Cast: Colin Farrell, Rachel Weisz, Léa Seydoux, Olivia Colman, Jessica Barden, John C. Reilly, Ben Whishaw, Angeliki Papoulia, Ariane Labed
Genere: animalesco
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Se vi capitasse, cosa probabile, di dovervi reincarnare in un animale, quale scegliereste?
Io vorrei essere un gatto. Sono i miei animali preferiti. Sono indipendenti. Fanno la pipì e la popò senza aver bisogno di qualcuno che li accompagni. Dormono quasi sempre. Gli piace la pussy. Non combinano un cavolo tutto il giorno e vanno a zonzo per discoteche, bar e locali la notte. Si godono la vita alla grande e, in più, se la godono per 9 volte. Chi se la passa meglio di loro?
Cast: Christoph Waltz, Mélanie Thierry, David Thewlis, Lucas Hedges, Tilda Swinton, Matt Damon, Ben Whishaw, Peter Stormare, Rupert Friend, Gwendoline Christie
Genere: intrippato
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Noi abbiamo visto The Zero Theorem. A noi è piaciuto The Zero Theorem, ma non vi diremo di cosa parla. Per prima cosa perché noi prima di vederlo non ne sapevamo nulla ed è meglio così, soprattutto per pellicole come questa. È meglio non sapere proprio niente. Andare completamente alla cieca. E poi per seconda cosa perché è impossibile dire di cosa parla un film di Terry Gilliam. Di cosa tratta ad esempio Brazil?
Noi non riusciamo a dirlo con esattezza, eppure questo nuovo The Zero Theorem con il suo futuro distopico orwelliano e con il suo protagonista stralunato lo ricorda parecchio. Quindi di cosa parlano entrambi?
Boh.
E L’esercito delle 12 scimmie?
Non sappiamo bene su cosa è incentrato con precisione, però è uno dei nostri film preferiti. La prima volta che l’abbiamo visto eravamo solo dei bambini. Era una delle prime volte al cinema con gli amici e ricordiamo solo di aver fatto un dannato casino per tutto il tempo, non capendoci nulla della visione e rendendo impossibile la comprensione anche agli altri poveri spettatori presenti al cinema. Che dannati bimbiminkia che eravamo, e che forse siamo ancora. Quando poi l’abbiamo recuperato qualche anno più tardi da adolescenti ne siamo rimasti folgorati. Non c’abbiamo compreso un’altra volta un granché, ma l’abbiamo adorato.
E Paura e delirio a Las Vegas, di cosa tratta?
Impossibile capirlo a mente lucida. Dopo l’assunzione di dosi massicce di droghe siamo riusciti a comprendere qualcosa di più, ma è stato lo stesso difficile venirne a capo.
"E' meglio indossare una tuta protettiva, prima di visitare Pensieri Cannibali."
I film di Terry Gilliam in pratica non sappiamo di cosa parlano. Forse di tutto, forse di niente. The Zero Theorem prosegue nella stessa direzione. Possiede un impianto visivo sbalorditivo eppure il suo significato è sfuggente. Si tratta di una pellicola profondamente esistenzialista, che detta così è una frase che anch’essa sembra significare tutto e invece non vuol dire niente. Oppure è il contrario?
In The Zero Theorem c’è dentro la vita di oggi, tra social network, app e una connessione alla rete 24 ore su 24 che ci succhia via la vera vita. O magari invece ci regala una vita migliore, piena di fantasia, attraverso cui fuggire da un lavoro e da una routine senza scopo?
Chi lo sa.
The Zero Theorem è il solito gran casino tirato fuori dalla mente folle di Terry Gilliam e non si capisce bene se sta dalla parte della tecnologia o contro. Non si capisce bene se sta dalla parte di chi ha Fede, di chi vive con delle convinzioni, o da quella di chi non crede in niente se non nel vuoto e nella certezza di stare dentro a un mondo privo di senso. Non si capisce bene se sta dalla parte di chi ama, o di chi sogna solamente di amare. E soprattutto non si capisce bene, anzi non si capisce proprio per niente, come qualcuno possa rifiutare l’amore di una come Mélanie Thierry, la splendida Mélanie Thierry.
The Zero Theory è un interrogarsi sul senso della vita che pone delle domande e non offre delle risposte che d’altra parte sarebbe impossibile fornire. Allo stesso tempo è un interrogarsi sul senso del cinema. Sul senso del cinema di Terry Gilliam, se ne ha uno.
