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sabato 27 settembre 2014

CBGB, IL FILM PIU’ PUNK DELL’ANNO (DOPO WE ARE THE BEST!)





CBGB
(USA 2013)
Regia: Randall Miller
Sceneggiatura: Jody Savin, Randall Miller
Cast: Alan Rickman, Ashley Greene, Freddy Rodríguez, Bradley Whitford, Richard de Klerk, Malin Akerman, Justin Bartha, Rupert Grint, Taylor Hawkins, Johnny Galecki, Kyle Gallner, Estelle Harris, Stana Katic, Ahna O’ Reilly, Joel David Moore, Ryan Hurst, Josh Zuckerman, Mickey Sumner
Genere: punk
Se ti piace guarda anche: Velvet Goldmine, Quasi famosi, Spike Island, Nowhere Boy, The Runaways, Killing Bono, We Are the Best!


Non indovinerete mai di cosa parla il film CBGB.
Anche se non ci crederete, CBGB è una pellicola che parla del locale... CBGB.
L'avreste mai detto?
No, perché non conoscete il CBGB e adesso però volete sapere a tutti i costi cos’è, o meglio cos’è stato?
Beh, invece di venire a chiedermelo a me, andate a guardarvi il film, luridi cazzoni!

giovedì 11 settembre 2014

LE MIE CANZONI PREFERITE - 20/11





Cari amici lettori, siamo arrivati alla fine di questa Top 100. Ecco le mie 10 canzoni preferite...

Ah no, scusate, ho sbagliato. Sto correndo troppo. Ecco le mie canzoni quasi preferite, quelle che sono finite fuori per un soffio, per un nonnulla dalla Top 10 che verrà svelata presto.
Prima di scoprirla dovrete però pazientare ancora un po' e, già che ci siete, potete recuperare anche tutte le posizioni precedenti:

canzoni dalla 30 alla 21

"Ah aah, lo sapevo che Cannibal avrebbe messo Britney!"

lunedì 17 febbraio 2014

WHAT DIFFERENCE DOES IT MAKE, LA DIFFERENZA DI CHI FA MUSICA




What Difference Does It Make – A Film About Making Music
(USA, Germania 2014)
Regia: Ralf Schmerberg
Genere: documentario musicale

What Difference Does It Make è il titolo di un documentario che farà la gioia di tutti gli appassionati di musica. Soprattutto chi la musica la fa, ci prova a farla, e pure chi se la vorrebbe fare. In occasione dell’anniversario dei 15 anni della Red Bull Academy, il regista tedesco specializzato in documentari Ralf Schmerberg ha messo a disposizione il suo talento visivo per un bel docu che ci proietta dentro il suono. Tra concerti, lavoro in studio e performance dove capita, anche giù in metropolitana, la cosa più affascinante di questo What Difference Does It Make? (il titolo è un omaggio a un pezzo degli Smiths) è proprio l’aria che si respira. Aria di musica a pieni polmoni. Questo è il cuore della pellicola.

La parte chiamiamola più razionale, il cervello della pellicola è invece fatta di parole. Tante parole che ci arrivano dai vari cantanti, musicisti e artisti intervistati per l’occasione. Spazio allora ai racconti e alle esperienze di Debbie Harry dei Blondie, a Erykah Badu, Giorgio Moroder, Nile Rodgers, Brian Eno, a un bellissimo Lee ‘Scratch’ Perry, a Richie Hawtin, Q-Tip, Rakim, Skream, a James Murphy ex LCD Soundsystem e producer dell’ultimo album degli Arcade Fire. Una serie di nomi grossi tutti impegnati a fornirci i loro personali resoconti. Lasciando fuori i divismi e le esagerazioni tipici dello showbiz, quello che ne viene fuori è un racconto corale che testimonia una grande passione per la musica. Il pregio di questo lavoro è proprio quello di proporre un sacco di realtà differenti, presentando una grande varietà di modi di rapportarsi alla musica, alla creazione e pure alla vita, attraverso artisti di epoche e generi differenti. Un pregio che può essere visto anche come il limite principale del documentario, che risulta in questo modo leggermente dispersivo. Il suo scopo comunque lo raggiunge. Non fotografare un solo determinato stile musicale, ma un sacco di approcci.
Dove poter guardare questa chicca, una visione consigliata in particolare ai musicomani, ma comunque molto ben realizzata da un punto di vista tecnico-cinematografico e quindi apprezzabile un po’ da tutti?
Sul sito redbullmusicacademy dove sarà visibile in streaming gratuito a partire da domani. Buona visione, allora, e soprattutto buon ascolto.
(voto 6+/10)

