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martedì 18 marzo 2025

A Complete Unknown: storia di un cantautore narcisista che si crede Dio (e non è Simone Cristicchi)





A Complete Unknown

Lo dico o non lo dico?
Certo che lo dico. Tanto non è che abbia tutta questa enorme reputazione da difendere e poi, come sosteneva Oriana Fallaci prima di perdere la capa, bisogna sempre scrivere la verità, a costo di apparire cattivi.
Allora lo dico: non sono mai stato un grande fan di Bob Dylan e secondo me è sempre stato un po' troppo sopravvalutato. D'altra parte se lui, nel film sugli inizi della sua carriera A Complete Unknown dov'è interpretato da Timothéé Chalamet, afferma che Picasso è sopravvalutato, cosa su cui per altro viene da dargli ragione, perché io non posso dire che Bob Dylan è sopravvalutato?
Sì, è vero, io sono solo un completo sconosciuto, ma anche lui nel 1961 quando il film prende il via lo era.


Qual è il mio problema con Bob Dylan?
Nulla da dire come autore. Ha scritto delle canzoni magnifiche con dei testi grandiosi. Confesso però che la sua voce non è che mi abbia mai entusiasmato particolarmente. Posso dire che non è che sia tutto questo fenomeno a livello vocale?


Io non sono certo sono un patito dei virtuosi, quelli che esagerano nel fare i fighi con la voce come Giorgia o Mariah Carey o quei tre cosi de Il Volo, però bisogna riconoscere che Bob Dylan qualche limite ce l'ha. Come si può ben vedere nel documentario We Are the World: la notte che ha cambiato il pop, dove la sua voce fa fatica a spiccare in mezzo a quella di tanti altri fuoriclasse della musica.

"Bob, visto che non hai qualità vocali eccelse, hai mai pensato di usare l'auto-tune?"
"Vuoi che muoro?"

Ora dirò un'altra eresia: personalmente, a me piace di più la voce di Timothée Chalamet di quella di Bob Dylan. L'attore 29enne si è talmente immerso nella parte e si è così applicato che è arrivato a cantare e suonare senza sfigurare con l'originale, tutt'altro. Sorry, Bob, ma è uno di quei casi in cui l'allievo supera il maestro.

"Oh, finalmente il corso di chitarra De Agostini comprato in edicola mi è servito a qualcosa!"

Un applauso va anche agli altri interpreti, come Monica Barbaro nella parte di Joan Baez, Edward Norton in quella di Pete Seeger e un irriconoscibile Boyd Holbrook nel ruolo di Johnny Cash, che se la cavano tutti alla grande pure come cantanti. Senza dare l'impressione di cantare come se fossero al karoke data da altri biopic musicali.


Se come cantante non è mai stato uno dei miei miti, mi sono sempre ritrovato di più in Bob Dylan come persona. Come essere umano un po' stronzetto. Come modello esistenziale. Come tipo che dice e fa sempre quello che pensa, fregandosene degli altri. Gli assegnano il Nobel per la letteratura, primo e finora unico cantautore a ricevere questo riconoscimento?
E lui non ci va a ritirarlo. Non gli scassate con 'sti premiucoli e non rompete perché se non va sembra un ingrato. Se non c'ha voglia di andare, non c'ha voglia di andare. Preferisce starsene a casa a farsi li ca**i sua, ok?


Partendo da queste premesse, non avevo enormi aspettative nei confronti di A Complete Unknown ed ero già pronto a dire che è un film sopravvalutato. E invece - sorpresa sorpresa - non lo farò. Tra le 8 nomination che si è aggiudicato agli Oscar 2025, nessuna comunque andata a buon fine, l'unica regalata mi sembra quella per il miglior regista a James Mangold, autore di titoli non certo indimenticabili come l'ultimo inutile Indiana Jones, che qui gira meglio del suo solito, ma resta per me pur sempre un mestierante di medio livello. Se la pellicola a livello visivo fa la sua ottima figura credo lo si debba allora, più che al regista, soprattutto al fascino della fotografia e delle location di New York e Newport nei primi anni '60.


Abbastanza regalata anche la nomination per la miglior sceneggiatura non originale, visto che il film non spicca per chissà quale storia o dialoghi. E allora perché mi è piaciuto, e pure non poco?

A Complete Unknown è uno splendido omaggio alla musica. Alla passione per la musica. È pieno di musica dall'inizio alla fine. Dentro c'è anche un triangolo sentimentale tra Bob Dylan, Joan Baez e Sylvie Russo (interpretata da Elle Fanning) degno di Dawson's Creek e Twilight, però fondamentalmente resta quasi sempre concentrato sulla musica.


La pellicola va contro le aspettative del grande pubblico che magari sognava più spazio per le questioni amorose e personali, e resta così perfettamente fedele allo spirito del cantautore di andare sempre in direzione contraria rispetto a quello che la gente vuole.


Il 90% del film è musica e, anche se potrebbe essere una cosa scontata, in realtà non è una cosa che si verifica in tutti i biopic musicali. Io vado pazzo per i film pieni di musica, di recente ho adorato anche l'originale Piece by Piece dove la carriera di Pharrell Williams viene raccontata attraverso l'animazione LEGO, e poco importa se non sono mai stato un fan di Bob Dylan. Dopo questa visione mi viene da pensare che forse, anzi molto probabilmente, avevo torto. Non è Bob Dylan ad essere sopravvalutato, sono io che l'ho sempre sottovalutato. Questo odioso adorabile menestrello narcisista con un ego gigantesco e tutte le ragioni per avercelo.


