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mercoledì 14 marzo 2018

Life Sentence - Vivere, che fatica!





Life Sentence
(serie tv, stagione 1, episodio 1)
Rete Usa: The CW
Creata da: Erin Cardillo, Richard Keith
Cast: Lucy Hale, Elliot Knight, Dylan Walsh, Gillian Vigman, Jayson Blair, Brooke Lyons, Carlos PenaVega


Le cose nella vita possono cambiare parecchio. Ad esempio puoi essere malato di cancro per 8 anni ed esserti ormai rassegnato a dover morire e poi invece un giorno ti dicono che non sei in remissione. Sei guarito del tutto. Non stai più per morire. Hai tutta una vita davanti. È proprio quanto capita alla protagonista di Life Sentence interpretata da Lucy Hale, ex Aria Montgomery di Pretty Little Liars. Non vi sto facendo uno spoiler. O almeno, vi sto spoilerando giusto i primi 5 minuti dell'episodio pilota della nuova serie trasmessa negli Usa da The CW, un'autentica garanzia di dubbia qualità televisiva, un tempo specializzata in telefilm teen, ora solo in superporcate supereroistiche. E inoltre è una cosa che si può intuire già dal titolo: Life Sentence, ovvero “sentenza di vita”, che è un po' l'opposto di sentenza di morte, quindi lo potevate capire anche da soli che la protagonista non sarebbe morta. Anche perché se no poi la serie di chi parlava? Sì, potevano fare una cosa stile Ghost con Patrick Swayze, o stile Il sesto senso con Bruce Willis, però non è questo il caso.

venerdì 6 maggio 2016

Miss You Already - Ci mancherai Cannibal Kid





Il giorno 6 aprile 2016 si è spento improvvisamente all'età di 34 anni Cannibal Kid. Era ancora giovane. O almeno era convinto di esserlo. Ne danno il doloroso annuncio i seguaci del suo celebre poco celebre blog Pensieri Cannibali. Non lascia moglie né figli, ma soltanto una gatta di nome Birba, proprio come quella di Gargamella. Era un blogger stimato, o più che altro odiato. Odiato quando era in vita e veniva definito “un povero pirla”. Adesso che è deceduto tutti dicono che era “un autentico genio dei nostri tempi”. Strano come la morte cambi il modo di vedere le persone.

giovedì 25 settembre 2014

RED BAND SOCIETY VS. BRACCIALETTI ROSSI





Red Band Society
(serie tv, episodio pilota)
Rete americana: Fox
Rete italiana: non ancora arrivata
Sviluppata da: Margaret Nagle
Ispirata alla serie spagnola: Polseres vermelles
Cast: Charlie Rowe, Nolan Sotillo, Ciara Bravo, Zoe Levin, Astro, Griffin Gluck, Dave Annable, Octavia Spencer, Rebecca Rittenhouse, Thomas Ian Nicholas
Genere: cancerogeno
Se ti piace guarda anche: Braccialetti rossi, Chasing Life, Glee, Colpa delle stelle

Italia batte Stati Uniti. Non in cucina. Non nell’eleganza nel vestire. Non nel fare all’amore.
Italia batte Stati Uniti sul campo delle serie tv.
Really? What the fuck is going on with the world today?
Abbiamo appena superato un’estate anomala di un anno anomalo di un mondo anomalo, tutto può succedere. Persino quello che nessuno si sarebbe aspettato mai. Se Gomorra – La serie non ha nulla da invidiare ai prodotti di maggiore qualità della serialità americana in onda su HBO e AMC, anche sul campo delle serie “commerciali” l’Italia può dire la sua.
La prova?

