Ieri si è riso e scherzato su Hunger Games, prendendo (più o meno) amichevolmente in giro la trama nel post Hunger Gays.
Oggi invece si fa sul serio. O quasi…
(USA 2012)
Titolo originale: The Hunger Games
Regia: Gary Ross
Cast: Jennifer Lawrence, Josh Hutcherson, Liam Hemsworth, Woody Harrelson, Elizabeth Banks, Stanley Tucci, Wes Bentley, Willow Shields, Lenny Kravitz, Amandla Stenberg, Alexander Ludwig, Paula Malcomson, Toby Jones, Isabelle Fuhrman, Jacqueline Emerson, Philip Troy Linger, Donald Sutherland
Genere: giochi senza frontiere
Se ti piace guarda anche: Battle Royale, Atto di forza, Tron: Legacy, Il domani che verrà - The Tomorrow Series
(romanzo, USA 2008)
Titolo originale: The Hunger Games
Pagine: 376
Casa editrice italiana: Mondadori
Se ti piace leggi anche: 1984, Il signore delle mosche, Il mito di Teseo, Battle Royale (manga)
Genesis
Cominciamo dall’inizio. Da Suzanne Collins, che un bel giorno si sveglia e ha una bella idea per un romanzo. L’idea di per sé non è delle più originali. L’autrice afferma che le è venuta mentre cazzeggiava e faceva zapping in tv, alternando qualche reality con un reportage dalla guerra in Iraq.
Reality + guerra = Hunger Games.
Reality + guerra = Hunger Games.
“Perché non è venuto in mente a me?” si è chiesta Maria de Filippi.
Alla base della storia vi sono inoltre i ricordi personali della Collins di quando il padre combatteva in Vietnam e di come è andato a scovare il colonnello Kurtz. Ah no, quello è Apocalypse Now.
Ma, soprattutto, alla base vi è il mito di Teseo.
"Ma perché nel nostro film non c'hanno messo Jennifer Lawrence? Almeno morivamo felici..." |
E Battle Royale? Il romanzo, nonché manga, nonché film giapponese?
È vero, i punti di contatto ci sono, piuttosto evidenti, soprattutto per quanto riguarda i Games veri e propri, però l’ispirazione principale è quella del mito secondo cui gli atieniesi ogni 9 anni mandavano 7 ragazzi e 7 ragazze ad un incontro, amichevole, con il Minotauro.
Quindi okay: Hunger Games è una copiatura. Però non di Battle Royale, bensì di un mito greco. E allora, ecco, lo dico: prima di sparare merda contro i miti di noi ggiovani come Hunger Games, almeno documentatevi, almeno!
Anche perché il tema di un gruppo di ragazzini costretti a scannarsi tra loro non è prerogativa del pur splendido e potentissimo Battle Royale, bensì è presente pure in altre opere come Il signore delle mosche. Ma quello mi sa che è servito più da ispirazione per Lost…
Sicuramente Hunger Games parte da uno spunto simile a quello di Battle Royale, però dire che ne sia la semplice copia americana è molto limitativo. La prima parte di HG, quella di preparazione ai giochi, è del tutto assente in BR, così come HG è parecchio più incentrato su una sorta di parodia estremizzata dei reality-show che non sulla violenza fine a se stessa. La storia è sviluppata poi intorno a un personaggio principale, quello di Katniss, mentre BR è molto più dispersivo e racconta un numero esagerato di sottostorie e di sottopersonaggi, non tutti ugualmente interessanti.
Analogo in entrambi è il senso di critica, però è una critica più politica in BR, dove viene preso di mira il Giappone del periodo fascista, mentre quella di Hunger Games è una critica di stampo orwelliano più sociale e ancora più attuale: agli Stati Uniti del presente, a un sistema capitalistico malato, al pubblico dei reality-show.
"Certo che se Taricone era ancora in vita, due colpi davanti alle telecamere non si sarebbe fatto problemi a darmeli. Mica come te, Peto..." |
Al di là del semplice gioco al massacro cui sono costretti a partecipare i 24 giovani Tributi dei vari Distretti, l’aspetto più interessante degli Hunger Games è il loro riflettere i meccanismi dei reality-show televisivi. La storia in tal senso è perfettamente giocata sul non far capire i veri sentimenti di Katniss e Peeta. Sono innamorati per davvero o è solo una messinscena per ottenere i favori degli sponsor e del pubblico? Un rapporto realtà/finzione mai svelato del tutto, perché è proprio così che funzionano i reality. Se Katniss sottostà alle regole del gioco non è per cambiare il sistema dall’interno. I suoi intenti, almeno in questo primo capitolo della saga, non sono tanto politici. A lei interessa soltanto l’unica cosa che ha conosciuto da quando è in vita: sopravvivere.
