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martedì 2 dicembre 2014

MAZE RUNNER - IL LABIRINTO DEI RAGAZZI CASTRATI





Maze Runner - Il labirinto
(USA, Canada, UK 2014)
Titolo originale: The Maze Runner
Regia: Wes Ball
Sceneggiatura: Noah Oppenheim, Grant Pierce Myers, T.S. Nowlin
Tratto dal romanzo: Il labirinto di James Dashner
Cast: Dylan O'Brien, Kaya Scodelario, Will Poulter, Ki Hong Lee, Blake Cooper, Aml Ameen, Thomas Brodie-Sangster, Joe Adler, Patricia Clarkson, Don McManus
Genere: bimbominkia
Se ti piace guarda anche: Cube, The Village, Hunger Games

Ci sono film che secondo me dovrebbero farsi pagare i diritti d'autore ogni volta che vengono scopiazzati presi come fonte d'ispirazione. Ci sono in particolare due pellicole che negli ultimi anni sono state saccheggiate alla grande e a cui la Storia del Cinema non ha forse ancora riconosciuto una reale importanza.
Il primo è Cube - Il cubo, secondo me uno dei film più geniali degli ultimi 20 anni. Non ho detto uno dei più belli. Ricordo anzi che la visione mi ha a tratti infastidito parecchio e persino causato dolore. Dolore fisico. Un film che mi provoca una reazione del genere non riesco a considerarlo bello, non nel senso pieno del termine almeno. Ciò non toglie che Cube sia un film assolutamente grandioso. La pellicola diretta da Vincenzo Natali parte da uno spunto fenomenale: un gruppo di persone che non si conoscono tra loro si ritrovano insieme all'interno di un cubo. Nessuno sa come sia successo o il perché. A partire da quest'idea si sviluppa un thriller-horror fantascientifico inquietante come pochi e capace di generare la saga di Saw - L'enigmista, film che ha commercializzato lo spunto di Cube in maniera accattivante e capace di incassare milioni e milioni di dollari, laddove il film di Natali è rimasto un piccolo cult che negli USA non è manco riuscito a raggiungere 1 milione di $ di incasso. Pure la serie Lost, se vogliamo, parte da uno spunto vagamente alla Cube, con degli individui che finiscono loro malgrado insieme in un posto misterioso per misteriose ragioni.

sabato 2 novembre 2013

CITADEL, CHI HA PAURA DEI BIMBIMINKIA?




Citadel
(Irlanda, UK 2012)
Regia: Ciaran Foy
Sceneggiatura: Ciaran Foy
Cast: Aneurin Barnard, James Cosmo, Wunmi Mosaku, Amy Shiels, Ian Hanmore
Genere: Irish horror
Se ti piace guarda anche: The Children, Dread, Eden Lake, Attack the Block

Ho paura. Ho paura. Ho paura.
Ma di cosa?
Non aprite quel bimbominkia.
Ho paura di tante cose, che avevo già elencato in un recente post dedicato al clownesco Stitches, e di recente ho sviluppato anche una paura nei confronti dei film dell’orrore.
Non ho paura di aver paura guardandoli. Tutto il contrario. Ho paura di non averne paura. Negli ultimi tempi ho trovato davvero interessanti giusto un paio di film horror: Quella casa nel bosco e The Innkeepers, che però più che una paura fottuta mi hanno divertito e mi sono sembrati geniali nella loro riflessione sul genere. Sarà che una volta ero più facilmente impressionabile o sarà che ultimamente di film da strizzarsi per davvero ne sono usciti pochetti, però, è proprio il caso di dirlo a costo di dire una banalità, non ce sono più i film de paura de ‘na vorta.
Escono un sacco di pellicole replicate in serie, sempre uguali, che puntano tutte o quasi sugli stessi effetti per spaventare. Citadel non è una di queste. Citadel è un film che ha qualche spunto originale. Con questo non intendo, purtroppo, che siamo di fronte a una nuova pietra miliare del genere, però se non altro dentro c’ha qualche ideina niente male.

"Lasciatemi stare, bimbiminkia! Justin Bieber non lo voglio ascoltare!!!"
In Irlanda sta nascendo una nuova scena horror? Dopo Stitches, che puntava maggiormente sull’ironia ma non era del tutto riuscito, e il valido Grabbers, di cui prima o poi parlerò, il popolo della Guinness ci riprova con Citadel. L’aspetto più interessante di questa pellicola dell'orrore è la scelta del protagonista. Non mi riferisco all’attore, il giovane Aneurin Barnard, le cui deboli spalle non riescono a reggere un film che gli grava quasi interamente addosso. Mi riferisco al tipo di personaggio: un giovane padre rimasto vedovo. Un tipo di personaggio piuttosto inconsueto, soprattutto per un horror, un baby daddy che si deve occupare del figlioletto e proteggerlo. Proteggerlo da chi?
Dai bimbiminkia!
Capito bene. I cattivoni del film sono dei bimbiminkia. Dei ragazzetti incappucciati che prima attaccano sua moglie e poi se la prendono anche con il suo figliolo. Che poi quella dei ragazzetti incappucciati era un’idea già utilizzata in un altro horror britannico di cui in questo momento mi sfugge il titolo.