Quante volte un uomo deve ascoltare Bob Dylan prima di rendersi conto della sua reale grandezza?
The answer, my friend, is blowin' in the wind. The answer is blowin' in the wind.
(voto 7+/10)




sabato 25 aprile 2020

Cosa mi lasci di te: han fatto un film su un cantante di Christian Music e me lo son pure visto





Cosa mi lasci di te
Titolo originale: I Still Believe
Regia: Andrew e Jon Erwin
Cast: KJ Apa, Britt Robertson, Nathan Parsons, Melissa Roxburgh, Shania Twain, Gary Sinise, Abigail Cowen

Un biopic musicale su un cantante ambientato negli anni '90 che è anche un Malattia Movie adolescenziale con Britt Robertson come protagonista femminile?
Dio, hai voluto farti perdonare per questo inizio d'anno non proprio stupendo, regalandomi il mio film ideale?

lunedì 18 febbraio 2019

Io non sono Mia, ma vi parlo di Io sono Mia




Io sono Mia
Regia: Riccardo Donna
Cast: Serena Rossi, Maurizio Lastrico, Nina Torresi, Dajana Roncione, Antonio Gerardi, Edoardo Pesce


Sai, la gente è strana. E soprattutto, la gente è stronza. Conoscevo solo marginalmente le voci che circolavano intorno a Mia Martini. Sì, quelle che dicevano che portasse sfiga. Non immaginavo però fino a quali conseguenze avevano portato nella sua carriera. Negli ultimi tempi va di moda dire che “grazie” ai social network è tutto un proliferare di fake news. Un proliferare di malignità gratuite. Persino un intellettuale del livello di Umberto Eco, qualche anno fa, disse le famose, ma più che altro famigerate parole: “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l'invasione degli imbecilli”.

mercoledì 30 agosto 2017

The Founder®, storia dello Zucchero Sugar Fornaciari degli imprenditori





The Founder Menu®


Questo prodotto contiene
Michael Keaton
Nick Offerman
John Carroll Lynch
Laura Dern
B. J. Novak
Linda Cardellini
Patrick Wilson

Confezionato da
John Lee Hancock

Prodotto da
FilmNation Entertainment®
The Combine®
Faliro House Productions S.A.®

Distribuito nel mondo da
The Weinstein Company® & McDonald's®

E in esclusiva per l'Italia distribuito da
Videa® & McDonald's Italia - Solo Carni Italiane® (certo, certo, come no)


Assapora il gusto autentico di The Founder®, il nuovo film che puoi addentare in esclusiva solo nei ristoranti McDonald's®.
Gusto autentico... beh, magari non del tutto autentico. The Founder non racconta infatti la storia dei veri veri fondatori della nostra amata catena, i poveri fratelli Dick e Mac McDonald, bensì di Ray Kroc. Chi è Ray Kroc?

lunedì 15 febbraio 2016

Breaking Red - La vera storia di Dalton Trumbo





L'ultima parola - La vera storia di Dalton Trumbo
(USA 2015)
Titolo originale: Trumbo
Regia: Jay Roach
Sceneggiatura: John McNamara
Ispirato alla biografia: Trumbo di Bruce Alexander Cook
Cast: Bryan Cranston, Diane Lane, Elle Fanning, Louis C.K., Michael Stuhlbarg, John Goodman, Helen Mirren, Alan Tudyk, Roger Bart, Sean Bridgers, Adewale Akinnuoye-Agbaje, Dean O'Gorman, Christian Berkel
Genere: comunista
Se ti piace guarda anche: Saving Mr. Banks, Il ladro di orchidee, Argo

Dalton Trumbo era uno degli sceneggiatori più richiesti e di successo di Hollywood. Tutti volevano lavorare con lui. Era un po' come Aaron Sorkin oggi, solo con meno parole e con uno uno stile più commerciale. Dalton Trumbo era uno degli sceneggiatori più richiesti e di successo di Hollywood, fino a che venne accusato di essere... comunista.

lunedì 9 marzo 2015

GET ON UP - LA STORIA TRANQI FUNKY DI JAMES BROWN





Get on Up - La storia di James Brown
(USA, UK 2014)
Regia: Tate Taylor
Sceneggiatura: Jez Butterworth, John-Henry Butterworth
Cast: Chadwick Boseman, Nelsan Ellis, Viola Davis, Lennie James, Dan Aykroyd, Fred Melamed, Craig Robinson, Octavia Spencer, Jill Scott, Aloe Blacc, Allison Janney, Tika Sumpter
Genere: funky
Se ti piace guarda anche: Ray, Cadillac Records, The Blind Side, Jersey Boys

C'è un sacco di gente che odia i biopic. Soprattutto in questo periodo in cui un buon 50% delle pellicole nelle sale e il 99% dei film nominati agli Oscar sono tratti da storie vere o quasi. Per quanto il genere si stia effettivamente inflazionando e per quanto ciò dimostri come a Hollywood e dintorni le idee originali siano sempre più una rarità e quindi è meglio prendere ispirazione dalla realtà, io non posso fare a meno di guardarli. Mi farei un film biografico in vena al giorno. Per me quella con il biopic è una delle sfide più impegnative con cui possa confrontarsi un regista. Mettere la vita di un uomo dentro un film. Vi sembra un'impresa semplice?
Grande il rischio, grande la ricompensa. Così come può essere grande la caduta.

Una pellicola biografica non è una sfida tosta soltanto per registi e sceneggiatori, ma pure per chi si trova a doverle giudicare. Nel giudizio rientra sì la qualità cinematografica, però non si può prescindere nemmeno da un confronto con l'uomo/la donna protagonista. Quando c'è di mezzo un biopic, è difficile capire quali siano i reali meriti artistici da attribuire al film e quali siano invece quelli del personaggio raccontato. Tutto questo per dire che le pellicole biografiche, ancora più di altri generi cinematografici, rappresentano sempre un'esperienza particolarmente soggettiva.

martedì 24 febbraio 2015

LA RABBIA E L'ORIANA





L'Oriana
(film tv, Italia 2015)
Rete: Rai 1
Regia: Marco Turco
Sceneggiatura: Stefano Rulli, Sandro Petraglia
Cast: Vittoria Puccini, Francesca Agostini, Vinicio Marchioni, Stéphane Freiss, Adriano Chiaramida, Benedetta Buccellato, Maurizio Lombardi, Gabriele Marconi
Genere: biopic
Se ti piace guarda anche: Walter Chiari - Fino all’ultima risata, Rino Gaetano - Ma il cielo è sempre più blu, Volare

