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mercoledì 17 febbraio 2016

Lance Armstronz





The Program
(UK, Francia 2015)
Regia: Stephen Frears
Sceneggiatura: John Hodge
Tratto dal libro: Seven Deadly Sins: My Pursuit of Lance Armstrong di David Walsh
Cast: Ben Foster, Chris O'Dowd, Guillaume Canet, Jesse Plemons, Lee Pace, Dustin Hoffman, Elaine Cassidy, Laura Donnelly, Denis Ménochet, Bryan Greenberg
Genere: (anti)sportivo
Se ti piace guarda anche: Rush, L'inventore di favole, Steve Jobs

C'è stato un periodo, un sacco di tempo fa, in cui seguivo il ciclismo. È una di quelle cose che non me le so spiegare, io. Oggi come oggi non riuscirei a immaginare qualcosa di più noioso del seguire una gara ciclistica. Forse giusto rivedere Macbeth.
Quando ero un ragazzetto, invece, il ciclismo mi piaceva. Lo seguivo proprio. È stato un periodo di tempo breve, per fortuna. Per fortuna anche per voi splendidi lettori, perché se non mi fosse passata quella fissa magari oggi Pensieri Cannibali parlerebbe di Giro d'Italia, Tour de France e Vuelta, anziché di Festival di Venezia, Cannes e Vulva. L'avreste letto lo stesso?
Io non credo.

lunedì 10 marzo 2014

GIOVANI MAGHETTI RIBELLI




Giovani ribelli – Kill Your Darlings
(USA 2013)
Titolo originale: Kill Your Darlings
Regia: John Krokidas
Sceneggiatura: Austin Bunn, John Krokidas
Cast: Daniel Radcliffe, Dane DeHaan, Ben Foster, Jack Huston, Michael C. Hall, Elizabeth Olsen, David Cross, Jennifer Jason Leigh, Erin Darke
Genere: maledetto
Se ti piace guarda anche: L’attimo fuggente, Poeti dall’inferno, Wilde

In questo film, Harry Potter è un giovane ribelle...
buaahahahah
BUAHAHAHAHAH

BUAHAHAAHHAHAHAHAHA

Ok, lasciatemi riprendere un momento. Allora, dicevo che Harry Potter è un giovane ribelle…

BUAHAHAHAHAHAH

No, non ce la posso fare!
Sarebbe un giovane ribelle contro cosa, contro quel cattivone di Voldemort?
Il problema di Daniel Radcliffe è quello tipico di un attore che ha interpretato un ruolo talmente identificativo che poi ce l'ha davvero dura a staccarselo di dosso. Prendiamo ad esempio Mark Hamill.
CHIIIIII?
Ecco, appunto. Mark Hamill chiiiiiii?


Mark Hamill è meglio conosciuto come Luke Skywalker nella saga di Guerre stellari, per il resto cos’ha fatto?
Boh.
Per carità, tanto di cappello a lui che sarà ricordato almeno per una cosa nella vita. Mica è da tutti. Tornando al nostro protagonista di giornata, credo che Daniel Radcliffe sia destinato a fare la stessa fine di Hamill. Da un ruolo entrato nell’immaginario collettivo è anche possibile scostarsi. Leonardo DiCaprio ad esempio è riuscito, sebbene non senza fatica, a levarsi di dosso l’etichetta di teen idol che gli è stata appioppata con Titanic. Ci sono però due condizioni necessarie perché ciò avvenga:
1) Essere un ottimo attore
2) Compiere le scelte recitative giuste

Per quanto riguarda il punto numero 1, il nostro (nostro? diciamo pure vostro) Daniel Radcliffe non mi sembra proprio appartenere alla categoria. Imbambolato come pochi, ha solo due espressioni: una con gli occhialetti tondi e una senza occhialetti tondi.
Per quanto riguarda il punto numero 2, Radcliffe ci sta provando a staccarsi dai ruoli da maghetto sfigato, di questo gli va dato atto. Ad esempio in The Woman in Black aveva il ruolo di un padre. Peccato solo che apparisse del tutto inappropriato per non dire ridicolo in una parte del genere, visto che dimostrava (e dimostra ancora adesso) circa 8 anni. 9 al massimo. Persino come teen mom sembrerebbe troppo infantile.
Con Giovani ribelli – Kill Your Darlings, Daniel Radcliffe si lancia in una nuova difficile sfida, interpretando il ruolo del poeta della beat Generation Allen Ginsberg. Bene, un ruolo del tutto differente rispetto a quello nella saga di J.K. Rowling… O forse non del tutto?
Vediamo la trama del film. 

Harry, pardon Allen è un ragazzo che riesce a entrare in una prestigiosa scuola.
Hogwarts?
No, la Columbia University. Qui stringe amicizia con altri due studenti. Hermione e Ron?
No, purtroppo niente Emma Watson, in questo film, ma mannaggia. I suoi nuovi amichetti sono il futuro giornalista Lucien Carr e il futuro scrittore William Burroughs. Nella parte del primo c’è Dane DeHaan, quello di Chronicle, nella parte del secondo c’è Ben Foster. Loro sì due ottimi attori, sorry Potter. All’elenco dei membri del cast ci aggiungiamo pure la (quasi) sempre impeccabile Elizabeth Olsen che fa dimenticare lo scivolone nell’orrido remake americano di Oldboy, e Jack Huston di Boardwalk Empire, qua impegnato a ritrarre un Jack Kerouac più efficace di quello visto nel recente On the Road (sebbene in quel caso fosse un alter ego dello scrittore).
Inoltre nel corso del film Michael C. Hall (sì, Dexter in persona), dice ad Allen Ginsberg che potrebbe salvare il mondo. Proprio come quelli della scuola di Hogwarts facevano con Harry Potter. In pratica, alla faccia del cambio radicale di ruolo, questa pellicola è una specie di rilettura beat generation di Harry Potter. O qualcosa di simile.

