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lunedì 19 settembre 2011

Attaccati a ste casse!

Attack the block
(UK 2011)
Regia: Joe Cornish
Cast: John Boyega, Jodie Whittaker, Alexis Esmail, Luke Treadaway, Nick Frost, Leeon Jones, Jumayn Hunter, Danielle Vitalis, Paige Meade, Simon Howard, Sammy Williams
Genere: alieni nel ghetto
Se ti piace guarda anche: Misfits, Skins, Super 8, Eden Lake, I guerrieri della notte

L’attesa era alle stelle, per questo Attack the block. Almeno la mia personale. Uscito qualche mese fa in UK, era diventato subito un piccolo caso, il trailer prometteva alla grande e il mio compagno di banco del liceo, che ora vive in England, me ne aveva parlato entusiasta come se fosse the next big thing. E lui ha gusti cinematografici molto simili ai miei. Dunque pessimi gusti cinematografici ahahah!
So, what? Le attese sono state ripagate?


Lo spunto di partenza è di quelli in grado di suscitare curiosità, ma anche qualche perplessità: un gruppo di ragazzini dei quartieri sud di Londra, quelli più malfamati, quelli da british ghetto che fa brutto che se alzi lo sguardo al tipo sbagliato ti spakka il culo, si trova a dover fronteggiare un attacco alieno. Roba da gridare: figata, figata!
I dubbi vengono però visto che già in passato ci siamo trovati a pellicole che trasformano una buona idea di partenza in un prodotto di routine. È stato ad esempio il caso di Le horde, film francese che partiva dall’idea di ambientare una storia di zombie in una banlieue parigina, roba che anche lì uno gridava al “Figata, figata!” e poi si trovava di fronte a un tipico survival horror senza infamia e soprattutto senza lode che sprecava l’occasione di parlare del disagio sociale anti-Sarkozy. E alla fine uno si chiedeva: ma allora perché ambientare uno zombie-movie in una banlieue, quando sarebbe potuto essere stato girato in qualunque altro contesto?

Pur senza andarsi a impelagare troppo in questioni socio-politiche, Attack the block evita per fortuna questo rischio. Il film è ambientato nel ghetto, nel block, e parla proprio della vita dei news kids on the block con il linguaggio del block. Shit yeah, man. Per farlo in maniera più spettacolare, efficace e - se vogliamo - pure metaforica, utilizza una storia fantascientifica, sebbene l’approccio alla fine risulti più comico che sci-fi, in maniera analoga a quanto Shaun of the Dead (L’alba dei morti dementi) faceva con l’horror. E infatti non a caso il regista di quel film Edgar Wright figura qui tra i producers, mentre uno dei due protagonisti (Nick Frost, quello più cicciottello, per farvi capire) ha qui il ruolo di un “coltivatore d’erba”. In pratica Attack the block è la versione riuscita di Paul, l’altro fantascientifico comico con Frost e il compare Simon Pegg (quello biondo di Shaun of the Dead, per farvi capire) uscito qualche mese fa, ma che convinceva e divertiva ben poco.

Comunque rewind e ritorniamo back to the start.
La storia inizia con una ragazza che viene rapinata da una baby-gang di ragazzi yo yo (finti) gangsta, ma la rapina viene interrotta da un coso non ben identificato che piove giù dal cielo. Si tratta di una creatura simile a una scimmia che viene prontamente ammazzata di botte dai ragazzini della banda criminale: “Welcome to London, motherfucka!”.
Dopo questo misterioso accaduto, su Londra cominciano a piovere altri extraterrestri, questa volta più pelosi e inquietanti, dei cosi definiti dei “Gorilla-lupi-alieni-figli di puttana” e tra loro e i nostri (anti)eroi criminali scoppia una lotta interspecie per il dominio del ghetto, qualcosa che assomiglia a una versione aliena de I guerrieri della notte aggiornata ai tempi delle rivolte giovanili inglesi. Riuscite a immaginare qualcosa di più fico di tutto ciò?
Ovviamente no e a dare una spruzzata ulteriore di coolness ci pensa una regia ottima e sicura dei propri mezzi (nonostante sia un film low-budget, per lo meno se paragonata alle produzioni hollywoodiane) dell’esordiente Joe Cornish, uno che - scommettiamo? - potrebbe rivelarsi un nuovo Edgar Wright o giù di lì o magari anche meglio. Ottima pure la fotografia, per un film tra i visivamente più goduriosi degli ultimi tempi. E la goduria si duplica aggiungendovi una spettacolosa soundtrack fornita dai Basement Jaxx, che confermano la tendenza di come le migliori colonne sonore oggi le facciano artisti provenienti dalla scena elettronica, vedi e soprattutto senti i Daft Punk per Tron Legacy, i Chemical Brothers per Hanna e il partner sonoro di Darren Aronofsky Clint Mansell, che negli anni ’90 era nella electro-rock band Pop Will Eat Itself e oggi firma le musiche di tutti i suoi film, da π al Cigno nero.
Insieme al “wooop wooop, that’s the sound of da police” di Krs-One...


...i Basement Jaxx riescono a fornire l’atmosfera giusta tra electro e hip-hop per quello che può essere definito il primo vero film della "dubstep generation" della Storia, in grado di regalarci una fotografia nuda e cruda delle periferie londinesi, aggiungendo al tutto dosi massicce di ironia e pure una vicenda fantascientifica. Anche se in fondo, alieni o meno, la vita nel ghetto è sempre una battaglia. Come dice uno dei protagonisti: “Andare in giro, aspettare di essere assalito in ogni momento? A me sembra solo un giorno come un altro in questo quartiere.”