Sono molto molto, molto arrabbiato. Arrabbiato d'una rabbia fredda, lucida, razionale. Una rabbia che elimina ogni distacco, ogni indulgenza. Sono molto arrabbiato con me stesso. Per aver giudicato una donna, una intera esistenza, in base a una cosa. Una sola tra le mille, probabilmente più di mille, che ha scritto nel corso della sua carriera. Avevo giudicato Oriana Fallaci soltanto per il suo celebre articolo La rabbia e l'orgoglio, pubblicato sul Corriere della Sera il 29 settembre 2001, a una manciata di giorni di distanza dagli attentati alle Torri Gemelle. Un pezzo fin dal titolo rabbioso che aveva suscitato anche in me una profonda rabbia. Contro di lei, contro le sue parole, contro il suo modo di usarle. Una reazione che mai nessun altro articolo di giornale mi aveva suscitato. Segno che il suo pezzo colpiva nel segno. Nel bene o nel male.
Giudicare Oriana Fallaci soltanto in base a quello scritto si è rivelato del tutto sbagliato. Un grave errore. Un giudizio fallace. C'è voluta una fiction Rai per farmelo notare. È come giudicare la carriera di Lou Reed soltanto in base all'inascoltabile “Lulu”, il disco che ha inciso insieme ai Metallica, ignorando le cose splendide che ha realizzato con i Velvet Underground e da solista. Per me e per la mia generazione Oriana Fallaci è identificata soprattutto con quello scritto, con quello sfogo di rabbia e di orgoglio. Più di rabbia che di orgoglio, se vogliamo dirla tutta. Oriana Fallaci è però stata molto altro e molto di più e il film tv in due puntate L'Oriana lo mette bene in mostra.

sabato 7 febbraio 2015

TURNER, RITRATTO DI UN UOMO DISGUSTOSO





Turner
(UK, Francia, Germania 2014)
Regia: Mike Leigh
Sceneggiatura: Mike Leigh
Cast: Timothy Spall, Paul Jesson, Dorothy Atkinson, Marion Bailey, Lesley Manville, Ruth Sheen, Sandy Foster
Genere: artefatto
Se ti piace guarda anche: La ragazza con l'orecchino di perla, Pollock, Big Eyes

Non sono capace a dipingere. Non con pennelli, pastelli e matite. Posso provarci con le parole. Vi posso offrire un ritratto del pittore Turner: Turner era un uomo di merda. Fine del ritratto. E il film dedicato alla sua vita, com'è?
La nuova pellicola di Mike Leigh è la dimostrazione di due cose:

1) Un grande artista non sempre è anche un grande uomo.
2) Il film sulla vita di un grande artista non sempre è anche un grande film.

martedì 22 aprile 2014

YVES SAINT LAURENT, LA VECENSIONE VIETATA AI BAVBONI




Yves Saint Laurent
(Francia 2014)
Regia: Jalil Lespert
Sceneggiatura: Jalil Lespert, Jacques Fieschi, Marie-Pierre Huster, Jérémie Guez
Ispirato al libro di: Laurence Benaïm
Cast: Pierre Niney, Guillaume Gallienne, Charlotte Le Bon, Laura Smet, Marie de Villepin, Nikolai Kinski, Astrid Whettnal
Genere: fashionista
Se ti piace guarda anche: Coco Avant Chanel – L’amore prima del mito, Dietro i candelabri, Diana – La storia segreta di Lady D

Vagazzi, questa ve la devo pvopvio vaccontave. Ievi sono andato a vedeve il film sul mio stilista pvefevito e si è vivelato una delusione paz-zes-ca. Di chi sto pavlando? Ma come, di chi sto pavlando? Sto pavlando di lui, del solo e unico, del divino e gvande Yves Saint Laurent.
Lo so, me ne vendo benissimo conto di aveve un leggevo difetto di pvonuncia. I pezzenti dicono che ho la evve moscia, ma io pvefevisco dive che ho la evve alla fvancese, che fa più figo. A dispetto di questo difetto che pevò io considevo un dono di Dio che mi distingue dalla massa di voi comuni movtali bavboni, c’è una pavola, una sola con la evve che viesco a pvonunciave pevfettamente: Yves Saint Laurent. Non so pevché, ma è così. Savà pevché io vesto solo Yves Saint Laurent. O quasi solo Yves Saint Laurent. Pev casa ammetto di indossave delle ciabatte Pvada da bavbone e una vestaglia che Gianni aveva disegnato apposta pev me. Gianni chi?
Gianni Vevsace, ovviamente.
Confesso poi che come bovse della spesa uso le Louis Vuitton, ma pev il vesto ho solo voba di Yves Saint Laurent. È la mia mavca pvefevita. Il mio bvand pevsonale. YSL. Potete quindi immaginave la mia attesa nei confvonti di un film dedicato all’uomo dietvo questa gvande fivma.

La pellicola è divisa pvaticamente in due pavti, che vappvesentano le due anime, i due volti di Yves Saint Laurent. Quanto mi piace pvonunciave questo nome, quanto?
Nella pvima pavte, Yves Saint Laurent è un fanciullo ingenuo, spvovveduto osevei quasi dive, il pupillo di Diov. Quando Chvistian Diov viene a mancave, nonostante la sua teneva età Yves Saint Laurent diventa il nuovo divettove avtistico della maison. Tutti lo cevcano, tutti lo vogliono. Alla fine degli anni Cinquanta, diventa così il nome di punta della moda fvancese. Fino a che viene chiamato alla avmi. No, non viene chiamato a disegnave le nuove divise dell’esevcito. Viene pvopvio chiamato a combatteve. Stiamo schevzando? La guevva è così poco chic. Come si può considevave umana una pvatica bavbava in cui c’è da indossave delle tute mimetiche tanto inguavdabili? No, ma io dico, si può andave in givo conciati così?