martedì 26 novembre 2013

AMERICAN GIGOLO – PUTTANO AMERICANO




Cosa si fa ‘sta sera, eh raga? Facciamo un bel puttan-tour?
Eddai, vediamo un po’ cosa offre la strada. Mi raccomando: portatevi dietro il ca$h, quello bello pesante, perché questa sera si fa un puttan-tour di lusso. Un puttan-tour cinematografico.
Pronti?

Ad aprire la strada, letteralmente, troviamo la Pretty Woman Julia Roberts. O forse dovremmo dire Pretty Lady, visto che ormai è una MILFona di una certa età. Sempre affascinante, in ogni caso.


Non male, però vediamo che altro c’è in giro…
Mira Sorvino?
Nah, non m’è mai piaciuta, quella.
Dea dell’amore?
Dea dell’amore un cavolo!


Chi altri c’è?
Oh, tu guarda chi si rivede, Audrey Hepburn!
Beh, non sarebbe male restare tutta la notte con lei e poi il mattino dopo andare a fare Colazione da Tiffany. Teniamola presente, anche se ho come il sospetto che sia un pochino morta, tra le riprese di quella pellicola e oggi. Chissà?


Vabbè, tanto c’è Demi Moore, ma lei accetta solo una Proposta indecente e io, con questa economia attuale, non posso proprio fargliela. Al massimo posso farle una proposta indecente nel senso di scandalosamente bassa. Ah Demi, 10.000 delle vecchie lire ti vanno bene?
No, eh?

"I soldi non fanno la felicità...
Chi l'ha detta 'sta stronzata?"

Attenzione, attenzione, chi vedo laggiù in fondo?
Charlize Theron!
Mooolto bene. Charlize Theron è un bel figon…
Aspettate, però, aspettate un attimo raga. A vederla da vicino non è poi tutto ‘sto splendore. Questa sera si è presentata senza trucco in versione Monster e mi sa che non combinerà dei grandi affari…

"Hey, perché nessuno vuole vedere le mie chiappe come nello spot Martini?"

Facciamo un salto al Moulin Rouge? Lì ci lavora Nicole Kidman e dicono che la da via facile.
Dite che spenderemmo di più per il volo fino a Parigi?
E dite anche che se arriviamo con Ryanair e non con un jet privato la Nicole non ci si fila manco di striscio?


Hey, ma quella non è Jodie Foster in versione Taxi Driver?
Sì sì, è proprio lei.
Mmm, però… troppo giovane. Troppo. Chiamate Gabriele Paolini.


Vediamo un po’, con qualche annetto, ma non troppi, di più c’è la Giovane e bella di Francois Ozon, Marine Vacth.
Bonjour, anzi bonsoir. Quanto vuoi, giovane e bella?
Quanto???
Ma t’attacchi, sei troppo cara, baby prostituta!

"Ma bussare non è più di moda?"

Facciamo che tornare dalla cara vecchia pretty woman Julia Roberts, che è un po’ più economica.


Ciao Julia, come vanno gli affari?

Procedono a rilento?

C’è crisi anche sulla strada?

Guarda, è davvero un momentaccio in tutti gli ambiti lavorativi, pure nel tuo…
Vabbé, comunque, andiamo a farci un giro?

Nooo! Ma come per stasera hai finito? Devi andare a rimboccare le coperte ai tuoi figlioletti? E vabbè, ma allora chi mi consigli?