Non avete capito niente di quanto abbiamo detto fino ad ora?
Lo capiamo. L’unica cosa che probabilmente avrete capito è che si tratta di un nuovo delirio nel tipico stile del regista. Un trip che va vissuto disconnettendosi da se stessi ed entrando negli occhi e nella mente del protagonista, interpretato da un grandioso Christoph Waltz, uno che è un creep, un weirdo, uno che non sa cosa diavolo ci fa qui, uno che non appartiene a questo mondo.
Un'altra cosa che probabilmente non avrete capito è perché stiamo parlando con il pluralis maiestatis. Non è per le nostre solite manie di grandezza, ma una volta vista la pellicola lo scoprirete.
Forse.
(voto 7/10)
"Questo post cannibale l'abbiamo trovato ancora più incomprensibile del solito."
Sceneggiatura: Neal Purvis, Robert Wade, John Logan
Cast: Daniel Craig, Judi Dench, Javier Bardem, Ralph Fiennes, Naomie Harris, Bérénice Marlohe, Ben Whishaw, Rory Kinnear, Albert Finney
Genere: spionistico
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Il mio nome è Boh. James Boh.
Se cercate qualcuno che vi dica tutto sull’agente 007, qualcuno che abbia letto tutti i libri di Ian Fleming, qualcuno che vi sappia citare ogni punto di contatto con i film precedenti, che vi faccia notare quali sono le novità di questo ultimo Skyfall, qualcuno che vi nomini tutte le Bond Girls e le canzoni usate, ecco avete sbagliato agente. A parte giusto le Bond Girls e le canzoni, io del magico e avventuroso mondo di James Bond non ne so niente.
Se cercate invece il punto di vista di qualcuno che si approccia per la prima volta a una visione bondiana, io sono l’agente che fa al caso vostro. L’ultimo Bond-vergine rimasto al mondo. Chi infatti non ha mai visto un film con protagonista 007?
Io. Fino ad ora ero sempre rimasto immune al fascino dell’agente più cool del mondo, o per lo meno della Gran Bretagna. Sarà che non mi hanno mai attirato i suoi vari interpreti. Nemmeno Sean Connery, per cui (lo so che dirò una bestemmia) ho sempre provato una congenita antipatia. Non lo so perché, a me gli scozzesi in genere stanno pure simpatici. E adoro tutto, ma proprio tutto della cultura britannica. James Bond però proprio no. Come detto, fino ad ora.
"Certo che non è giusto: Daniel Craig tutto fighetto,
mentre a me m'hanno conciato da far skyfo."
Skyfall è riuscito a riportare alle stelle l’hype nei confronti del brand Bond. Con un’operazione di marketing da ammirare e di cui ogni esperto nel settore dovrebbe prendere appunti, Daniel Craig in versione 007 si è presentato a prendere la Regina Elisabetta durante la cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici di Londra. Un evento di nicchia, seguito giusto da qualche miliardo di persone nel mondo. Per la canzone deputata a fare da tema musicale al film è stata poi scelta soltanto la cantante che ha venduto più dischi negli ultimi anni, una certa Adele, in grado più tardi di portarsi a casa l’Oscar, cosa mai successa a un brano bondiano.
Con due mosse appena, di cui una muovendo la regina del Regno Unito e l’altra muovendo la regina della musica, il nuovo film di James Bond aveva quindi già posto le basi per uno scacco matto globale senza precedenti. Le altre due pellicole con protagonista Daniel Craig Casino Royale del 2006 e Quantum of Solace del 2008 avevano infatti risvegliato l’interesse mondiale nei confronti del personaggio, dopo la lunga parentesi Pierce Brosnan, però niente a che vedere con il successo di Skyfall, riuscito ormai a superare il miliardo di dollari di incasso a livello worldwide.
Tutto merito di un’astuta e clamorosamente riuscita operazione di marketing, oppure dietro si cela anche della sostanza cinematografica, come le numerose critiche positive ricevute dalla pellicola lasciavano intuire? Tra i soldi spesi per la campagna promozionale, alcuni sono stati utilizzati anche per pagare i giornalisti pregandoli di parlarne bene, oppure una visione la merita davvero?
James Bond a suo agio in un museo tanto quanto
un elefante in un negozio di cristalli.
