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venerdì 27 gennaio 2017

The Childhood of a Leader: Crescere dittatori, che fatica!






The Childhood of a Leader
Regia: Brady Corbet
Cast: Tom Sweet, Bérénice Bejo, Liam Cunningham, Stacy Martin, Robert Pattinson, Yolande Moreau



Com'è l'infanzia di un leader?
Io lo so già. Basta che ripensi alla mia, LOL! 😁

Se voi invece non ne avete idea, ora potrete scoprirlo grazie al film intitolato in maniera un po' didascalica: The Childhood of a Leader, ovvero L'infanzia di un leader.

sabato 29 marzo 2014

IL PARADISO DEGLI ORCHI, OVVERO I GRANDI MAGAZZINI




Il paradiso degli orchi
(Francia 2013)
Titolo originale: Au bonheur des ogres
Regia: Nicholas Bary
Sceneggiatura: Nicholas Bary, Jérôme Fansten, Serge Frydman
Tratto dal romanzo: Il paradiso degli orchi di Daniel Pennac
Cast: Raphaël Personnaz, Bérénice Bejo, Guillaume de Tonquedec, Emir Kusturica, Thierry Neuvic, Alice Pol, Mélanie Bernier, Dean Constantin, Youssef Hajdi, Ludovic Berthillot, Isabelle Huppert
Genere: comedy-thriller
Se ti piace guarda anche: Mood Indigo - La schiuma dei giorni, Shameless, Veronica Mars

PIANO TERRA – GRANDI MAGAZZINI
Grandi magazzini, per grandi e per piccini.
Prendi al volo l’occasione, porta a casa l’affarone.



Lo so che questa canzone è del tutto idiota, ma ogni volta che la sento mi fa scendere giù una lacrimuccia malinconica, perché mi ricorda di quand’ero bambino. E poi a me i grandi magazzini, o se preferite i supermarket/centri commerciali, fanno un effetto contrastante. Come un po’ tutti i simboli del capitalismo, da una parte ne sono affascinato, dall’altra ne sono schifato. Da piccolo adoravo quando i miei mi portavano al Continente, il primo mega ipermercato della mia zona. Un luogo immenso in cui perdersi, ancor di più agli occhi di un bambino. Crescendo è però cresciuto anche il mio fastidio nei confronti di questi non-luoghi disumanizzanti, soprattutto nel periodo in cui c’ho lavorato.

Tutto questo per dire che il film Il paradiso degli orchi è ambientato prevalentemente all’interno di un centro commerciale. Se vi aspettate qualcosa nello stile del sopracitato Grandi magazzini di Castellano e Pipolo, meglio se andate in un altro supermercato. Meglio se andate al Conad. Il paradiso degli orchi è sì una commedia, ma è una commedia radical-chic prettamente francese. Non a caso io l’ho A-DO-VA-TA.
La pellicola è tratta dall’omonimo romanzo di Daniel Pennac, il primo della serie dedicata alla famiglia Malaussène, che io sento già come una seconda famiglia e, allora, dopo il piano terra dedicato ai Grandi magazzini, saliamo al primo piano, quello dedicato allo scrittore Daniel Pennac.

"Fabio Fazio, la smetta di farmi domande idiote, tipo se le posso prestare una pennac, per favore."

PRIMO PIANO – DANIEL PENNAC
Non ho mai letto niente di Daniel Pennac.
Fine della visita a questo piano.

No, dai, il piano non è finito qui. Non l’ho mai letto, è vero, ma avrei sempre voluto farlo. Mi è anche stato consigliato, eppure non mi sono mai cimentato con una delle sue opere. Perché? Non so perché. Lo stile ironico e folle che emerge da questa pellicola mi sembra proprio di quelli che potrei lvvare in maniera incondizionata, quindi prometto di impegnarmi a recuperare qualche suo libro al più presto. Magari i volumi successivi a Il paradiso degli orchi delle avventure dei Malaussène, che adesso mi sono preso bene e voglio vedere cos'altro combinano.
Chi sono i Malaussène?
Sono una famiglia parigina molto particolare, in cui il padre non si sa chi sia, la madre è assente ed è sempre da qualche parte innamorata e incinta, la sorella maggiore è pure lei incinta, la sorella minore è una teenager hipster, il fratello minore è un teppistello sboccato e, a portare a casa lo stipendio in questa disastrata famiglia non troppo distante dai Gallagher di Shameless, ci pensa allora unicamente il fratello maggiore Benjamin, il protagonista principale della pellicola.