Se non uccide brutalmente gli altri concorrenti, non è tanto per un senso di buonismo in lei del tutto assente. È solo perché quella è la tecnica migliore che ha escogitato insieme al suo tutor Woody Harrelson. Aspettare che gli altri si scannino, scappare e solo dopo diventare lei stessa cacciatrice.
Se non uccide brutalmente gli altri concorrenti, non è tanto per un senso di buonismo in lei del tutto assente. È solo perché quella è la tecnica migliore che ha escogitato insieme al suo tutor Woody Harrelson. Aspettare che gli altri si scannino, scappare e solo dopo diventare lei stessa cacciatrice.
Il segreto del suo successo
Hunger Games è un blockbusterone assolutamente atipico. C’è una componente fantascientifica, ma gli effetti speciali non hanno mai la meglio sulla storia e sui personaggi. La vicenda sentimentale non viene caricata troppo e, anzi, ricopre un ruolo ancora minore rispetto al libro. In entrambi i casi, romanzo e pellicola, siamo comunque lontani anni luce dalle smancerie twilightiane. Non ci sono poi nemmeno vampiri, licantropi, maghetti, supereroi o altri personaggi tipici dei successoni degli ultimi anni. Non ci sono grosse scene d’azione, a parte il combattimento finale, e questo è il motivo per cui probabilmente qualcuno l’ha bollato come “noioso”. E non è nemmeno un film uscito in 3D!
Allora, perché è diventato un fenomeno globale?
Forse perché, come abbiamo visto, nasce come un mix di influenze dal passato anche molto remoto dei miti greci quanto dal presente di Battle Royale in versione occidentalizzata ed è una critica alla reality tv che ha imperversato negli ultimi anni. Uno dei motivi del successo di questa saga sta quindi tutto qui, nel riuscire a riflettere la società di oggi attraverso archetipi di stampo classico.
Un altro motivo del suo successo?
Forse anche lei, Jennifer...
Un altro motivo del suo successo?
Forse anche lei, Jennifer...
L'autrice della saga letteraria Suzanne Collins non è una virtuosa della parola. Non è una scrittrice sopraffina. Il suo stile è molto semplice e di immediata comprensione. Suzanne Collins ha però una dote rara: sa tenerti incollato alla pagina. Quando mi sono addentrato nella lettura di Hunger Games ho pensato: “Mi leggo il primo capitolo, poi se non mi prende aspetto di vedermi il film per sapere come avanti la storia.”
Invece mi ha preso, cazzo se mi ha preso.
Ogni capitolo si chiude in una maniera diabolica, con un colpo di scena, una rivelazione che ti costringe ad andare avanti nella lettura. Uno stratagemma che ricorda la costruzione degli episodi delle serie tv più avvincenti, come Lost, dove si accumula e si accumula la tensione, fino a che sul più bello parte lo stacco pubblicitario. Il suo stile di scrittura è quindi molto moderno, molto televisivo, molto young adult, visto che il pubblico di riferimento è quello ggiovane, ma la sua fruibilità risulta universale. E il suo stile è anche molto cinematografico.
"Potrei aver aggiunto del Roipnol al tuo cocktail. Però bevi tranquilla, Katniss." |
Il pregio, e anche il limite, dell’adattamento per il grande schermo è quello di aver preso il libro pari pari e averlo semplicemente trasposto in immagini. Opinione personale: gli adattamenti migliori dei film sono quelli infedeli, almeno in parte, all’originale, perché il mezzo letterario e quello cinematografico sono parecchio differenti e quindi se ci si limita a una semplice traduzione da un media all’altro, qualcosa inevitabilmente va “lost in translation”.
Gary Ross e Billy Ray, unendosi nella sceneggiatura a 6 mani con Suzanne Collins, si sono quindi mantenuti molto fedeli all’originale, e lo si può accettare, però avrebbero potuto osare qualcosa di più. Una scelta piuttosto azzeccata, e per nulla scontata, che hanno fatto è comunque stata quella di NON adottare la voce fuori campo.