Da buon agente operativo, se non altro a livello cinematografico, ho cercato di indagare per scoprirne di più. Per una volta ho messo da parte le mie resistenze nei confronti di un personaggio così affascinante per tutto il mondo, ma che a me invece non ha mai affascinato minimamente. Un incentivo me l’ha dato la regia di Sam Mendes, regista che apprezzo parecchio fin da quel gioiellino d’esordio di American Beauty. Sinceramente, mi giravano le palle a perdermi un film di Sam Mendes, di cui ho visto l’intera Opera, solo perché sono sempre stato un anti-Bond. Alla fine allora ho ceduto e… mi è piaciuto. Non mi ha magari esaltato a livelli assurdi, non m’è venuta voglia di recuperarmi tutte le altre pellicole su 007, ma se non altro Skyfall non mi ha fatto sky-fo.
E pensare che sono partito con il mirino puntato sull’obiettivo e alla prima sequenza stavo già per sparare. Una lunga, e per quanto mi riguarda poco appassionante, scenona d’azione. Un inseguimento inverosimile, ovvero proprio ciò che mi aspettavo alla vigilia. Poi invece succede l’inaspettato. A Bond sparano per davvero.
Oh, mio Dio! Per una volta che mi metto a vedere un film con 007, me lo fanno fuori subito?
"Hanno cancellato la tua serie The Hour, Ben? Mo' so' cazzi amari per tutti!"
Ovviamente Bond non è davvero morto, però il film sa sparare qualche altro bel colpo riuscito, a partire da dei titoli di testa di un’eleganza infinita, accompagnati dalle splendide note del tema musicale cantato da Adele, di diritto tra i migliori nella Storia bondiana. Per quanto non abbia una enorme, anzi, per quanto non abbia alcuna conoscenza delle altre pellicole, le canzoni usate in 007 le conosco bene e Skyfall di Adele non sfigura affatto al fianco delle memorabili “Diamonds Are Forever” e “Goldfinger” cantate da Shirley Bassey, oltre alla splendida “Nobody Does It Better” di Carly Simon.
"Bond, non vengo a letto con te finché non hai imparato a
pronunciare il mio nome correttamente. Capito?"
"Tutto chiaro, Bernarda Merlo."
La pellicola scivola poi via benissimo, nella prima parte grazie allo humour british contenuto nei dialoghi tra il roccioso Daniel Craig e il giovinastro Q interpretato dall’ottimo Ben Whishaw (uno dei protagonisti della purtroppo cancellata serie UK The Hour), grazie ai flirt innocenti con Naomie Harris e quelli meno innocenti con Bérénice Marlohe, Bond girl da togliere il fiato. E poi grazie alle atmosfere Christopher Nolan friendly in cui piomba la pellicola nella sua seconda parte, quella in cui entra in scena Javier Bardem (che a me invero non ha convinto del tutto) in versione terrorista cattivone. Tutti a scomodare il paragone con Il cavaliere oscuro e io che faccio? Devo confermare pure io tale paragone. Non avendo grande confidenza con il genere action, Sam Mendes deve aver preso molti appunti durante la visione dei Batman nolaniani, e si vede.
Skyfall non presenta quindi niente di radicalmente nuovo, a livello cinematografico, però è un film che ha stile. Un film che ha saputo affascinarmi. Anch’io per la prima volta sono rimasto rapito dal fascino bondiano. Rapito magari è un termine esagerato, visto che nell’ultima parte la pellicola si adagia troppo sul versante action e lì mi ha stupito decisamente meno.
Nel complesso allora devo riconoscere il fallimento della mia missione. Ero stato inviato per sparare a zero su zero zero sette, invece alla fine mi sono fatto conquistare dalla vittima. D'altra parte dovevo già immaginarmelo: nei film va sempre a finire così.
(voto 6,5/10)
Post pubblicato anche su L'OraBlù, accompagnato da un nuovo super styloso poster realizzato dall'emerito C(h)erotto.
Cast: Tom Hanks, Halle Berry, Ben Whishaw, Jim Sturgess, Jim Broadbent, Hugo Weaving, Doona Bae, James D’Arcy, Keith David, Hugh Grant, Susan Sarandon
Genere: new-age da discount
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La prima recensione cannibale di un film uscito nelle sale italiane nel 2013 è dedicata a uno dei titoli fin da subito più controversi dell’anno. Osannato (inspiegabilmente) da alcuni, eletto (giustamente) peggior pellicola dell’anno da Time Magazine, davanti persino ad altra robaccia come John Carter, La leggenda del cacciatore di vampiri e Che cosa aspettarsi quando si aspetta.