SECONDO PIANO – IL FILM
Che mestiere fa, Benjamin Malaussène?
A livello ufficiale, è l'addetto alla manutenzione tecnica di un grosso centro commerciale parigino. In realtà fa il capro espiatorio, ovvero lo pagano per prendersi le colpe dei guasti davanti ai clienti danneggiati cosicché questi, impietositi nei suoi confronti, non chiedono al supermercato alcun risarcimento. Nonostante Pennac abbia scritto il romanzo negli anni Ottanta, questo sembra uno spunto ideale per i tempi di crisi di oggi. Quasi quasi vado a fare pure io il capro espiatorio. Tanto mi sputtano già pubblicamente qui su Pensieri Cannibali aggratis, tanto vale essere pagato per farlo.
All’interno dei grandi magazzini in cui lavora Benjamin, un giorno cominciano delle misteriose esplosioni, che sembrano collegate alla scomparsa di alcuni bambini avvenuta parecchi anni prima. Entra qui in movimento una trama thriller apparentemente leggera, eppure davvero ben sviluppata e in grado di offrire un livello di coinvolgimento maggiore della maggior parte dei thriller “seriosi” in circolazione. Il tutto condotto con un stile frizzante, leggero, da commedia. Si sorride, grazie allo stralunato protagonista combinaguai e alla sua ancora più stralunata famiglia, e allo stesso tempo si seguono con interesse gli sviluppi della componente gialla. Un thriller-comedy non lontanissimo dalle indagini di Veronica Mars, solo inserito in un contesto molto francese, con tanto di un gusto per il grottesco vagamente alla Mood Indigo - La schiuma dei giorni.

"Ah, che bel lavoro, fare il dicaprio espiatorio!"

TERZO PIANO – BÉRÉNICE BEJO E IL RESTO DEL CAST
Per non farsi mancare niente, oltre alla componente thriller e a quella comedy la pellicola ci regala anche un piccolo spazio sentimentale, grazie all’interesse amoroso del protagonista, la splendida Bérénice Bejo qui in versione rossa. Che dire, di questa fenomenale attrice francese nata in Argentina? L’ho vista in appena una manciata di pellicole, ma già mi sembra una delle interpreti più versatili del cinema mondiale attuale e forse di sempre. Starò mica esagerando? In ogni caso, dai toni comedy di questo film e di Tutti pazzi per Rose a quelli drammatici de Il passato, passando per la straordinaria prova “muta” di The Artist, se la cava sempre in maniera formidable. Per quanto riguarda il resto del cast, ispira un’enorme simpatia il protagonista, Raphaël Personnaz, e in un paio di ruoli minori si segnalano pure il regista Emir Kusturica e Thierry Neuvic, visto in Hereafter e nella mini-serie italiana Le cose che restano.
E ora con l'ascensore scendiamo giù, a tirare le somme della visita a questo centro commerciale.

"Va bene, mi arrendo!
Ammetto di essere bella e brava. E soprattutto modesta."
"E c'ho pure due belle tette, tiè!"

PIANO SOTTERRANEO – CONCLUSIONI
Che bella commedia, Il paradiso degli orchi! Una delle più piacevoli viste negli ultimi tempi.
E che bel thriller, Il paradiso degli orchi! Nonostante i toni grotteschi e nonostante non si prenda mai troppo sul serio, la parte gialla funziona che è un piacere. Qualcosa in comune con Grandi magazzini allora questo film ce l’ha: funziona su più piani e la sua visione è consigliata a grandi e piccini.

Grandi magazzini, per grandi e per piccini.
Prendi al volo l’occasione, porta a casa l’affarone.