Yves Saint Laurent affvonta allova una cvisi pevsonale, cade in depvessione, viene licenziato da quei cattivoni della Diov e si tvova in tanto giovane età a esseve già un fallito. Un bavbone. Viuscivà comunque a vipvendevsi gvazie all’aiuto del compagno, pevché sì, Yves Saint Laurent è omo. Pensavate che uno stilista, pev di più fvancese, potesse esseve etevo? Siete pvopvio ingenue, mie cave. Siete più ingenue delle tipe che si vestono al mevcato o dai cinesi e pensano di esseve alla moda. Io una volta sono entvato in un discount cinese e, solo guavdando la lovo collezione di abiti pvimaveva-estate, ho avuto una sincope.

"Mmm, tesoro, quanto sei bono!"
"Chi, io? Ma se sembro la versione brutta di Renato Pozzetto."
Finito il peviodo di cvisi, non mia ma del pvotagonista del film, Yves Saint Laurent insieme al compagno fonda il suo mavchio di moda pevsonale e tovna sulla cvesta dell’onda. Anzi, diventa popolave come non mai. Tva gli anni ’60 e i ’70 diventa l’icona che conosciamo e veneviamo tutt’oggi. A livello pevsonale le cose pev lui inoltve cambiano molto. È qui che, dopo la pvima spenta pavte, il film entva nella seconda pavte, quella un pochino più intevessante, sebbene anch’essa non del tutto viuscita. Yves Saint Laurent finisce in un vovtice autodistvuttivo fatto di sesso, dvoga e vock’n’voll, passando da una velazione monogama-monotona a favsi cani e povci. Bavboni pevò no. Almeno un minimo di decenza ce l’ha ancova.

Il cast del film devo dive che non è male. Il pvotagonista Pievve Niney è quello che avevamo già visto nella MILF comedy fvanscese 20 anni di meno e qui se la cava sopvattutto nel vitvavve l’Yves Saint Laurent nevd dei pvimi tempi, più che l’icona glam degli anni successivi. Il suo compagno è intevpvetato da Guillaume Gallienne, nuovo celebvato fenomeno del cinema fvanscese, l’autove di Tutto sua madve, altvo film fvanscese vecente che mi è toccato con gvande vammavico bocciave. Laddove là non mi aveva convinto molto, qui Gallienne invece mi è piaciuto pavecchio di più. La migliove del cast è pevò la Chavlotte Le Bon. Concedetemi la volgavità, mie cave e miei cavi, ma Chavlotte è pvopvio bona. Ha un volto che buca lo schevmo.

Ma quindi pevché questo film mi ha deluso?
Nonostante sia ben intevpvetato, sia vealizzato con una buona cuva fovmale e gli abiti di Yves Saint Laurent siano stati veplicati in manieva elegante, è la classica pellicola biogvafica givata con uno stile da fiction Vai o Mediaset. E io odio la tv genevalista. Io guavdo solo Sky. Non pevché abbia pev fovza dei pvogvammi migliovi, a pavte il nuovo canale Sky Atlantic dedicato alle sevie tv che è tvoooppo figo, ma pevché è a pagamento e quindi i bavboni non possono pevmettevsi di guavdavlo.
La vegia del film è davvevo piatta. Più moscia della mia evve e la sceneggiatuva è banale, incapace di appvofondive come si deve un pevsonaggio della Madonna come l’Yves Saint Laurent. Vacconta la solita pavabola di ascesa e declino al successo, condita con tutti i cliché del caso, senza mai cvesceve nel vitmo e senza mai andave a colpive vevamente al cuove dello spettatove. Sembva solo la bozza di un buon film, quello che speviamo vivamente di vedeve vealizzato pvesto sul gvande stilista. Al Festival di Cannes 2014 vevvà infatti pvesentata un’altva pellicola a lui dedicata: Saint Laurent, divetta dal Bevtvand Bonello dello stilosissimo L’Apollonide, e con nel cast la chic Léa Seydoux. Quello sì che pvobabilmente savà il gvande film che tutti noi fan della moda stavamo aspettando. Questo Yves Saint Laurent è invece soltanto una pellicola pev bavboni.
(voto 5/10)

mercoledì 19 febbraio 2014

THE TRUMAN (CAPOTE) SHOW




Truman Capote – A sangue freddo
(USA, Canada 2005)
Titolo originale: Capote
Regia: Bennett Miller
Sceneggiatura: Dan Futterman
Ispirato al libro: Capote di Gerald Clarke
Cast: Philip Seymour Hoffman, Catherine Keener, Clifton Collins Jr., Mark Pellegrino, Bob Balaban, Chris Cooper, Bruce Greenwood
Genere: freddo
Se ti piace guarda anche: Infamous – Una pessima reputazione

A caldo, la morte di Philip Seymour Hoffman mi ha lasciato davvero di merda.
A freddo, posso dire che continua a essere una merda, ma sto cominciando ad accettare la cosa, con calma.
In questi giorni di lutto e sconforto, ho recuperato finalmente un film fondamentale nella carriera dell’attore americano, Truman Capote – A sangue freddo, “soltanto” la pellicola che gli ha fatto vincere l’Oscar.
Perché non l’avevo ancora visto?
Il solito insieme di coincidenze sfortunate. Magari ti scarichi una versione che non si vede benissimo e allora rinunci in favore di qualche altra visione. Lo riscarichi, dici: “Domani lo vedo” e poi il giorno seguente dici lo stesso e poi passano gli anni e ogni estate, quando hai tempo per i recuperi, ti riprometti di andarlo a ripescare, solo che è un film troppo poco estivo, ma davvero troppo poco, e allora niente. C’è voluta allora una ancor più sfortunata occasione come la morte dell’attore perché finalmente mi decidessi a vederlo.
Ho fatto bene?
Sì, perché la prova interpretativa di Philip Seymour Hoffman nei panni del giornalista e scrittore Truman Capote è superlativa e la storia parecchio avvincente. Da un punto di vista cinematografico invece non è che mi stessi perdendo una pietra miliare, visto che la regia di Bennett Miller, che poi avrebbe diretto pure un altro film che poco mi ha impressionato come L’arte di vincere – Moneyball, è parecchio piatta e anonima. Presente quelle regie invisibili tipo Muccino quando è andato negli USA?
Ecco, quel genere di anonimo. Ed è un vero peccato perché una simile meravigliosa performance recitativa di P.S. Hoffman avrebbe meritato ben altra compagnia. Il film è freddo, glaciale, in questo è anche fedele al personaggio che ritrae, solo che gli manca quel “di più”, in grado di farlo passare da una visione interessante a una realmente memorabile. Gli manca il cambio di passo, la svolta registica, il momento di elevazione a grande opera cinematografica. Gli manca poi pure l’originalità che ha invece contraddistinto il rivoluzionario lavoro di Truman Capote.