Mmm… ora mi è ritornato in mente... si chiamava F. Non proprio un titolo memorabilissimo.
La tematica delle baby gang che sono una minaccia peggio di vampiri, zombie o mostri vari era inoltre già presente anche in Eden Lake. Rientra poi qui il tema delle periferie britanniche visto in Attack the Block e nuovo luogo pericoloso ideale per girare pellicole del genere.

"Figlio mio, per te sogno un futuro diverso.
Un futuro senza One Direction e Twilight."
Citadel contiene quindi al suo interno elementi utilizzati in altre pellicole, ma per fortuna riesce anche a mantenere una sua personalità. Alcune scene sono inoltre ben costruite e provocano una discreta tensione. Non paura. Quella no. Quella la prova il terrorizzato protagonista, meno lo spettatore. A contribuire a rendere più inquietanti le atmosfere ci pensano, oltre alle citate ambientazioni degli inquietanti sobborghi inglesi, anche le musiche dei sempre grandi Tomandandy, autori di ottime sountrack per Le regole dell’attrazione, The Mothman Prophecies e The Strangers, un film quest’ultimo non troppo distante da Citadel. La cosa migliore è però il discorso sulla paura in sé, dalle parti di quanto fatto da un altro piccolo e ancor più meritevole horror UK, Dread.
A funzionare meno è il cast. Oltre al persino troppo spaesato protagonista, anche gli altri non sembrano degli attoroni e pure i dialoghi sono alquanto scarni per non dire porelli. Limiti che impediscono alla pellicola di essere davvero riuscita, ma che non impediscono comunque all’esordiente regista e sceneggiatore Ciaran Foy di segnalarsi come nuova promessa irlandese (e non solo) del genere horror (e non solo). Il ragazzo, magari con un budget e un cast più adeguati, potrebbe regalarci belle cosette in futuro.

ATTENZIONE SPOILER
La storia, partendo da presupposti intriganti, nello sviluppo, come capita alla gran parte degli horror, perde in fascino e il finale poi è quello più ovvio. Non che ci stia troppo male, però si poteva già prevedere fin dall’inizio. La morale è la solita: basta un po’ di coraggio e un po’ di forza di volontà e tutte le paura possono essere sconfitte. Ebbene sì, anche la paura dei bimbiminkia!
(voto 6/10)

Questo post chiude la Special Cannibal Halloween Week, che comprende anche i post su Dark Skies - Oscure presenze, Truth or DareStitches e Haunter.
E ora, R.I.P. Special Cannibal Halloween Week.




lunedì 2 settembre 2013

BIMBIMINKIA UNITI ALLA RISKOSSA


Justin Bieber e Miley Cyrus hanno fatto una canzone insieme, “Twerk”. OMG!
Tanto per la cronaca, il twerk o twerking è un modo di ballare sessualmente molto esplicito che consiste nello scuotere e agitare in modo energico le chiappe, se possibile strusciandosi contro il pacco del partner di letto ballo. Detto anche più terra a terra, significa troieggiare on the floor. Una pratica un tempo in voga soprattutto tra le donne black ma ormai sdoganata anche dalla bianca come il latte Cyrus, che l’ha resa la sua nuova ragione di vita, si vedano gli ultimi Mtv Video Music Awards.


Ecco il frutto della collaborazione Justin + Miley.
Io non aggiungo altro. Dico solo: al mio segnale, scatenate l’inferno.





Via!


domenica 23 settembre 2012

LOL - Pazzo chi lo considera un film

LOL – Pazza del mio migliore amico
(USA 2012)
Titolo originale: LOL: Laughing Out Loud
Regia: Lisa Azuelos
Cast: Miley Cyrus, Demi Moore, Douglas Booth, Ashley Greene, Ashley Hinshaw, Lina Esco, Jean-Luc Bilodeau, Adam G. Sevani, Thomas Jane, Gina Gershon, Austin Nichols, Jay Hernandez, Fisher Stevens
Genere: bimbominkioso
Se ti piace guarda anche: LOL – Il tempo dell’amore (l’originale francese), Il tempo delle mele, 3MSC



Miley Cyrus è una grandissima attrice. LOL

A Demi Moore non piace fare la ggiovane in mezzo ai ggiovani. No no. LOL


Ashton Kutcher non ha mai tradito Demi Moore quando erano sposati. LOL


LOL è una pellicola stupenda che cambierà le sorti del cinema mondiale. LOL

"Miley, che ti leggi? Il libro di Cannibal?

"Ma no, quello fa schifo. Preferisco Hunger Games!