Attack the block è dunque un cult totale, ma non riesce per un soffio a raggiungere il titolo di capolavoro assoluto; per quello sarebbe stata necessaria una sceneggiatura più stratificata e con magari qualche svolta imprevista. Un maggiore approfondimento sarebbe poi potuto essere fornito ai personaggi, tra cui spicca il leader della baby-gang Moses. Nome biblico da salvatore dell’umanità (compito a cui infatti sarà chiamato ad assolvere), sguardo da gangsta-rapper tipo 50 Cent più espressivo, agilità da ninja, è lui il personaggione del film, mentre le maggiori risate sono fornite dal suo compare bianco Pest, uno dal look a metà strada tra un Bombfunk Mc’s e un Tokio Hotel. Anche se, va detto, manca un re dell’umorismo assoluto come il Nathan di Misfits, una serie che ha un approccio alla comicità quanto alla sci-fi molto vicino a questo film.
Se i Misfits rimangono quindi un gradino sopra, confermando come il mondo della serialità tv abbia ormai messo la freccia di sorpasso sul cinema, una pellicola che viaggia in parallelo a questa è Super 8 di Super J.J. Abrams: opposti per approccio, per sense of humor, per la britannicità vs. l’americanità, per la maggiore crudezza e cattiveria di questo Attack contro la maggior ingenuità spielberghiana dell’altro, entrambi presentano comunque delle bande di ragazzini, dei Goonies moderni, in grado di gettarci dentro avventure pazzesche e far tornare ragazzini pure noi eterni kids. Due film radicalmente differenti, eppure io ho amato entrambi allo stesso modo.

A parte Nick Frost, il cast di Attack the block è composto interamente da attori sconosciuti (e già Nick Frost non è che sia poi così noto…) o del tutto esordienti, ma che sono sicuro rivedremo spesso in giro per produzioni british varie (e magari non solo british), in maniera analoga a quanto successo al cast di This is England; un altro film che riusciva a fotografare ottimamente la gioventù inglese, in quel caso però guardando indietro agli anni ’80 thatcheriani. Ma se parlare del passato può risultare un po’ più facile, visto che si può avere uno sguardo complessivo dell’insieme da lontano, fare un ritratto della società attuale è una sfida più ardua ed è superata brillantemente da questo Attack the block, attraverso riferimenti alla pop-culture odierna (dal cartone Naruto al videogame Fifa), ma anche a un livello più profondo. Moses a un certo punto tenta pure un approccio politico, dicendo che il Governo inglese per eliminare le persone di colore prima ha mandato le droghe, poi le pistole, e quindi gli alieni. Una teoria cospirazionista che suscita le risate immediate degli altri kids, ma che rende bene l’idea del disagio sociale attuale che ha poi generato il panic in the streets of London dello scorso agosto.
Non un film perfetto, ma come le migliori opere prime è in grado di regalare un punto di vista nuovo, diverso, fresco. E, soprattutto, è quanto di più fico potrete vedere quest’anno!
(voto 8+/10)

Chissà se, e quando, Attack the block uscirà mai in Italia. Poco male, anche perché questo è uno di quei film da assaporare rigorosamente in lingua originale con il suo linguaggio del block, quindi non vi resta che cercarlo in rete nei “soliti” posti.

sabato 3 settembre 2011

È proprio la stagione del Beaver (e non ho detto Bieber)

Beaver Falls
(serie tv, stagione 1)
Rete inglese: E4
Rete italiana: non (ancora) arrivata
Creata da: Iain Hollands
Cast: Sam Robertson, Arsher Ali, John Dagleish, Kristen Gutoskie, Natasha Loring, Jon Cor, Toddy Boyce, Alison Doody, Ben Hawkey, Joshua Warner-Campbell, Wesley Lerwill, Alex Wall, Jacob Chapman, Scarlett Rose Patterson
Genere: vac(c)anziero
Se ti piace guarda anche: The Inbetweeners, Misfits, Skins, Summerland



Gli inglesi non deludono quasi mai e così ecco una nuova serie firmata E4, il network britannico che in UK trasmette serie come Skins e Misfits e che ora ha lanciato una novità perfetta per questo ultimo scorcio d’estate: Beaver Falls (ma niente a che fare né con Mr. Beaver né tanto meno con Justin Bieber).
L’assunto di partenza è quello piuttosto tradizionale del campo di vacanze estive che già abbiamo visto in diversi filmetti americani, la differenza la fa allora l’irrompere ben poco correct dello humor inglese.
I protagonisti sono tre giovani ma non troppo giovani inglesi: un belloccio che si fa tutte le tipe che può, un geek maniaco dell’informatica e delle canne e infine un arabo soprannominato in maniera un filo razzista A-Rab appassionato di calcio sonnambulo con l’abitudine di svegliarsi nudo nei posti più assurdi, un po’ come Donnie Darko a parte il fatto che lui rimaneva vestito. I Fab 3 prendono e se ne vanno in California a fare da animatori/insegnanti/tutor di un prestigioso ed esclusivo campo estivo americano chiamato appunto Beaver Falls e destinato ai figli dei ricconi. Un covo di privilegiati & viziati in cui fanno irruzione questi tre sprovveduti Englishmen in New York, anzi in California, che hanno finto di essere laureati ad Oxford, quando invece hanno “studiato” nella molto meno rinomata Oxford Brookes.

Quando dal pullman arrivano i vari ragazzini ospiti del camping, ecco che scendono un sacco di tipe fighette e tipi cool, ma ai nostri 3 eroi capita naturalmente il gruppo dei più sfigati: i cicciobomba del campo, le vittime predilette dei bulli, e con loro saranno scintille, almeno all’inizio, visto che poi impareranno a conoscersi e a (più o meno) amarsi, creando una convivenza irresistibile e un sacco comica tra inglesi e ciccioni, pardon “grassottelli”.
Oltre a una curatissima soundtrack, non mancano poi le immancabili gnoccolone, dalla bagnina bionda stile Baywatch (evvai!) alla sexy psicologa del campo, fino alla MILF Alison Doody, ripescata nientepopodimeno che da Indiana Jones e l’ultima crociata.
Beaver Falls è il campo in cui tutti noi avremmo voluto passare l’estate, o magari anche no, però oltre ai numerosi momenti comici e alle goliardate stile American Pie virate in salsa british c’è spazio anche per uno sguardo non banale sulla tematica dell’amicizia, più qualche risvolto sorprendentemente drammatico che non vi svelo…

La serie non possiede la genialità di un Misfits, o la profondità e ricchezza di sfumature e personaggi di uno Skins, epperò è una piacevole goduria estiva, od ormai di fine summer, visto che intrattiene, fa ridere e risulta simpatica senza fatica.
Niente da fare quindi: gli inglesi non deludono mai.
(voto 7/10)



sabato 30 aprile 2011

Ma va così di moda parlare con i morti?

