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lunedì 15 febbraio 2016

Breaking Red - La vera storia di Dalton Trumbo





L'ultima parola - La vera storia di Dalton Trumbo
(USA 2015)
Titolo originale: Trumbo
Regia: Jay Roach
Sceneggiatura: John McNamara
Ispirato alla biografia: Trumbo di Bruce Alexander Cook
Cast: Bryan Cranston, Diane Lane, Elle Fanning, Louis C.K., Michael Stuhlbarg, John Goodman, Helen Mirren, Alan Tudyk, Roger Bart, Sean Bridgers, Adewale Akinnuoye-Agbaje, Dean O'Gorman, Christian Berkel
Genere: comunista
Se ti piace guarda anche: Saving Mr. Banks, Il ladro di orchidee, Argo

Dalton Trumbo era uno degli sceneggiatori più richiesti e di successo di Hollywood. Tutti volevano lavorare con lui. Era un po' come Aaron Sorkin oggi, solo con meno parole e con uno uno stile più commerciale. Dalton Trumbo era uno degli sceneggiatori più richiesti e di successo di Hollywood, fino a che venne accusato di essere... comunista.

venerdì 26 settembre 2014

OH MY GOD!ZILLA





Godzilla
(USA, Giappone 2014)
Regia: Gareth Edwards
Sceneggiatura: Max Borenstein
Cast: Bryan Cranston, Juliette Binoche, Aaron Taylor-Johnson, Elizabeth Olsen, Ken Watanabe, David Strathairn, Sally Hawkins, Godzilla
Genere: mostruoso
Se ti piace guarda anche: Transformers, Pacific Rim, gli altri film su Godzilla

Un cantante non è un grande cantante senza grandi canzoni. Pensate ad Adele. Immaginate se dovesse interpretare dei brani scritti da Kekko dei Modà. Altroché Grammy. Vincerebbe una testata.
Lo stesso vale al cinema. Un attore non è un grande attore senza un grande personaggio da interpretare. Vedi Bryan Cranston nei panni di Walt White nella pluripremiata e pluritelegattata serie Breaking Bad e pensi che quell’uomo potrebbe fare di tutto. Quell’uomo si merita tutti gli Emmy ed Oscar del mondo. Quell’uomo è un attore fenomenale.
Poi vedi Bryan Cranston in Godzilla e pensi…
Va beh, ma quand’è che inizia Better Call Saul, lo spin-off di Breaking Bad?

Non che sia degna di un Razzie Award, però l’interpretazione di Bryan Cranston in Godzilla è decisamente anonima. Sembra un attore come tanti. E l’interprete di Walt White – Walt White, cazzo! – non può apparire solo come uno tra tanti.
Con quel parrucchino in testa a metà strada tra Nicolas Cage e Antonio Conte poi non si può vedere!


Sono partito da Cranston, ma il discorso può benissimo essere esteso all’intera pellicola. Pellicola?
Diciamo una rottura di balle durata due ore che parte con ritmi lenti e i soliti drammi famigliari che vorrebbero essere toccanti ma sanno solo di già visto e fino a qua sarebbe ancora una noia tollerabile. Nella seconda parte il film si trasforma invece nel classico action catastrofico, con scene tra Jurassic Park dei poveri (si fa per dire, visto che il budget della pellicola è di $160 milioni) e un film a caso di Michael Bay, giusto un po’ meno concitato e tamarro.
In mezzo a personaggi umani stereotipati e a creature mostruose (che poi il Godzilla del titolo compare meno degli altri due kaiju del kazzo), non sono riuscito a trovare un solo anche vago motivo per provare interesse nei confronti del film. Colpa mia?
Può darsi. O magari è colpa di un’industria che appiattisce tutto e produce una serie di prodotti per il grande pubblico uno uguale all’altro.

Sono partito da Godzilla, ma il discorso può benissimo essere esteso all’intera Hollywood. I grandi studios stanno attenti a ciò che accade intorno a loro. Seguono le pellicole indie, le serie tv più cool in circolazione, quello che capita nei Festival. Seguono tutto e cannibalizzano tutto. Prendono l’attore più fenomenale del piccolo schermo degli ultimi anni, Bryan Cranston, e lo mettono insieme a un paio tra i giovani più promettenti visti sul grande schermo di recente, il Kick-Ass Aaron Taylor-Johnson e la Elizabeth Olsen fenomenale di La fuga di Martha e Silent House. In più, a dirigere il tutto ci mettono Gareth Edwards, uno che con il suo film d’esordio Monsters aveva raccolto un sacco di elogi, assolutamente meritati.