"Questo capitolo devo proprio riscriverlo! Sembra scritto da Cannibal Kid..."
Correva l’anno 1959 quando una famiglia come tante di un paesino sperduto nel Kansak veniva uccisa in circostanze brutali e misteriose. Un caso di cronaca sorprendente e clamoroso in un posto dimenticato da Dio così come fino ad allora anche dal crimine. Un caso in grado di scatenare la curiosità non solo degli Studio Aperto, Salvo Sottile o Roberta Bruzzone dell’epoca, ma anche di uno dei più celebri giornalisti e scrittori di quel periodo, Truman Capote. Il suo scopo era quello di scrivere un articolo di approfondimento, più che sull’omicidio in sé, su come la comunità locale avesse vissuto quel traumatico evento. Un articolo poi tramutatosi in un libro vero e proprio, un mix mai tentato prima tra stile romanzesco da fiction e cronaca vera. Da qui sarebbe nato A sangue freddo, una pubblicazione svolta sia per la narrativa che per il giornalismo successivi. In un’epoca di grandi cambiamenti sociali, culturali e politici, anche Truman Capote nei primi Anni Sessanta faceva la sua parte rivoluzionando la scrittura moderna. Su questo aspetto la pellicola non si sofferma più di tanto, così come a livello stilistico e formale risulta ben lontano dall’essere un prodotto rivoluzionario, o anche solo vagamente originale.

"Mi fugo una siga. Tanto sarà mica questa ad ammazzarmi..."
Va riconosciuto al film di Miller di non scadere nel solito thrillerino, come la trama poteva suggerire. Truman Capote – A sangue freddo ci racconta non tanto di un omicidio, quanto della genesi di un’opera fondamentale per come la cronaca viene trattata oggi. Ciò che non riesce a fare è scavare davvero all’interno della personalità dei suoi personaggi, i criminali della storia così come anche gli altri, che rimangono giusto un contorno. La forza della pellicola, tra una regia pallida e una vicenda intrigante ma che non riesce a decollare del tutto, è allora il protagonista. Lui e solo lui. Philip Seymour Hoffman fa vivere Truman Capote su grande schermo in maniera pazzesca. Si annulla del tutto dietro al personaggio, al punto che fin da subito mi sono lasciato alle spalle la tristezza per la notizia della sua morte e nel film non ho visto Philip Seymour Hoffman. Nel film ho visto Truman Capote. Questo è ciò che un grande attore deve fare. Questo è ciò che Philip Seymour Hoffman sapeva fare. Questo è ciò che ce lo fa rimpiangere adesso e credo ancora per molto tempo.
(voto 6,5/10)

Per ricordare il grande attore scomparso, io e il solito gruppetto di blogger abbiamo pensato di dedicare questa giornata ai suoi film e alle sue interpretazioni. Questi sono gli altri contributi che potete trovare in questo triste ma (spero) bello Philip Seymour Hoffman Day.

Il Bollalmanacco
In Central Perk
White Russian
Viaggiando Meno
Non c'è Paragone
Cinquecento Film Insieme
Montecristo
Director's Cult
50/50
Scrivenny 2.0
Combinazione Casuale


venerdì 22 novembre 2013

blowJOBS




L'uomo che ha creato l'iPod e l'uomo che si è ciulato (e si ciula) Mila Kunis.
Chi dei due ha compiuto l'impresa più memorabile?
Jobs
(USA 2013)
Titolo originale: jOBS
Regia: Joshua Michael Stern
Sceneggiatura: Matt Whiteley
Cast: Ashton Kutcher, Josh Gad, Lukas Haas, Dermot Mulroney, Matthew Modine, Lesley Ann Warren, J.K. Simmons, James Woods, Kevin Dunn, Victor Rasuk, Nelson Franklin, Eddie Hassell, Masi Oka, Joel Murray, Amanda Crew, Abby Brammell
Genere: biopic
Se ti piace guarda anche: I pirati di Silicon Valley, The Social Network, S.Y.N.A.P.S.E. – Pericolo in rete
oppure scarica l'applicazione cinematografica Muze e segui i suoi consigli su quali film ti potrebbero piacere

Steve Jobs è l’uomo che ha reso cool i computer. Da quando Matteo Renzi ha usato la parola “cool”, la parola “cool” però non è più cool e quindi diciamo che Steve Jobs è l’uomo che ha reso fighi i computer. Renzi non si è ancora appropriato della parola “fighi”? Bene, allora possiamo continuare a usarla.
Che attore c’è di cool, pardon di figo, che può interpretare Steve Jobs?
Ashton Kutcher, che fisicamente gli somiglia parecchio.
Mmm… fermi un attimo. A me sta simpatico Ashton Kutcher. Io gli voglio bene ad Ashton Kutcher, fin dai tempi della spassosissima serie That ‘70s Show, però come attore non è proprio un fenomeno. Non è lo Steve Jobs degli interpreti. Senza offesa, così stanno le cose.