Bedlam
(serie tv, stagione 1)
UK 2011
Rete inglese: Sky Living
Rete italiana: non ancora arrivata
Creata da: Chris Parker
Cast: Charlotte Salt, Theo James, Will Young, Ashley Madekwe, Hugo Speer, Sean Maguire
Genere: soprannaturale
Se ti piace guarda anche: Being Human, Ghost Whisperer, Medium, Il sesto senso

Dall’Inghilterra arriva una nuova serie fantasy. Prima di bagnarvi, devo però premettere che non si tratta di una figatonza assoluta stile Misfits. Si tratta più di una produzione media stile Being Human che non sconvolge la vita ma che comunque può risultare affascinante e misteriosa al punto giusto. Una conferma che le produzioni del Regno Unito, anche quelle non del tutto trascendentali, sono giunte a un livello che non ha ormai nulla da invidiare a quelle degli Stati Uniti. Anzi.

Ma di cosa acciderbolina parla questa serie? Protagonisti sono un gruppo di più o meno 30enni che convivono tutti insieme da buoni Friends: c’è la zoccola, c’è la tipa più introversa, c’è il tipo che sembra gay ma in realtà non lo è e che ha perso in circostanze misteriose il fratello, e poi c’è il nuovo arrivo, il cugino della zoccola, che a quanto pare ha il potere di parlare con le persone morte. Sì, lo so: che palle. Dal Sesto senso in poi sembra quasi che non sei normale se non sei in grado di palare con i deceduti. Cioè, non sei un medium? Ma che razza di sfigato, sei, cioè, non ti parlo più insieme, tipo!
Però lui non solo ci chiacchiera insieme, ma può vedere pure il modo in cui sono morti, cosa che lo rende una sorta di investigatore dell’occulto. C’è di più, perché l’appartamento in cui convivono è stato costruito in un palazzo dove prima c’era un istituto psichiatrico e naturalmente gli spiriti di ‘sti pazzi pericolosi prenderanno vita… Vabbè, alla fine della fiera la storia è già stata raccontata: in pratica è Ghost Whisperer meets Friends, il tutto però in versione UK.

Nel cast di volti più o meno sconosciuti si segnala Will Young, già popstar dopo aver vinto una decina di anni fa l’edizione number 1 di Pop Idol, uno dei primi talent-show in assoluto nella storia della tv e della musica; il precursore di X-Factor e Amici. Insomma: grazie tante, Will, grazie davvero tante! Tra l’altro Will aveva cantato una cover easy-listening di successo anche in Italia di “Light my fire” dei Doors, resa una mezza schifezza. Recentemente ha iniziato la carriera come attore e in questa serie veste i panni di un tizio che sembra gay e invece non lo è, un ruolo curioso per lui dichiaratamente omosessuale. Non sarà ancora un attore eccezionale, ma comunque è meglio qui che come cantante.

Difetti della serie, oltre a una certa mancanza di originalità? La colonna sonora è di ottimo livello, peccato che rimanga più che altro usata come sottofondo. E allora che spreco! A differenza di molte altre irresistibili serie british degli ultimi anni, poi, qui a mancare surprise surprise è proprio lo humour. La serie sembra infatti prendersi troppo sul serio e non riesce a regalarci quelle sane sghignazzate da pub tipiche delle produzioni provenienti dalla terra d’Albione, da The Office ai già nominati e imprescindibili Misfits.

Niente di nuovo sotto il sole in fin dei conti, sarà perché l’England è famosa più per le sue giornate uggiose che per il sole? Il tempo in casa Bedlam (già confermata per una seconda stagione) difatti è un po’ così: uggioso. Ogni tanto arriva qualche lampo, qualche visione degli spiriti, giusto per animare la situazione, e poi ritorna la pioggia.
Se siete appassionati di serie fantasy, paranormali e di storie con gente che “vede la gente morta”, allora troverete non un telefilm sconvolgente, ma perlomeno da tenere d’occhio. D’altronde prima di vedere la gente morta è sempre meglio vedere una serie viva, o forse no, visto che al giorno d'oggi parlare con gli spiriti sembra essere tanto di moda...
(voto 6)

venerdì 29 aprile 2011

Se sc*pi ti sposo

(Secondo e, prometto, ultimo post dedicato alle nozze reali)