LOL è la dimostrazione di come il cinema americano ora come ora sia così pieno di idee originali da non avere bisogno di andare a fare remake di pellicole francesi che per quanto carine non è che fossero già dei capolavori. LOL


LOL è la dimostrazione di come il cinema americano ora come ora sia così pieno di idee originali da non aver bisogno di copiare persino i lucchetti di Moccia oh-mio-Dio! LOL


LOL è un’operazione che ricorda Funny Games di Michael Haneke, con una regista (Lisa Azuelos) alle prese con il remake di un suo stesso film. E la Azuelos vale proprio quanto Haneke. Sì sì. LOL

Un'altra idea completamente originale e fantastica a questo punto sarebbe realizzare pure un remake/sequel americano de Il tempo delle mele! LOL

Il mio blogger-nemicoamico Mr. James Ford ha deciso di disdire la prenotazione della sua copia in DVD de I mercenari 2 in favore dell’ordine immediato di questo. LOL

Miley Cyrus con il suo nuovo taglio di capelli non ha scopiazzato Pink. LOL


Ashley Greene è brutta. Proprio brutta. LOL


Questo film non fa rimpiangere persino l’ultima pessima stagione di Gossip Girl. LOL

Miley Cyrus è una gran zoccola. LOL… ehm no, niente LOL, quest’ultima frase è vera, non c’è niente da ridere.
LOL
(voto 4/10)

"La sicurezza, per favore: c'è un cannibale da prendere a calci nel culo!"

venerdì 4 maggio 2012

Justin Believer

Justin Bieber se n’è uscito con un nuovissimo video, "Boyfriend."
«E sti cazzi!» direte voi.
Il pezzo è il primo singolo estratto dal suo nuovo album in uscita in tutti i peggiori negozi di dischi a giugno e che si chiamerà “Believe”.
Perché un titolo del genere?
Perché bisogna essere davvero credenti per pensare che dentro possa contenere della Musica.

Fine delle battutacce su JBeebz che se no le fan mi si incazzano di brutto. Sono infatti ancora memore del mio post su quegli altri teen-idols tween-idols degli One Direction, che ha scatenato vari commenti piuttosto feroci. Il migliore in assoluto (forse il miglior commento di tutti i tempi lasciato su Pensieri Cannibali) è quello di una tizia anonima che ha scritto:


sono stupendi e fantastici ... come a voi vecchi piacciono i Beatles (per la carità sono bravissimi) a noi ragazze piacciono loro.


"Azzo, non riesco più a staccare la mano! Mi sa che ho messo troppo gel..."
Non so chi sei, commentatrice anonima, però grazie: questo commento è stupendo e io ti voglio bene.
Comunque: “voi vecchi” a chi??? Aò, a ragazzì, ma con chi credi de stà a parlà?

E ora beccatevi il nuovo video di Justin Bieber, che tra l’altro è molto poco liberamente ispirato a quello di “Like I Love You” del solo e unico Justin, ovvero Justin Timberlake. Uno che piace anche a "noi vecchi".
Quanto alla canzone, va detto che è meglio di quanto fatto dal Bieberon in passato, anche perché fare peggio di “Baby baby baby oooooh” era francamente impossibile. Da notare anche le nuove sonorità hip-hop yo yo del pezzo. Jay-Z, Lil Wayne e50 Cent fate attenzione, perché c’è un nuovo gangsta in città!

mercoledì 28 marzo 2012

One Direction is the wrong direction

Quando succedono certe cose, io voglio capire.
Curiosity killed the cat, ma non importa. Io sono curioso e voglio capire.
I One Direction sono una boy-band e fanno musica mediamente di merda. Fin qui tutto normale.
I One Direction sono però anche la prima band britannica, in tutta la storia della musica, a esordire direttamente al primo posto nella classifica americana degli album più venduti.
Il loro primo disco “Up All Night” è infatti entrato la settimana scorsa alla numero 1 della Billboard chart, cosa mai successa prima. Quelle che c’erano andate più vicine finora erano state le Spice Girls, che però avevano esordito solo alla posizione numero 6.
E invece questi cinque bimbettiminkia sono riusciti dove manco i Beatles…
Per di più la band è ovviamente popolarissima in patria e persino in Italia sono riusciti a debuttare al primo posto, cosa che pure da noi non è così facile per un gruppo esordiente.
Andiamo allora a vedere il perché di tanto successo.
Se esiste un perché.

I One Direction a X-Factor: per me è NO!
One Direction “Up All Night”
Genere: boibend
Provenienza: X-Factor
Se ti piacciono ascolta anche: Justin Bieber, Backstreet Boys, Jonas Brothers e possibilmente, sempre se ti piacciono, ascoltali il più lontano possibile da questo blog!

Per prima cosa, i One Direction vengono fuori da un talent-show, e te pareva, in questo caso dall’X-Factor britannico, dove si sono classificati terzi. Sfigati.
Dopodiché Simon Cowell, quel gran volpone di Simon Cowell, il Mario de Filippi della televisione anglosassone, li ha messi sotto contratto con la sua label discografica e ha lanciato il loro singolone (?) di debutto “What makes you beautiful”. Una canzoncina che a quanto pare ha spopolato alla grande in tutto il mondo e che ha pure vinto il titolo di miglior singolo ai Brit Awards 2012.