"Maledetto Cannibale! Ma cosa diavolo scrive?"
Perché un attore sia perfetto per un biopic, non occorre solo che somigli al personaggio che deve interpretare o che cerchi di imitare le sue movenze. Deve fare qualcosa di più. Prendiamo Quando l’amore brucia l’anima. In quel film, io non vedo Joaquin Phoenix, io vedo Johnny Cash. Qui invece vedo Ashton Kutcher che si impegna, che ce la mette tutta, che imita in maniera a tratti anche piuttosto discreta Steve Jobs. Però non vedo Steve Jobs. Eh lo so, non è facile dare vita a un personaggio, soprattutto uno esistito veramente e così iconico e conosciuto in tutto il mondo. I grandi attori lo sanno fare. Lo fanno apparire naturale. Ashton Kutcher, così come già Will Smith in Alì, non riesce a togliersi da davanti, a levarsi dalle scatole per farci vedere il personaggio.
Mi spiace, Ashton: sei un figo della Madonna, ti bombavi Demi Moore prima e Mila Kunis ora, e fin qui non c’è proprio niente di cui dispiacersi per te, però non sei un grande attore, ed è questo che dispiace. Dispiace perché con un altro interprete forse le cose per questo jOBS sarebbero potute andare meglio.

"Mannaggia! Anche leggendo su questo computer le sue parole non cambiano."
Questo è il primo problema del film, ma non è il più grave. Il più grave è quello di non essere stati fedeli a Steve Jobs, il personaggio.
Potete dire quello che volete su una pellicola come Last Days di Gus Van Sant. Potete dire che è noioso, che non succede nulla. Di certo, non è il film su Kurt Cobain che il grande pubblico si sarebbe aspettato. Non ci viene mostrata la relazione con Courtney Love. Non ci viene spiegato come a Kurt sia venuta l’ispirazione per “Smells Like Teen Spirit”. Non ci viene presentata la sua ascesa al successo. Eppure credo che Last Days, nel suo essere un film così radicalmente alternative, rappresenti al 100% lo spirito di Kurt Cobain e credo anche che lui l’avrebbe adorato. Così come credo che Steve Jobs non si sarebbe entusiasmato troppo con questo jOBS.
Oh, poi magari mi sbaglio. Non è che sono in contatto con i morti.

Nel film, a un certo punto Steve jOBS dice una frase che potrebbe confermare la mia teoria:
Non facciamo nulla che IBM non faccia già. E preferisco scommettere sul nostro punto di vista, piuttosto che fare un prodotto nella norma. Dobbiamo rendere le cose semplici memorabili.

"Vediamo se, distruggendo il computer, la recensione migliora."
Steve Jobs non faceva prodotti nella norma. Questo invece è un film biopic nella norma. Non è realizzato così male, Ashton Kutcher non riesce a offrire un’interpretazione davvero efficace di Steve Jobs ma non è nemmeno un cane totale e il film, grazie soprattutto all’interesse nei confronti del personaggio, si lascia seguire dall’inizio alla fine. Alcune parti sono superflue, ci si concentra troppo sulle dinamiche aziendali interne alla Apple che sinceramente dopo un po’ scoglionano non poco, e insomma una mezz’oretta in meno nel montaggio finale non avrebbe guastato il prodotto finale.
Non convince del tutto poi la scelta di fermarsi con il racconto a metà degli anni ’90, quando la creazione dell’iPod sarebbe potuto risultare un capitolo più avvincente da raccontare rispetto ai drammoni aziendali. Al di là delle discutibili scelte narrative, complessivamente il suo difetto principale è però quello di essere mediocre, nella norma.
A questo punto, sarebbe risultata una scelta migliore realizzare un film sperimentale che sarebbe potuto uscire uno schifo totale. Se non altro si sarebbe provato a fare qualcosa di diverso, a rischiare tutto come piaceva fare a Steve Jobs, sempre e comunque. Quella che ne è uscita è invece una pellicola che una volta si sarebbe potuta definire di qualità televisiva, non fosse che HBO oggi farebbe di meglio. Anzi, ha fatto di molto meglio, si veda il recente Dietro i candelabri – Behind the Candelabra di Steven Soderbergh con un grande Michael Douglas nei panni del pianista Liberace.


"No, non c'è niente da fare..."
jOBS appare come una grande occasione sprecata. Tutto quello che The Social Network è, questo non lo è. Laddove lì si raccontava la storia di Mark Zuckerberg e della nascita di Facebook ma allo stesso si riusciva a offrire anche una visione di quello che è il mondo di oggi, nell’era dei social network, jOBS si limita a essere un film biografico che non riesce a guardare all’infuori del personaggio che racconta. E anche come biopic in sé, non è poi così riuscito. La figura di Steve Jobs uomo non viene approfondita fino in fondo, e tra l’altro Steve Jobs l’uomo non ne esce benissimo, un po’ come Zuckerberg nel film di David Fincher, e questo alla fine è un po' l’aspetto più intrigante della pellicola.
Steve Jobs uomo appare come una persona glaciale, senza amici, senza veri legami, attaccata al denaro e al successo, che non esita a pugnalare alle spalle chi ha contribuito alla causa Apple fin dagli inizi in bene di un ideale più grosso, quello di voler cambiare il mondo. Quello di pensare fuori dagli schemi.
Alla faccia del think different, in jOBS il film di different rispetto alle tradizionali pellicole biografiche non c’è invece un bel nulla. È la celebrazione del think identical. Quello che ne è uscito è il biopic precisino che si meriterebbe giusto un Bill Gates. Non uno Steve Jobs.
(voto 5/10)



mercoledì 19 giugno 2013

BEHIND THE CANDELABRA, LA RECENSIONE POCO GAY


Dietro i candelabri - Behind the Candelabra
(USA 2013)
Regia: Steven Soderbergh
Sceneggiatura: Richard LaGravenese
Tratto dal libro: Behind the Candelabra: My Life With Liberace di Scott Thorson e Alex Thorleifson
Cast: Michael Douglas, Matt Damon, Rob Lowe, Scott Bakula, David Koechner, Dan Aykroyd, Garrett M. Brown, Nicky Katt, Boyd Holbrook
Genere: gaypic
Se ti piace guarda anche: Velvet Goldmine, Milk, Larry Flynt - Oltre lo scandalo

Behind the Candelabra è un film gay, molto gay, talmente gay che in questo post cercherò di battere il Gaynness World Record per il maggior uso della parola gay in un post solo. Pronti? Via.