E voi, portatevi a casa questo film.
(voto 7+/10)

lunedì 25 novembre 2013

IL PASSATO E’ PASSATO, IL FUTURO E’ INSICURO E IL PRESENTE E’ FETENTE




Il passato
(Francia, Italia 2013)
Titolo originale: Le passé
Regia: Asghar Farhadi
Sceneggiatura: Asghar Farhadi, Massoumeh Lahidji
Cast: Ali Mosaffa, Bérénice Bejo, Tahar Rahim, Pauline Burlet, Jeanne Jestin, Elyes Aguis, Babak Karimi, Valeria Cavalli, Sabrina Ouazani
Genere: divorzista
Se ti piace guarda anche: Copia conforme, Before Midnight, Blue Valentine, Una separazione

Il vostro matrimonio sta andando a scatafascio? State pensando al divorzio? Vostra moglie appena aprite bocca vi lancia in automatico dei piatti? Vostro marito vi tradisce con delle baby prostitute? Pensate che quello delle vostre nozze non sia stato il giorno più bello delle vostre vite, bensì quello più sciagurato?
Smettetela di lamentarvi, è ora di prendere in mano la situazione. Cosa fare?
Basta chiamare Asghar Faradhi.


Dopo aver realizzato film dai titoli impronunciabili come Raghs dar ghobar, Shah-re ziba e Chaharshanbe-soori, mai arrivati in Occidente perché nessuno sapeva come tradurli, nemmeno i sempre fantasiosi titolisti italiani, il regista iraniano Asghar Faradhi ha cominciato a farsi conoscere dal pubblico internazionale e nel circuito dei festival cinematografici con About Elly, ma la vera grande acclamazione mondiale è arrivata con il successivo Una separazione, vincitore del Leone d’Oro al Festival di Berlino 2011 e dell’Oscar 2012 per la miglior pellicola straniera.
Visto il clamoroso successo di quel film che, come si può intuire dal titolo, raccontava appunto di una coppia che decideva di separarsi, Faradhi ha deciso di prendere la specializzazione, come per gli avvocati, ed è diventato un regista divorzista. Anche il suo nuovo lavoro, Il passato, parla infatti di una separazione, o meglio di un divorzio.
Tutta la vicenda si sviluppa a partire dal ritorno a Parigi dell’iraniano Ahmad (Ali Mosaffa), di rientro in Francia per firmare i documenti che ufficializzano il divorzio dalla moglie Marie, interpretata da una intensissima Bérénice Bejo, quella che in The Artist voleva trombarsi un attaccapanni. E poi dicono Miley Cyrus

"Non mi fido di te, con quel look da terrorista islamico!"
"Ha parlato Capitan America, ha parlato..."
I due avevano rotto già quattro anni prima, ma lui aveva tergiversato sempre prima di ufficializzare la cosa, anche perché un’altra bella femmena come la Bérénice Bejo dove la trova?
La Bérénice Bejo dopo tutto quel tempo vuole però risposarsi, con Tahar Rahim, Il profeta in persona del film di Jacques Audiard. Fondamentalmente, Ahmad non si oppone a questa nuova unione e sembra avere tutte le intenzioni di firmare i documenti di divorzio senza fare sceneggiate napoletane. La situazione sembra quindi piuttosto semplice, ma dimenticate una cosa: ad Asghar Faradhi non piace il semplice. Se in Una separazione più che a una separazione assistevamo a un bordello iraniano, qui le cose sono altrettanto complicate. Se non peggiori.

Bérénice Bejo ha due figlie, ma non figlie di Ahmad, né del nuovo compagno. Le ha avuto da uno dei suoi altri due matrimoni e, se continua di questo passo, potrebbe superare il record di matrimoni di Liz Taylor. Le due, una bambinetta piuttosto ininfluente nella storia e una teenager emo alla Kristen Stewart, sono molto legate al rientrante Ahmad, mentre non guardano troppo di buono occhio il rapporto tra la mamma e il profeta Tahar Rahim, il quale a sua volta ha pure lui un bambinetto.
Vi sembra che la situazione cominci a essere piuttosto ingarbugliata?