"OOOH, quanto ce l'ha grosso, quel Godzilla...
ehm volevo dire, quanto è grosso, quel Godzilla!"

"OOOH, ce l'ha più grosso di Rocco Siffredi...
ehm volevo dire che è più grosso dei mostri di Pacific Rim!"

Hollywood fa così. Prende i grandi talenti del cinema “piccolo”, il cinema indie, e li fa giocare in serie A. Una serie A a livello di budget, di incassi e di visibilità che corrisponde però a una serie Z in termini di qualità. C’è da chiedersi perché prendere dei talenti del genere per trasformarli poi in dei mestieranti qualunque. Tanto vale a questo punto assumere direttamente un Michael Bay, che sai già che è scarso e il risultato (ai botteghini) te lo porta a casa comunque. Invece no. Per colpa di Hollywood, il Gareth Edwards sorprendente di Monsters al suo secondo film è già diventato l’ombra di se stesso.
Come, e ancora peggio, quanto capitato di recente ad altri promettenti giovani registi, il cui portafogli sarà anche stato profumatamente riempito, ma cui contemporaneamente è stata svuotata del tutto la creatività. Penso a Marc Webb, che all’esordio mi aveva folgorato con lo scoppiettante e delizioso (500) giorni insieme e poi se n’è andato a dirigere gli spenti e poco amazing reboot di Spider-Man. E penso a Neill Blomkamp, autore di una delle migliori pellicole sci-fi recenti, District 9, subito dopo chiamato a fare una banale marketta commerciale per il divo Matt Damon con il banale Elysium.

Tutti registi esordienti scoppiettanti. Tutti già scoppiati al secondo film. A Garreth Edwards è andata ancora peggio rispetto ai colleghi. Ha diretto senza personalità il classico blockbuster di cassetta. Peccato che le cassette ormai siano estinte e sarebbe bello se pure i mostri alla Godzilla lo fossero.
Quello che purtroppo non è estinto è il cinemone mostruoso dei mostroni giganti, dei Transformers, dei Pacific Rim e dei Godzilla. Purtroppo, a quanto pare è questo quello che vuole la ggente. È questo che vuole Hollywood. Solo, non è quello che voglio io.
(voto 3/10)

martedì 26 agosto 2014

EMMY BANALITY AWARDS 2014





È andato tutto come doveva andare, o meglio come ci si aspettava sarebbe andata. Agli Emmy Awards 2014 c'è stato il trionfo di Breaking Bad e dei suoi ultimi episodi. Un trionfo meritatissimo, però la serie, che io adoro, era già stata ampiamente premiata in passato e io avrei preferito una vittoria a sorpresa di True Detective, la novità dell'anno, che invece si è dovuta accontentare appena di un premio alla (strepitosa) regia. Con tutto il rispetto per il grandioso Bryan Cranston, quest'anno il premio di miglior attore doveva poi andare solo e soltanto a Matthew McConaughey.
Ma agli Emmy e alle cerimonie di premiazione in generale le sorprese non piacciono, quindi è stato tutto all'insegna della prevedibilità e della noia. In ambito comedy, i premi a Modern Family e Jim Parsons di Big Bang Theory che ormai si ripetono da anni hanno strastufato. Scandalosa poi la vittoria della good wife Julianna Margulies nella categoria di miglior attrice in una serie drammatica, quando la vera vincitrice morale è la multipla Tatiana Maslany di Orphan Black, nemmeno finita in nomination.
L'unica novità premiata in pratica è stata la “folle” Uzo Aduba di Orange Is the New Black e mi ha stupito anche il doppio premio alla bravissima Allison Janney per i suoi ruoli in Mom e Masters of Sex.
Per il resto sono contento per i premi a Julia Louis-Dreyfus, a Fargo tra le miniserie e a The Normal Heart tra i film tv, ma di certo le delusioni sono state maggiori delle soddisfazioni. E gli sbadigli sono stati superiori agli applausi.
Terminato il mio sermone, vi lascio in compagnia di tutti i (prevedibili) vincitori degli Emmy Awards 2014.