Un uomo???
Un uomo no, dai.

Aspetta, dici che è un tuo vecchio amico? Il tuo più caro vecchio amico, quello con cui hai girato il super
successo Pretty Woman e pure quella menata di Se scappi, ti sposo?
Per Richard Gere posso fare un’eccezione. Ma solo per il Richard Gere di American Gigolo, che è tipo l’uomo più figo di tutti i luoghi, di tutti i laghi, di tutti i film e di tutti i tempi. Non sono gay, ma potrei diventare gay per il Richard Gere di American Gigolo.

Come dici Julia? Non hai mai visto American Gigolo?
Sei tutta strada e chiesa e non hai tempo per guardare dei film?
Ma questo non è proprio recentissimo. È del 1980… Comunque non c’è problema, te lo racconto brevemente io.

American Gigolo
(USA 1980)
Regia: Paul Schrader
Sceneggiatura: Paul Schrader
Cast: Richard Gere, Lauren Hutton, Hector Elizondo, Bill Duke, Brian Davies, K Callan, Carol Cook, Carol Bruce, Frank Pesce
Genere: mercenario
Se ti piace guarda anche: American Psycho, The Canyons, Drive, Pretty Woman

Tutto parte con “Call Me”, pezzone dei Blondie scritto e prodotto dal vanto nazionale Giorgio Moroder, autore di tutta la fenomenale e super 80s colonna sonora del film.



Manco questa canzone qui ti dice niente, Julia? Ma in che mondo vivi, porca puttana?

Oops, scusa. Non volevo offenderti.
Canzone simbolo, colonna sonora simbolo e naturalmente anche il film è uno dei simboli supremi di ciò che sono stati gli Anni Ottanta. Più che una semplice pellicola, American Gigolo è gli Anni Ottanta.
La storia poi dovresti sentirla parecchio vicina, cara Julia. Il protagonista è un puttan… cioè un prostitut… Come diavolo devo chiamarlo oggi? Escort maschile è politically correct abbastanza?
Lo chiamo gigolo, come fa il titolo del film, e faccio prima, anche se mi resta un dubbio: ma gigolo si scrive con l’accento o senza?

Comunque sia, Richard Gere è Julian Kay, un bellissimo gigolo che va soprattutto con donne mature perché – come dice – con le ragazzette è troppo facile, non c’è gusto, non c’è sfida. Dopo il Dustin Hoffman de Il Laureato, possiamo considerare quindi Julian un precursore, uno dei primi amanti del genere MILF quando il genere MILF non era ancora ufficialmente nemmeno nato.
Il nostro gigolo si passa un sacco di MILFone in quel di Los Angeles, se ne va in giro in auto con un sottofondo musicale spudoratamente 80s come farà poi il Ryan Gosling di Drive, abita in un loft arredato in maniera minimal-chic che verrà ripreso pari pari nel film American Psycho, è fissato con l’allenamento e la cura del proprio corpo, anche in questo caso come il Patrick Bateman di American Psycho, e un giorno viene accusato di omicidio, vagamente come capita in American Psycho. In pratica, American Psycho deve molto ad American Gigolo, fin dal titolo. Diciamo che il mondo di Bret Easton Elllis tutto deve molto a questa pellicola di Paul Schrader ed è un po’ anche per questo che dall’unione delle loro due menti malate mi aspettavo grandi cose, invece hanno tirato fuori The Canyons, un filmetto senza arte né parte che non è così male come quei cattivoni della critica hanno detto, ma non è certo il capolavoro che poteva essere.

Ma adesso mi sa che sto divagando, Julia. Tornando ad American Gigolo, riesce laddove The Canyons fallisce: nel coniugare una trama dalle tinte thriller con il ritratto socio-antropologico di un personaggio bello bello in modo assurdo, quanto vuoto vuoto in modo assurdo. Un puttano superficiale cui interessano solo i soldi e l’aspetto fisico. Dietro al suo egoismo e al suo egocentrismo, c’è però dell’altro. Julian Kay è pieno d’amore da dare al mondo. A lui non interessa tanto il suo piacere personale, quanto dare piacere alle donne, un po’ come il suo discepolo Christian Troy della serie tv Nip/Tuck. Il suo aspetto e i suoi modi nascondono questo suo lato intimo, da benefattore dell’umanità.