Non per fare il guastafeste, ma il pulmino chi lo guida?
Non arrivate a 18 anni in 5...
Sta roba che inizia come un plagio della musichetta di Grease ed esplode in un ritornello che sembra fatto apposta per essere cantato in coro dal Glee Club, quello dell’ultima pessima stagione, un pezzo che sa di pochezza lontano un miglio persino all’interno dell’ambìto (poco ambito) bimbominkia pop music sarebbe il miglior singolo dell’anno???
Il video, in più, è decisamente idiota. Idiota alla Rebecca Black, per dire. Forse allora è quella la chiave del successo: l’idiozia.

L’immagine nella pop music conta, conta eccome, non andiamo certo a scoprire l’acqua calda nel dirlo. E come sono messi, a livello di immagine, questi One Direction?
Bah, pure qui appaiono parecchio anonimi.
Sembrano 5 Justin Biebers indistinguibili, tutti vestiti e pettinati uguali, in cui nessuno emerge.
Ma anche in passato le cose erano così?
Andiamo a studiare un po’ di storia, su.
Passiamo a un confronto con le boyband storiche del passato. Lo so che non attendevate altro…

Immagine tratta dal diario delle medie del mio blogger rivale Mr. James Ford
I Monkees sono nati probabilmente come la prima vera e propria boyband pre-fabbricata della storia, ma con ottime canzoni come “I’m a believer” e “Daydream believer” alle spalle, un paragone non è nemmeno proponibile.
Altri tempi, comunque.
Più avanti, molto più avanti, arrivano i New Kids on the Block e qui siamo già più nelle corde dei One Direction.
Ma è nei 90s che il fenomeno delle boy bands (ahinoi) esplode in tutta la sua dirompente forza.
Le boyband più amate, o diciamo più odiate, nel corso della mia infanzia/adolescenza sono stati i Take That, i Backstreet Boys e gli *N SYNC. I Take That contenevano al loro interno una mina vagante, un pazzo schizzato come Robbie Williams, che qui non mi sembra proprio presente. Così come non vi è nemmeno un leader o un talento vocale ad emergere come nel caso del Justin Timberlake fuoriuscito (grazie a Dio) dai plasticosi *N SYNC.
Un paragone più calzante allora può essere con i Backstreet Boys, in cui nessuno si segnalava in particolare… Nick Carter, forse, però non era certo ‘sto fenomeno.
A livello di canzoni, non ci siamo proprio. Certo, anche quelle dei Backstreet Boys facevano per lo più cacare e un pezzo come il nuovo fantastico (?) singolo “One Thing” dei One Direction sembra un diretto omaggio proprio alla loro celebre “I Want It That Way”…


Però almeno “Everybody (Backstreet’s Back)”, quella sì era una figata. Ammettiamolo senza fare troppo i vergognosi o gli snob. Alright!


Questo disco d’esordio dei One Direction è invece solo un concentrato di stereotipi da boybands fine anni 90 primi anni Zero, con il suo prevedibile alternarsi di pezzi ballabili (ma da CHI???) e lentoni strappamutande (ma di CHI???). Una roba che diresti arrivata fuori tempo massimo, non fosse che invece questi bambini stanno vendendo milioni di miliardi di copie del loro disco (ma a CHI???).
Quando succede una cosa del genere, realizzi che quando eri un ragazzino non pensavi sarebbe mai arrivato questo giorno. Quello in cui avresti rimpianto, e di brutto, i cazzo di Take That e i cazzo di Backstreet Boys.
Ma soprattutto: aridatece gli East 17! O persino i Boyzone!
(5ive e Westlife anche no, thanx!)

Nel titolo dell’album dei One Direction c’è comunque qualcosa che non quadra: “Up All Night”.
Macché Up all night?
Avete dodici anni, a letto prima delle 10, se no so’ botte!
(voto 1direction/10)

mercoledì 30 novembre 2011

Al peggio non c’è mai Bieber

E alla fine l’ho visto. Il giorno è arrivato. Il 2011 volge al termine e non avevo ancora guardato abbastanza film terribili per quest’anno e ho dovuto porre rimedio. E così l’ho visto e non pensavo sarebbe stato tanto atroce. Ma, come dice lo stesso Justin Bieber: Never say never. Mai dire mai.

Justin Bieber: Never Say Never
(USA 2011)
Regia: Jon M. Chu
Cast: Justin Bieber, Usher Raymond, Sean Kingston, Jaden Smith, Miley Cyrus, Scooter Braun
Genere: documinkia
Se ti piace guarda anche: i video di giastinbiber su iutiub!

Premetto una cosa. Questo non è un film.
Lo immaginavate già senza vederlo, eh?
Più che un film vero e proprio, è un documentario autocelebrativo e parecchio amatoriale, nonostante il budget di “appena” 13 milioni di dollari. Che a questo punto ci si chiede chi se li sia intascati e per fare cosa. Un po’ come per The Blair Witch Project: sarà costato appena 60.000 dollari, che per una produzione cinematografica sono un’inezia, però vedendo il risultato finale ci si domanda comunque come abbiano fatto a spenderli.