I premi

"Mi stai guardando la scollatura, Bryan?"
"Sgamato!"
Outstanding Drama Series
Winner: "Breaking Bad" (2008)

Outstanding Comedy Series
Winner: "Modern Family" (2009)

Outstanding Lead Actor in a Drama Series
Winner: Bryan Cranston for "Breaking Bad" (2008)

Outstanding Lead Actress in a Drama Series
Winner: Julianna Margulies for "The Good Wife" (2009)

Outstanding Writing for a Drama Series
Winner: "Breaking Bad" (2008) - Moira Walley-Beckett ("Ozymandias")

Outstanding Supporting Actress in a Drama Series
Winner: Anna Gunn for "Breaking Bad" (2008)

Outstanding Directing for a Drama Series
Winner: "True Detective" (2014) - Cary Fukunaga ("Who Goes There")

Outstanding Writing for a Variety Special
Winner: Sarah Silverman for Sarah Silverman: We Are Miracles (2013)

Outstanding Supporting Actor in a Drama Series
Winner: Aaron Paul for "Breaking Bad" (2008)

Outstanding Directing For A Variety Special
Winner: Glenn Weiss for The 67th Annual Tony Awards (2013)

Outstanding Variety, Music Or Comedy Series
Winner: "The Colbert Report" (2005)

Outstanding Television Movie
Winner: The Normal Heart (2014)

Outstanding Miniseries
Winner: "Fargo" (2014)

Outstanding Lead Actress in a Miniseries or Movie
Winner: Jessica Lange for "American Horror Story" (2011)

Outstanding Lead Actor in a Miniseries or Movie
Winner: Benedict Cumberbatch for "Sherlock: His Last Vow (#3.3)" (2014)

Outstanding Directing for a Miniseries, Movie or a Dramatic Special
Winner: "Fargo" (2014) - Colin Bucksey

Outstanding Supporting Actor in a Miniseries or Movie
Winner: Martin Freeman for "Sherlock: His Last Vow (#3.3)" (2014)

Outstanding Supporting Actress in a Miniseries or Movie
Winner: Kathy Bates for "American Horror Story" (2011)

Outstanding Writing for a Miniseries, Movie or a Dramatic Special
Winner: "Sherlock: His Last Vow (#3.3)" (2014) - Steven Moffat

Outstanding Reality Competition Program
Winner: "The Amazing Race" (2001)

Outstanding Lead Actress in a Comedy Series
Winner: Julia Louis-Dreyfus for "Veep" (2012)

Outstanding Lead Actor in a Comedy Series
Winner: Jim Parsons for "The Big Bang Theory" (2007)

Outstanding Directing for a Comedy Series
Winner: "Modern Family" (2009) - Gail Mancuso ("Vegas")

Outstanding Supporting Actress in a Comedy Series
Winner: Allison Janney for "Mom" (2013)

Outstanding Writing for a Comedy Series
Winner: "Louie" (2010) - Louis C.K.("So Did the Fat Lady")

Outstanding Supporting Actor in a Comedy Series
Winner: Ty Burrell for "Modern Family" (2009)

Outstanding Writing for a Variety Series
Winner: "The Colbert Report" (2005)

Outstanding Host for a Reality or Reality-Competition Program
Winner: Jane Lynch for "Hollywood Game Night" (2013)

Outstanding Directing for a Variety Series
Winner: "Saturday Night Live" (1975) - Don Roy King

Outstanding Guest Actress in a Comedy Series
Winner: Uzo Aduba for "Orange Is the New Black" (2013)

Outstanding Guest Actor in a Comedy Series
Winner: Jimmy Fallon for "Saturday Night Live" (1975)

Outstanding Guest Actress in a Drama Series
Winner: Allison Janney for "Masters of Sex" (2013)

Outstanding Guest Actor in a Drama Series
Winner: Joe Morton for "Scandal" (2012)

"Matthew, non hai vinto come miglior attore. Che ti è successo?"
"Mi sa che sono stato colto dalla Sindrome di DiCaprio, uahahah."


E ora, sbrigati gli awards, spazio alla parte più interessante della serata: il Red Porchet.

Il Red Porchet

Kerry Washington
Il diavolo veste Prada. E pure Kerry Washington.
Ma tanto addosso alla stilosissima protagonista di Scandal starebbe bene anche un sacco della monnezza.
(voto 7,5/10)

Zooey Deschanel
Questa sarebbe Zooey Deschanel??
Sempre meno indie girl e sempre più traditional girl. La stiamo perdendo.
(voto 6-/10)

Gwen Stefani
Tim Burton probabilmente apprezzerà il nuovo cadaverico look della cantante dei No Doubt. Io no.
(voto 5/10)

Hayden Panettiere
Il forno della Panettiere è stato riempito. E si vede.
(voto 6 politico)

Lizzy Caplan
Hai capito la master of sex, che stile.
(voto 7,5/10)