American Gigolo riesce a dare un ritratto splendido e stilosissimo non solo di un’epoca, di un decennio, ma anche di un personaggio meno superficiale di quanto potrebbe sembrare in superficie appunto e anche parecchio ambiguo, visto che ci lascia sempre con il dubbio. Il dubbio se considerarlo un bluff o qualcosa di più di un manzo, se considerarlo un assassino oppure uno che, in fondo in fondo, è un buono e non solo un bono.
La pecca principale del film, che per tutta la sua durata riesce a mantenere quest’ambiguità, è il finale. Un happy ending romantico che stona con la cattiveria mostrata fino a quel momento. Una conclusione, scusa se te lo dico Julia, degna delle tue peggiori commediole romantiche stracciapalle.
In ogni caso si può anche dimenticare il finale e concentrarsi su una pellicola per il resto a suo modo perfetta, grazie anche e soprattutto a un Richard Gere all’apice della sua forma fisica e recitativa. Al di fuori di questo film, e del sottovalutato The Mothman Prophecies – Voci dall’ombra, è un attore che non amo e non ho mai amato particolarmente però, cara la mia Julia, se mi porti qui il Richard Gere dei tempi di American Gigolo, giuro che me lo faccio. Se poi vuoi partecipare pure tu, per fare una cosa tre, per me non c’è problema.
Vabbuò, Julia Roberts, adesso ti lascio andare dai tuoi figlioli, che s'è fatto proprio tardi, tanto il mio numero te l’ho lasciato e quindi ricordati di una cosa: Call meee!

Non hai capito il riferimento, neh?
Dopo aver messo a letto i tuoi figli allora corri a vederti American Gigolo, che non si può non averlo visto almeno una volta nella vita, porca puttana!
Oops, scusa. Non volevo offenderti di nuovo, pretty woman, walking down the street, pretty woman, the kind I like to meet...
Ma manco questo riferimento hai capito?
(voto 7,5/10)

sabato 11 giugno 2011

Levatevi dalle palle bionde, Blondie è tornata

Blondie “Panic of girls”
Genere: old-wave
Provenienza: New York, USA
Se ti piace ascolta anche: Garbage, No Doubt, Pretenders

Che figata il nuovo disco dei Blondie! Mettiamolo subito in chiaro per non lasciare spazio a dubbi, perché spesso i gruppi grandi in passato tornati alla ribalta con reunion improbabili spesso suonano bolliti e noiosi. Per fortuna non è il caso della mitica Deborah Harry e dei suoi compagnucci. Dopo i fasti di fine anni ’70 e primi anni ’80 che ci hanno regalato album e canzoni mitiche, i Blondie si erano già riuniti nel 1999 sfornando la celebre “Maria”, poi tra alti e bassi hanno pubblicato ancora altri dischi, ma questo è il primo da “The Curse of Blondie” del 2003. E soprattutto è il loro più spettacolare da parecchi decenni a questa parte.
A tratti sembra di essere tornati alle loro atmosfere di primi anni ’80, con un velo di nostalgia che avvolge il tutto lasciando però spazio anche a sonorità attuali. La cosa che più conta è però che ci sono le canzoni, ottime canzoni.
“D Day” e “What I Heard” piazzate in apertura sono un uno due micidiale e freschissimo, come se gli anni non fossero mai passati, “The end the end” è una ballata da fine del mondo, “Girlie girlie” è uno ska reggae contagiosissimo, la francese “Le Bleu” è una delle cose più belle sentite quest’anno. Roba da lacrime agli occhi: “je suis animal”. Madonna che roba! Anzi, Madonna se la sogna sta roba.