Il romanzo è scritto in prima persona e tutti gli eventi li viviamo attraverso lo sguardo di Katniss Everdeen. La scelta più facile sarebbe stata quindi quella di inserire la voce off della protagonista per spiegarci il suo punto di vista e tutto quello che succede. Così non è e credo sia un bene. La voce fuori campo può portare a risultati straordinari, come in Viale del tramonto, American Beauty o nei film di Terrence Malick, soprattutto quando viene usata per dare voce all’interiorità dei personaggi, però il più delle volte si rivela uno stratagemma pigro per raccontare a parole ciò che può essere raccontato con le immagini.
Optando per una scelta del genere, nel film di Hunger Games molte cose non sono spiegate e per chi non ha letto il libro possono risultare di difficile comprensione. La storia a grandi linee arriva a tutto il pubblico, però ci sono un sacco di piccole finezze che possono essere colte solo da chi ha letto il romanzo. Ad esempio, Gale che chiama scherzosamente la protagonista Katnip, storpiando il suo nome, o il gesto di rispetto che le rivolgono le persone del Distretto 12 quando decide di prendere il posto di tributo di sua sorella, o ancora la scena da brividi con il saluto di Katniss alla gente del Distretto 11 dopo la morte della loro Rue. Il momento emotivamente più forte della pellicola.
Questo è un pregio come anche un difetto della pellicola: un pregio perché comunque in un film non può essere spiegato tutto in maniera didascalica, altrimenti anziché 2 ore dovrebbe durarne 4, un difetto, perché sono delle piccole (ma nemmeno troppo) chicche che aggiungono significato e spessore alla storia, ma soprattuto alla figura di Katniss che emerge come personaggio molto più tridimensionale su carta che non su pellicola.
"Lenny, ma ti sembra questo il momento per fare del sesso selvaggio? Comunque forza, prendimi su questo lettino, sarò la tua American Woman!" |
Sia il romanzo che il film sono divisi nettamente in due parti. La prima è quella costruita meglio, quella in cui il senso di ineluttabilità circonda la vita della protagonista. Un aspetto che nel film forse non è del tutto comprensibile a chi non ha letto il libro è l’incapacità, quasi totale, di amare o di provare emozioni da parte di Katniss. La sua non è un’apatia esistenziale, né una cattiveria intrinseca. È nata in un mondo privo di bellezza e soprattutto di speranza. Ogni cosa capita e bisogna accettarla. Ci sono i cazzo di Hunger Games? Seguiamo le estrazioni degli Hunger Games. Bisogna partecipare agli Hunger Games? Partecipiamo agli Hunger Games.
Panem è un mondo anestetizzato, in cui i Distretti più poveri non hanno niente, sono stati del tutto annientati e non hanno nemmeno la forza di ribellarsi. A questo servono gli Hunger Games. A privare la gente della capacità di immaginare un futuro diverso. “Non voglio avere figli” dice Katniss, perché questo non è un mondo in cui sente che una nuova creatura meriti di vivere, un po' come pensa Lori Grimes nella terra post-zombie di The Walking Dead.
Il suo atteggiamento non è comunque per nulla passivo: quando, con un colpo di sfiga totale, viene estratta la sorellina Prim come Tributo (ma sarebbe meglio dire Sacrificio) per gli Hunger Games, lei si offre per prendere il suo posto. E quando durante la competizione/show muore la sua amichetta Rue, lei le porge dei fiori come saluto funebre prima che vengano a rimuovere il cadavere, sebbene sia una cosa proibita. Ma l’affronto più grande Katniss lo compie nel finale, quando minaccia di suicidarsi in diretta insieme a Peeta. Questo è un aspetto poco approfondito nel film, che rimane fedele a grandi linee al romanzo, tranne proprio nella cruciale conclusione. La pellicola si chiude con un lieto fine, il trionfo dei due eroi che tornano a casa. Nel libro invece, per quanto trionfatori, si sentono entrambi sconfitti. Peeta, che viene rifiutato dalla sua amata, ma anche Katniss, incerta dei suoi sentimenti per Peeta e per Gale e convinta che, a causa dell’umiliazione inflitta agli autori degli Hunger Games, il peggio per lei debba ancora venire.
Un peccato che il finale del film addolcisca una pellicola che per il resto è decisamente scura e riflette bene prima l’atmosfera deprimente del Distretto 12 e poi quella surreale e kitsch dei preparativi agli Hunger Games in quel di Capitol City.
Come dicevamo, la storia è divisa in due parti distinte. Se la seconda parte, quella degli Hunger Games veri e propri, segue le trame del survival in maniera avvincente (soprattutto nel romanzo) ma comunque piuttosto tradizionale, a convincere di più è tutta la grandiosa prima parte. È qui che Katniss si ritrova catapultata all’improvviso dalla sua vecchia vita nel Distretto 12, apparantemente grigia e priva di soddisfazioni, eppure anche piena di piccoli piaceri quotidiani, agli sfarzi di Capitol City.