ATTENZIONE SPOILER
In realtà non è ancora niente. È qui che Asghar Faradhi tira fuori il colpo da maestro. Tahar Rahim ha una moglie in coma in ospedale!
E non è finita… la donna ha cercato di suicidarsi. Perché l’ha fatto? Forse perché aveva scoperto che il marito l’aveva tradita.
FINE SPOILER

La trama de Il passato può quindi ricordare una puntata a caso di Beautiful. Almeno credo. Nella vita non c’è nulla di certo, è anche di questo che il film parla. Non posso dirlo con sicurezza perché non credo di aver mai visto più di 30 secondi di fila di Beautiful, non senza volermi suicidare a mia volta, almeno. Da quel che mi hanno raccontato, comunque, mi immagino delle storie non troppo distanti da questa. Allora perché Beautiful viene quotidianamente denigrato, mentre Asghar Farhadi è il regista divorzista più apprezzato e applaudito del cinema mondiale?
Perché i suoi film sono girati con uno stile semplice, quasi neorealista, e raccontano delle vicende in apparenza da soap-opera, ma che in realtà dicono moltissimo sulla società attuale. Perché i suoi film sono di una profondità vertiginosa eppure non sono dei mattonazzi inguardabili. Perché i suoi film riflettono sul passato, ma riflettono il presente. Perché i suoi film sono ricchi di dialoghi splendidi, ma le scene chiave sono quelle di silenzio. Perché i suoi film sembrano dei film drammatici e in realtà sono dei film thriller tesi che ti tengono incollato allo schermo fino alla fine. Perché i suoi film sono davvero beautiful.
(voto 8/10)



mercoledì 5 giugno 2013

TUTTI PAZZI PER CHI BATTE (A MACCHINA)


Tutti pazzi per Rose
(Francia 2012)
Titolo originale: Populaire
Regia: Régis Roinsard
Sceneggiatura: Régis Roinsard, Daniel Presley, Romain Compingt
Cast: Déborah François, Romain Duris, Bérénice Bejo, Frédéric Pierrot, Shaun Benson, Miou-Miou, Caroline Tillette, Mélanie Bernier
Genere: retrò
Se ti piace guarda anche: Abbasso l’amore, We Want Sex, Scoop

"Hey fanciulla, cosa fai nella vita?"
"Batto."
"Mooolto piacere di conoscerti!"
Tutti pazzi per Rose parla di una gara per segretarie a chi batte a macchina più veloce. Raccontato così, mi rendo conto non sia lo spunto di partenza più entusiasmante del mondo per una pellicola. Attira giusto un pochino più di quelli là, i guarda-uccelli, gli appassionati di bird-watching di Un anno da leoni, ma per il resto è un’idea non troppo appealing. La cosa importante di una storia non è però tanto cosa racconta, ma come lo racconta. Holly & Benji non era appassionante perché parlava di calcio. Spesso e volentieri pellicole e serie sul pallone fanno pena. Holly & Benji era figo per quei suoi campi lunghi (e non intendo nell’accezione cinematografica del termine), per quei primi piani (e qui intendo nell’accezione cinematografica del termine) alla Sergio Leone, per quelle partite che potevano andare avanti per delle settimane, altroché 90 minuti.

"Smettila di chiamarmi Luca Argentero, tipa di The Artist."
Tutti pazzi per Rose non è figo quanto Holly & Benji, sia chiaro. Per chi come me è cresciuto insieme a loro, quasi niente nella vita si sarebbe poi rivelato entusiasmante quanto Holly & Benji, se non giusto poche cose come il sesso e i film di Quentin Tarantino. Tutti pazzi per Rose riesce però a essere un film avvincente, nonostante la sfida su chi batte a macchina da scrivere in maniera più rapida non sia sulla carta una di quelle gare su cui giocarsi lo stipendio in sala scommesse. Come ci riesce? Potere del cinema francese, che continua a regalare soddisfazioni anche nel campo delle commedie.
Una parte del fascino emanato da questa pellicola troppo carina caruccia sono l’ambientazione e le atmosfere. La vicenda si svolge nel 1958 e i toni sono proprio quelli da comedy romantica del periodo 50s/60s, quelle con Audrey Hepburn, quelle belle romcom de 'na vorta che oggi così non se ne fanno più, non se ne fanno. Molto piacevoli anche le musiche di accompagnamento, tra cui svetta il “Cha cha cha della segretaria” in versione francese, che poi è uguale alla versione italiana, mentre il tema musicale principale fa sorridere perché ricorda molto da vicino quello della pubblicità del Beltè, più buono non ce n’è… sì, proprio quello.

