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sabato 31 maggio 2014

GUIDA GALATTICA ALLE BOY BAND





Questa settimana l’appuntamento con le guide galattiche di Pensieri Cannibali si occupa di musica impegnata, quella delle Boy Band.
Basta considerare i poveri ragazzi delle boy bands come della semplice carne, dei corpi privi di alcun talento musicale. Nel corso della storia, queste particolari formazioni apparentemente (o forse nemmeno troppo apparentemente) create dal mondo del business hanno infatti saputo tirare fuori un sacco di buona musica. Va buò, un sacco, diciamo un pochino. Andando a cercare in mezzo alla spazzatura, qualcosa di decente la si tira fuori. Il post di oggi cerca allora di rivalutare la musica delle boy band, per quanto parzialmente e per quanto possibile, mentre la settimana prossima ci sarà spazio anche per le girl band, che pure lì ce n’è di grande musica… più o meno.

Come si è arrivati al proliferare di casi umani band di successo di oggi come i One Direction, o un po’ meno di successo come i vari The Wanted, Big Time Rush, Union J e The Vamps?
Tutto è iniziato, almeno credo, negli anni Sessanta. A livello di seguito di massa, con tanto di fans che si strappavano capelli e mutandine, tutto è partito con i Beatles. Con questo non intendo sostenere che i Beatles siano stati una boy band, che se no mi fanno chiudere il blog subito, ma solo che i livelli di isterismo da loro provocati sono paragonabili a quelli che poi avrebbero scatenato le varie boy band. Un po’ come i Duran Duran negli anni ’80, altra non boy band che però ha avuto un seguito da boy band.

Cosa distingue un gruppo “normale” da una merdosa boy band?
Il fatto che queste ultime siano per lo più costruite a tavolino da un manager. A questo punto qualcuno potrà sostenere che anche i Sex Pistols lo siano, visto l’importante ruolo rivestito dal manager Malcolm McLaren, e in un certo senso sono in effetti stati la prima boy band punk, ma non divaghiamo. In questa sede si parla di boy band pop.
I primi casi storici sono stati gli Osmonds, i Monkees e i Jackson 5 di un giovanissimo Michael Jackson. Tutto è partito da loro e a questi gruppi sono poi succeduti nei 70s e negli 80s i Bay City Rollers, i Menudo di Ricky Martin, i New Edition, i Bros e i New Kids on the Block. Sono stati questi ultimi i veri padrini della scena pop successiva, con l’esplosione negli anni ’90 di una marea di boy band dall’incredibile popolarità: Take That e East 17 dal Regno Unito, Backstreey Boys e *N SYNC dagli USA, più una marea di loro cloni vari. E l’Italia se n’è stata a guardare?
No, perché abbiamo avuto i Ragazzi italiani, gruppo dall’enorme popolarità famoso per brani come…
Ma hanno mai fatto delle canzoni, ‘sti Ragazzi Italiani?

Tralasciando il caso nazionale, dopo l’invasione mondiale di gruppi canterini e ballerini durata fino ai primi Anni Zero, nel periodo successivo la moda delle boy band è (per fortuna) passata di moda, per tornare (purtroppo) con prepotenza di recente con orde di ragazzine arrapate per i One Direction. Fine della Storia.
Cioè, non so se mi spiego: questa sì che è Cultura musicale. Dove lo trovate un altro sito che vi fornisce simili nozioni di base fondamentali?

Sulle note di “Boy Band” dei Velvet, via ora alla Top 10 delle mie canzoni preferite cantate da boy bands e a fondo post, se ci tenete, trovate pure una ricca playlist Spotify.

Top 10 – Le 10 canzoni delle boy band preferite da Pensieri Cannibali


10. Blue "One Love"



9. New Kids on the Block “You Got It (The Right Stuff)”



8. 5ive “Everybody Get Up”



7. East 17 feat. Gabrielle “If You Ever”



6. N Sync “Bye Bye Bye”



5. Boyzone “Isn’t It a Wonder”



4. The Monkees "I'm a Believer"



3. Jackson 5 “I Want You Back”



2. Backstreet Boys “Everybody (Backstreet’s Back)”



1. Take That “Back for Good”


Ecco la boy-band playlist su Spotify di Pensieri Cannibali.