Julia Roberts
Più invecchia e più diventa bona.
Il MILF award quest'anno è tutto suo.
(voto 7,5/10)

Anna Gunn
Hai capito, la moglie di Walt White.
Subito dopo la Roberts per il MILF award c'è lei.
(voto 7+/10)

Allison Williams
La più affascinante tra le Girls ha scelto di indossare un abito antistupro, ma io le voglio bene lo stesso.
(voto 6+/10)

Lena Dunham
Grande!
Inguardabile, però va apprezzato il suo coraggio.
(voto 8/10)

Claire Danes
Se ieri Kim Kardashian per gli Mtv Video Music Awards aveva fregato dalla home(land) di Kanye West i tappeti del bagno, Claire Danes oggi mi sa che gli ha ciulato le tende.
Povero Kanye, tra un po' rimane senza niente.
(voto 5/10)

Heidi Klum
Finalmente ho trovato qualcuno che si fa più lampade di Carlo Conti!
(voto 6,5/10)

Taylor Schilling
Orange is the new black e tu ti presenti vestita in bianco, e per di più con decorazioni da centrotavola sopra?
In prigione le altre detenute sono pronte a farti la festa, cara Taylor.
(voto 6/10)

Lea DeLaria
Molto elegante l'attore di Orange is the New Black.
Ah, è un'attrice?
(voto 4/10)

Laverne Cox
Tutti a trans!
(voto 6,5/10)

Dascha Polanco
Respira, Dascha Polanco di Orange is the New Black.
Se il tuo abito te lo permette, respira.
(voto 5/10)

Aaron Paul
Il mistero della serata: che è successo alla fronte di Aaron Paul di Breaking Bad?
È diventata enorme.
Per il resto elegantissimo, ma quella fronte non si spiega.
(voto 7/10)

Kate Mara
Kate Mara di House of Cards mi fa sesso qualunque vestito indossi. O non indossi.
Per me sempre promossessissima.
(voto 8/10)

Best of the night
January Jones
Look mad & red per January, che sta alla grande pure in August.
(voto 8+/10)

Worst of the night
Sarah Paulson
Questo abito entra di diritto nella American Fashion Horror Story.
(voto 2/10)

In chiusura, il momento più toccante della serata: l'omaggio di Billy Crystal all'amico Robin Williams.

mercoledì 11 dicembre 2013

MAN OF THE YEAR 2013 – N. 7 BRYAN CRANSTON



Bryan Cranston
(USA 1956)
Genere: chimico
Il suo 2013: è stato per l'ultima volta il pazzesco protagonista dei pazzeschi episodi finali della pazzesca serie Breaking Bad.
Se ti piace lui, ti potrebbero piacere anche: Gary Oldman, Anthony Hopkins, Michael Stipe dei R.E.M.
È in classifica: perché ci ha regalato il personaggio più sfaccettato, imprevedibile e per certi versi pure detestabile nella storia della tv recente (e non solo recente e non solo tv).
Il suo discorso di ringraziamento: "Bravo Cannibal, ti sei meritato una bella fornitura omaggio di metanfetamine a vita!"

Dicono di lui su
cinguettator
Gus Fring @lospolloshermanos
@waltwhite, @heisenberg, @bryancranston o come diavolo ti fai chiamare adesso, mi devi ancora pagare il chirurgo plastico per rifarmi metà faccia, bitch!






martedì 8 ottobre 2013

BREAKING END




Breaking Bad
(serie tv, stagione 5)

È finito. Breaking Bad è finito. E adesso?
E adesso si attende la nuova ossessione telefilmica. Tutti a dire: “Non ci sarà mai un’altra serie come Breaking Bad” e forse è così. La stessa cosa però la si diceva anche il 23 maggio 2010, subito dopo la conclusione di Lost. Tutti lost senza Lost, eppure Breaking Bad c’era e c’era anche già da un po’. Breaking Bad ha cominciato le sue trasmissioni il 20 gennaio 2008, ma c’ha messo un po’ a carburare come serie. C’ha messo ancora di più a trasformarsi in un cult assoluto. Breaking Bad era ed è comunque rimasta fino alla fine una serie cult, non certo di massa, nonostante negli ultimi tempi il numero di suoi adepti sia aumentato in maniera esponenziale.