"Non ti posso dare questo drink, Harry, se prima non mi mostri un documento."
Per altri versi, Giovani ribelli si dirige invece dalle parti del racconto di formazione, quello a metà strada tra L’attimo fuggente e Il giovane Holden, e in questo avvince e convince. Fa respirare l’eccitazione tipica dell’adolescenza, di chi scopre le cose per la prima volta, di chi entra in contatto con delle personalità ricche di carisma, di chi vuole lasciare una traccia importante nel mondo. Non per salvarlo, come Harry Potter, ma per cambiarlo a suon di parole con il proprio personale stile di scrittura.
Il regista John Krokidas riesce a rendere bene questo fermento culturale, attraverso inserti visionari e invenzioni stilistiche che ricordano Le regole dell’attrazione, un montaggio veloce e una colonna sonora che mixa il jazz del periodo con sonorità moderne di Tv on the Radio, Bloc Party e titoli di coda coi Libertines. La pellicola è un interessante esperimento che unisce un certo classicismo tipico del racconto di formazione tradizionale con un gusto post-moderno e, pur non raggiungendo i livelli sublimi di un Baz Luhrmann, è coraggioso abbastanza da farsi apprezzare. Tutto questo nella prima valida parte. Nella seconda spenta metà, il film si concentra invece su una vicenda dalle tinte thriller non particolarmente affascinante, accantonando il cuore della pellicola, ovvero il rapporto tra i protagonisti e la loro dirompente forza artistica e creativa.

La pecca principale della pellicola comunque sta in lui, Harry, volevo dire Daniel Radcliffe. Per quanto qui mi pare sia alla sua migliore prova interpretativa finora, non riesce ad annullarsi dietro al suo personaggio. Non riesce mai a diventare Allen Ginsberg e resta sempre un Harry Potter che cerca di fare il poeta maledetto. Un grave difetto, perché con un protagonista migliore ci saremmo trovati probabilmente di fronte a un gioiellino, mentre così abbiamo una pellicola “solo” gradevole, che comunque non è poco.
Kill your darlings?
No, kill Harry Potter!
(voto 6/10)

Non c'entra niente con il film, però questa foto è troppo fantastica e non potevo non condividerla con voi, miei adorati lettori.

giovedì 27 febbraio 2014

LONE SURVIVOR – NE RESTERÀ SOLTANTO UNO




Lone Survivor
(USA 2013)
Regia: Peter Berg
Sceneggiatura: Peter Berg
Ispirato al libro: Lone Survivor: The Eyewitness Account of Operation Redwing and the Lost Heroes of Seal Team 10 di Marcus Luttrell, Patrick Robinson
Cast: Mark Wahlberg, Taylor Kitsch, Emile Hirsch, Ben Foster, Eric Bana, Alexander Ludwig, Jerry Ferrara, Yousuf Azami, Ali Suliman, Rick Vargas
Genere: bellico
Se ti piace guarda anche: Captain Phillips, Zero Dark Thirty, Friday Night Lights

Avete visto Zero Dark Thirty?
No?
Risposta sbagliata. Questa non era una domanda in cui tutte le risposte vanno bene. No è la risposta sbagliata, quindi correte subito a vederlo.

L’avete visto adesso?
Bravi. Cosa c’entra Lone Survivor con Zero Dark Thirty?
A livello cinematografico non molto. Zero Dark Thirty è un quasi capolavoro, Lone Survivor è un film quasi decente. A livello di tematica hanno però qualcosa in comune. Il filmissimo di Kathryn Bigelow si concentrava soprattutto sull’ossessione di una donna nei confronti di un uomo. Non si trattava però né di una romcom, né della pellicola su una stalker psicopatica. L’uomo a cui dava la caccia era infatti un certo bin Laden.
Ma uno più bello cui dare la caccia no, eh?” si chiederà qualcuno a questo punto.
La parte finale di Zero Dark Thirty comunque era incentrata sulla missione compiuta dai Navy SEALs per stanarlo e catturarlo.
Lone Survivor è su questi ultimi che si concentra. Non ci racconta della stessa missione, ma ce ne presenta un’altra, avvenuta qualche anno prima, più precisamente nel 2005. Una vicenda veramente accaduta raccontata in un libro diventato ora una pellicola cinematografica, tra l’altro di grande successo negli USA dove ha sfondato il muro dei $100 milioni di incasso, traguardo niente male per un film bellico.

Se in Zero Dark Thirty la protagonista era Jessica Chastain, esticazzi, qui in Love Survivor la storia è incentrata sui Navy SEALs, buuu. Nella prima mezz’ora, la parte migliore della pellicola, assistiamo a un interessante spaccato della loro esperienza nell’esercito, con qualche lampo riguardante la loro vita privata che ci consente di avvicinarci un pochino a loro. Una cosa che in altri recenti film survival, perché pur sempre di questo alla fin fine fondamentalmente si tratta, come All Is Lost e Gravity non avviene. Un aspetto positivo che metterei di certo tra i punti, purtroppo non molti, a favore del film.

"SOS! Sullo smart phone non mi funzionano più le app.
Potete fare subito qualcosa che devo finire una partita a Quiz Duello?"
La parte iniziale è quindi promossa, anche perché fin dal primo istante si sente il tocco del regista Peter Berg.
Chi è Peter Berg?
È quello di Friday Night Lights, pellicola sul football americano di una decina d’anni fa diventata anche una omonima fortunata, almeno negli USA, serie tv di cui dalle parti di Pensieri Cannibali si è parlato sempre bene. I primi minuti fanno ben sperare, grazie alle musiche post-rock degli Explosions in the Sky e a dialoghi e atmosfere delicate che paiono dirigerci nella visione di una specie di versione bellica dello stesso Friday Night Lights, con i mitra al posto dei palloni ovali. Pure in questo caso, così come nella serie tv, si riesce ad andare oltre i classici stereotipi da cameratismo militaresco per provare a proporci un’immagine un pochino diversa dal solito dei soldati: dei ragazzi che vanno ai concerti dei Coldplay, ballano sulle note di Jamiroquai e a tavola disquisiscono amabilmente di carta da parati e arredamento. Verosimile o meno che ciò sia, non è la tipica rappresentazione di militari che si limitano a ruttare, scoreggiare, masturbarsi e ascoltare i Metallica. Quando si va oltre gli stereotipi, è sempre un bene.