Il matrimonio di Will & Kate è stato uno degli eventi anche televisivi dell’anno e certo da noi nessuno è voluto essere da meno. Su Canale 5 un’emozionante e incalzante Cesara “occhi da Marilyn Manson” Buonamici ha condotto in studio una telecronaca così avvincente da far rimpiangere quelle di quella buonanima di Bruno Pizzul. Ah, non è morto? Evvabbè uno vivo non può avere una buon’anima, adesso?
Ma passiamo a vedere cos’è successo, minuto per minuto o quasi, dato che ogni tanto finivo in catalessi.
Alfonso Signorini -immancabile- sottolinea un errore di stile di David Beckham, ma sinceramente non sono fashionista (o gay?) abbastanza per capire quale fosse tale errore. Poi parte un servizio drammatico barra tragico su William che sembra sia appena morto, con la splendida “Father & Son” come sottofondo insieme (involontariamente) alla meno splendida voce della Cattivamici che parla in sovrimpressione.
Presente all’appello anche Cristina Parodi, molto elegante, una persona di stile che stona in generale con Canale 5. E c’è anche un certo Enzo Miccio, un wedding planner che viene interpellato non si sa bene per quale motivo. Ah già, forse perché è un wedding planner.
Ed ecco che arriva il principe William in auto e saluta la folla esultante, manco fosse appena uscito vivo dalla casa del Grande Fratello. Con lui c’è anche il fratello Harry, su cui tutti noi puntiamo euro e sterline affinché mandi (letteralmente) a puttane il matrimonio e faccia qualcosa di incredibilmente stupido e divertente. Vai Harry, sei tutti noi!
Willy non di Bel Air ma di Galles indossa un abito rosso sul ridicolo andante, checchè ne dicano gli espertoni di stile come Enzo Miccio Capatonda. Quando si toglie il cappello mostra poi un imbarazzante calvizie ormai nemmeno più incipiente, roba da far invidia a Zinedine Zidane.
Per evitare che Harry fosse l'unico a fare gaffe,
hanno invitato pure Mr. Bean
Su Canale 5 comunque danno talmente tanta pubblicità che ogni tanto i consigli per gli acquisti sono inframmezzati persino da qualche saltuaria immagine delle nozze.
Su La7D le cose vanno un po’ meglio, con una Iena come inviata e con dei commentatori bastardi al punto giusto da riuscire a tenermi in stato di veglia. Ad abbassare il livello ci pensa però con i suoi interventi idioti la conduttrice Francesca Senette, una professionista lanciata dal TG4 di Emilio Fede, e quindi sappiamo tutti bene come abbia fatto a far carriera…
...lavorando molto sodo, naturalmente, cosa pensavate?
La regina Elisabetta arriva vestita in giallo fosforescente, tanto per farsi vedere anche dagli alieni, che secondo Studio Aperto starebbero seguendo con attenzione l’evento. L'anziana signora, anche nota per aver ispirato il film The Queen, Indossa anche un cilindro all’ultima moda, di quelli che non vedevo dai tempi in cui leggevo le avventure di Zio Paperone.
A questo punto manca solo lei, la sposa. E io mi chiedo: ma se Kate Middleton facesse come Julia Roberts in Se scappi ti sposo, cosa succederebbe? In Inghilterra scoppierebbe una guerra civile?
Guardate in basso la bambina inquietante: è lei l'idola del giorno
Comunque per fortuna della pace nel mondo (oddio, non che ci sia tutta ‘sta pace nel mondo ora come ora) arriva anche lei. Impressioni? Come direbbe un qualunque Lord inglese: “Me cojoni!”. Briatore intervistato precedentemente (davvero senza motivo, a meno che sia wedding planner pure lei) aveva detto che la Kate Middleton non è niente di che… ma vai a pigliartelo in quel posto tu, Elisabetta Gregoraci e già che ci siamo pure Nathan Falco!
La “testimona” della sposa è la sexy sorella Super Pippa Middleton. Dai, non fatemi fare battutacce volgari sul suo nome in un'occasione così solenne, che non mi sembra proprio il caso. Dico solo che in studio c’è Signorini che perde ogni ritegno e si fa una pippa guardando le immagini di questo matrimonio da favola.
Sembra intanto che in Chiesa ci sia David Beckham in lacrime. Ma forse è solo perché ha appena scoperto che prima dell’inizio del mega party di Harry si deve prima sorbire tutta la sucata di cerimonia.
Kate e William si dirigono all’altare al ralenty, per la gioia di Beckham e per la nostra, e finalmente dopo 6 ore ci arrivano, con il principe che sussura alla sposa qualcosa di romantico tipo: “Yo I love ya, biatch. You’re fuckin’ beautiful!”, frase pare consigliata all’addio al celibato dal rapper Snoop Dogg. O forse è andata così...


Lo scambio di voti nuziali è incredibilmente veloce e sembra già tutto finito. Hell yeah! E invece no. La cerimonia va ancora avanti tra canti e sermoni vari e comunque Studio Aperto ci ricamerà sopra ancora molto per le prossime ore, giorni, settimane, mesi, anni, lustri, decenni, secoli, millenni finché morte non ci separi.

Dopodiché parte un corteo a cavallo con Londra che si trasforma in un tripudio pazzesco, manco l’Inghilterra avesse vinto i Mondiali. Quindi un altro giro in Rolls-Royce e forse adesso sono ancora lì che stanno girando, mentre Harry sarà già completamente sbronzo e strafatto al sobrio party post matrimonio organizzato da lui con escort, musica, fiumi di birra, super alcoolici, e ancora escort.
E a cantare al ricevimento nuziale, Will & Grace Will & Kate avranno a disposizione Ellie Goulding, mica la banda del paese…
A seguire il blog Officina in trasformazione trasmetterà la prima notte nuziale.

mercoledì 27 aprile 2011

Brit-poppe

Ecco un nuovo gruppo scoperto incredibilmente su Virgin Radio! Dico incredibilmente visto che di solito gli artisti più giovani che passano si chiamano Elvis Presley o Jerry Lee Lewis e nello spazio new generation sono capaci di trasmettere “Rock around the clock”.
Loro invece si chiamano Brother, sono inglesi anzi inglesissimi, hanno fatto uscire un paio di singoli e stanno preparando l’album d’esordio previsto per settembre insieme a Stephen Street, lo storico produttore dei Blur. E non a caso suonano proprio come… i Blur (e un filo anche come gli Oasis, of course), piena metà anni ’90, periodo d’oro del Brit-Pop, yeah yeah yeah.
Allora vai di revival, fratello


mercoledì 20 aprile 2011

La felicità porta fortuna, Berlusconi porta sfiga

La felicità porta fortuna
(UK 2008)
Titolo originale: Happy-Go-Lucky
Regia: Mike Leigh
Cast: Sally Hawkins, Alexis Zegerman, Eddie Marsan, Andrea Riseborough, Samuel Roukin, Sinead Matthews, Nonso Anozie
Genere: commedia leggera
Se ti piace guarda anche: Il favoloso mondo di Amelie, We want sex, Segreti e bugie