A convincermi un po’ meno è invece il primo singolo “Mother” che cerca di riproporre lo stile di “Maria”, e non eccezionale è pure la spagnoleggiante ed estiva “Wipe off my sweat”.


Poco male, visto che il resto del programma è di ottimo livello e le cose migliori si sentono quando il gruppo guarda più indietro, nei suoi tipici suoni new-wave e irresistibilmente pop, come in una “Sunday smile” (nonostante il titolo troooppo blondiano, è la cover di un pezzo di Beirut) leggera leggera come “The tide is high”. Roba che ti porta via insieme al vento.
Questo sì che è un comeback!
(voto 7,5)

giovedì 12 maggio 2011

BLOG WARS: LA VENDETTA DEI 70s (PARTE II)

Se ai 60s devo ammettere di non essere legatissimo, ma un pochino comunque sì, con i 70s cominciamo a entrare più nel mio mondo musicale, anche al di là dei soli 10 nomi qui presenti in questa per forza di cose stringata lista: cominciano infatti a mettere le radici l’elettronica e l’hip-hop, mentre punk, new wave e no wave mettono a ferro e fuoco il rockone classico. In più spuntano fuori come funghetti allucinogeni anche i miei primi veri grandi idoli musicali, da Ian Curtis a David Bowie passando per Debbie Harry. Dopo la superflua listina della spesa di Mr. James Ford di ieri, ecco la mia fantasmagorica top 10.
Cannibal Kid






1. Blondie “Parallel Lines” (1978)
Cannibal Kid Dei Blondie ci sarebbero da mettere tutti i loro primi album, ma mi limito a “Parallel Lines” che contiene alcune tra le loro tante canzoni più mitiche (“One way or another”, “Heart of Glass”, “Hanging on the telephone”, “Sunday Girl”), contrassegnate dal loro irresistibile sound pop-punk-dance-wave. Usatissimi dal cinema, hanno influenzato molta della musica che mi piace di più oggi. Un disco leggero e gradevole contro la pesantezza e la noia della tua musica, Mr. Harrison Ford. E Deborah Harry mito assoluto, tiè!
Mr. James Ford Debby Harry, caro dolce, sensibile, piccolo Cannibale, è pane e salame almeno quanto me, e sicuramente riderebbe della maggior parte delle tue scelte musicali e delle lacrimucce versate in cameretta.
Quindi, più che bottigliare una scelta comprensibile, bottiglio te, che non hai ancora capito la potenza del panesalamismo! E se io sono Han Solo, Debby Harry e Leia! Ahahahahah!
CK Che un’icona punk e glamour musicalmente eclettica e orientata verso la new-wave e la dance abbia qualcosa a che fare con il tuo grezzo pane e salame è un’idea tua e, per farti contento, posso anche farti credere sia vero. Io rimango comunque dell'idea che la musica dei Blondie nasca proprio come reazione a quella dei cantautori e dei dinosauri del rock da te proposti...


2. Sex Pistols “Never Mind the Bollocks” (1977)
CK Un gruppo, un disco, due miti, Johnny Rotten e Sid Vicious, simboli assoluti di tutto ciò in cui credo e che adoro di più: distruzione e sberleffo totale nei confronti di tutto e di tutti. Che sia la Regina, il Sistema o Mr. Ford con la sua musicaccia…
God save the Pistols and not you, Ford!
JF Possiedo e ho amato molto questo disco, rimasto in ballottaggio per lo slot "punk" andato poi ai Clash - nettamente superiori -, ma ai tuoi miti dello sberleffo riservo una marea di bottigliate perchè tanto, conoscendoli, potrebbero anche apprezzare.
Detto ciò, meglio i rockettari jurassici sempre in pista che questi scheletrici adolescenti allo sbando!
CK Certo che se non avessi sprecato 50 slot per i tuoi cantautoroni, qualche spazio in più per il punk ti sarebbe rimasto…