Bene, bravo Peter Berg. Se il film si fermasse dopo mezz’ora, ci troveremmo di fronte finalmente a una pellicola bellica recente decente e originale. Poi però Peter Berg si ricorda di essere non solo l’autore di Friday Night Lights, ma anche il regista di Battleship e così Lone Survivor si trasforma nell’ora successiva in un filmone fracassone che spettacolarizza la guerra.
Io non ho niente contro la spettacolarizzazione della violenza. Il mio regista preferito è un certo Quentin Tarantino, ormai dovreste saperlo. Laddove però la sua è una violenza esagerata e fumettistica, persino quando si muove in contesti storici come quelli di Bastardi senza gloria e Django Unchained, qui ci troviamo in una pellicola tratta da una storia vera e che punta a un certo realismo di fondo. In un contesto del genere, certe scene spettacolarizzate non le ho davvero capite, come la tragicomica e insistita caduta da un dirupo, che mi ha ricordato quando Homer Simpson saltava la Gola di Springfield e cadeva rovinosamente. In quel caso l’effetto era comico, qua si rimane soltanto senza parole. Stesso discorso per la scena della morte di uno dei personaggi del film. Perché mostarcela in un modo così esagerato e con un tatto quasi degno di Vittorio Feltri? Bah.

"Forse la mattina appena sveglio dovrei prendere l'abitudine di lavarmi la faccia..."
Dopo Battleshit, ehm Battleship, Peter Berg si conferma allora come un Michael Bay intimista. Ha buone intuizioni, ci regala qualche momento niente male, ma poi finisce nella trappola del cinema-spettacolo ammericano più facile. Non stupisce che il pubblico yankee abbia apprezzato tanto la pellicola. Laddove come film giocattolo funziona ancora, se non altro più di un altro survival-realistico analogo come il soporifero Captain Phillips, a mancare alla visione è un minimo di profondità.
Il film non cerca di impelagarsi in implicazioni politiche. Questo da una parte è un bene, perché se non altro non scade nella propaganda pro-Bush che sarebbe apparsa discutibile già nel 2005, figuriamoci oggi. Dall’altra parte, non proponendo alcuna visione politica, Lone Survivor resta un action fine a se stesso. Una celebrazione dell’eroismo da parte di un gruppo di ragazzi, di uomini pronti a dare la loro vita, ma non si sa bene per quale motivo.

ATTENZIONE SPOILER
I titoli di coda che ci mostrano i veri soldati che sono morti durante l’operazione rappresentata nel film vorrebbero essere emozionanti, e immagino che per una parte del pubblico lo siano anche, ma a me sono sembrati una ruffianata degna di Studio Aperto. Del tutto fuori luogo poi le note di “Heroes” di David Bowie, qui proposta nella cover di Peter Gabriel. Che fossero uomini coraggiosi non lo metto in dubbio, ma eroi? Per quale motivo? Perché hanno combattuto per George W. Bush?

George W. Bush con Marcus Luttrell, interpretato nel film da Mark Wahlberg

Al di là di un discorso di tipo moralistico, sì oggi mi sento molto moralizzatore delle Iene, da un punto di vista cinematografico Lone Survivor è una pellicola troppo lunga, incerta se proporre una visione umanista oppure fracassona della guerra, con una serie di interpretazioni non molto memorabili da parte del solito poco efficace Mark Wahlberg e dei questa volta parecchio sottotono Ben Foster ed Emile Hirsch. Quello più in parte sembra Taylor Kitsch, cocco di Peter Berg che non è mai stato un mostro di recitazione. E il fatto che il migliore sia lui la dice lunga sull’impegno da parte degli altri…

Lone Survivor è allora la classica occasione sprecata. Non partivo con grosse aspettative ma la prima mezz’ora, dannato Peter Berg, era accattivante e promettente e mi aveva fatto ben sperare, peccato che poi il film diventi la solita americanata. E allora vai, anche questo post adesso si trasforma in un’americanata!

Dai, tutti con la mano sul cuore a cantare:

Oh, say can you see by the dawn's early light
What so proudly we hailed at the twilight's last gleaming?
Whose broad stripes and bright stars thru the perilous fight,
O'er the ramparts we watched were so gallantly streaming?
And the rocket's red glare, the bombs bursting in air,
Gave proof through the night that our flag was still there.
Oh, say does that star-spangled banner yet wave
O'er the land of the free and the home of the brave?
(voto 5,5/10)

domenica 26 gennaio 2014

SANTO DEL GIORNO… PARDON, FILM DEL GIORNO: AIN’T THEM BODIES SAINTS




Ain’t Them Bodies Saints
(USA 2013)
Regia: David Lowery
Sceneggiatura: David Lowery
Cast: Rooney Mara, Casey Affleck, Ben Foster, Keith Carradine, Jacklynn Smith, Kennadie Smith, Nate Parker, Rami Malek, Charles Baker
Genere: country 70s
Se ti piace guarda anche: La rabbia giovane, I giorni del cielo, Shotgun Stories, Un gelido inverno, Re della terra selvaggia

Ormai è sempre più difficile scoprire delle nuove chicche, delle novità di cui nessuno tra i sempre più preparatissimi colleghi blogger abbia già parlato. Magari questo Ain’t Them Bodies Saints è stato segnalato in lungo e in largo ovunque, ma nel caso io non c’ho fatto caso e in ogni caso credo sia comunque un film di cui si è parlato pochino. Perché?
Forse perché Ain’t Them Bodies Saints non è uno di quei film che fanno notizia. Non è glamour, non è cool, non è ruffiano, eppure è un’altra cosa: è una bella visione. Non un capolavoro, non un film fondamentale, niente di rivoluzionario, semmai una pellicola il cui potenziale non è stato sfruttato in pieno dall’acerbo regista David Lowery. Eppure è una bella visione. Sa come pizzicare nella maniera giusta le corde dell’anima (non escludo che quest’ultima frase potrebbe essere contenuta anche in un qualche romanzo di Moccia).