Ma perché Breaking Bad è diventato così cult? Qual è il suo segreto?
Avevo già provato a spiegarlo qua, e pure un pochino qua, ma c’è sempre qualcosa che sfugge. Il fascino di Breaking Bad è tutta una questione di chimica. Di chimica e di cura nei dettagli. Si dice che ci sono due cose che stanno nei dettagli: il diavolo e la grandezza. Da adesso facciamo che sono tre e aggiungiamoci pure Breaking Bad. La diabolica grandezza di Breaking Bad sta nei dettagli.
La storia del tranquillo professore di chimica che si trasforma in un produttore o meglio "cuoco" e poi pure in un boss del traffico di metanfetamine è indubbiamente affascinante. Uno spunto notevolissimo. Il bello della serie, il vero good dentro Breaking Bad, è però il modo in cui è stato preparato. Di storie intriganti ce ne stanno tante, così come in giro di droghe se ne trovano a bizzeffe. Almeno in certi quartieracci. La differenza sta nella qualità. La roba blu preparata da Walt White è pura, purissima, superiore al resto delle metanfetamine cucinate col buco del culo, per questo è così preziosa. Lo stesso vale per Breaking Bad. Breaking Bad è cucinata alla grande dal suo creatore Heisenberg Vince Gilligan e dai suoi fedeli aiutanti.
Ciò che fa andare Breaking Bad oltre le altre serie, oltre a quanto visto finora su piccolo schermo, è proprio questa attenzione maniacale ai più piccoli dettagli. La presenza del Pink Teddy Bear in alcuni episodi, ad esempio.


O il telefonino di Hello Kitty dato dal mitico avvocato Saul Goodman a Jesse Pinkman.


O ancora il fatto che quando Walt White va in esilio nella casa in mezzo al nulla, tra i film in DVD sono presenti due copie due di Mr. Magorium e la bottega delle meraviglie.


Lo so che possono sembrare delle piccole cose, delle stronzatine, e forse lo sono, ma ciò non di meno sono delle chicche che hanno contribuito a rendere questa serie qualcosa di strepitoso e unico. I dettagli. Mai sottovalutare i dettagli.
E ora veniamo alla puntata finale...

SERIES FINALE
Titolo episodio: "Felina"
(articolo pubblicato anche sul sito Oggi al cinema)
***ATTENZIONE SPOILER: SE NON AVETE VISTO L’ULTIMISSIMO EPISODIO DELLA SERIE, LEGGETE SOLTANTO A VOSTRO RISCHIO E PERICOLO***

Il finale di Breaking Bad è stato perfetto. A voler mettersi a fare i pignoli si può cercare di trovare qualche difetto, ma vi assicuro che è una perdita di tempo, una missione impossibile. Non è stato un perfetto di quelli precisini in cui tutto va come ci si aspettava. E' stato un perfetto emozionante, senza però essere un emozionante ruffiano o facilmente sentimentale. La conclusione di Breaking Bad è stata tutto ciò che quella di Dexter invece non è stata. Girata, scritta e interpretata in maniera magistrale, si è rivelata una chiusura in linea, del tutto coerente con quanto BB e il suo protagonista Walter White (un sempre più immenso Bryan Cranston) sono sempre stati. L’episodio finale ha rivelato sorprese, ma il creatore Vince Gilligan, che si è occupato in prima persona della sceneggiatura e della regia del series finale, non ha puntato sul colpone di scena finale assurdo e forzato, giusto per provare a shockare il pubblico. Ha realizzato una chiusura magnifica e per certi versi rivoluzionaria.
La confessione di Walter White alla moglie Skyler è qualcosa che non si sente tutti i giorni in film o serie tv, soprattutto americane: “L'ho fatto per me. Mi piaceva. Ed ero bravo. Ed ero davvero... Ero vivo.” Basta con la storia che ha fatto tutto per il bene della famiglia. Dopo aver scoperto di avere il cancro, White s’è messo a cucinare e a smerciare metanfetamine non solo e non tanto per mettere dei soldi da parte per i suoi cari. Forse quella era l’idea iniziale, lo spunto di partenza, poi le cose sono cambiate. L’ha fatto per se stesso, per puro egoismo. Stop con gli eroismi, con i sacrifici per gli altri. Walt White ha cercato di sistemare a livello economico i famigliari, nell’ultima puntata prova ancora a farlo, però il suo fine ultimo è stato il piacere personale. Non l’amore, non la famiglia, ma realizzare ciò in cui è più bravo, poco importa che ciò in cui il protagonista della serie è un fenomeno è l’essere un boss del narcotraffico. Sotto questo punto di vista, quello di Breaking Bad in fin dei conti è un happy ending, perché White muore felice. Ha avuto quello che chiunque può solo sognare: l’autorealizzazione, la consapevolezza di aver compiuto qualcosa di grande. Per farlo, ha dovuto distruggere la vita dei suoi famigliari, si è macchiato del sangue di varie persone ed è stato responsabile anche per la morte del cognato e amico Hank, avvenuta nella splendida, tesissima puntata "Ozymandias". Eppure, alla fine a ucciderlo non è stato il dannato cancro. È morto alle sue condizioni e l’ha fatto in compagnia della cosa a cui teneva di più, la metanfetamina blu, la sua amata “Baby Blue” per dirla insieme alla canzone dei Badfinger che accompagna l’ultima scena, o il suo “tesssoro”, per dirla come il Gollum del Signore degli anelli, citato dallo stesso creatore della serie Vince Gilligan in un’intervista a Entertainment Weekly.