Il film, pardon documentario per bimbiminkia che per abbreviare chiamerò semplicemente “documinkia”, parte con un agghiacciante rap (o rap le ciap, sarebbe meglio dire citando Scary Movie 3). Perché sentire Justin Bieber rappare è una cosa che ti fa venire voglia di chiamare una gang dal ghetto per fargli un culo come una capanna e che poi chiami il Telefono Azzurro, se si rialza. Perché se già Bieber che canta non se pò sentì, Gangsta Bieber è un insulto alla musica hip-hop!

Nel corso di questa scena le finestre di casa mia sono andate in frantumi.
Chissà perché...
Comunque, dicevamo che ‘sto filmino delle vacanze è praticamente un documentario che ripercorre i primi anni della breve vita di Justin Bieber. Breve vita non perché sia morto, purtroppo dirà qualcuno (ma non io, sono mica così cattivo, io come detto sopra gli manderei giusto qualcuno per dargli una bella lezione…), ma perché ha solo 17 anni. E già gli hanno dedicato un documentario. Pensate cosa gli dedicheranno tra qualche anno. Dite che tra qualche anno manco uno se lo cagherà più di striscio? Probabilmente avete ragione. Preghiamo.

Nei vari spezzoni montati insieme alla ben’e meglio dal registone di Step Up 2 e Step Up 3D John M. Chu, tanto il pubblico di età media sui 4 o 5 anni un documentario non l’avrà mai visto, fanno vedere le immagini di quando Justin era bambino e tutti lo elogiano come se poi sarebbe diventato un genio, il nuovo Gesù Cristo salvatore dell’umanità. E invece poi che ha fatto?
La sua più grande hit è una canzone di merda come questa, ecco cos’ha fatto


"Nun me poteva capità un fijo da Lazio piuttosto che un Justin Bieber?"
Più che un film o un docu-film o un minkiafilm che dir si voglia, sembra più che altro una puntata di 16 anni e incinta, con la giovane madre di Justin che racconta di come sia stato difficile tirare su un figlio del genere ecc… No, in realtà niente di questo.
Tutti parlano sempre benissimo di lui e nel “film” (ma dobbiamo proprio continuare a chiamarlo film?) hanno solo parole strapositive e non c’è neanche un ombra. Non so, droga, alcool, Selena Gomez che si fa una striscia, sesso con animali… Niente di tutto questo.

Di scene da paura che manco negli horror ce ne sono parecchie, ma la cosa più spaventosa in assoluto sono le giovanissimissime fan, delle bambine di non più di 8 o 9 anni (e mi sono tenuto sull’alto) urlanti, costantemente urlanti, disperatamente urlanti, che se ne escono con frasi tipo “Penso a Justin Bieber il 99% del mio tempo”, “Diventerò suo marit-ehm, sua moglie” e cose del genere. Tanto che a fine film ciò che rimane in testa non sono (grazie a Iddio) le canzoni del baby divo, ma le urla delle fan che rimangono impresse in maniera raggelante quasi quanto gli spari del film Elephant.
Comunque è possibile che non abbiano trovato nessuno che dicesse: “No, a me Justin Bieberon fa proprio schifo”? Intervistano persino la maestra elementare che gli aveva insegnato fino a molto tempo fa, cioè circa un paio di mesi fa, e pure lei ne parla come se in classe avesse avuto il figlio segreto di Madre Teresa di Calcutta e Gandhi.

"So' Hanna Montana, nel film ce sto pure io che se no
i bimbiminkia si scordano di me. Non dimenticatemi!"
Comunque, ma come cazzo me so' vestita?"
Oltre ad essere realizzato in maniera parecchio amatoriale, roba che i programmi medi di Mtv di solito sono fatti molto ma molto meglio (persino Jersey Shore!), non ci si è nemmeno sforzati di tirare fuori non dico una sceneggiatura o una trama, ma pure una vaga, vaghissima linea narrativa. Ci sono spezzoni di concerti intermezzati a so(a)porifere scene di vita quotidiana ed è tutto random. Questo Never Say Never, se non lo aveste ancora capito, è un vero scult che su IMDb viene premiato con una impressionante media voto di 1.4. E ricordo che su IMDb il voto minimo è 1 e non 0, quindi è davvero difficile fare di peggio. Persino Chicken Park di Jerry Calà arriva a un miracoloso 2.0.