Trama semiseria
Il film si limita semplicemente a seguire la vita piuttosto ordinaria di un personaggio straordinario. Poppy però non ha super poteri, non deve salvare il mondo, non va nemmeno in giro come Amelie a mettere le cose a posto nella vite degli altri. Semplicemente, è una tipa stralunata che sorride alla vita, una maestra delle elementari single che non si preoccupa di fare in fretta e furia una famiglia o sfornare figli. Semplicemente si gode la vita. Una pazza, per le convenzioni del mondo, una idola totale, per me.

Recensione cannibale
Amo Sally Hawkins. Qualche tempo fa mi chiedevo perché questa attrice fosse tanto osannata, non riuscivo a spiegarmelo; l’avevo già vista in Sogni e delitti di Wudy Aia Allen e in un paio di particine dentro An Education e Non lasciarmi ma qui, forse abbagliato dalla presenza in entrambi i film di Carey Mulligan, l’avevo decisamente ignorata. Poi ho guardato We Want Sex, di cui ho parlato qualche giorno fa, e ho pensato che: “Cazzo se è brava!” Allora mi sono recuperato questo La felicità porta fortuna e allora lì ho capito: Sally Hawkins è un mito. Non si può nemmeno spiegare a parole, dovete vederla in azione. Io dopo aver visto questo film vorrei avere una Sally Hawkins tutta per me. Non pensate subito male, non per quella cosa lì (oddio se poi ci scappa pure quello non mi tiro indietro), ma perché vorrei vedere cosa farebbe lei in una qualunque situazione. Ma più che lei, vorrei vedere cosa farebbe la sua Poppy, le sue facce, le sue espressioni, le sue stralunate cazzate, come ad esempio abbordare un barbone nel mezzo della notte.

La Poppy protagonista di questo film è una 30enne single che cazzeggia con le amiche in giro su una inguardabile Panda gialla (e qualcuno si lamenta pure se le vendite europee della Fiat stanno calando di brutto), si ubriaca, entra in una libreria scherzando con il proprietario che la guarda come fosse un’aliena, insegna in una scuola elementare e a sua volta prende lezioni di flamenco e di guida. Perché la ragazza oramai cresciutella non ha ancora la patente e per ottenerla si affida alle lezioni di un istruttore schizofrenico, razzista e fissato, con una visione tutta sua del mondo. Per dire: quando passano due tranquillissimi tipi di colore in bici, lui intima a Poppy di chiudersi dentro l’auto, per sicurezza. A interpretare questo schizzato troviamo un cattivissimo e allucinato Eddie Marsan, straordinario attore inglese dalla faccia da tasso (l’animale).

La commedia tra lezioni impartite e lezioni ricevute procede con un passo più vicino alla Nouvelle Vague che non al neorealismo come la trama (inesistente) lascerebbe supporre e possiede una grazia unica grazie a una Sally Hawkins in stato di grazia: immaginate un Roberto Benigni dentro il corpo di Amelie però nell’Inghilterra di oggi e non ci sarete andati nemmeno vicini. Come ho già detto, Sally Hawkins nei panni di Poppy bisogna vederla in azione con i propri occhi, c’è poco da fare. L’unico rischio che si corre, uomini o donne, ottimisti o pessimisti che siate, è di essere travolti dalla sua irresistibile energia vitale e innamorarsene. Perché io amo Sally Hawkins, ho già detto anche questo?
(voto 7/8)


domenica 10 aprile 2011

Cibo per donne

Doghouse
(UK 2009)
Regia: Jake West
Cast: Stephen Graham, Danny Dyer, Noel Clarke, Lee Ingleby, Emil Marwa, Keith-Lee Castle, Christina Cole, Neil Maskell
Genere: cannibali da ridere
Se ti piace guarda anche: L’alba dei morti dementi, Lesbian Vampire Killers, Un tuffo nel passato - Hot Tube Time Machine, Benvenuti a Zombieland, Dead Set

Trama semiseria
Un gruppo di cazzoni londinesi 30enni o poco più decide di passare un weekend in un paesino sperduto di campagna per aiutare un amico, in difficoltà dopo il divorzio. Uno spunto a metà tra Un tuffo nel passato - Hot Tube Time Machine e una versione Cockney de L’ultimo bacio: solo che le cose non filano lisce e il tranquillo paesino di campagna si scopre in realtà infestato da una marea di donne assatanate. Non di sesso, ma di carne maschile. Eppure, nonostante il tema horror, qui ci sono comunque meno persone che urlano e corrono rispetto al film di Muccino!

Recensione cannibale
Accingendosi a vedere un film horror demenziale le aspettative possono non essere molto alte. Sbagliato, perché quando ci si trova di fronte a una produzione inglese di questo tipo è lecito attendersi un nuovo gioiellino in stile L’alba dei morti dementi (Shaun of the Dead). Le premesse questo Doghouse ce l’ha anche tutte: umorismo british sbracalone (lo so che non è una vera parola, però rende bene l’idea), trama folle e deragliante al punto giusto, un cast UK di primo livello con Stephen Graham (This is England, Al Capone nella serie Boardwalk Empire), faccia da schiaffi Danny Dyer (Adulthood, Skins) e Noel Clarke (il regista di Adulthood). La partenza è ottima, con battutacce, ritmo serrato, un pezzo dei The Horrors in colonna sonora e una splendida atmosfera da pub, eppure…

Quand’ero già pronto a parlare allora di piccolo capolavoro, ecco che però il film prende le strade consuete del tipico zombie movie, sebbene in questo caso non è che ci siano proprio degli zombie quanto piuttosto delle donne cannibali che vogliono sbranare tutti gli uomini che capitano loro sotto tiro. Viene quindi fuori pure l’idea per una guerra tra sessi virata horror, ma l’aspetto non è che venga approfondito più di tanto, preferendo concentrarsi sulle parti umoristiche. Ed è qui che il film non decolla, essendo privo di spunti particolarmete geniali o esilaranti come invece accade più e più volte nel già citato L’alba dei morti dementi o nell’americano Benvenuti a Zombieland.