CK David Bowie ha inciso un sacco di dischi fondamentali per i 70s, forse ancora più di quanto fatto dai Beatles nei 60s, dalla grandiosa trilogia berlinese al glam di Ziggy Stardust splendidamente rappresentato anche nel film Velvet Goldmine, passando per il soul bianco di “Young Americans”. Non volendo comunque togliere spazio ad altri artisti meritevoli scelgo solo il mio preferito. E la mia scelta personale è - rullo di tamburi ra-pa-pa-pa-pan -…
3. David Bowie “Aladdin Sane” (1973)
Perché? Perché contiene alcune perle pop supreme, ha un sound per-fet-to, coretti fantastici, mischia il glam con il soul e poi perché oggi è questo il mio preferito, domani potrebbe essere un altro… con un Artista come Bowie l’unico problema è giusto l’imbarazzo della scelta. Inoltre questo disco mi dà l’occasione di chiedere un desiderio alla lampada di Aladino: Genio, fa’ che i gusti musicali (e già che ci siamo pure cinematografici) di Mr. Ford diventino un pochino migliori, per favore!
JF Bowie è uscito con Ziggy dalla mia decina per il rotto della cuffia, e solo per il mito De Andrè, ma resta senza dubbio uno degli idoli musicali della mia carriera di ascoltatore. L'ho visto in concerto due volte, e ho letteralmente consumato i suoi dischi come le molteplici incarnazioni che il Duca Bianco ci ha riservato.
Personalmente, se non Ziggy, avrei scelto Hunky dory o Low, ma del resto si sa che non capisci niente neanche quando fai scelte azzeccate! ;)

4. Joy Division “Unknown Pleasures” (1979)
CK Musica deprimente per spiriti depressi, Mr. Incredible, proprio così. Però è qui che spesso si cela la bellezza più grande e profonda, ma questi sono pleasures che a te passato al lato happy ormai mi sa sono unknown. Che poi questo disco non è nemmeno così deprimente, anzi, è quasi ballabile, almeno con il passo epilettico del cantante Ian Curtis. I Joy Division hanno influenzato talmente tante band di oggi (Interpol, Editors, Horrors, White Lies…) che la loro importanza nella Storia della Musica è ormai cosa più che dimostrata e se hai qualcosa in contrario da dire attento che ti spedisco nella Joy Division!
JF Ed eccoci qui, belli pronti per un pò di sana depressione, perchè noi siamo tormentati, e siamo dannati, e siamo segnati da qualcosa dentro che ci opprime.
Ma vaffanculo.
Mi sembra di sentire le cazzate che sparavo a sedici/diciassette anni per rimorchiare.
Poi sono cresciuto.
Vaya con Dios, Curtis! Se ti serve una mano, fai un fischio!
- questa è cattiva, lo ammeto, ma del resto sono un bruto insensibile, no!? - :)
CK Va bene crescere, ma tu sei passato direttamente dalla fase teenager a quella vecchio da ricovero uahahaha!
JF Il vecchio adagio dice "Meglio vecchio, che morto". Curtis, ormai, me lo sono mangiato a cena, alla faccia tua e di tutti gli altri cannibali. Aspetto al varco Cobain, ma questa è un'altra storia. ;)
CK Il nuovo adagio dice: “Meglio morto, che nello stato di decomposizione in cui si trova adesso Ozzy”.


5. Kraftwerk “Trans-Europe Express” (1977)
CK Musica elettronica. Sintetizzatori. Computer. Kraftwerk. Questi crucchi erano già più avanti di te, quando tu non eri nemmeno ancora nato, Ford!
Va bene essere vecchi cowboy e va bene appartenere alla vecchia scuola, però dai cazzo Mr. John Ford! Se non mi diventi un po’ più moderno, mi ci costringi: ho già prenotato una stanza per te al pensionato.
JF Sarò cowboy e John Ford, ma questi me li ascolto pure io volentieri, pure al pensionato. Preferisco The man machine, ma anche questo va bene.
Però, giusto per conservare una certa accesa rivalità, ti dico che è una scelta parecchio scontata, per un radical chic come te.