Liberace mentre cercava di nascondere di essere gay.
Behind the Candelabra è il biopic gay sulla storia gay della vita gay del pianista gay Liberace, all’anagrafe Władziu Valentino Liberace, un nome già di suo parecchio gay, visto che lo stilista Valentino è notoriamente gay e l’attore Rodolfo Valentino era anch’esso gay, quindi la sua gayezzitudine era già scritta nel suo nome.

Nonostante il suo portamento gay, la sua parlata gay, la sua camminata gay, le sue parrucche gay, nonostante uno sfoggio di abiti gay da far impallidire Lady Gaga, nota icona gay, Liberace in vita nascose sempre il fatto di essere gay. Arrivò persino a denunciare i giornalisti che gli avevano dato del gay andando a vincere la causa gay. Fu per questo che, almeno in vita, lui non è mai stato più di tanto un’icona gay.

La grande contraddizione che è stata la sua vita, tra un’immagine vistosamente gay e l’esigenza di non essere considerato solo un pianista gay, è al centro della pellicola biopic supergay girata da Steven Soderbergh, al suo secondo lavoro degno di nota dell'anno dopo l'ottimo thriller Effetti collaterali. Steven Soderbergh non mi risulta sia gay, però secondo Wikipedia ha un fratello dichiaratamente gay e inoltre sospetto che, dopo aver girato Magic Mike con tutti quei bei maschioni, possa essere diventato gay anche lui.
Il gaypic è intitolato Behind the Candelabra, un titolo che, nonostante sembri un titolo gay, in realtà non è gay più di tanto. Il candelabro non nasconde allusioni sessuali ma è solo un oggetto simbolo del personaggio, che si esibiva con un candelabro sopra il pianoforte… mmm, una cosa un pochino gay forse lo era. La pellicola non è arrivata nei cinema, colpa forse dell’ostruzionismo anti-gay dei produttori hollywoodiani gay che come Liberace preferiscono non venire allo scoperto dicendo di essere gay e preferiscono quindi non distribuire film troppo gay nelle sale etero.

Una scena gay del film.
Che uomo era Liberace, a parte un uomo gay?
La prima cosa che salta all’occhio nel film è… sì, il suo essere gay. Si può stare a esaltare le sue doti pianistiche sopraffine, la sua capacità di coinvolgere il pubblico con l’utilizzo soltanto di un pianoforte, roba mica da tutti, ma ciò che appare subito nella sua evidenza è che era gay. E la gente all’epoca, tra gli anni Cinquanta in cui cominciò a farsi conoscere e gli anni Settanta in cui si concentra la pellicola, non sapeva che era gay, o semplicemente faceva finta di non vedere quanto gay fosse.
L’apparizione di Liberace in scena è folgorante. Super vistoso, super appariscente, super gay, con indosso pellicce bianche che lo rendevano visibile fin dalla Luna, almeno dal gay side of the Moon. La sua capacità gay di ammiccare al pubblico sia etero che gay e la sua voglia di essere sempre sotto i riflettori come una prima donna lo rendevano un divo gay perfetto. Peccato che lui non volesse essere conosciuto per il suo essere gay. Nonostante questa contraddizione, Liberace ha comunque vissuto alla grande il suo essere gay nella sua splendida casa, decorata con un gusto sopraffino che solo i gay possiedono, dove giovincelli gay gironzolavano a tutte le ore del giorno e della notte, tenuti a bada dal suo onnipresente cameriere, maggiordomo e tuttofare ovviamente gay.

Una scena ancora più gay del film.
Fino all’arrivo del grande amore gay della sua vita gay: il giovane fanciullo gay, anzi bisex Scott Thorson, autore del libro memoriale a cui la pellicola è ispirata. Behind the Candelabra non è solo un biopic sull’esistenza gay dietro il candelabro del grande Liberace, ma è anche una grande storia d’amore, naturalmente gay, tra il pianista gay e Scott Thorson. Amore in senso romantico è persino limitativo, visto che Liberace per Scott era non solo compagno, non solo amante, ma anche migliore amico e pure padre. A dimostrazione di come l’amore gay possa essere più grande e totale di quello etero. A volte ci rifletto e penso che mi piacerebbe essere gay. Non fosse per il piccolo dettaglio che non provo attrazione sessuale gay nei confronti degli uomini, non sarebbe male essere gay. Non per perpetuare i soliti stereotipi gay, ma i gay hanno dei gusti fantastici. La casa di Liberace mostrata nel film come accennato è forse la casa più spettacolare che io abbia mai visto, nella realtà così come nelle pellicole gay o non gay. C’ha persino le colonne romane! Cosa c’è di più stiloso, e di più gay, di ciò?

Matt Damon a torso nudo per la gioia del pubblico gay.
Non ho ancora nominato gli attori protagonisti? Ma sono proprio gay!
Matt Damon ha la parte di Scott Thorson, aspirante veterinario che ha un cane che si chiama Cannibal (che nome gay!) e che un giorno va a vedere uno spettacolo gay di Liberace. Nel dietro le quinte dello show tra i due scattano le scintille gay. Liberace viene folgorato da questo aitante maschione gay, anzi no, come ho già detto è bisex. Matt Damon in questo ruolo se la cava, ma personalmente avrei preso un attore più giovane e gay, visto che lui è troppo poco gay per fare la parte del gay barra bisex e soprattutto è un po’ vecchiotto: Thorson quando ha conosciuto Liberace era appena 18enne, quindi, benché Damon sfoggi un fisico notevole, e lo dico come apprezzamento non gay, e benché abbia fatto uso di una parrucca gay per apparire un ragazzetto gay, un attore più giovane e possibilmente più gay sarebbe risultato più azzeccato.
Spettacolare, davvero spet-ta-co-la-re è invece un impagabile Rob Lowe nella parte del chirurgo plastico cui faranno ampio ricorso i due protagonisti gay, e a sua volta super rifatto pure lui. E forse gay anche lui, ma non ne sono sicuro.