Ain’t Them Bodies Saints è un film delicato, gentile, non urlato. Riporta alla mente…
Terrence Malick.
Cosa sarebbe il cinema di oggi, soprattutto il cinema indie americano ma non solo, senza Terrence Malick?
Una merda, ecco cosa sarebbe.
Questo Ain’t Them Bodies Saints va in particolare a ripercorrere i sentieri selvaggi de La rabbia giovane, l’esordio di Malick. La vicenda è ambientata negli anni ’70. Degli anni ’70 anche in questo caso non “urlati”. Non sono dei 70s scintillanti come quelli di American Hustle. Non c’è in colonna sonora qualche pezzone di David Bowie o dei Sex Pistols o di Blondie o dei Bee Gees o di musica Disco che ci scaraventa subito boom in quel decennio. Non ci sono i pantaloni a zampa di elefante, i freakkettoni, o i discorsi sul Vietnam o i capelli impomatati alla John Travolta. Sono degli anni ’70 ricostruiti in maniera più sottile, meno appariscente. I richiami sono più che altro al cinema di quel decennio e soprattutto a lui, a Terrence Malick e al suo Texas.

Ain’t Them Bodies Saints è una storia d’amore, fondamentalmente. Una storia d’amore tra due criminali, ma non è una roba alla Bonnie e Clyde o alla Natural Born Killers. Subito a inizio film, i due vengono arrestati. Lui finisce in galera, lei, incinta, la mandano fuori per occuparsi della figlioletta, ma lui da dietro le sbarre non smetterà di pensare a lei, pensare a lei e alla figlia che non ha mai visto, e le manderà delle lettere piene di poesia. Il loro rapporto si limiterà a questo, fino a che…
Fino a che non ve lo dico. Non fate i pigri e scopritelo da soli, concedendo a questo film una visione, che se le merita.

"Bella questa lettera arrivata dal futuro da un certo Joaquin Phoenix del film Her."
Un motivo in più per cercarlo?
Oltre alla presenza dell'ottimo Ben Foster, le due splendide interpretazioni dei protagonisti: Casey Affleck, il fratello più bravo a recitare dell’Affleck più bravo a dirigere, Ben, e soprattutto Rooney Mara, la sorella più brava a recitare della Mara più porcellina, Kate.
Rooney Mara che brava è?
Bella anche, ma soprattutto brava. E sì che è bella forte, però la sua bravura forse è persino superiore. Tra l’altro qui ci regala un’ottima parlata del Sud, cosa non semplice per una come lei cresciuta negli ambienti hipster fighetti di NYC. La sua recitazione appare del tutto naturale, senza forzature, senza eccessi, senza scene madri da Oscar. Rooney Mara è un tutt’uno col personaggio, fine. Un’interpretazione splendida ma troppo poco sopra le righe, così come l’intero film. Non un film che sbarlicca le chiappe ai membri dell'Academy, quanto piuttosto un film da Sundance, dove infatti ha ricevuto un paio di premi lo scorso anno, o da Gotham Awards, i premi al cinema indipendente americano, dove infatti ha ricevuto la nomination come miglior film dell’anno insieme a 12 anni schiavo, Before Midnight, A proposito di Davis e Upstream Color.
Ain’t Them Bodies Saints è un piccolo gioiellino, una di quelle pellicole dal ritmo lento, che puzzano di country, di America de ‘na vorta, di cinema de ‘na vorta rivisitato con moderna sensibilità indie. Non sarà il nuovo Un gelido inverno (Winter’s Bone) o il nuovo Re della terra selvaggia (Beasts of the Southern Wild), film di cui in qualche modo è parente, però una visione vi ho convinto a concedergliela sì o no?
(voto 7/10)



martedì 12 novembre 2013

RAMPA-PA-PAPA RAMPART, UN FILM SU UN POVERO STRONZO




Rampart
(USA 2011)
Regia: Oren Moverman
Sceneggiatura: James Ellroy, Oren Moverman
Cast: Woody Harrelson, Robin Wright, Ben Foster, Cynthia Nixon, Anne Heche, Brie Larson, Jon Bernthal, Jon Foster, Audra McDonald, Sigourney Weaver, Steve Buscemi, Francis Capra, Ice Cube
Genere: bad cop
Se ti piace guarda anche: End of Watch – Tolleranza zero, Training Day, Il cattivo tenente, Southland

A un film che si apre sul faccione di Woody Harrelson non posso voler male. Così come un film che comincia con un primo piano delle chiappe di Scarlett Johansson come Lost in Translation non posso fare a meno di adorarlo. Vedete? Non è una questione sessuale, è una questione di icone cinematografiche. Woody e Scarlett sono mie due icone cinematografiche assolute. Che poi Scarlett sia anche una bella topolona, quello non importa. Oddio, è un di più non da poco, però non è l’unica cosa che conta.
Io Woody Harrelson l’ho sempre adorato, un po’ come Tom Hanks invece l’ho sempre odiato. Non so neanche spiegare bene il perché, è una sensazione, una cosa che senti a pelle. Non è qualcosa di razionale. Anche se, razionalmente parlando, Woody Harrelson è un attore della Madonna, mentre Tom Hanks è bravo solo a fare la parte dello scemo. Ma vabbè.