Un horror demenziale guardabile, a tratti divertenti, ma mi sembra più che altro un occasione mancata. Forse è solo che avevo aspettative troppo alte e da buon cannibale per un film con donne cannibali ero già pronto a gridare al cult movie. E invece grido e basta
aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
Adesso basta gridare perché il film non è poi così deludente. È solo una mezza delus
(voto 6)

sabato 2 aprile 2011

Viva la serie B

Katy B “On a mission”
Genere: dubstep pop
Provenienza: Londra
Se ti piace ascolta anche: Olive, Everything but the Girl, GoldieLocks, Magnetic Man, Benga, Skream, Rinse FM

In Italia in questi giorni non si fa altro che parlare del “nuovo” (si fa per dire) disco di Vasco Rossi. Pure io (pirla) ne ho parlato. Tutto questo naturalmente a livello musicale, visto che in altri ambiti si discute anche e soprattutto di Bocchini, pompini e di Berlusconi che apre club di burlesque a Lampedusa.

In Inghilterra invece il disco sulla bocca di tutti è un altro, questo sì nuovo per davvero, e l’ha tirato fuori la “Queen B” della scena dubstep: Katy B. “On a Mission” è il suo album d’esordio, una bomba che ci presenta in chiave pop le ultime tendenze del suono UK, tra drum’n’bass, garage, trip-hop, un pizzico di R&B e naturalmente… dubstep. Un disco eccellente tra trip sonori e melodie accattivanti. Katy B ormai è una fuoriclasse che gioca in serie A, a partire dal singolo “Broken Record” già eletta mia pop song dell’anno.


Altri esempi delle leccornie da gustare dentro l'avventurosa missione di Katy?
L’iniziale “Power on me” è da non credere per quanto è favolosa e scaraventa subito dentro un club underground della periferia londinese. Sguardo basso, kid, che senno i tipi qua dentro ti fanno il culo se dai un’occhiata di troppo alla tipa sbagliata. E però è difficile tenere lo sguardo giù quando il locale è così pieno di figa che va in delirio quando parte “Katy on a Mission”.


Ne volete ancora? Sììì? Nooo? E io tanto ve ne do lo stesso: “Why you always here” è una cosa che si inchiolla in testa per sempre e sempre e sempre fino a che le bimbe di Shining non ti appaiono davanti; “Witches Brew” è il trip definitivo, una roba che sembra uscita dai Crystal Castles meno psycho e più accessibili; “Movement” riassunta in due parole: yes weekend. “Go Away” è il sogno, l’incanto, l’estasi totale. E una “Easy please me” cos’è? Da che figata di pianeta è venuta già? Semplicemente devastante!

Riassumendo: enorme Katy ai vocals e allucinogene le produzioni alle sue spalle dei pezzi grossi del genere (Benga, Magnetic Man, Geeneus, Zinc). Il disco di cui avevo bisogno e a cui la scena elettronica e pop presente e futura dovrà stare a guardare (e venerare) nei prossimi mesi.
2011: Odissea nel dubstep, bitches.
(voto 9)

martedì 8 febbraio 2011

Tamarra Drewe: tradimenti all'inglese

Tamara Drewe - Tradimenti all’inglese
(UK 2010)
Regia: Stephen Frears
Cast: Gemma Arterton, Roger Allam, Luke Evans, Dominic Cooper, Tamsin Greig, Bill Camp, Jessica Barden, Charlotte Christie
Genere: country house
Se ti piace guarda anche: Io ballo da sola, Quattro matrimoni e un funerale, Diario di uno scandalo, Basta che funzioni

Trama semiseria
Campagna inglese, giorni nostri. Tamara Drewe un tempo era un cessone di ragazza, poi si è rifatta il naso, ha messo indosso dei jeans corti superattillati ed è diventata un figone di ragazza. Tutti adesso sono pazzi non per Mary ma per Tamara e lei finisce così inevitabilmente in un turbinio di varie relazioni più o meno sentimentali e più o meno sessuali: con una rockstar, con uno scrittore sposato, con un giardiniere fallito. Indovinate chi sceglierà alla fine?

Recensione cannibale
Tamara Drewe è una delle commedie migliori che abbia visto negli ultimi tempi. E chissenefrega? direte voi.
Ok, siamo partiti col piede sbagliato, ma proseguiamo. Cos’avrà tanto di speciale questa Tamara Drewe, oltre al fatto evidente alla vista di essere una gnoccona gigante? Difficile da spiegare a parole. Eh ma allora va a cagare, che scrivi una recensione a fare se non sai spiegarti, pezzo di idiota? Direte ancora voi.
Lo so lo so, avete ragione, è che mi andava comunque di segnalare una pellicola brillante come il miglior Woody Allen (e con miglior Woody Allen non intendo quello di Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni, tanto per essere chiari), in una chiave giusto meno newyorkcity e più british country, con una serie di personaggi all’incirca intellettuali falliti che vanno e vengono fuori e dentro la cascina di campagna location delle vicende della pellicola. La forza di un film che per il resto non rappresenta niente di così innovativo o originale, nonostante sia tratto da una graphic novel e non da un romanzo come si potrebbe supporre, sono proprio i personaggi.