mercoledì 28 marzo 2012

One Direction is the wrong direction

Quando succedono certe cose, io voglio capire.
Curiosity killed the cat, ma non importa. Io sono curioso e voglio capire.
I One Direction sono una boy-band e fanno musica mediamente di merda. Fin qui tutto normale.
I One Direction sono però anche la prima band britannica, in tutta la storia della musica, a esordire direttamente al primo posto nella classifica americana degli album più venduti.
Il loro primo disco “Up All Night” è infatti entrato la settimana scorsa alla numero 1 della Billboard chart, cosa mai successa prima. Quelle che c’erano andate più vicine finora erano state le Spice Girls, che però avevano esordito solo alla posizione numero 6.
E invece questi cinque bimbettiminkia sono riusciti dove manco i Beatles…
Per di più la band è ovviamente popolarissima in patria e persino in Italia sono riusciti a debuttare al primo posto, cosa che pure da noi non è così facile per un gruppo esordiente.
Andiamo allora a vedere il perché di tanto successo.
Se esiste un perché.

I One Direction a X-Factor: per me è NO!
One Direction “Up All Night”
Genere: boibend
Provenienza: X-Factor
Se ti piacciono ascolta anche: Justin Bieber, Backstreet Boys, Jonas Brothers e possibilmente, sempre se ti piacciono, ascoltali il più lontano possibile da questo blog!

Per prima cosa, i One Direction vengono fuori da un talent-show, e te pareva, in questo caso dall’X-Factor britannico, dove si sono classificati terzi. Sfigati.
Dopodiché Simon Cowell, quel gran volpone di Simon Cowell, il Mario de Filippi della televisione anglosassone, li ha messi sotto contratto con la sua label discografica e ha lanciato il loro singolone (?) di debutto “What makes you beautiful”. Una canzoncina che a quanto pare ha spopolato alla grande in tutto il mondo e che ha pure vinto il titolo di miglior singolo ai Brit Awards 2012.


Non per fare il guastafeste, ma il pulmino chi lo guida?
Non arrivate a 18 anni in 5...
Sta roba che inizia come un plagio della musichetta di Grease ed esplode in un ritornello che sembra fatto apposta per essere cantato in coro dal Glee Club, quello dell’ultima pessima stagione, un pezzo che sa di pochezza lontano un miglio persino all’interno dell’ambìto (poco ambito) bimbominkia pop music sarebbe il miglior singolo dell’anno???
Il video, in più, è decisamente idiota. Idiota alla Rebecca Black, per dire. Forse allora è quella la chiave del successo: l’idiozia.

L’immagine nella pop music conta, conta eccome, non andiamo certo a scoprire l’acqua calda nel dirlo. E come sono messi, a livello di immagine, questi One Direction?
Bah, pure qui appaiono parecchio anonimi.
Sembrano 5 Justin Biebers indistinguibili, tutti vestiti e pettinati uguali, in cui nessuno emerge.
Ma anche in passato le cose erano così?
Andiamo a studiare un po’ di storia, su.
Passiamo a un confronto con le boyband storiche del passato. Lo so che non attendevate altro…

Immagine tratta dal diario delle medie del mio blogger rivale Mr. James Ford
I Monkees sono nati probabilmente come la prima vera e propria boyband pre-fabbricata della storia, ma con ottime canzoni come “I’m a believer” e “Daydream believer” alle spalle, un paragone non è nemmeno proponibile.
Altri tempi, comunque.
Più avanti, molto più avanti, arrivano i New Kids on the Block e qui siamo già più nelle corde dei One Direction.
Ma è nei 90s che il fenomeno delle boy bands (ahinoi) esplode in tutta la sua dirompente forza.
Le boyband più amate, o diciamo più odiate, nel corso della mia infanzia/adolescenza sono stati i Take That, i Backstreet Boys e gli *N SYNC. I Take That contenevano al loro interno una mina vagante, un pazzo schizzato come Robbie Williams, che qui non mi sembra proprio presente. Così come non vi è nemmeno un leader o un talento vocale ad emergere come nel caso del Justin Timberlake fuoriuscito (grazie a Dio) dai plasticosi *N SYNC.
Un paragone più calzante allora può essere con i Backstreet Boys, in cui nessuno si segnalava in particolare… Nick Carter, forse, però non era certo ‘sto fenomeno.
A livello di canzoni, non ci siamo proprio. Certo, anche quelle dei Backstreet Boys facevano per lo più cacare e un pezzo come il nuovo fantastico (?) singolo “One Thing” dei One Direction sembra un diretto omaggio proprio alla loro celebre “I Want It That Way”…


Però almeno “Everybody (Backstreet’s Back)”, quella sì era una figata. Ammettiamolo senza fare troppo i vergognosi o gli snob. Alright!