Il film Rampart è l’ennesima testimonianza della bravura di Woody Harrelson.
Per confermarlo, chiamo al banco dei testimoni Rampart.

Rampart: “Lo giuro davanti a Dio. Woody Harrelson è bravissimo.

"Hey Ben Foster, ma che fai?
Ti spacci per disabile per vincere un Oscar facile come Tom Hanks?"
Se non vi fidate della mia parola, potete fidarvi di questa testimonianza, no? E se non vi fidate manco di questa testimonianza, andate a ciucciarvi un film con Tom "Handicap" Hanks e non rompetemi le palle.
Perché quest’oggi sono così scontroso e irritabile?
Perché mi sono fatto contagiare dal personaggio di Woody Harrelson proprio in questo Rampart. Woody qui è un poliziotto corrotto, stronzo, violento, che si crede all’insopra della legge e pure di Dio. Non solo un bad cop, ma anche un uomo di merda: sbruffone, razzista, misogino, misantropo, un figlio di puttana come pochi. Il film ci ritrae questo personaggio in maniera cruda, senza cercare di farcelo stare simpatico, eppure allo stesso tempo senza evitare di mostrarci qualche suo lampo di umanità, soprattutto nel rapporto con le figlie. Perché uno può essere un poliziotto di merda, una versione più bastarda di Denzel “King Kong non è un cazzo in confronto a me” Washington in Training Day, e pure un uomo di merda, ma comunque un briciolo di umanità gli resta e Woody Harrelson è ancora una volta fenomenale nel portare in scena un personaggio così conflittuale e scomodo. Non siamo ai livelli delle sue migliori interpretazioni, come quelle in Larry Flynt – Oltre lo scandalo, Assassini nati – Natural Born Killers, Benvenuti a Zombieland od Oltre le regole – The Messenger, però ci siamo quasi.

A proposito di Oltre le regole – The Messenger, il regista di Rampart è lo stesso: Oren Moverman, un buon talento, secondo me però non ancora messo del tutto a fuoco e che in futuro potrà fare ancora meglio. Qui Moverman ci regala qualche scena notevole, come quella nel locale sulle note della devastante “Let There Be Light” dei Justice, mentre per il resto della pellicola sembra viaggiare quasi sempre con il freno a mano tirato. Perché?
Boh, chiedetelo a lui.

"Two sigarett is megl che one."
La sceneggiatura, piuttosto minimal e focalizzata soprattutto su quello stronzo del protagonista, è curata dallo stesso Moverman insieme a James Ellroy, scusate se è poco. Dopo la scomparsa di Elmore Leonard, Ellroy è quello che oggi possiamo forse considerare il più grande re del noir vivente.
I due sono impegnati a riportare in vita uno scandalo che aveva scosso parecchio l’opinione pubblica americana tra fine Anni Novanta e primi Anni Zero, lo scandalo Rampart, ovvero vari episodi di violenza e corruzione che avevano visto protagonista in negativo la divisione Rampart del Dipartimento di Polizia di Los Angeles. È da qui che i due hanno preso ispirazione ma, più che ricostruire tutti i vari casi, alcuni agenti della Rampart pare ad esempio siano stati coinvolti nella morte del rapper Notorious B.I.G., le loro attenzioni sono tutte rivolte sul personaggio di Woody Harrelson. Forse è per questo che il film è passato parecchio inosservato negli USA. Perché qui non si cerca una ricostruzione storica di quegli eventi. Qui non si cerca di fare un film cronachistico. Qui non si cerca di fare un servizio alla Studio Aperto o alla Quarto Grado. Qui si racconta di un uomo. Di uno stronzo. Non uno stronzo di quelli talmente stronzi da risultare alla fine simpatici. Un povero stronzo e basta. E se alla fine si riesce quasi a volergli un poco di bene, è tutta colpa di Woody Harrelson. Così come alla pellicola in generale.
Con a disposizione un regista promettente, uno sceneggiatore che ‘sti cazzi, un cast di buon livello che comprende tra gli altri Ben Foster, Brie Larson, Steve Buscemi, Anne Heche, Ice Cube e Robin Wright, più una colonna sonora niente male, ci si sarebbe potuti aspettare un capolavoro o quasi e invece così non è. Rampart è un film incompiuto, sospeso, un noir dal buon potenziale che non si può dire del tutto riuscito e che, dopo un ottimo avvio, non ce la fa a decollare del tutto. Eppure non riesco a voler male a un film del genere. Tutta colpa di Woody Harrelson, ‘sto maledetto stronzo.
(voto 6,5/10)



sabato 29 giugno 2013

PASSIONI (NON DI CRISTO) E DESIDERI (NON DI ALADINO)


"Che schifo, sono a letto con Rachel Weisz..."
"Che schifo, sono a letto con Jude Law..."
Passioni e desideri
(UK, Austria, Francia, Brasile 2011)
Titolo originale: 360
Regia: Fernando Meirelles
Sceneggiatura: Peter Morgan
Cast: Jude Law, Rachel Weisz, Anthony Hopkins, Ben Foster, Lucia Siposová, Gabriela Marcinkova, Jamel Debbouze, Moritz Bleibtreu, Marianne Jean-Baptiste, Maria Flor, Dinara Drukarova, Vladimir Vdovichenko, Mark Ivanir
Se ti piace guarda anche: Babel, Hereafter, City of God, Amores Perros

La vita è tante cose. A volte è una cosa meravigliosa, altre una merda. A volte è bella, come dice Roberto Benigni, altre ‘na strunzata, come dice Tony Servillo. Secondo alcune teorie, la vita è come un cerchio. Quello che fai, sia di buono che di cattivo, prima o poi ti torna indietro, in un modo o nell’altro. What goes around… come around. Tutto ruota di 360°, come suggerisce il titolo originale di questa pellicola, ribattezzata in Italia con un banale quanto anonimo Passioni e desideri. Chissà se anche il male che fanno ai film i titolisti italiani presto o tardi tornerà loro indietro?
È tutta una questione di karma, e io a queste stronzate ci credo pure. Il problema è quando ci si costruisce sopra un film, come l’agghiacciante Cloud Atlas, o una serie tv, come la pessima Touch. Quando si cerca di trovare una interconnessione a tutto, quando si cerca di trovare un senso all’intrecciarsi della vita di persone che vivono a parecchia distanza tra loro, ecco che lì si rischia di fare un patatrac. Le storie corali, ebbene sì, sono una delle cose più difficili da gestire e orchestrare al mondo. Come se la sarà cavata il brasiliano Fernando Mereilles, il regista del notevole City of God?