Walt White, uno dei personaggi più originali, pazzeschi e controversi nella storia del piccolo schermo, se n’è quindi andato in maniera tutt’altro che convenzionale. Prima di morire ha comunque avuto modo di salvare Jesse Pinkman, lo sfortunatissimo Jesse Pinkman che durante le cinque stagioni ne ha subite di tutti i colori, il ragazzo con cui ha diviso quest’avventura incredibile, il suo discepolo che è riuscito a realizzare un prodotto purissimo e che quindi può considerare come il suo vero erede. Nonostante questo slancio di altruismo, Walt White muore odiato da tutti, anche dal figlio che non riesce a salutare e con cui ha avuto una terribile ultima conversazione telefonica, nell'unica scena madre di un personaggio che altrimenti nel corso della serie ha avuto un solo compito, questo...


Nonostante questo, nonostante tutto, Walt White muore felice. La sua vita ha avuto un senso. Non c’è spazio per i rimpianti. Avrà fatto del male a tante persone, allontanato tutti quelli che lo amavano, ma la sua è stata quella definibile come un’esistenza che è valsa la pena vivere. Quanti possono dire altrettanto?
(voto alla quinta stagione 9,5/10
 voto al series finale 10/10
 voto alla serie 10/10)




R.I.P. Walter White


martedì 4 dicembre 2012

Rock for aged

Rock of Ages
(USA 2012)
Regia: Adam Shankman
Cast: Julianne Hough, Diego Boneta, Tom Cruise, Russell Brand, Alec Baldwin, Paul Giamatti, Bryan Cranston, Catherine Zeta-Jones, Malin Akerman, Mary J. Blige, T.J. Miller
Genere: kitsch
Se ti piace guarda anche: Glee, Moulin Rouge!, Nine, Burlesque

Che tamarrata!
Una tamarrata con un grande Tom Cruise nella parte di un rocker ispirato a Bret Michaels, Axl Rose, Jon Bon Jovi, Anthony Kiedis, Nikki Sixx, Tommy Lee, al cantante degli Europe e a Satomi dei Bee Hive...

"Non ho più l'età per fare... che ora si è fatta? Le 8 di sera? Troppo tardi!"

...con la Barbie-gnocchetta Julianne Hough che è rock quanto un pezzo dei One Direction...
Cioè tantissimo!
XD

"Pettinata così sono più rock di Heather Parisi!"

...con il promettente Diego Boneta che assomiglia al protagonista del telefilmetal Todd and the Book of Pure Evil...

"Hey, baby, l'hai comprata la compilation di Natale di quel nuovo artista, quel Michael Bublé?"
"No, è troppo heavy-metal per me."
"Penso che tu non sia pronta per questa musica... ma ai nostri figli piacerà!"
...con Alec Baldwin nella parte di Mr. James Ford, con Russell Brand nella parte praticamente di se stesso, con un Bryan Cranston come al solito quando non è in Breaking Bad sprecatissimo, con una Catherine Zeta-Jones che sembra l’abbiano “ibernata nel culo di Margaret Thatcher”, con un’insopportabile scimmietta, con una sceneggiatura sfilacciata e con una selezione musicale che sembra uscita da Virgin Radio...
Tutto questo è Rock of Ages!

"Ma perché Katy Perry era sposata con te?"
"Ma semmai perché Kim Basinger era sposata con te?"

E poi?
Poi alcune scenette musicali sono ottime (tutte quelle con Tom Cruise), qualcuna divertente (Alec Baldwin + Russell Brand sulle note dei REO Speedwagon), qualcun’altra sembra una versione leggermente rock-oriented di High School Musical (quelle con Julianne Hough), qualcun’altra è penosa (Z-Jones in Chiesa) e qualcun’altra evitabile (Mary J. Blige che c’azzecca con il rock?).

