del peggio del peggio del peggio che si sia mai visto.
Su tutti, Clay: forse il personaggio più ridicolo nell’intera storia dei telefilm. E forse non solo dei telefilm, ma di tutta la cultura occidentale moderna.
Clay, un tizio cui è morta la moglie ed è finito sotto shock. Talmente sotto shock, che per 6 anni ha rimosso dalla sua mente il fatto di avere un figlio. Chi non si scorda una cosa del genere?
Per quanto sotto shock fosse, comunque, la cosa non gli impediva di scopare e fare il nottambulo in giro allegramente, però ricordarsi di avere un figlio no…
Questo per dire giusto il colpo più basso inferto dagli sceneggiatori a una serie già malandata.
Però certo che anche altri personaggi non scherzano.
Tanto per dirne giusto qualcuno:
Quinn, la sorella inutile di Haley, un personaggio privo di personalità del tutto campato lì.
Jamie, il figlio di Nathan e Haley, uno che a 3 anni parlava già come un uomo maturo e coscienzioso di almeno 50 (ma gioca con i Pokemon e non rompere i coglioni!).
Julian che arrivato alla stagione 6 era un bastardo di prima categoria e poi si è trasformato per amore di Brooke nel più zerbino degli uomini zerbini.
"MISSING: il vero One Tree Hill dov'è finito?"
Chase, un tizio interpretato da Stephen Colletti, un tizio che interpretava la versione fittizia di se stesso nella reality-fiction di Mtv Laguna Beach. Fate voi…
Insomma, la qualità della serie, a livello non solo di sceneggiature e di personaggi, ma anche recitativo è andata davvero alle ortiche. Dico alle ortiche per non dire di peggio, ché questa serie è seguita anche dai bambini (negli ultimi tempi è diventata proprio una serie da bambini, senza offesa per i bambini) quindi non voglio essere diseducativo.
Le stagioni 7 e 8 sono state un vero calvario per chi aveva sempre seguito la serie con affetto. Se le ho guardate è grazie solo agli eterni idoli di Italian Subs Addicted, che hanno accompagnato le traduzioni tradizionali con una variante in cui inserivano i loro spassosissimi commenti. Una vera pietra miliare nella storia dei sottotitoli italiani.
People always leave. E, dopo 9 lunghi anni,
finalmente anche One Tree Hill...
La nona e finalmente conclusiva stagione ha segnato un piccolissimo miglioramento rispetto alle 2 precedenti, però il livello è rimasto sempre infimo. Tra gag bambinesche e l’ennesimo rapimento, portato avanti per un numero esagerato di episodi, l’unico a regalare qualche sorriso non involontario è stato il personaggio di Chris Keller, un musicista megalomane, sborone e che parla di sé sempre in 3a persona già apparso in passato e tornato con la sua ironia a cercare di salvare una serie sprofondata ormai nella tristezza totale. Troppo poco comunque per evitare la catastrofe.
Dopo 9 stagioni e dopo 187 altalenanti episodi, come hanno deciso di fare finire tutto?
Con un finale agghiacciante! In quale altro modo, altrimenti?
Se l’idea del passaggio di testimone alle nuove generazioni è molto harrypotteriana, prevedibile e scontata, però nemmeno così malaccio, a risultare davvero pessima è stata la realizzazione del tutto: da un momento all’altro, si è passati dal presente al futuro, con i vari personaggi più in là negli anni. Solo che sono tutti vestiti e pettinati come lo erano nella scena precedente… non dico lo sbattone di truccarli per fargli avere le rughe o farli sembrare un pochino più invecchiati, però almeno un cambio d’abiti non sarebbe stato malaccio…
Davvero un peccato, questo progressivo sprofondare nelle tenebre della peggio tv, perché le ultime 3 stagioni sono riuscite a cancellare quasi del tutto il ricordo di una serie che invece per anni si era mantenuta su livelli molto alti. Se non altro, One Tree Hill ci ha dato una lezione che già conoscevamo, ma che è sempre importare ricordare: il gioco è bello quando dura poco.
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