Nonostante tutte le lodi sperticate e le parole solo benevoli nei suoi confronti, il ritratto di Justin Bieber che viene fuori da questo pseudo-film è impietoso: un tipo ossessionato dal look e soprattutto dalla sua inconfondibile frangetta e per cui la musica è giusto un optional. I suoi capelli sono molto più importanti delle canzoni: non sono io a dirlo, ma è ciò che emerge dal documentario.
Non una migliore impressione suscitano le persone che lo circodano, un branco di sanguisughe che gli gravitano intorno cercando di sfruttarlo e spremerlo al più possibile per fare soldi e per far gridare più ragazzine possibile ai concerti. Se sua madre è una teen mom, suo padre è un tamarro scatenato poco più adulto del figlio, mentre i suoi amici sembrano usciti da una versione per tween lobotomizzati della serie tv Entourage. Ma soprattutto Justin figura come un pupazzo senza potere decisionale comandato a bacchetta dal suo curatore di immagine personale, un tipo esaltatissimo che o è cocainomane o è un malato di mente, e una signora a capo del suo staff. L’unica figura vagamente umana che emerge da questo spettacolo impietoso popolato da zombie con le $ al posto delle pupille degli occhi sembra essere il suo manager Scooter (ma che razza di nome ha, santiddio?), il solo che fa emergere qualche emozione mentre parla. Ma probabilmente è solo l’unico in grado di recitare decentemente di tutta la “pellicola” (le virgolette sono sempre d’obbligo).

Le canzoni che accompagnano la durata di questo strazio fanno veramente pena (c’era forse bisogno di dirlo?), sono non-musica con non-basi elementari e non-testi agghiaccianti infarciti di buoni sentimenti alla Settimo cielo. Al confronto i Jonas Brothers sono i nuovi Metallica, Jesse McCartney l’erede di Marilyn Manson e High School Musical una visione vietata ai minori.
Justin Bieber è il vuoto più totale, pure se paragonato ai fenomeni teen pop del passato: le Spice Girls ad esempio almeno promuovevano il girl power, i Take That avevano una manciata di canzoni valide e un fenomeno come Robbie Williams, negli *N SYNC per quanto tutti immagine emergeva già il talento di Justin Timberlake, i Tokio Hotel giocavano con l’ambiguità sessuale e i poteri da supersaian dei capelli del cantante…
Nel fenomeno Justin Bieber non c’è nemmeno niente di tutto questo, solo un bambinetto con la frangetta da bambinetta che sa cantare e ballare. Però non come una (giovane) persona di vero talento, ma solo come un fenomeno da baraccone di quelli che sembrano usciti da un talent-show alla Io canto o Ti lascio una canzone. Come una scimmietta ammaestrata.

Chiudo rispondendo a un paio di domande che probabilmente vi sarete fatti fin dall’inizio del post.
Com’è che Justin Bieber è diventato famoso?
Si è fatto strada nei concorsi locali e poi hanno cominciato a caricare i suoi video su YouTube, ma il vero artefice del suo lancio nell’Olimpo musicale è stato il cantante r’n’b Usher. Ecco, è lui che dovete ringraziare!
E l’altra domanda: com’è che tu, Cannibal, hai visto questo film?
A parte quanto detto all’inizio e a parte il mio solito perverso senso di masochismo che mi porta a guardare pellicole e programmi tv abominevoli oppure ad ascoltare musica agghiacciante, il motivo principale è che mi piace cercare di comprendere i fenomeni della cultura pop, siano essi di alto, medio, basso o bassissimo (come in questo caso) livello.

E cos’ho capito, allora?
Dopo questa a suo modo illuminante visione, l’aspetto più interessante non è tanto Bieber in sé, personaggio di una pochezza con pochi pari, ma le vere protagoniste del film e del suo successo: le fan. Un branco di bambine giovanissime che grazie alle nuove tecnologie hanno contribuito al successo virale del loro idolo su Internet, saltando il passaggio per gli altri canali tradizionali. Quella porcheria di Baby postata sopra, per dire, è il video più visto di tutti i tempi su YouTube con oltre 667 milioni di visualizzazione, al momento e schiacciando play avrete contribuito ad aumentarle ulteriormente.
Una rivoluzione nel marketing in grado di aprire un segmento nuovo: se i teenager hanno cominciato a diventare il target commerciale principale della civiltà occidentale (leggi americanizzata) dagli anni ’50 in poi, negli ultimi anni abbiamo visto l’emergere dei tween, e ora siamo addirittura arrivati ai pre-tween, bambini e in questo caso soprattutto bambine appena uscite non dal passaggino ma quasi ancora in fasce e in grado di diventare l’elemento più prelibato del mercato. Perché è di questo che si tratta. La musica qua è del tutto dimenticata. It’s all about the money, money, money.
Speriamo sia un addio...
La cosa più triste è l’immagine dei bambini che ne esce fuori. Una volta creature innocenti e pure e oggi vittime pure loro del sistema capitalista fin da un’età sempre più precoce. È questo ciò che ha fatto Justin Bieber, e soprattutto gli strateghi stragisti del marketing dietro di lui, ai figli che non avremo di questi cazzo di anni zero: ha portato via loro la verginità.
(voto: zero assoluto)

P.S. Ma quanto moralizzatore sto diventando?