Di cosa sto parlando?
Parlo di Cloud Atlas, il nuovo parto mistico dei fratelli Wachowski, Larry e Andy…
Come?
Lana e Andy, volevo dire. A quanto pare, la transizione è stata completata e Larry è ormai a tutti gli effetti una Lana. Come Lana Del Rey.
Insomma, non proprio…
Lana Wachowski è quella a destra.
Quello a sinistra, a sorpresa, NON è Platinette senza trucco e parrucco, ma è Andy Wachowski.
"Non capisco perché la gente continua a darci delle monetine.
Eppure abbiamo tirato fuori gli abiti del giorno di festa..."
Non è però solo il nuovo film di fratello e sorella Wachowski, gli autori della saga di Matrix. È anche il nuovo film del tedesco Tom Tykwer, uno che con il film videogame del 1998 Lola Corre mi aveva impressionato positivamente, anche se poi l’avevo perso di vista. Fosse uscito a fine anni ’90, questo film a 6 mani sarebbe insomma stata la cosa più attesa nella storia del cinema. Dopo che Tykwer è un po’ (un po’ tanto) passato di moda, e dopo che i Wachowski hanno realizzato i due pessimi sequel di Matrix e il non certo indimenticabile film videogame Speed Racer, le aspettative nei loro confronti si sono abbassate notevolmente.
Questa jam session di sopravvissuti agli anni ‘90 sulla carta mi incuriosiva comunque parecchio, ancor più perché il trio (non Medusa) si trovava alle prese con un libro bestseller cult come L’atlante delle nuvole di David Mitchell, che non ho letto e che, dopo aver visto il film, non ho la minima intenzione di recuperare.
Bravi tutti, quindi, applausi per le intenzioni. I complimenti a questo progetto però finiscono qui. Mi spiace Lana, Andy e Tom. Non ci posso fare niente. O forse sì. Forse è colpa mia che non ho le capacità mentali di comprendere un’Opera tanto complessa e articolata. Però per me la locandina di Cloud Atlas andrebbe messa nel dizionario al fianco del termine “epic fail”.
Cosa vuol dire “epic fail”?
Guardate Cloud Atlas e lo capirete.
La trama del film? Volete sapere la trama del film? Volete vedermi morto? Volete davvero che finisca cadavere?
Probabilmente sì. Almeno i fan hardcore di questa pellicola che, insieme agli sberleffi della critica, sta contemporaneamente suscitando consensi più di tipo religioso che di tipo cinematografico. Mi sa che a parlare male di Cloud Atlas si rischia più di criticare Scientology o i One Direction, ma correrò il rischio.
"Tutto è connesso una sega! Io scrivo ancora con la macchina da scrivere
e manco so cos'è una connessione internet..."
La trama del film in ogni caso ve la potete recuperare su Wikipedia o su qualche sito cinematografico che ha avuto la (Santa) pazienza di trascriverla. A me è venuto già un gran mal di testa a vedermi tutto il film, quindi non ho intenzione di rifarmelo venire riportandola qui in questa (Santa) sede. Vi accenno solo che sono 6 storie intrecciate.
Credo non ci sia niente di più rischioso di un film corale con storie intrecciate. Il risultato può infatti essere qualcosa di grandioso e assoluto, come Magnolia di Paul Thomas Dio Anderson, oppure come il pessimo To Rome With Love di Woody Allen.
Ora, non dico che qui siamo ai livelli del secondo, anche se quasi quasi…, però di certo non siamo neanche lontanamente ai livelli del primo.
Lana, Andy e Tom, magari sono io che sono scemo, niente di più probabile, però in un film come Magnolia le varie vicende avevano un senso le une intrecciate alle altre. Non avrò colto il senso io, o forse le storie del vostro film sono davvero intrecciate casualmente tra loro, anche se alla fine fate finta che tutte siano collegatissime. Cosa che in realtà non è, ma a qualcuno potrebbe sembrare. D’altra parte, se racconti 6 storie e le metti insieme, ci sarà sempre qualcuno che proverà a coglierne temi comuni e punti di contatto anche dove non ci sono.