C’è Tamara Drewe, giornalista aspirante scrittrice che da brava tamarra torna in campagna ascoltandosi Lily Allen su una stilosa MINI Cooper verde. Il motivo del suo ritorno? Alla morte della madre, è decisa a vendere la casa in cui ha trascorso la gioventù da adolescente bruttina e con un naso imbarazzante. Dopo una plastica facciale è però tornata alla country house che è uno splendore e per interpretarla non potevano che chiamare il sesso fatto persona ovvero Gemma Arterton, una delle cose migliori venute fuori dal Regno Unito dai tempi del brit-pop.
E a proposito di brit-pop, Tamara inizia una relazione con il batterista della band fittizia degli Swipe, interpretato da un Dominic Cooper (An Education, Mamma mia!) in ascesa e molto rock’n’roll. Al seguito della rockstar vi sono però anche due teenagers, una in particolare è una scatenata fan, ma che dico fan? Dico stalker! È lei la idola totale del film, quella che suscita maggiori risate e provoca anche vari stravolgimenti a livello narrativo, intromettendosi nella vita dei protagonisti. In pratica quella che sembra una figura di contorno, una semplice spettatrice, diventa invece parte fondamentale nella narrazione e si trasforma lei stessa in un personaggio del film.

C’è quindi il romanziere giallista di successo che passa da una relazione sessuale all’altra con donne più giovani di lui, all’insaputa della Veronica Lario della situazione.
C’è il romanziere impegnato fallito che è segretamente innamorato della Veronica Lario della situazione di cui sopra.
E c’è il giardiniere squattrinato ma affascinante che in gioventù aveva avuto una storia di sesso con la ancora ugly Tamara e che ritornerà ora a farsi sotto con una concorrenza però parecchio più folta. Potere della chirurgia plastica.

Il succo del film non è comunque tanto l’incasinata girandola sentimentale, quanto il girare quasi a vuoto di questi personaggi scombussolati, fino a una parte finale piuttosto cattivella e beffarda, tanto per ricordarci che se a Hollywood tutto deve finire bene, nella campagna inglese può anche esserci spazio per un happy ending solo apparente.
Alla fine comunque questa è solo una delle commedie più brillanti degli ultimi tempi, e forse dopo tutte queste parole non ve ne fregherà ancora nulla come all’inizio del post, però per caso ve l’ho già detto che la protagonista è Gemma Arterton?
(voto 7)

Personaggio cult: Jody, la quindicenne stalker interpetata da Jessica Barden

martedì 1 febbraio 2011

Borat? Meglio Barat, Carl Barat

Carl Barat "Carl Barat"
Genere: brit pop
Provenienza: Basingstoke, UK
Se ti piace ascolta anche: Richard Hawley, Richard Ashcroft, Libertines, Pete Doherty, Babyshambles, Pulp


Carl Barat era insieme a quel drogato di Pete Doherty nei Libertines. Non che non fosse drogato pure lui, beninteso, però tra i due perdeva ai punti. Mentre il compagno di sventure si è messo in proprio e con i Babyshambles (oltre che con Kate Moss), Carl ha prima fondato i poco ispirati Dirty Pretty Things e negli scorsi mesi ha pubblicato il suo primo (stavolta ispirato) esordio solista. Un album passato piuttosto in sordina anche da queste parti (mea culpa), ma che ora mi sembra giusto riscoprire.

Per gli amanti del suono british da pub infatti questo bel dischetto è uno di quelli da far girare a ripetizione tra una pinta di Guinness e un tiro a freccette, soprattutto una “Run with the boys” che è quel pezzo pop frizzante che qualche tempo fa Fratellis, Supergrass e sì pure i Libertines sapevano scrivere. Mentre grazie al nuovo malinconico singolo “So long my lover”, una sorta di incrocio tra Richard Ashcroft e Richard Hawley, potrebbe anche fare il botto (o quasi) in classifica.


Il pezzo che apre l’album "The Magus" poi recita:
Because men can be animals
savages and cannibals
E come posso io non dargli ragione?
(voto 6/7)

giovedì 6 gennaio 2011

I miei film dell'anno 2010 - n. 22 Fish Tank

Fish Tank
(UK)
Regia: Andrea Arnold
Cast: Katie Jarvis, Michael Fassbender, Kierston Wareing, Jason Maza, Harry Treadaway
Genere: neorealismo UK
Se ti piace guarda anche: Skins, Thirteen, Precious, Sweet Sixteen, I quattrocento colpi

Trama semiseria
Una 15enne sogna di diventare una ballerina di hip-hop. Ok, detto così sembra la trama di Save the last dance o il pilot per una nuova serie ideata da Maria de Filippi, invece non è niente di più lontano. Nei suburbi inglesi la vita non è facile per niente, sua madre è una zoccola che si crede una ragazzina e il suo “patrigno” ce prova con lei. No, non è Maurizio Costanzo ma il bastardo senza gloria in ascesa Michael Fassbender.

Pregi: faccia a faccia nudo e crudo, ma che sa anche essere poetico, con un’adolescenza più vicina a quelle di Skins che a quelle idealizzate di Beverly Hills 90210
Difetti: il cinema è anche sogno, qui nonostante le note di “California Dreaming” c’è invece troppa realtà dura

Personaggio cult: la scontrosa e irrequieta protagonista Mia, interpretata dalla promettente Katie Jarvis
Scena cult: il balletto sulle note di “Life’s a bitch” di Nas
Canzone cult: “California Dreaming” cantata da Bobby Womack

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martedì 4 gennaio 2011

I miei film dell'anno 2010 - n. 29 An Education

An Education
(UK)
Regia: Lone Scherfig
Cast: Carey Mulligan, Peter Sarsgaard, Rosamund Pike, Alfred Molina, Olivia Williams, Dominic Cooper, Sally Hawkins, Matthew Beard, Emma Thompson
Genere: educazione sentimentale
Se ti piace guarda anche: Nowhere Boy, Mad Men, A Single Man, Revolutionary Road