6. Clash “London Calling” (1979)
CK Rispetto al puro devasto e sberleffo dei Sex Pistols, o al divertente cazzeggio dei Ramones (che non ho inserito in lista ma che comunque adoro), del punk i Clash hanno rappresentato l’anima più politica e impegnata, ma anche più musicalmente contaminata. E io adoro contaminazioni e sperimentazioni sonore. Sai poi cosa vuol dire Clash, Mr. Bean Ford? Scontro, conflitto, contrasto, e io ormai sono pronto alla guerra!
JF Niente da dire. Questo l'ho inserito anche io.
Soltanto una cosa: se sei pronto alla guerra, in pieno stile Clash aspetto il momento giusto per fracassarti una bella chitarra su quella testa piena di Scream e pollici di Megan Fox!

7. Carole King “Tapestry” (1971)
CK Carole King è un tuffo al cuore. Sì, pigliami pure per il culo quanto vuoi, Insensible Ford. Musica per ragazzine chiuse in cameretta a piangere, roba da una mamma per amica o da film con Meg Ryan, ma canzoni anzi poesie pure come “Too Late” i tuoi selvaggi dell’hard-rock se le possono giusto sognare mentre si sniffano strisce di coca sui corpi nudi di modelle e groupies. Oh, cazzo: in effetti non è che pure loro abbiano poi tutti i torti… Comunque, tornando alla grande e fragile Carole, per me è una delle più grandi cantautrici di sempre, faffanculo a chi non la pensa così, faffanculo!
E occhio che se me la maltratti troppo ti faccio muovere la Terra under your feet.
JF Ce l'ho anch'io, e non te lo nascondo. Lo acquistai nel periodo del fervore da "occorre avere tutti, ma proprio tutti i fondamentali".
L'avrò ascoltato si e no tre volte.
Per carità, brava, intensa e chi più ne ha più ne metta, ma che palle.
Sei davvero, davvero, davvero una ragazzina chiusa in cameretta a piangere.
E come ogni teen horror vuole, sarai la prima vittima del Fordmostro.
Che ovviamente ti farà a pezzi a furia di bottigliate.
CK La principale differenza tra i nostri gusti (oltre alla tua cronica mancanza di buon gusto) credo stia nel fatto che tu hai attraversato la fase “occorre avere tutti, ma proprio tutti i fondamentali”, mentre io dei fondamentali me ne sono sempre sbattuto!
JF E infatti sono ormai sotto gli occhi di tutti le tue lacune! ;)

8. Elvis Costello “This year’s model” (1978)
CK Elvis Costello è molto ma molto (troppo?) radical-chic. Nel corso della sua lunga carriera ha composto anche cose non poi così rilevanti, ma all’inizio era davvero un gallo e con i primi album ha traghettato il pop inglese classico dei Beatles verso un nuovo sound. Naturalmente suonando accessibile, ma mai per tutti, da vero radical-chic degno di questo nome. Bello sballo Costello, buttiamo giù il Mr. Ford castello!
JF Costello, per quanto bravo, mi è sempre sembrato proprio un secchione radical chic, con quella sua faccia da topo peggio di Crosta e di Harry Potter messi insieme.
Quando lo vedo vengo assalito da un incredibile voglia di strappargli gli occhiali, calpestarli e poi prenderlo a botte.
E il giorno dopo, tornato con il nastro adesivo tutto bello intorno agli stessi, rifarlo di nuovo.
Mi fa sentire proprio Nelson. Ah-ah.