Questo disco d’esordio dei One Direction è invece solo un concentrato di stereotipi da boybands fine anni 90 primi anni Zero, con il suo prevedibile alternarsi di pezzi ballabili (ma da CHI???) e lentoni strappamutande (ma di CHI???). Una roba che diresti arrivata fuori tempo massimo, non fosse che invece questi bambini stanno vendendo milioni di miliardi di copie del loro disco (ma a CHI???).
Quando succede una cosa del genere, realizzi che quando eri un ragazzino non pensavi sarebbe mai arrivato questo giorno. Quello in cui avresti rimpianto, e di brutto, i cazzo di Take That e i cazzo di Backstreet Boys.
Ma soprattutto: aridatece gli East 17! O persino i Boyzone!
(5ive e Westlife anche no, thanx!)

Nel titolo dell’album dei One Direction c’è comunque qualcosa che non quadra: “Up All Night”.
Macché Up all night?
Avete dodici anni, a letto prima delle 10, se no so’ botte!
(voto 1direction/10)

venerdì 26 novembre 2010

Take Death

Take That “Progress”
Provenienza: Manchester United
Genere: boy band
Se ti piace ascolta anche: Robbie Williams, Duran Duran, Spandau Ballet, East 17, Boyzone

The boy bands are back in town. Forse ispirati dagli Expendables di Stallone o più probabilmente no, i fab-five di Manchester sono tornati tutti insieme alla formazione originale. Più forti che mai? Beh, più o meno; i loro volti sono inevitabilmente segnati dalle prime rughe e le loro movenze feline di un tempo sono limitate, anche perché un colpo della strega a una certa età può sempre essere dietro l’angolo.

Dopo lo scioglimento nel 1996 (ricordo ancora le lacrime di disperazione delle mie compagne delle medie) i Take That si erano già riformati nel 2006 con l’ex cicciobombo cannoniere Gary Barlow, l’ex bimbominkia Mark Owen e i due manichini (non ex manichini) Howard Donald e Jason Orange e avevano riscosso un successo clamoroso, soprattutto in Uk, mentre la carriera di Williams stava vivendo una fase di fisiologico calo. E allora adesso Robbie Frusciante è rientrato nel gruppo e questo nuovo album “Progress” in Gran Bretagna ha subito stabilito la miglior prima settimana di vendita degli ultimi 13 anni, alla faccia della crisi del disco.

L’inizio dell’album gioca con l’epicità, come era lecito attendersi da una buona reunion che si rispetti, con il primo singolo “The Flood”.


Il secondo pezzo “SOS” è davvero un grido di SOS, ma persino eccessivamente lamentoso, con una voce stridula e acuta che domina (dev’esserci lo zampino di Mark Owen…).
“Wait” è un pezzo con una basetta electro anni ’80 venato di malinconia tra Duran Duran e Pet Shop Boys: pezzo migliore del lotto? Mi sa di sì.


“Kidz” è da apprezzare per il titolo e per il ritornello da sbronza al pub mentre “Happy now” è un pezzo disco-gay che sembra rubato agli Scissor Sisters. Poi, come succedeva abitualmente negli album commerciali degli anni ’90 (e ogni tanto ancora oggi) la seconda parte scema decisamente e viene piazzato qualche riempitivo di troppo con i pezzi più deboli che, non a caso, sono quelli in cui la presenza di Robbie Williams si sente meno (o per nulla).
La produzione, ad essere pignoli, sarebbe potuta essere migliore, soprattutto se paragonata a certe sborronerie electro-hip-hop del mainstream americano attuale, ma le canzoni hanno comunque una buona piacevolezza pop e soprattutto c’è quel sapore di nostalgia che riporta indietro ai brufolosi anni ‘90. The boys are back in town.
(voto 6+)

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