Trama semiseria
Primi anni Sessanta. Quasi come Andrea e Giuliano con Licia, al 30enne piacione Peter Sarsgaard capita di incontrare un giorno di pioggia per caso la magnifica Carey Mulligan, una sedicenne inesperta e affamata di vita e di cultura. Insieme i due faranno la dolce vita e andranno insieme a Parigi, fino a che…

Pregi: Carey Mulligan. Carey Mulligan. Carey Mulligan. Lei è il film.
Difetti: la pellicola si regge su una splendida atmosfera primi anni Sessanta alla Mad Men e poi (l’ho già detto??) su Carey Mulligan, ma la sceneggiatura per quanto firmata da Nick Hornby a tratti è deboluccia

Personaggio cult: Jenny alias Carey Mulligan!
Scena cult: Carey Mulligan sotto la pioggia
Canzone cult: “Smoke Without Fire”, Duffy

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domenica 2 gennaio 2011

Album 2010 - n. 10 Laura Marling "I Speak Because I Can"

Laura Marling "I Speak Because I Can"
Genere: best folk in town
Provenienza: Hampshire, Inghilterra
In classifica perché: lei parla perché può, noi ascoltiamo perché non si può non rimanere rapiti dalle sofferte storie folk di questa giovane ragazza
Se ti piace ascolta anche: Emmy the Great, Noah and the Whale, Mumford & Sons, Bombay Bicycle Club, Villagers, Lissie
Pezzo cult: "Devil's Spoke"
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mercoledì 29 dicembre 2010

Le meglio serie tv 2010 - n. 1 Misfits

Misfits
(stagioni 1 e 2)
Rete inglese: E4
Rete italiana: passato su Bonsai Tv, su Fox arriva dal 10 gennaio, ore 22.45
Creato da: Howard Overman
Cast: Robert Sheehan, Iwan Rheon, Lauren Socha, Antonia Thomas, Nathan Stewart-Jarrett, Alex Reid
Sigla: “Echoes” dei The Rapture

Genere: superpoteri a ragazzi poco super
Perché è in classifica: divertentissimo, geniale, irresistibile, ma soprattutto imprevedibile: in ogni episodio può capitare davvero di TUTTO e non sai mai cosa aspettarti
Se ti piace guarda anche: Skins, Heroes, Being Human

In pillole
Cinque ragazzi inglesi più o meno disadattati costretti a svolgere un servizio sociale vengono colpiti da un fulmine che dona loro dei poteri particolari: uno può diventare invisibile, un altro può andare indietro nel tempo, una diventa telepate, l’altra quando viene toccata scatena irresistibili istinti sessuali. E il quinto? Si scoprirà solo a un certo punto e nella maniera più geniale possibile. Ma non aspettatevi che questi poteri li trasformino in supereroi in grado di salvare l’umanità, visto che questi sprovveduti anti-eroi dei suburbi inglesi continueranno nelle loro vite incasinate più o meno come prima. Nel corso degli episodi poi succede davvero qualunque cosa e la seconda stagione è persino migliore della prima.

Pregi: molte serie seguono un modello preciso e in ogni episodio sai già cosa aspettarti. In Misfits si mischia il teen drama (con protagonisti però molto lontani dai soliti stereotipi americani) al fantasy e alle storie di superpoteri (ma siamo molto più dalle parti di Scott Pilgrim che di Smallville), il tutto con un’aggiunta massiccia di irresistibile humor britannico ai massimi livelli, più linguaggio, immagini e contenuti al 100% espliciti. Eccezionale e anche in questo caso straordinariamente varia la colonna sonora.
Difetti: far venire il mal di pancia dal ridere è un difetto?

Personaggio cult: Nathan (Robert Sheehan) è il personaggio più esilarante nella storia dei telefilm e forse non solo di quelli. Non riesce mai a prendere niente sul serio e si mette a fare le cose più imbarazzanti nel momento meno indicato. Inoltre ha dato a triplé un nuovo significato che nulla ha a che vedere con la triplice vittoria dell’Inter; si tratta infatti di quando eserciti tre funzioni fisiologiche contemporaneamente: vieni, vomiti e caghi allo stesso tempo. E lui l’ha fatto!
Nathan Young è l’Idolo con la I maiuscola per eccellenza. Guardare Misfits per credere.

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lunedì 27 dicembre 2010

Le meglio serie tv 2010 - n. 5 Skins

Skins
(stagione 4)
Rete inglese: E4
Reti italiane: Mtv, Mya
Creato da: Jamie Brittain e Bryan Elsley (padre e figlio)
Cast: Kaya Scodelario, Luke Pasqualino, Jack O’Connell, Ollie Barbieri, Lily Loveless, Megan Prescott, Kathryn Prescott, Lisa Backwell, Marveille Lukeba, Klariza Clayton, Matt King

Genere: UK teen spirits
Perché è in classifica: è la migliore serie adolescenziale mai creata e continua a rinnovarsi in maniera impressionante a livello di stile, tematiche, personaggi e attori. Già pronto il remake americano che proverà a rubarne le brillanti idee
Se ti piace guarda anche: Misfits, Fish Tank

In pillole
Le vicende di un gruppo di vari teenager a Bristol, Inghilterra. Tematiche come suicidio, droga, omosessualità, integrazione razziale e pazzia sono trattate in maniera esplicita, con uno sguardo all’adolescenza fuori da tutti i soliti stereotipi e buonismi e senza peli sulla lingua come non capita da altre parti. Non certo nella puritana America o nella vaticana Italia. Nella quarta stagione ne succedono di tutti i tipi, da Effy che finisce in manicomio, a Cook che va in galera

Pregi: puntate sempre varie (ogni episodio è dedicato a un personaggio diverso alla Lost), colonna sonora da sballo, giovani attori più che promettenti
Difetti: troppe poche puntate
Personaggio cult: Cook, teppista inglese cocky, strafottente, rissaiolo, mitico




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