Un contrasto stridente in cui le sue emozioni sono combattute. La vita vera per lei è sempre stata dura, nel Distretto più merdoso di Panem, dove ogni giorno deve andare a caccia per provvedere alla famiglia, visto che il padre è morto in un incidente in miniera. I piccoli piaceri sono però dati dall’andare a caccia in compagnia dell’amico e forse qualcosa più che amico Gale, o dal vedere il sorriso sul volto di quella cagacazzo di sua sorella dopo averle regalato una capretta.
Da quando entra tra i concorrenti degli HG, tutto invece diventa più facile: il cibo è buonissimo e sempre a disposizione, la sua stanza è piena di ogni comfort e anche il suo aspetto cambia. Da ragazzetta mascolina si trasforma in un gran figone. Quella però non è lei. La vera Katniss è la Katniss cacciatrice, quella dei boschi. C’è una scena molto bella e simbolica, nel film, in cui Katniss sceglie cosa vedere alla finestra della sua lussuosa camera: alle immagini della bella vita a Capitol City, lei preferisce gli alberi del distretto 12, la sua sola e unica casa.
La scelta di Jennifer Lawrence come protagonista era la più ovvia, almeno per chi ha visto Un gelido inverno - Winter’s Bone. Il personaggio di Katniss è infatti molto vicino alla Ree di quel film. Entrambe sono costrette a crescere senza il padre e a occuparsi della famiglia, vista l’incapacità delle madri. Entrambe sono in qualche modo cacciatrici. Entrambe vivono in due mondi (più reale uno, più immaginario ma nemmeno troppo l’altro) desolati, dove non c’è speranza di un miglioramento di vita effettivo. Entrambe vanno avanti con grandi dignità e senza mostrare mai le proprie emozioni, eppure mantengono sempre anche un certo senso di positività, di coraggio. Per quella parte, Jennifer Lawrence s’era beccata una meritata nomination agli Oscar e pure qui si conferma assolutamente perfetta.
Se proprio vogliamo trovarle un difetto, si può dire che è persino troppo gnocca per il ruolo, visto che nel libro la figura di Katniss sembra esteticamente meno dirompente. Però, oh, è un difetto che possiamo accettare.
Nella parte di Peeta, il ragazzotto apparentemente ingenuo e sprovveduto che si trova suo malgrado a dover affrontare gli Hunger Games, è stato ingaggiato un altro mio idolo personale: Josh Hutcherson. Josh Hutcherson della commedia indie I ragazzi stanno bene e soprattutto dello splendido, commovente, fondamentale Un ponte per Terabithia, insieme a questo Hunger Games uno dei prodotti teen più interessanti e intelligenti degli ultimi anni. Con quella faccia da cane bastonato, quasi una versione al maschile di Carey Mulligan, è pure lui ideale per la parte. Azzeccato, in fin dei conti, pure il piuttosto inespressivo Liam Hemsworth (finora noto per essere il boyfriend di Miley "Hanna Montana" Cyrus e il fratello di Chris "Thor" Hemsworth) nei panni del pane e salame Gale, al momento piuttosto ininfluente nella storia ma in attesa di ricoprire un ruolo maggiore nei prossimi due capitoli della saga.
Grandioso, ma non è una sorpresa, Woody Harrelson come tutore e mentore ubriacone dei due Tributi del Distretto 12 e bene pure Lenny Kravitz, che dopo Precious si conferma credibile anche come attore. A lasciare un po’ più perplessi è una irriconoscibile Elizabeth Banks nei pitturatissimi panni di Effie Trinkett/Lady Gaga 2.0, personaggio che con la sua bonaria stupidità risultava più divertente all’interno del romanzo.
"Ti faccio diventare orphan di nuovo, cara Katniss!" |
Er Direktor
Quando parliamo di un franchise, il nome del regista ha un peso relativo. Non ci troviamo ad avere a che fare con un’opera d’autore. Non d’autore a livello cinematografico, almeno, visto che il peso come autrice sembra essere rimasto saldo tra le mani di Suzanne Collins. Per quel che può valere, quindi, dietro la macchina da presa di questo primo capitolo della trilogia collinsiana è stato messo Gary Ross. Gary Ross che io voglio ricordare per quello splendido incanto di Pleasantville e non per il successivo Seabiscuit che, essendo allergico alle pellicole con i cavalli, ho sempre evitato di vedere. E poi… basta, ha diretto solo questi due film.