"Dici che conciata così sembro più trans che rock? Certo che anche tu, con quel look da Ke$ha, non sei messa tanto meglio..."

Ambientato in un’epoca lontana lontana in cui la dubstep non era ancora stata inventata, Rock of Ages a tratti sembra una puntata di Glee in cui si cantano classici del rock anni ’80, ovvero una puntata di Glee qualsiasi, a tratti sembra una commedia 80s, a tratti è banalotto, a tratti è più un musical di Broadway che una pellicola cinematografica vera e propria, a tratti è piacevole e divertente.
Però, soprattutto, che tamarrata che è!
(voto 5,5/10)


venerdì 16 novembre 2012

Cogito Argo sum

"Oh, ma qua poster di Lady Gaga non ne hanno?"
Argo
(USA 2012)
Regia: Ben Affleck
Sceneggiatura: Chris Terrio
Ispirato a un articolo di: Joshuah Bearman
Cast: Ben Affleck, Bryan Cranston, Alan Arkin, John Goodman, Victor Garber, Tate Donovan, Christopher Denham, Scoot McNairy, Kerry Bishé, Clea DuVall, Rory Cochrane, Kyle Chandler, Chris Messina, Zeljko Ivanek, Titus Welliver, Farshad Farahat, Taylor Schilling
Genere: arguto
Se ti piace guarda anche: Homeland, 24

"...E non c'è manco uno che mi chiede l'autografo. Ma dove sono finito?"
Fino a poco tempo fa, quando pensavi a Ben Affleck pensavi a Ben Affleck il sex symbol, Ben Affleck ‘o sciupafemmene che passa da J.Lo a Jennifer Garner, Ben Affleck l’attore modesto. L’attore modesto e dall’espressività limitata che però ti dava l’impressione di avere qualcosa in più da offrire. Sarà per quella sceneggiatura da Oscar scritta a quattro mani insieme all’amichetto Matt Damon, quella per Will Hunting - Genio ribelle, il film che ha rivelato entrambi. Che dopo ce l’ha messa tutta, per farsi dimenticare di essere uno sceneggiatore da Oscar, intepretando filmetti come Pearl Harbor, Daredevil o Amore estremo. E invece, il Ben aveva una carta inaspettata da giocarsi, quella da regista.
Contro ogni aspettativa, Ben Affleck esordiva ben bene, con il thriller parente di Mystic River, Gone Baby Gone. Al che pensavi che vabbé, un film decente può riuscire a chiunque. È riuscito persino a Ligabue, con l’esordio Radiofreccia, non c’è da stupirsi troppo sia venuto fuori a Ben Affleck.
Con il secondo film, lo splendido The Town, i dubbi che a Ben il primo colpo non fosse uscito per puro caso arrivavano. Si aveva semmai l’impressione che con l’esordio fosse persino andato con il freno tirato, mentre per le strade di The Town Affleck scorrazzava che è un piacere.
Se un indizio può non voler dire niente e due indizi possono rappresentare un semplice caso, al terzo non c’è più spazio per i dubbi. Il terzo è una prova. Argo è una prova.
Prova di cosa?
Prova che Ben Affleck è un dannato grande regista. Uno dei migliori in circolazione negli USA al momento.
Chi l’avrebbe detto? Probabilmente nemmeno lui stesso, visto che con autoironia, attraverso un dialogo presente nel film, schernisce la sua nuova professione:

“Si impara a fare il regista in un giorno?”
“Perfino una scimmia impara a fare il regista in un giorno.”

"Signore, mi spiace ma questo coso pieno di cocaina è leggermente illegale.
Se però se lo infila nel didietro, faccio finta di non aver visto niente..."
Un grande merito dell’Affleck regista è quello di sapersi scegliere delle belle storie da raccontare. Dopo i romanzi da cui erano tratti i suoi due film precedenti, a ispirare questa sceneggiatura impeccabilmente firmata dall’esordiente Chris Terrio è invece un articolo. Una storia talmente da film da essere vera.
A cavallo tra il 1979 e il 1980, 6 diplomatici americani si ritrovano rifugiati politici dell’ambasciata canadese in Iran. Il governo degli USA vuole farli tornare in patria, ma come fare, vista la delicatissima situazione in quel paese?
"Certo che come produttore sei proprio braccine corte, Ben. Non solo
il pranzo ce lo dobbiamo fare sugli scalini con la roba del McDonald's,
ma hai pure usato i buoni sconti, hai usato. Te credo che J.Lo t'ha lasciato!"
ATTENZIONE SPOILER
È qui che arriva Ben Affleck bello fresco, in versione consulente della CIA, e propone un’idea singolare e folle per riportarli negli Stati Uniti: organizzare le riprese di un finto film di fantascienza, intitolato per l’appunto Argo, e fingere che i 6 facciano parte della troupe, giunta in Iran per dei sopralluoghi per le location. Ce la faranno i mezzi del cinema a riuscire laddove la politica sembra fallire?