"Merci beaucoup pour les compliments, garçon cannibales. Salutations de 1958."
Il punto di forza principale della pellicola è però la protagonista. Rose Pamphyle è una ragazza cui non interessa sposare il più gallo del paese e decide di andare in città in cerca di fortuna. Da lì partirà la sua carriera come segreteria e poi, dietro l’incoraggiamento del suo datore di lavoro, visto che l’unica cosa in cui è brava è battere (a macchina), comincerà una carriera da velocista nella battitura (a macchina). Una storia di emancipazione femminile non troppo distante dal britannico We Want Sex, ma l’attenzione in questo caso è più spostata sulla competizione agonistica, più tesa di quanto si potrebbe immaginare e con tanto di allenamenti alla Rocky, e sui risvolti sentimentali della storia.
Poteva mancare la storiona d’amore? Eh no, dai. Ve l’ho detto che è una romcom. Il film viaggia comunque su binari spediti e non percorre sentieri troppo melensi. Merito come detto della protagonista, interpretata dalla sempre più brava (e bella) Déborah François, attrice de L’enfant e del notevole Le premier jour du reste de ta vie. Una tipa dolce e tosta allo stesso tempo che mi ha ricordato, non so bene perché, sarà per la sua determinazione, le protagoniste dei film dello Studio Ghibli come la streghetta Kiki o la piccola Arrietty.

Ottimo anche il resto del cast, con Romain Duris (Il truffacuori, L’appartamento spagnolo, Tutti i battiti del mio cuore) che sembra una versione francese e capace a recitare di Luca Argentero, più Bérénice Bejo (The Artist), appena premiata come migliore attrice all’ultimo Festival di Cannes per Le passé di Asghar Farhadi, e Frédéric Pierrot dalla super consigliata serie tv francese Les Revenants.
Bravi, bravissimi loro, piacevolissima e adorabilissima la pellicola, però il titolo italiano di questo Populaire per una volta è azzeccato: alla fine della visione, si rimane Tutti pazzi per Rose. E tutti pazzi per Déborah François.
(voto 6,5/10)

Recensione pubblicata anche su The Movie Shelter.


domenica 26 maggio 2013

C’EST LA VIE (D’ADELE)


Festival di Cannes 2013, ultimo atto.
Detto così, sembra che qui a Pensieri Cannibali si sia seguito l’evento cinematografico giorno per giorno, film dopo film. Non è esattamente così. Purtroppo non ero presente sulla Croisette, ma se il prossimo anno qualche giornale, rivista, sito e/o compagnia di catering volesse sponsorizzarmi la trasferta, mi offro ben volentieri! GRAZIE

Poco fa si è tenuta la cerimonia di chiusura della manifestazione, condotta dalla madrina Audrey Tautou, arrivata direttamente dal magico mondo del cinéma. Quali sono stati i verdetti della giuria, presieduta quest’anno dall’ormai bollito, almeno come regista, Steven Spielberg?
Le sue decisioni saranno state ai livelli del mediocre Lincoln o addirittura del tragico War Horse?
Scopriamolo subito…

Miglior attore
Bruce Dern per Nebraska di Alexander Payne.
Attore dalla carriera lunghissima visto anche ne Il grande Gatsby versione 1974, dove interpretava la parte di Tom Buchanan. In più, è pure il paparino di Laura Dern, la musa numero 1 del cinema di David Lynch. Sarà stato un premio meritato? Boh, di certo Alexander Payne, quello di Paradiso amaro e Sideways, è un regista che sa tirare fuori il meglio dai suoi attori.