Pleasentville che pure era un’acuta riflessione sul potere della televisione: in quel caso ci si concentrava su una vita da sitcom anni ’50, mentre in Hunger Games i riflettori sono accesi su un reality-show portato alle estreme conseguenze.
Quasi quasi me lo rivedo, Pleasantville, che era poesia allo stato puro…
"Hai finito di cercare di inquadrarmi il culo?" |
Per il prossimo episodio della saga, pare che Ross volesse più soldi e allora l’hanno rimpiazzato. La scusa ufficiale è che non aveva abbastanza tempo per preparare adeguatamente la pellicola, visto che è prevista in uscita per il novembre 2013 e in “solo” un anno e mezzo non ce la faceva… E così per La ragazza di fuoco (Catching Fire) hanno chiamato Francis Lawrence, non proprio una sceltona illuminata visto che ha diretto i modestissimi Constantine, Io sono leggenda e Come l’acqua per gli elefanti. Perché hanno scelto proprio lui? Probabilmente hanno fatto estrarre a Effie Trinket un nome a caso tra quelli del Distretto 12 dei registi.
Una grande cura al progetto Hunger Games è stata riposta anche nei dettagli, nonostante il budget relativamente contenuto per una grande produzione del genere (“appena” $78 milioni, fonte IMDb). Dai costumi molto kitsch della gente di Capitol City (a metà strada tra un video di Lady Gaga e quello di “Black Hole Sun” dei Soundgarden), alla notevole fotografia di Tom Stern (abituale collaboratore di Clint Eastwood), per arrivare alle musiche, orchestrate dall'esperto nel settore James Newton Howard (Il sesto senso, Il cavaliere oscuro, Collateral e un sacco di altre robe), autore di uno dei suoi score più riusciti degli ultimi anni.
Il fischio di Katniss che viene riprodotto in stereo dalle ghiandaie imitatrici, nella sua semplicità è poi una delle melodie che più mi rimarranno impresse di quest’annata cinematografica. Davvero inquietante.
Ottima anche la soundtrack uscita in accompagnamento al film, per quanto le canzoni dal Distretto 12 non vengano effettivamente utilizzate all’interno della pellicola, a eccezione del grandioso pezzo degli Arcade Fire “Abraham’s Daughter” suonato sui titoli di coda.
Le canzoni dal “Distretto 12 and Beyond” comunque fanno la loro bella figura come ascolto a parte e riescono a rendere bene l’atmosfera della pellicola. La proposta è parecchio varia e passa dal rap-rock di Kid Cudi al folk dei Decemberists, dal country di Neko Case e Miranda Lambert alla ballatona di Birdy, più dei Maroon 5 sorprendentemente (e irriconoscibilmente) riflessivi. E persino Taylor Swift riesce a fare la sua porca figura in inedita versione (all'incirca) rockeggiante con “Eyes Open” e nella sua più consueta veste virgin-pop-country con “Safe and Sound”.
"Nessuno riuscirà a fermarmi. Nemmeno mio figlio Jack Bauer!" |
In the end
Per chiudere (in)degnamente questo post fiume, quello di Hunger Games è un mondo parecchio sfaccettato e complesso, che la pellicola è riuscita a ricreare in maniera per forza di cose più stringata rispetto al romanzo. Il personaggio di Katniss non viene fuori nella sua interezza, visto che si è scelto di evitare l’uso della voce fuori campo, eppure prende vita grazie allo sguardo freddo e impassibile di una Jennifer Lawrence perfetta. Per quanto nell’adattamento si potesse osare qualcosa in più, l’unico scivolone della pellicola risulta comunque il finale, in cui si sceglie l’happy ending e la tipica americanata di chiusura con il cattivone, anziché l’amarezza della conclusione del libro di Suzanne Collins. Decisamente meno “commerciale”, ma più efficace e malinconico.
In attesa di scoprire i prossimi due capitoli, nel complesso ne esce un primo episodio di una teen saga, anzi young adult saga, che poco o nulla ha a che fare con le altre serie fantasy in circolazione. E allora dopo questo post (quasi) serioso, permettemi una chiusura da perfetto bimbominkia: Hunger Games dà un sacco di merda a Twilight ed Harry Potter. Tiè, vampirelli e maghetti, io faccio parte del Team Katniss!
(voto al libro: 8/10
voto al film: 7,5/10)