Voi intanto rivedetevi Magnolia, e poi ne riparliamo su come si fa un film corale davvero degno di nota. Oppure rivedetevi un qualunque film di Inarritu sceneggiato da Guillermo Arriaga, da Amores Perros a Babel (punto di riferimento neanche troppo velato di questo), giusto per capire come si faccia una pellicola in cui le storie sono realmente connesse tra loro.
“Tutto è connesso” recita la frase di lancio. Vero. Tutto è connesso, tranne le storie di questo film. In Cloud Atlas, il risultato di una serie di intrecci del tutto improbabile è piuttosto qualcosa di simile a questo mini-film Movie: The Movie, proposto al Jimmy Kimmel Show.
Un problema del film, non da poco, è quindi quello di presentare un incrocio di storie assurdo e che fin dopo pochi minuti dà l’impressione di non sapere più che pesci pigliare. Fosse solo questo, si potrebbe ancora chiudere un occhio. 6 storie di epoche e generi del tutto diversi tra loro non sono facili da coniugare, quindi il fallimento era già preventivabile. Soprattutto quando hai 3 registi diversi e ognuno ha una sua idea su come girare una scena o montare insieme il tutto. Tanto per citare un altro cult di fine anni ’90, magari non ai livelli di Lola Corre e Matrix ma a suo modo comunque cult, ovvero Sex Crimes: “Due sono una coppia, tre è una folla”.
Volete un consiglio? Risparmiatevi 3 ore di pillole new-age da discount fornite da Cloud Atlas e riguardatevi Sex Crimes, che non è certo un capolavoro cinematografico, neanche lontanamente, anche se al confronto di CA lo potrebbe sembrare, ma ha i suoi buoni motivi per essere visto. E capire quali siano è più facile di provare a comprendere il senso della vita riflesso dentro Cloud Atlas.
"Che paura! Era dai tempi di Avatar che non vedevo Cannibal
tanto infuriato contro un film!"
Prima di questa piacevole parentesi e prima di perdermi proprio come fa il film stesso, stavo dicendo che il problema non è solo nell’intreccio che sembra una versione meno riuscita della già poco esaltante serie tv Touch, quella con Kiefer Sutherland. L’altro grande problema è che le 6 storie, anche prese singolarmente, non coinvolgono. Non vanno da nessuna parte.
Giusto per farci lo sbattone, vediamo nel dettaglio quali sono:
Il Viaggio nel Pacifico di Adam Ewing (1839): un Jim Sturgess mai così spento è il protagonista di una vicenda a sfondo razziale banalotta. Vogliamo mettere con The Help, tanto per dire?
"Ho stampato la trama del film per leggermela bene, sprecando un sacco
di cartucce di inchiostro alla faccia della crisi, e alla fine è vero.
Ha ragione Cannibal: questo film non ha alcun senso!"
Lettere da Zedelghem (1936): è la vicenda più interessante tra le sei, quella che si concentra su un giovane musicista dandy alle prese con un vecchio compositore. I due insieme realizzano il tema musicale Cloud Atlas, tra l’altro per nulla memorabile ed è un peccato, perché avrebbe potuto fare da collegamento sonoro tra le vicende. La storia parte benino, ma pure questa si perde rapidamente in un bicchiere d’acqua. Bravo comunque Ben Whishaw, il più in forma del cast, un attore molto promettente già visto in Bright Star, Skyfall e nell’ottima serie UK The Hour.
Half-Lives - Il primo caso di Luisa Rey (1972): vicenda pseudo giornalistica incentrata su Halle Berry di talmente scarso interesse che si arriva in fondo cantando halle-lujah.
L'orribile impiccio del Signor Cavendish (2012): questa è la vicenda che parte meglio, con la scena di un irriconoscibile Tom Hanks, scrittore che scaglia un critico giù da un grattacielo. La stessa cosa che vorrebbero fare Lana, Andy e Tom con me. E non posso biasimarli. Buona partenza, ma storia che subito dopo si attorciglia su se stessa, affondando nella noia e diventando un impiccio orribile proprio come tutte le altre.
La Preghiera di Sonmi~451 (2144): vicenda futuristica dai vaghi contorni cyberpunk pure questa dalle premesse interessanti e che poi viene buttata del tutto via. Si rimpiange Matrix, tantissimo. E si rimpiange quasi il già terribile Architetto di Matrix Revolutions, per dire.
"Halle, com'è possibile che non ci abbiano nominato ai Razzie Awards?
Me lo sai spiegare, eh?"