"Ferma Mads Mikkelsen, come Hannibal non vale niente!"
Il Mereilles evita il disastro, ma allo stesso tempo non riesce a convincere in pieno. In confronto a Cloud Atlas, questo Passioni e desideri è un capolavoro. Okay, non c’andava tanto. In confronto a pellicole ben più riuscite come Magnolia o Babel, invece, non vale nulla. Sta nel mezzo. Si lascia guardare, suscita un paio di riflessioni, ha qualche singolo momento non malvagio, eppure non riesce a dire niente di nuovo, né a livello cinematografico né esistenziale. È un esercizio di scrittura che riesce a tenere incollate insieme una serie di storie e di personaggi differenti, e lo fa in maniera accettabile, senza mai risultare troppo indigesto. Cosa non da poco. Alla fine non riesce però a chiudere il cerchio. O meglio, lo chiude alla buona, senza proporre una visione d’insieme che rimanga davvero impressa, un po’ come capitava già a un altro film corale sceneggiato da Peter Morgan, lo shyamalaniano Hereafter di Clint Eastwood.

Quali sono, comunque, questi personaggi il cui fato è cucito insieme da Mereilles?
C’è Jude Law che in viaggio d’affari a Vienna vuole andare con una puttana escort, Blanka (Lucia Siposová).
C’è sua moglie, Rachel Weisz in splendida versione MILFona, rimasta a Londra ma che non se ne sta certo con le mani in mano, visto che ha una relazione adultera con un uomo più giovane di lei. Dove siamo finiti, dentro una puntata di Mistresses?
Per fortuna no, visto che ci sono anche altre vicende, altri personaggi, non fenomenali ma meglio di quelli capitati a loro due.

"E io che ci posso fare, Anthony? Aspetta che ti passo lo psicopatico di turno."
C’è la puttana escort austriaca Blanka e sua sorella (Gabriela Marcinkova), una sognatrice appassionata di libri che è anche il personaggio emotivamente più coinvolgente e meglio costruito. Sebbene pure questo, così come gli altri, rimanga un po’ troppo abbozzato.
Ritratto in maniera molto leggera è anche l’amore del dentista musulmano James Debbouze (quello con la faccia strana di Amelie) per una donna sposata, la sua assistente (Dinara Drukarova), il cui matrimonio a sua volta è ormai agli sgoccioli e suo marito, il russo Vladimir Vdovichenko, avrà una storia con un altro dei personaggi.

"Pronto? Sono lo psicopatico di turno. Cercavate me?"
Nel frattempo, tanto per complicare il quadro già bello articolato, la tipa brasiliana (Maria Flor) del giovane amante di Rachel Weisz scopre che il suo boyfriend la tradisce con la MILFona e decide di ritornarsene in patria, già che c’è per unirsi alle proteste anti Mondiali e anti Confederations Cup. No, questo no. Sull’aereo, la tipa brasiliana conoscerà Anthony Hopkins, un uomo la cui figlia è scomparsa nel nulla anni prima e che però non riesce ad arrendersi al fatto di non ritrovarla più. Mentre fa scalo a Denver prima di arrivare in Brasile, la fanciulla conoscerà anche un ragazzo, Ben Foster. Buon per lei? Più o meno, visto che lui è stato appena scarcerato dopo aver scontato una condanna per reati sessuali…
Ho dimenticato qualcuno?
No, non mi sembra. I personaggi principali sono questi e le loro vite, alcune più interessanti, altre meno, in qualche modo sono intrecciate, tra ambientazioni che comprendono Vienna, Parigi, Londra, Casale Monferrato, Phoenix e l’aeroporto di Denver. Non del tutto mal scritto, diretto e recitato (meglio dagli attori sconosciuti che dai divi presenti), Passioni e desideri è un film allo stesso tempo non del tutto riuscito, sia preso nel suo insieme che andando a vedere le singole vicende. Si lascia vedere senza annoiare troppo, e per una pellicola del genere è affare già non da poco, ma non scatena né passioni, né tanto meno desideri. Se non quello di andarsi a rivedere Magnolia.

Il cinema come la vita è tante cose. A volte è una cosa meravigliosa, altre una merda. A volte è bello, altre ‘na strunzata. E altre volte ancora è semplicemente così così.
(voto 5,5/10)



giovedì 2 agosto 2012

La band del Contraband

Contraband
(USA 2012)
Regia: Baltasar Kormákur
Cast: Mark Wahlberg, Ben Foster, Kate Beckinsale, Giovanni Ribisi, Lukas Haas, J.K. Simmons, Diego Luna, Robert Wahlberg, Adrian Martinez, Caleb Landry Jones
Genere: scopiazzato
Se ti piace guarda anche: Fast & Furious, The Italian Job, Ocean’s Eleven, Tower Heist - Colpo ad alto livello