Lo scopriremo con Ben Affleck che ci terrà la manina attraverso i vari registri della pellicola. Dopo una prima parte prettamente politica, Argo diventa una visione con vari spunti divertenti e una serie di battute scoppiettanti. Perché Argo è un film di fantascienza all’interno della finzione narrativa della pellicola stessa, mentre l’Argo firmato da Ben Affleck è una pellicola politica e spionistica, ma trova pure il tempo di concedersi qualche sberleffo nei confronti di Hollywood e dei suoi meccanismi. Sberleffo e al contempo una celebrazione di Hollywood, visto che la missione è organizzata con l’aiuto di un paio di producers cinematografici, due gigionissimi Alan Arkin e John Goodman, i migliori di un cast ricchissimo e mega-telefilmico.

"Siamo troppo retrò in questa foto, altroché Instagram!"
Accanto al Ben Affleck protagonista, che tra Argo e The Town si dimostra attore più convincente quando si auto dirige, compaiono infatti un sacco di volti proveniente perlopiù dal mondo delle serie tv: Bryan Cranston di Breaking Bad qui come in Drive e Detachment si ritaglia solo un ruolo marginale, però almeno fa dimenticare una serie di comparsate in pellicole dimenticabili come Larry Crowne e Total Recall; sfilano poi Tate Donovan di The O.C. e Damages, Clea DuVall attualmente guest-star di American Horror Story Asylum, Kyle Chandler di Friday Night Lights, Titus Welliver Uomo in nero di Lost, Chris Messina di Damages e The Mindy Project, e questo solo per citarne alcuni. Occhio poi pure a una manciata di rivelazioni indie da tenere appunto d’occhio: Christopher Denham, di recente visto nel notevole Sound of My Voice, Scoot McNairy di Monsters e la gnocchetta Kerry Bishé vista in Red State.
Ma è un cast talmente ricco che si farebbe prima a nominare chi non è presente. Matt Damon, ad esempio. Che Ben & Matt negli ultimi tempi non siano più BFF come una volta?

"Ma stiamo girando Argo il finto film all'interno del vero film, oppure Argo
il vero film ispirato a un fatto reale? Non ci capisco più niente neanch'io..."
Oltre a un gran cast, a una splendida cura nella fotografia, nei costumi e persino nelle pettinature tardo ’70, a funzionare è il ritmo. Ben Affleck sa come tenere il tempo. Dopo averci divertito con la parte dedicata al dorato mondo di Hollywood, ci scaraventa in una parte finale al cardiopalma, in cui la tensione raggiunge gli stessi livelli delle puntate migliori delle migliori serie spionistiche dell’ultimo decennio, Homeland e 24.
Ben Affleck sembra quindi ricalcare le orme del suo altro amichetto, George Clooney, che non a caso figura tra i produttori di questo Argo. Entrambi sex symbol, entrambi attori non fenomenali, eppure migliorati pure in questo campo negli ultimi tempi. Da quando fanno i registi. Che poi fare i registi è la cosa che riesce loro meglio. A parte fare gli sciupafemmene in giro. Almeno Ben, viste le voci che circolano sul conto del bel George…

E allora Ben Affleck, gran figlio di una buona donna, did it again. E se un indizio può non voler dire niente e due indizi possono rappresentare un semplice caso, al terzo non c’è più spazio per i dubbi. Il terzo è una prova. Argo è una prova. Anzi, come prova basterebbe la sola grandiosa scena di montaggio alternato tra la conferenza stampa tenuta da un’attivista iraniana e quella tenuta dai producers del finto film Argo, un magistrale alternarsi di realtà e fiction, nonché di due diversi approcci al mondo, che racchiude tutta la grandezza del vero film Argo.
Ah, ho dimenticato una cosa fondamentale: cosa vuol dire Argo?
Argo vaffanculo se non lo guardate!
(voto 8/10)

Post pubblicato anche su L'orablu.

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