Il vero Liberace in uno scatto poco gay.
Le luci della ribalta gay sono però tutte sul protagonista gay. Un Michael Douglas mai così gay e mai così bravo come forse dai tempi del mitico Gordon Gekko di Wall Street. La sua performance gay è davvero fenomenale, riesce a rendere alla grande tutto l’essere gay di Liberace, ma senza apparire come una macchietta gay o una parodia dei gay, anche se, a tratti, a dirla tutta oltre che al vero Liberace somiglia pure a Lord Micidial della serie tv di Maccio Capatonda Mario. Michael Douglas, noto tombeur de femmes, in questo film insomma non recita la parte di un gay. Michael Douglas in questo film è gay.

Come già capitato con Magic Mike, anche in questo caso Sodergay con la sua patinatissima regia gay ha realizzato un film più convincente nella prima parte, quella più brillante e dai toni da commedia, rispetto alla seconda maggiormente drammatica, ma ha comunque sfornato una pellicola pronta per essere un nuovo cult gay, nonché il più grande biopic su un personaggio gay mai realizzato. Milk di Gay Van Sant permettendo. Se siete gay, lo adoregayrete. Se non siete gay, diventerete gay, almeno per le due ore della sua durata gay.
(voto alla gayosità 10/10
voto al film 7+/10)

Recensione firmata da Marco Gay di Peni Cannibali, blog notoriamente gay.

E con quest’ultimo gay ho battuto il Gaynness World Record per il maggiore uso della parola gay in un post solo. Hurray!
Anzi, hurgay!



domenica 14 aprile 2013

GLI HITCHCOCK PREFERISCONO LE BIONDE


"Mi piacciono gli uccelli.
E non pensate subito male..."
The Girl
(UK, Sud Africa, USA 2012)
Regia: Julian Jarrold
Sceneggiatura: Gwyneth Hughes
Tratto dal libro: Spellbound by Beauty: Alfred Hitchcock and His Leading Ladies di Donald Spoto
Cast: Sienna Miller, Toby Jones, Imelda Staunton, Conrad Kemp, Penelope Wilton
Genere: famo un film
Se ti piace guarda anche: Hitchcock, Gli uccelli, Marnie, Factory Girl, Marilyn

Alfred Hitchcock era un maniaco?
Non lo sappiamo, almeno io non lo so, ma il film The Girl fa venire un pochino il dubbio.
Alfred Hitchcock era un guardone, o se preferite un voyeur e anche un mezzo stalker?
Questo è parecchio probabile. I suoi film sono pieni di indizi in tal senso. Molti dei suoi più grandi capolavori sono infatti giocati sullo spiare, sul guardare, sull’osservare in silenzio, dal Norman Bates di Psyco fino persino ai pennuti stalker de Gli uccelli, per non dire poi del caso più clamoroso, quello de La finestra sul cortile, una vera e propria celebrazione del voyeurismo.

"Se te lo stai chiedendo: sì, c'ho messo del roipnol."
Più che un film biografico sul grande regista, The Girl è il resoconto del suo rapporto di amore-odio malato nei confronti delle bionde dei suoi film e in particolare è la storia della sua ossessione per Tippi Hedren, la protagonista de Gli uccelli e di Marnie. Segnalata dalla moglie di Hitch, questa bionda dalle esperienze cinematografiche pressoché inesistenti ha subito folgorato il regista, affascinato dall’idea di prendere una completa sconosciuta per il film che doveva seguire al grande successo di Psyco. In tale modo, i veri protagonisti assoluti erano loro, gli uccelli.
Modella di origini campagnole, Tippi Hedren si è ritrovata così catapultata al centro di una grossa produzione hollywoodiana, tra le mani del più grosso (in tutti i sensi) regista hollywoodiano dell’epoca. E forse non solo dell’epoca.

Laddove nell'altrettanto recente film Hitchcock abbiamo una visione più benevola del regista, in questo film tv prodotto da HBO troviamo un suo ritratto più inquietante. Il cattivo, il mostro di The Girl è proprio lui, Hitchcock. È questa l’idea più intrigante di una produzione televisiva di livello cinematografico che si avvale dell’interpretazione di due ottimi attori. Personalmente ho trovato più adatto al ruolo del regista Anthony Hopkins, per età e per “mole” fisica, ma a livello attoriale il piccolo Toby Jones ha svolto pure lui un lavoro impressionante. L’attore 46enne, minuto e piccolino, non ha il physique du role, se così vogliamo dire, del grosso cineasta britannico, ed è troppo giovane per fare Hitch quando questi era già oltre i 60 anni. Eppure la sua interpretazione è così convinta da farci quasi dimenticare questi aspetti.
Perfetta nella parte di Tippi Hadren è una notevole Sienna Miller, attrice dotata di una classe molto 60s già mostrata in Factory Girl, in cui interpretava Edie Sedgwick, una delle muse di Andy Warhol. Vedendo Gli uccelli, l’attrice contemporanea che più mi ha ricordato Tippi Hadren è stata però Naomi Watts, ma comunque anche la Miller le somiglia molto e qui è parecchio convincente.
Naomi Watts avrebbe dovuto prendere invece la parte che fu della Hadren nel vociferato remake de Gli uccelli in preparazione pochi anni fa. Quello che, come accennavo ieri, doveva realizzare Michael Bay ma che ora è in stand-by.

È su loro due, sui due protagonisti, che l’intera pellicola è costruita. Sul loro rapporto controverso che, più che a una storia d’amore, somiglia a quello tra Philip Seymour Hoffman e Joaquin Phoenix in The Master di Paul Thomas Anderson.
Per il resto, The Girl offre anche qualche retroscena interessante riguardo alla lavorazione de Gli uccelli e poi anche di Marnie, l’altro film girato insieme dalla coppia non-coppia Hitch/Hedren. Da questo punto di vista, il film Hitchcock risulta più interessante, sarà perché la preparazione di Psyco è più mitologica, mentre sul piano della costruzione dei personaggi la figura del regista viene qui trattata in maniera più coraggiosa. Come detto, ne esce un suo ritratto parecchio spaventoso.
Alfred Hitchcok, il maestro del brivido?
No. Alfred Hitchcock, un uomo da brividi.
(voto 6+/10)



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