In un mondo migliore
(Danimarca, Svezia 2010)
Titolo originale: Hævnen
Regia: Susanne Bier
Cast: William Jøhnk Nielsen, Markus Rygaard, Mikael Persbrandt, Trine Dyrholm, Ulrich Thomsen, Wil Johnson
Genere: violence is the answer?
Se ti piace guarda anche: Ben X, Bully, Lasciami entrare, Fish Tank, Babel
Trama semiseria
Un ragazzino che ha appena perso la madre difende un suo compagno di scuola sfigato vittima dei soliti bulletti; le vite loro e delle loro famiglie si intrecceranno in una parabola ricca di spunti di riflessione sulla violenza e soprattuto sulla risposta che si può dare alla violenza.
Per curiosità volete sapere qual è la mia risposta alla persone violente? Costringerle a una visione in loop di Avatar con la musica di Laura Pausini sparata a tutto volume nelle cuffie. Non riesco a immaginare niente di più spaventoso.
Recensione cannibale
In un mondo migliore quest’anno ha vinto l’Oscar come migliore film straniero. Premio meritato? O non meritato al pari de Il discorso del re?
L’inizio è particolarmente ruffiano e da subito non ci si stupisce quindi per la scelta dell’Academy, considerando come tra i candidati vi fosse anche l’urticante film greco Kynodontas (Dogtooth): la prima scena del film è infatti ambientata in un campo medico in Africa, con una donna vittima di un mostro che apre la pancia alle donne incinte per scommessa!, mentre la seconda sequenza ci mostra addirittura il funerale della madre di un bambino. Un uno-due senza vergogna davvero micidiale per i cuori sensibili di chi premia gli Oscar. Poi per fortuna il film vira verso il lato oscuro (e qui i voti si sono fatti un po’ incerti) e quindi nel finale scivola ancora verso la ruffianata (non a caso il film la statuetta alla fin fine se l’è portata a casa).
Dalla sua parte la pellicola vanta una sceneggiatura davvero forte, di impatto, che solleva domande e questioni nient’affatto di poco conto. Partendo da quello che sembra solo un richiamo al tema del bullismo giovanile nelle scuole, si va verso una riflessione più vasta sul bullismo anche nel mondo degli adulti. Come si può rispondere alla violenza e alla prepotenza? Con il pacifismo alla Gandhi? Porgendo l’altra guancia come predicava Gesù Cristo? Con le bottigliate come farebbe Mr. Ford? Con una sana (e finta) scazzottata alla Bud Spencer & Terence Hill? Gettando bombe e inventando una infinita guerra al terrore come i wonderful United States of America?
Difficile dare una risposta a una questione così articolata e il film non vuole nemmeno farlo, lasciando più che altro aperta la riflessione. Questo è il suo più grande merito e non è certo una cosa da poco. Da un punto di vista cinematografico non mi è apparso invece una visione del tutto esaltante. La regia di Susanne Bier con 'sti zoom improvvisi e 'sti di ca**o di stacchi continui nel montaggio sembra confusa più di quanto non lo siamo noi spettatori e sembra voler cercare un’identità visiva che non trova. Diciamo che è uno di quei casi di “vorrei essere Lars Von Trier ma non posso”; se da un punto di vista registico questa è una cosa piuttosto negativa (riferendoci perlomeno ai suoi film migliori come Le onde del destino e Dogville), da un punto di vista umano è invece per lei un fatto parecchio positivo, visto che Susanne Bier ha una sensibilità che il misogino dogmatico regista compatriota non possiede certo.
Eddai, sono la stessa persona mai invecchiata |
Nel cast spiccano soprattutto il bambino che ha perso la madre, un volto rimasto senz’anima ottimamente interpretato dalla rivelazione William Jøhnk Nielsen, mentre l’altro bambino protagonista del film viene chiamato dai bulletti della sua scuola “faccia da topo”, ma a me ha ricordato più che altro il ragazzino della Kinder. Tra gli adulti si segnala Trine Dyrholm, bella milfona danese, mentre il marito Mikael Persbrandt, per quanto in Africa sia in grado di reggere testa a uno psicopatico maniaco, quando è in Danimarca per i miei gusti è un po’ troppo pirletti e faccia da schiaffi (e infatti gli schiaffi se li prende per davvero).
Le musiche di accompagnamento sono poi troppo enfatiche ma non realmente emozionanti, un altro di quegli elementi che invece avranno fatto andare in brodo di giuggiole l’Academy. Ci ritroviamo così con uno di quei film su cui riflettere a fondo e che per questo merita una visione molto attenta, ma allo stesso tempo l’ho anche trovato una pellicola fredda e difficile da amare col cuore. Un’opera che da una parte vorrebbe essere coraggiosa e importante, ma dall’altra fa un passo indietro e ha paura di portare il discorso fino alle estreme conseguenze, forse per buonismo o forse per lasciarci ancora la speranza di un mondo migliore.
In un mondo migliore (e con una regia migliore) questo film sarebbe riuscito ad essere un vero piccolo capolavoro.
Ma in un mondo migliore non esisterebbero nemmeno terremoti né tsunami.
E in un mondo migliore l’italia sarebbe una democrazia vera e non solo di facciata.
Infine, In un mondo migliore è un buon film però in un mondo migliore l’Oscar l’avrebbe vinto il molto più perfido, devastante e geniale Kynodontas.
(voto 7-)