"Certo che quel Cannibal ne scrive di minki**e sul suo blog!
Potremmo fargli causa."
"Mark, ti ricordo che siamo dei criminali con la fedina non proprio pulita..."
Contraband sembra un film contrabbandato. Come i soldi falsi smerciati da Mark Wahlberg. Una copia di qualcos’altro, ben fatta e tutto, che resta pur sempre una copia.
Copia di cosa? Bah, di qualunque altro film con un gruppo di criminali alle prese con un colpaccio di quelli assurdi e impossibili da realizzare. Almeno per i criminali comuni mortali. Non proprio un “heist movie”, un film su una rapina, però siamo lì. Da qualche parte tra Ocean’s Eleven, ma senza lo stesso livello di glamourosità, e Fast & Furious, ma senza lo stesso livello di tamarraggine. Contraband è una sorta di ibrido di vari film action, senza nessuna specificità che riesca a distinguerlo e a salvarlo dalla mediocrità e dalla dimenticabilità immediata.
Per il resto, se proprio si hanno basse pretese, il suo porco lavoro di intrattenimento lo fa anche. O quasi. Ha una storia prevedibile e banale, lieto finalone esagerato e del tutto improbabile compreso. Dei personaggi e delle situazioni stereotipate già viste in migliaia, che dico?, forse milioni di altri film. Una seriosità di fondo che si apre a poche concessioni umoristiche, come invece capita nelle più divertenti pellicole del genere. E questa è una grave pecca. Eppure il suo porco dovere di farsi guardare, giusto con qualche sbadiglio qua e là eppure nemmeno troppi, lo assolve.
Il suo difetto maggiore è però l’assoluta mancanza di personalità. Un qualcosa, una scena, un personaggio, che lo distingua dalle centinaia di produzioni americane medie che escono ogni anno e che te lo faccia ricordare in maniera positiva. Invece niente. Niente di niente.

Nella media anche il cast: Mark Wahlberg negli USA come action hero (e non solo) funziona alla grande e anche questo film ha conquistato cifre davvero niente male, tipo oltre 60$ milioni a fronte di una spesa di $25 milioni. Meno bene gli vanno le cose all’estero e l’uscita da noi nel mezzo del deserto estivo lo conferma. Per quanto mi riguarda, a parte l’intenso ruolo del padre nel mio preferito Amabili resti, il Marky Mark fattosi attore non mi ha mai convinto molto, anche se lo attendo con grande curiosità alla prova della commedia con Ted, super campione di incassi a sorpresa dell’estate americana.


"Che bevi?"
"Red Bull, non vorrei addormentarmi prima della fine del film..."
Ah sì, dimenticavo: anche in The Departed se la cavava parecchio bene.

Nei panni della sua moglie, in un ruolo però parecchio anonimo, troviamo Kate Beckinsale. Per lei il discorso è analogo a quello su Wahlberg. Amo un suo unico film, in questo caso The Last Days of Disco, mentre per il resto mi ha lasciato sempre parecchio indifferente. Il fatto che il suo ruolo più celebre sia quello nella (pessima) saga vampiresca di Underworld, di certo non aiuta. Il fatto che l’altro suo grande successo sia Pearl Harbor, nemmeno questo depone a suo favore. Peccato, perché è una bella topolona e pure come attrice sembra possede un notevole potenziale non espresso.
Non c’è due senza il tre, dice il detto. Perché un detto che non dice nulla, che detto sarebbe?


"Cannibal, smettila di rompermi le palle solo perché ero in Avatar!"
Il terzo personaggio centrale del film è quello interpretato da Ben Foster. Altro attore quasi sempre sprecatissimo. Nel suo caso, la sua performance che ho preferito è quella in Oltre le regole - The Messenger, poi si è presentato in un sacco di produzioni impresentabili (robe come Professione assassino o Pandorum). Un attore che sembra essere rimasto incasellato all’interno del genere d’azione, quando meriterebbe di recitare in cose più interessanti di queste pellicole medie.

Stesso discorso si potrebbe fare anche per il resto del cast, con nomi come Lukas Haas e Giovanni Ribisi, attori che negli anni ’90 sembrava dovessero spaccare il mondo e poi si sono progressivamente persi per strada.


"Ecco a voi la cintura più trendy, e costosa, dell'estate!"
Contraband allora è un film bello?
Manco lontanamente.
Contraband è un film brutto?
No. Però ha una enorme pecca. Contraband non sembra un film contrabbandato. Contraband è proprio un film contrabbandato. Come delle banconote false.
(voto 5/10)

P.S. Lo so, anche questa recensione sembra un prodotto di contrabbando però, che ve devo dì?, il film non mi ha certo ispirato una particolare originalità…

venerdì 26 agosto 2011

Jason Statham VS The Rock

Due pesi massimi del cinema action degli ultimi anni si scontrano sul ring cannibale con due pellicole che come vedremo non sono certo il massimo, nè della vita, nè del genere d’azione. Chi trionferà? O meglio: chi perderà in maniera più dignitosa?



Professione assassino - The Mechanic
Regia: Simon West
Cast: Jason Statham, Ben Foster, Mini Anden, Donald Sutherland, Christa Campbell, Tony Goldwyn
Genere: zona Statham
Se ti piace guarda anche: The Transporter, Professione: assassino, The American

Oh, finalmente qualcuno ha fatto un film su un meccanico, colmando una lacuna clamorosa nel mondo delle professioni cinematografiche!
Mmm… dite che non è così? Questo non è un film su un meccanico che aggiusta le auto? È il solito film sul killer a pagamento spietato e solitario? Ancora? Un’altra onda, un’altra volta? Ebbasta.
Vabbè, perlomeno questa volta entriamo in “zona Statham”. Dopo aver visto quella mega figata adrenalinica galattica di Crank (e pure il seguito non è niente male), avevo eletto Jason Statham come mio nuovo action hero preferito. Anzi, diciamo come unico action hero che sopporto, il solo vero degno erede del mitico Bruce Willis de ‘na vorta. Peccato che a parte quel film, Statham mi abbia regalato più delusioni che esaltazione. Per non usare esplicitamente il termine “film di merda”.
Se già The Transporter non è ‘sta gran cosa, ma perlomeno è guardabile, qui siamo in una versione cotta, o meglio bollita, di quel film, e a tratti si entra persino nei territori del terribile The American con Giorgione Clooney. AAAAAAAAAAAAAAAAh!
Eli, don’t you cry tonight. Scusami se l’ho menzionato. Anche a me viene da piangere ogni volta che sento nominare quel film.