venerdì 18 marzo 2011

Friday I'm in hate

Avete presente quelle canzoni che si dice contengano dei messaggi subliminali se suonate al contrario? Bene, il pezzo che ho il (dis)piacere di presentarvi quest’oggi sono quasi certo nasconda un messaggio di tipo satanico al suo interno. E non ha nemmeno il bisogno di essere riprodotta al contrario.
A cantare il brano è tale Rebecca Black, una tipa 13enne che minaccia di diventare una sorta di versione al femminile di Justin Bieber. Il preoccupante inizio di carriera è infatti simile, visto che anche lei sta diventando un fenomeno (da baraccone) su YouTube con questa “Friday”, che ha già superato i 16milioni di visualizzazioni ed è in crescita esponenziale e virale. Virale è la parola chiave;  questo pezzo è proprio un virus e quindi fate attenzione a sentirla perché potrebbe anche installarsi nella vostra testa e potreste ritrovarvi a canticchiarla sotto la doccia o, peggio, mentre siete in coda alle Poste. Perché a un certo punto della vita di ognuno capita di essere in coda alle Poste (niente contro le persone che ci lavorano, ma Dio bono se siete lenti!).
A preoccupare di più non so se sia il video con dei 13enni che se ne vanno in giro in auto (la patente questi l’han trovata veramente dentro i Coco Pops), gli effetti di animazione epilettici della clip, il fatto che a un certo punto compaia un rapper che avrà almeno il triplo dell’età delle masnà qui presenti, la voce ridicola, stridula, urticante e oltre la soglia del fastidioso di questa “cantante” soprattutto nel ritornello, oppure il testo Sunday Monday Happy Days che invita a divertirsi nel weekend: ma stattene a casa che non ti sono ancora venute le mestruazioni!


In rete circolano già un sacco di parodie del pezzo, tra cui persino una versione cantata in stile Bob Dylan!

domenica 6 marzo 2011

Goodbye Avril

Avril Lavigne “Goodbye Lullaby”
Genere: teen pop
Provenienza: Canada
Se ti piace ascolta anche: Alanis Morissette, Katy Perry, Paramore, Hey Monday, Pretty Reckless

Fatemi fare l’avvocato del diavolo. O meglio: fatemi fare il Ghedini della situazione. È facile parlare male di Avril Lavigne quasi quanto è facile parlare male di Berlusconi. Se a difendere il secondo c’è già un dream team di avvocati, più un esercito di giornalisti lecchini cui scotta la sedia sotto il culo, più un intero Parlamento di politicanti da noi pagato, a proteggere la povera vigna bombardata della Avril non c’è invece nessuno o quasi, considerato come i suoi fan B1mb1m1nk14 passino 12 ore al giorno su Netlog ma magari non sono proprio in grado di scrivere un post intero in sua difesa in italiano se non in questo linguaggio: “c10è BeLL4 r4g4 & BeLL4 4vR1L 6 tUtt1 n01 FaNz ForeVer!!! 1l tU0 mp3 è trpppp g1ust0 tvttttb XOXO”
Chi rimane allora a difenderla? I suoi vecchi fan sono cresciuti e, come direbbero in America, sono “move over”, sono andati avanti con le loro vite. Io però voglio bene ad Avril e quindi mi sento in dovere di difendere, almeno in parte, questo suo nuovo album Goodbye Lullaby.

L’attacco di piano dell’apertura è sintonizzato sulle note di “Runaway” di Kanye West, anche se è solo un abbozzo di canzone. Peccato perché non era niente male. Il primo singolo “What the hell” inizia con un organetto da intermezzo delle cheerleader e ha un ritmo non dissimile dalla vecchia hit “Girlfriend” (che già a sua volta rubava a piene mani da “Hey Mickey” di Toni Basil) e pur suonando come una canzone da B1mb0m1nk14 12enne mi esalta parecchio. O forse è proprio perché suona come una canzone da B1mb0m1nk14 12enne e io alla soglia dei 30anni sto vivendo una fase di rifiuto della mia età anagrafica? Anche Berlusconi deve aver cominciato così…


“Push” e “Smile” sembrano uscite dal periodo d’oro di Alanis Morissette. Perché, chiedete voi: la Mori-tette ha avuto un periodo d’oro? Eh già, a metà anni Novanta e se ve ne ricordate forse starete vivendo anche voi un periodo di crisi di mezzaetà precoce. O probabilmente no.
Ci sono le ballatone? Volevate mancassero le ballatone in un disco di Avril Lavigne? Eh no, miei cari, ci sono e sono pure ben congegnate per spezzare i vostri inermi cuoricini (e con vostri intendo sempre se avete un’età fisica e/o mentale intorno ai 12fuckin’yearsold): su tutte “Stop standing there” e “Wish you were here” (no, i Pink Floyd non c’entrano, ma proprio niente).
Nella seconda parte del disco si esagera con le ballatone e affiorano diversi momenti di noia anche per un fan di lunga data della cantante canadese come me e quindi adesso sembra arrivato proprio il momento dei saluti. Siamo alla scena finale di E.T. e io devo fare come Elliott e dirti addio Avril. Devo andare avanti con la mia vita e crescere, diventare finalmente una persona adulta. Goodbye, Avril (lacrimuccia). Goodbye.
(voto 5,5)

mercoledì 2 marzo 2011

Minkia ke bimbi

Confessions
(Giappone 2010)
Titolo originale: Kokuhaku
Regia: Tetsuya Nakashima
Cast: Takako Matsu, Masaki Okada, Yoshino Kimura, Yukito Nishii, Kaoru Fujiwara, Ai Hashimoto
Tratto dal romanzo di: Kanae Minato
Genere: V per vendetta
Se ti piace guarda anche: Old Boy, Rashōmon, Lady Vendetta, Battle Royale