Sloosha's Crossin' e tutto il resto (2321): questo segmento è davvero tragico. Una roba new-age inguardabile e ridicola incentrata soprattutto sui personaggi di Tom Hanks e Halle Berry, due attori sopravvalutatissimi che non mi hanno mai convinto e premiati pure con degli Oscar parecchio immeritati. Beh, quello a Hanks per Philadelphia ci poteva anche stare, ma Forrest Gump insomma e quello alla Berry per Monster’s Ball resta un mistero inspiegabile.
Comunque Cloud Atlas vanterà anche un cast all-star, ma sono tutte star decisamente cadenti. Tom Hanks quanti anni sono che non fa un film decente? Di recente ci ha pure regalato l’orrido L’amore all’improvviso - Larry Crowne in triplice versione regista, attore e sceneggiatore. Halle Berry avrà anche un gran telaio, ma un film decente manco sa cos’è. Susan Sarandon e Hugh Grant pure loro non è che siano proprio all’apice delle rispettive carriere. Jim Broadbent, beh lui all’apice della carriera non lo è mai stato e Jim Sturgess dopo averlo visto in versione orientaleggiante rischia di affondare in maniera irreversibile la sua ascesa al successo.
"Vedi quel puntino lassù? Là è dove noi adepti della setta di Cloud Atlas
abbiamo spedito Cannibal Kid dopo questo post!"
Per cercare di dare un senso al finto incasinato intreccio di storie, i 3 registi hanno avuto l’idea di utilizzare gli attori in più parti. Giusto per rendere il tutto ancora più incasinato, ma più che altro pasticciato. In più, anche a livello visivo siamo lontani dalle invenzioni del passato e i Wachowski hanno realizzato il loro lavoro più mainstream e scontato, "impreziosendolo" con trucco e costumi oltre ogni limite del kitsch e concedendosi giusto qualche momento in slow motion stile bullet time, ma è una cosa che ormai fa pure Guy Ritchie…
Non si può nemmeno dire che la visione di questo scult scivoli piacevole e veloce. Se la prima oretta incuriosisce ancora, perché si cerca di capire dove il film voglia andare a parare, nelle due interminabili ore successive pure questa curiosità scema via via sempre più, tanto che alla fine della visione non ho potuto fare altro che una sola cosa. Oltre a stupirmi di essere ancora sveglio.
La sola cosa che ho potuto fare è stato gridare:
per me Cloud Atlas…
è una cloudatla pazzesca!
(voto 3/10)
Post pubblicato anche su L'OraBlùcon una nuova "cloudosa" locandina realizzata da C(h)erotto.
The Hour è una nuova miniserie britannica in 6 episodi ambientata nel mondo del giornalismo anni ’50.
Aspetta, sarà mica una variante di Mad Men british e ambientata giusto qualche anno prima e con il giornalismo al posto della pubblicità?
Pressappoco sì. Ma comunque fin dalla prima parte sembra possedere una sua specificità, sarà per quel gusto tutto britannico.
Quindi perché dovrei vederlo?
Perché Mad Men fino al 2012 non ritorna con i nuovi episodi e quindi è un ottimo modo per fare comunque un salutare salto indietro nel tempo all’insegna della tv di qualità. E poi perché, almeno a livello personale, trovo sempre molto interessante una storia che affronta il tema della libertà di stampa (sia su carta che in televisione, con un programma intitolato appunto The Hour) e di informazione. Argomento più che mai attuale e un problema di cui, soprattutto in Italia, abbiamo una diapositiva impietosa.
Inoltre è una serie molto ben recitata, ma d’altra parte quando ci si trova di fronte a una produzione UK è difficile non sia così.
Ok, mi hai convinto a concedergli un po’ del mio tempo prezioso. Adesso ti saluto, Cannibal K… hey, ma tu sei me?
O io sono te?
No, io sono te.
Sì, ma se tu sei me, allora io sono te.
Eh, ma non è mica detto.
Quello che è sicuro è che sto impazzendo.
Mi sa che hai bisogno di una vacanza…
Sì. E anche tu, mi sa.
Infatti adesso ci vado.
Ah sì? Forse dovresti andare a quel paese, invece.
Ma vacci tu.
No tu.
Nooo, tu.