9. Curtis Mayfield “Super Fly” (1972)
CK Questa musica, ne converrai anche tu senza magari ammetterlo pubblicamente, è molto più goduriosa di tutti i barbuti e soprattutto barbosi Lynyrd come cazzo syscryvono di ‘sta cippa. Io che invece questi dinosauri del rock li voglio demolire tutti uno dopo l’altro, preferisco volare Super Fly sulle note super cool di Curtis. E non m'annoio io no che non m'annoio non m'annoio no che non m'annoio no che non m'annoio io no che non m'annoio
JF Anche qui, Cannibale, dimostri di saper apprezzare un genere ma non i suoi interpreti. Niente da dire sul vecchio Curt, ma se proprio devo pensare a soul e funk i seventies ci hanno regalato magie come Let's get in on di Marvin Gaye o Songs in the key of life di Stevie Wonder, che Super fly se lo fumano come se niente fosse.
Scegli, dunque, ma almeno scegli bene, che più che un Cannibale, mi pare di avere di fronte un vegano!
CK Stevie Wonder, are you serious? Hai già dimenticato la tua stessa citazione di Jack Black nello scorso post? Una scelta più banale e da figlia in coma non la potevi proporre (Isn’t she lovely, dedicata da Stevie Wonder proprio alla figlia, è ancora più paracula di I just called to say I love you)… Io preferisco lo stile e la figosità assolute di un Super Fly.
JF Stevie Wonder del periodo d'oro era infinitamente più stiloso di Mayfield, ma è evidente che Songs in the key of life e Innervisions tu non li hai neppure mai sentiti.
E comunque sopra a entrambi stava Marvin Gaye.

10. ABBA “Arrival” (1976)
CK Vabbè, questi te li servo su un piatto d’argento, puoi scatenarti a dire ciò che vuoi. Ero indeciso con gli altrettanto meritevoli ELO (Electric Light Orchestra), però il nome degli ABBA spero ti abbia fatto sobbalzare dalla sedia, provocandoti una caduta scomposta uahahah.
Perché gli ABBA? Perché nei loro componimenti pop apparentemente scemotti e orecchiabili si nasconde in realtà un lato melanconico pazzesco, “Dancing Queen” è l’essenza stessa del melodramma adolescenziale. Dove starebbe poi il divertimento senza un po’ di bel sano pop? Roba che i jurassici del rock come te difficilmente possono capire… Magici Abba, magici.
Che poi, diciamolo, magari pure te quando non ti vede nessuno ti infili le cuffiette del Walkman (perché tu, uomo d’altri tempi mica hai l’iPod o il lettore mp3, tu hai ancora il Walkman col mangianastri) e canticchi “Thank you for the music”, altrochè Dylan… la differenza è che io almeno lo ammetto.
Comunque ricorda sempre: The winner takes it all. And I am the winner! E con questa dichiaro chiusa la battaglia dei 70s… sì!!!
JF Non ti prendo per il culo giusto perchè gli Abba mi ricordano Priscilla, un film che ho sempre apprezzato, ma questo non ti giustifica dall'aver lasciato fuori grandissimi gruppi e artisti - non solo rock - per fare spazio a questi nordici best sellers da Autogrill.
Una scelta, oserei dire, da casalinga disperata, caro il mio winner takes it all destinato a non prendere altro che una vagonata di bottigliate!
Gli Elo sarebbero stati una scelta molto più coraggiosa, e non avrei mai avuto il coraggio di attaccare Enola gay!
CK Va beh, allora commentiamo dicendo cose a caso: “Enola gay” è un pezzo degli OMD, gli ELO non c’entrano una mazza… Obiettivo riuscito, ti ho mandato in confusione. Questo è un colpo da K.O.: I am the winner! :D
MF Mi hai confuso soltanto perchè sono agghiacciato dai tuoi discutibili ascolti e commenti, quindi non vantarti troppo. Anche perchè questo round l'ho nettamente vinto io. ;)
CK Una persona che preferisce un disco inascoltabile di Guccini (oddio Guccini!) a uno dei mille capolavori di David Bowie non ha proprio capito cosa sono stati, gli anni '70, e non meriterebbe di vincere nemmeno un torneo di freccette al bar! :)
JF Le freccette ho appena iniziato a tirartele dritte negli occhi, e i settanta sono solo l'inizio di quello che accadrà con gli eighties! ;)

Al prossimo incontro/scontro, sul ring degli anni Ottanta-tanta roba.

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