Trama semiseria
In una classe delle scuole medie, un’insegnante racconta un tragico fatto di cronaca che vede coinvolti in prima persona alcuni di loro. In Giappone però la legge non può punire i ragazzini di 13 anni, neppure se colpevoli di omicidio. In Italia qualcuno sa dirmi se funziona allo stesso modo o se ad essere impuniti sono solo i presidenti del Consiglio?

Recensione cannibale
Confessions è un film terribile. No, aspettate: non intendevo in quel senso. È un film terribile nel senso di profondamente sconvolgente e inquietante, per quanto non si tratti di un horror. Di fronte ci troviamo infatti una pellicola con dentro una cattiveria esagerata e davvero bastarda, in cui trovare figure positive o role models è un’impresa impossibile. Se avete trovato difficoltà ad enfatizzare con i personaggi di The Social Network, qua avrete quindi vita ancora più dura.
Confessions era il film giapponese candidato quest’anno all’Oscar di miglior film straniero: incluso nella rosa dei 9 papabili, non è però riuscito a entrare in cinquina. Vista l’inclusione di un altro film spietato come il greco Dogtooth (Kynodontas), a quei bonaccioni dell’Academy dev’essere sembrato troppo inserire due pellicole, anzi due “cose” così perfide ed estreme, quindi purtroppo il giapponese è rimasto fuori.

I primi 30 minuti di Confessions sono da antologia del Cinema. In una classe delle scuole medie, un’insegnante parla ai suoi alunni distratti, tutti troppo presi da telefonini, videogame, iPod e aggeggi elettronici vari, tutti presi a parlare e a ridere tra loro. Un branco di bimbiminkia giapponesi casinisti, per rendere l’idea. Un rumore di fondo costante in grado di scoraggiare anche il professore meglio disposto. La giovane insegnante comincia però a raccontar loro una storia molto particolare e inquietante che riguarda in prima persona sia lei che i suoi studenti. Poco a poco il casino di fondo si abbassa e l’attenzione cresce, con una serie di rivelazioni, di confessions, davvero sconvolgenti in un crescendo mostruoso di tensione costruito in una maniera favolosa.

30 minuti eccelsi, ma comunque anche il resto del film non è da meno e riesce a mantenere l’interesse in maniera efficace, moltiplicando nelle parti successive i punti di vista della stessa storia, a mezza strada tra Rashōmon di Akira Kurosawa e la serie tv Lost. E la storia che sta al centro di tutto è una vicenda forte e davvero dura di bambini nichilisti e malvagi (roba che Samara di The Ring al confronto è una Santa) molto lontani dal Giappone stilizzato di Pokemon e Holly & Benji, nonostante qualche momento di comicità manga ogni tanto affiori persino qui.
Visivamente è tra le cose più belle e potenti osservate negli ultimi tempi, per merito di un montaggio iper-veloce, l’uso di ralenty, inserti visionari e qualche momento splatter. Dei film precedenti del regista Testuya Nakashima avevo già visto il divertente ma sconclusionato Kamikaze Girls, un luna park per gli occhi non supportato da una trama troppo coinvolgente; questa volta alle prese con una sceneggiatura di alto livello posso dire che è sicuramente tra gli uomini di maggior talento al mondo con una macchina da presa in mano (mica come il neo premio Oscar Tom Hooper). In più la colonna sonora veleggia ispirata, ispiratissima tra musiche giapponesi e occidentali delle più varie con XX, Boris, “That’s the way (I like it)” e Johann Sebastian Bach, fino a raggiungere il vertice assoluto con “Last Flowers” dei Radiohead.

Se volete vedere un gioiellino orientale lontano anni luce dai prodotti in serie hollywoodiani, ma soprattutto se siete pronti per una storia davvero perfida questa è la mia confessione: Confessions (Kokuhaku) è uno dei film più bastardi che io abbia mai visto. E come resistere a un po’ di sana cattiveria del genere, soprattutto quando è girata così da Dio?
Anzi, vi dirò di più: avete presente Amore 14? 3MSC? Bene, questo non è il film anti-Moccia. Questo è il film ammazza-Moccia.
(voto 9)

Canzone cult: Radiohead “Last Flowers”
Scena cult: i primi 30 minuti, una vera lezione di Cinema

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