Miglior attrice
Berenice Bejo per The Past di Asghar Farhadi (il regista iraniano di Una separazione). Pollice su, per la francesina rivelazione di The Artist.

A presentare il premio per la miglior sceneggiatura c’è Asia Argento, con un tono di voce da femme fatale dark che sembra stia per avere un orgasmo da un momento all’altro. E mentre la nostra Asia si distrae, l’award va a Thian zu Ding per la pellicola A Touch of Sin del cinese Jia Zhang-ke. Che tutti conosciamo, nevvero?

"Un saluto dall'Italia, Mr. Spielberg!"

Premio della Giuria
Like Father. Like Son, del giapponese Hirokazu Koreeda, regista noto per aver affrontato spesso nei suoi film il tema del lutto. Un allegrone, in pratica. Yatta!

Il Prix de la mise en scène per il miglior regista va… al messicano Amat Escalante per Heli.

Kim Novak, e dico la donna che visse due volte Kim Novak, consegna il Gran Premio della Giuria a Inside Llewyn Davis. Nonostante generalmente non sopporti un granché i fratelli Coen, questo film a tematica musicale con Oscar Isaac, Justin Timberlake e Carey Mulligan mi incuriosisce assai.




Palma d’Oro
La Dea Uma Thurman consegna il premio più ambito a…
Il favorito della vigilia: La vie d'Adele, pellicola francese firmata dal regista tunisino Abdellatif Kechiche. Non ho visto i film precedenti del regista, che ho lì lì da recuperare, però una pellicola con scene lesbo tra la splendida e bravissima Léa Seydoux e la rivelazione Adèle Exarchopoulos, entrambe molto commosse durante la premiazione, sulla fiducia la Palma d’Oro se la merita tutta.
Certe che al giorno d’oggi a chiamarsi Adele si vincono Grammy, Oscar, Mtv Awards e ora pure la Palma d’Oro.




La Palma d’Oro alla gnoccaccine, premio consegnato in esclusiva da Pensieri Cannibali, va invece a…
Emma Watson

"Thank you, Cannibal!"

Riassunto dei premi del Festival di Cannes 2013 per chi non aveva voglia di leggersi tutto il post
Palma d'oro: “La Vie D'Adele” di Abdellatif Kechiche
Gran Prix: “Inside Llewyn Davis” di Ethan e Joel Coen
Premio alla regia: Amat Escalante per “Heli”
Premio della giuria: “Like Father, Like Son” di Kore-Eda Hirokazu
Miglior attore: Bruce Dern per “Nebraska” di Alexander Payne
Migliore attrice: Berenice Bejo per “Le Passé” di Asghar Farhadi
Miglior sceneggiatura: Jia Zhangke per Tian Zhu Ding (A Touch Of Sin)
Palma d'oro al miglior cortometraggio: Safe di Moom Byoung-gon
Menzione speciale al cortometraggio: Hvalfjordur (Whale Valley / Le Fjord des Baleines) di
Gudmundur Arnar Gudmundsson
Camera d'Or: Ilo Ilo di Anthony Chen (Quinzaine des Réalisateurs)

E Paolo Sorrentino? E Toni Sorvillo? E La grande bellezza? E i film di Ozon, Polanski, Soderbergh e Jim Jarmush? E il fischiato Solo Dio perdona di Refn?
Per loro niente. Potrà Dio perdonare Steven Spielberg?

martedì 24 gennaio 2012

The Artist: la recensione muta







































The Artist
(Francia, Belgio 2011)
Regia: Michel Hazanavicius
Cast: Jean Dujardin, Bérénice Bejo, cane, John Goodman, James Cromwell, Missy Pyle, Malcolm McDowell
Genere: d'altri tempi
Se ti piace guarda anche: Cantando sotto la pioggia, La donna che visse due volte, qualcosa di Charlie Chaplin


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