Ok, ci sono andato a quel paese: è un posto davvero affollato. Non si riesce nemmeno a trovare un posto in cui piazzarsi con l’asciugamano…
Cast: Abbie Cornish, Ben Whishaw, Paul Schneider, Thomas Sangster, Kerry Fox, Roger Ashton-Griffiths, Antonia Campbell-Hughes
Genere: romantico Romanticismo
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Trama semiseria
Il poeta romantico John Keats vive un romantico love affair con la sua vicina di casa e con “romantico love affair” intendo che i due non scopano e ci mettono circa un’ora di film per darsi un bacetto. Roba che al confronto Dawson con Joey era uno sveglio. Per fortuna a vivacizzare il tutto ci pensa il Pacey della situazione, il collega poeta Charles Brown (uno strepitoso Paul Schneider), che mette il bastone tra le ruote della loro relazione e mette incinta una. Ah, se non siete ancora convinti di vederlo, sappiate inoltre che nel film vengono lette un sacco di poesie e se siete uomini durante la visione potreste avere seri impulsi di correre a vedere un action con Bruce Willis che fugge da un’esplosione e spara a qualcuno tanto per il gusto di farlo.
Recensione cannibale
La luce di artisti come John Keats è proprio come quella delle stelle: le vediamo su nel cielo, eppure magari sono già morte. Fa davvero uno strano effetto pensare a come un nome che oggi vediamo presente su tutte le antologie dei più grandi poeti della storia, in vita non se lo sia praticamente filato nessuno. Fa male vedere che oggi gente come i Sonohra ci sia qualcuno che se li fili e siano pure in vita. Nel senso che c’è gente che li ascolta e non prova il desiderio di ammazzarli, ve ne rendete conto? Fa capire che le cose erano profondamente ingiuste anche nell’Ottocento, ancor prima della nascita di Silvio Berlusconi. Lo so, sono cose che si fa fatica ad accettare, ma il mondo non ha cominciato a girare al contrario solo da qualche tempo: la verità sconvolgente è che il mondo ha sempre girato al contrario.
Il film è incentrato sulla storia d’amore senza speranza tra una ragazza affamata di poesia interpretata da Abbie Cornish, un’attrice con il volto simile a Charlize Theron però più brava a recitare, e il poeta squattrinato John Keats interpretato da Ben Whishaw, un attore con il volto simile a James Franco però meno bravo a recitare.
Chi è John Keats? Se non vi siete mai interessati alla scena romantic dell’Ottocento ma solo ai new-romantic degli anni Ottanta come i Duran Duran o gli Spandau Ballet, per vostra info è quello che ha scritto gli immortali versi:
Beauty is truth, truth beauty, - that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.
Lo so che ha scritto molto altro è che è una esemplificazione eccessiva, come dire che Rino Gaetano è quello di “ma il cielo è seeeeeeempre più blu” e Kurt Cobain quello del tadada-tata taddada di chitarra nell'attacco di “Smells like teen spirit”, però è giusto per far capire a tutti di chi stiamo parlando, anche a chi come me Keats l’ha approcciato, prima di questo film, giusto solo durante le interessanti (oh God più o meno) lezioni di letteratura inglese liceali.
Da buon profano dei film in costume, la prima parte della pellicola non mi ha avvinto subito e anzi l’ho trovata un pochino noiosetta. A un certo punto scatta però qualcosa, una magia accecante e il film si illumina d’immenso, la poesia dei versi si trasforma in poesia visiva, l’amore tra i due piccioncini finalmente sboccia. Jane Campion ha il gran merito di riuscire a descrivere l’innamoramento in maniera meravigliosa e travolgente, con immagini che fanno raggiungere alla pellicola vertici difficili da descrivere a parole, se non con quelle di Keats:
Vorrei quasi che fossimo farfalle e vivessimo appena 3 giorni d'estate, 3 giorni così con te li colmerei di tali delizie che cinquant'anni comuni non potrebbero mai contenere.
La bellezza viene spazzata via dall’amarezza della parte finale, però vi avevo avvisato: il globo gira all’incontrario e le cose non vanno mai come dovrebbero. Berlusconi non andrà mai in galera e John Keats non avrà mai una vita felice e di successo. That’s just the way it is ed è così che andrà sempre. Se comunque volete trovare ancora un po’ di speranza, amore e poesia vi consiglio di vedere Bright Star, una stella luminosa in grado di illuminare le tenebre di un mondo crudele.
(voto 7,5)
Scena cult: l'atmosfera sospesa del post primo bacio tra i due protagonisti
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