The Mechanic procede quindi su binari soporiferi, con i soliti omicidi su commissione e ben poca azione per essere un film d’azione. Che ti sta succedendo, Jason? L’unico motivo d’interesse delle pellicola, remake di Professione: assassino con Charles Bronson, è quando entra in scena Ben Foster, ottimo attore che pure lui a parte l’ottimo Oltre le regole - The Messenger dovrebbe però fare più attenzione nello scegliersi i copioni. Qui Foster interpreta la parte del figlio di Donald Sutherland (ma non era Kiefer Sutherland suo figlio?? Oddio così mi mettete in confusione!), il quale è stato ucciso da Jason Statham ma lui non lo sa. Dopo la morte del padre, Foster si presenta proprio da Statham per impare il secondo mestiere più antico del mondo, quello dell’assassino.
In questa parte chiamiamola di “addestramento”, la pellicola guadagna un po’ di curiosità. Ma molto vagamente, visto che certo non diventa irresistibile e scivola verso un finale scontatissimo.
Unico momento degno di nota del film: quando Jason Statham rimorchia una tipa senza nemmeno dire una parola. Vabbè, più tardi scopriremo che lei è una professionista del primo mestiere più antico del mondo, però grande Jason sempre e comunque!
(voto 5-/10)


Faster
(USA 2010)
Regia: George Tillman Jr.
Cast: Dwayne “The Rock” Johnson, Billy Bob Thornton, Carla Gugino, Oliver Jackson-Cohen, Maggie Grace, Tom Berenger, Mike Epps, Xander Berkeley, Moon Bloodgood, Jennifer Carpenter
Genere: revenge movie
Se ti piace guarda anche: una roccia, oppure anche gli scogli sul mare possono andar bene

Se già The Mechanic è una visione mediocre e totalmente dimenticabile quindici secondi dopo i titoli di coda, con Faster si va velocemente ancora più a fondo, da qui il titolo Faster. D’altra parte in questo caso il protagonista è Dwayne “The Rock” Johnson, wrestler e pure attore. Anche se forse nemmeno lui stesso avrebbe il coraggio di definirsi attore. The Rock, lo dice il nome stesso, è una roccia sia fisiciamente che a livello espressivo. Espressivo, si fa per dire, visto che è totalmente incapace di esprimere un qualsiasi sentimento umano, o anche solo roccioso.
Riguardo al film, poco da dire. Solita storia di vendetta, con The Rock che uscito di galera va a far fuori tutti i colpevoli dell’omicidio del fratello. A cercare di beccarlo c’è una coppia di detective formata dal sempre più bollito Billy Bob Thornton e da una Carla Cugino qui meno bona del solito e c’è pure uno spietato killer che sembra un po’ il The Mechanic del film con Statham, solo che non è Statham.
In una serie di piccoli ruoli ci sono poi alcuni volti telefilmici come Maggie Grace (la Shannon di Lost che fa sempre piacere rivedere), Moon Bloodgood (mediocre attrice del nuovo Falling Skies), Xander Berkeley dell’ottima miniserie The Booth e Jennifer Carpenter, la sorellina di Dex in Dexter.
Un contorno discreto per una portata principale che da masticare risulta dura come una roccia.
(voto 3/10)


Jason Statham Vs. The Rock
And quindi the winner is…
Nettamente Jason Statham, anche perché The Rock sarà anche un wrestler ma un attore non lo so… Non credo. Peccato solo che il buon Jason esca raramente dallo stereotipo da action hero in cui è inscatolato, perché quando lo fa dimostra di essere un attore dall’ottimo potenziale, come in London dove è un folle scatenato cocainomane con persino i capelli in testa! In questo caso comunque entrambi sono protagonisti di due film al limite della denuncia per molestie alla pubblica decenza. Guardateli pure, ma poi non dite che io non vi avevo avvisato.
Adesso vado, stanno suonando al citofono. Ci sono due certi energumeni muscolosi che mi vogliono dare un sacco di botte…

domenica 2 gennaio 2011

I miei film dell'anno 2010 - n. 34 Oltre le regole - The Messenger

Oltre le regole - The Messenger
(USA)
Regia: Oren Moverman
Cast: Ben Foster, Woody Harrelson, Samantha Morton, Jena Malone, Steve Buscemi
Genere: war at home
Se ti piace guarda anche: Six Feet Under, Departures, Jarhead, Salvate il soldato Ryan
Trama semiseria
Per la serie: la crisi economica ci fa fare proprio dei lavori di merda, dopo il giapponese di Departures che si inventa tanata esteta, ci sono i soldati di The Messenger, quelli che hanno un compito ancora più duro di andare a combattere in prima linea; devono infatti andare dai famigliari delle vittime di guerra a comunicare la morte del loro caro. Non ci sono proprio più i bei lavori tranquilli di una volta.

Pregi: non un film sulla guerra, ma un film sulle conseguenze della guerra. Strepitosi i due protagonisti, il veterano Woody Harrelson, tornato ormai ai livelli degli anni ’90, e Ben Foster, il giovane inesperto alle prese con il non facile nuovo lavoro.
Difetti: qualcuno potrebbe trovarlo un film troppo verboso

Personaggio cult: il capitano Tony Stone interpretato da Woody Harrelson, un duro che sa piangere

Leggi la mia RECENSIONE

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