Partiamo dalla Spagna. Che c’entra la Spagna?
Un attimo e ci arrivo. In Spagna nel 2011 hanno realizzato la serie Polseres vermelles, che non ho visto ma che pare abbia ricevuto parecchi consensi, al punto che in tanti nel resto del mondo si sono attivati per rubare l’idea vincente agli spagnoli. Tempo una manciata di anni e sia in Italia che negli USA hanno realizzato i loro adattamenti. Non è una novità per entrambi i paesi. Noi italiani, e con noi italiani intendo quei bruttoni di Mediaset, hanno ad esempio già adattato una serie spagnola per dar vita a I Cesaroni. Che bella mossa, vamos!
Per fortuna, le cose sono andate meglio con il remake di Polseres vermelles, diventato da noi Braccialetti rossi, una serie che ha saputo conquistarmi episodio dopo episodio, nonostante il mio enorme scetticismo iniziale. Sebbene, va detto, il finale di stagione è stata la classica roba in stile Rai clamorosa e ha fatto un po’ perdere di valore al tutto, ma va beh, chiudiamo un occhio. Considerata l’ostica tematica trattata, ovvero un gruppetto di ragazzini malati di cancro, il rischio che si cadesse nel patetico era altissimo e ogni tanto la serie ci cade pure. Eppure, per essere un prodotto Rai, sono rimasto piacevolmente sorpreso. E ho scoperto che Laura Chiatti sa recitare!
Sì, insomma, più o meno...

Se l’Italia per una volta è arrivata prima, la risposta americana non si è fatta attendere troppo. A poco tempo di distanza, anche negli USA hanno realizzato una loro versione di Polseres vermelles e a produrla c’ha pensato nientepopodimenoche Steven Spielberg, un furbacchione che ha subito fiutato l’affare. Così è nata Red Band Society, la nuova serie tv appena partita in patria su Fox e io ho iniziato a seguirla con lo stesso scetticismo con cui mi ero approcciato a Braccialetti rossi. In questo caso i miei pregiudizi erano dovuti, oltre alla produzione di Spielberg che in tv è quasi sempre sinonimo di disastro – si vedano Falling Skies, Terra Nova e Under the Dome – al fatto che avevo già seguito la versione italiana e quindi mi aspettavo una sterile replica.

I miei pregiudizi in parte si sono rivelati fondati, visto che la grossa produzione ha trasformato il prodotto in qualcosa che sa molto di costruito, di finto, un discorso analogo a quanto già fatto di recente per Delivery Man, adattamento hollywoodiano di una pellicola canadese. La genuinità casereccia della serie Rai qui si perde all’interno della solita roba americana che sa di già visto e stravisto. Non tanto perché arrivo ancora abbastanza fresco dalla visione di Braccialetti rossi, ma perché l’ospedale in cui è ambientata Red Band Society sembra il reparto adolescenziale del Seattle Grace Hospital di Grey’s Anatomy, mentre i personaggi hipster-fighetti paiono usciti dal Glee Club solo che, anziché cantare delle canzoncine gaie, hanno una qualche malattia. C’è chi soffre di anoressia, chi ha bisogno di un trapianto di cuore, chi non ho capito bene cosa abbia. Poi naturalmente c’è chi ha il cancro, la moda telefilmica degli ultimi anni, si vedano Breaking Bad, The Big C e Chasing Life, e non solo telefilmica, si veda il successo del momento Colpa delle stelle.

Al di là della tematica ormai abusata e dell’effetto deja vu provocato dalla visione di Braccialetti rossi, così come delle altre serie sopra citate, c’è un problema, con questo Red Band Society. C’è qualcosa che manca. Mancano le vere emozioni. La serie Rai a volte poteva essere esagerata nel suo essere melodrammatica, ma noi italiani siamo fatti così. Ci piace esagerare, ué ué. Red Band Society invece è freddo, asettico come una stanza d’ospedale. Vero che la serie è ambientata proprio in un ospedale, però così si esagera.
L’ospedale di Braccialetti rossi aveva il pregio di costituire un mondo a parte, con delle regole e un linguaggio propri. Il motto “Watanka!” qui è invece assente, almeno nella puntata pilota. Può sembrare solo un piccolo particolare, ma non lo è e chissà se arriverà nei prossimi episodi. Era un elemento fondamentale per sentirsi in sintonia con i personaggi. Una volta iniziata la serie Braccialetti rossi, si entrava dentro quelle mura e sembrava di stare al fianco dei protagonisti, tutti molto più coinvolgenti e “vivi” rispetto alle smorte controparti americane. Il protagonista principale Leo, in particolare, nonostante gli attori siano fisicamente quasi identici, ha perso tantissimo in carisma. Quello italiano era un leader, questo americano è solo un bimbominkia.


Male anche Cris, la fighetta anoressica del gruppo, che passa dall’interpretazione sofferta di Aurora Ruffino al volto inespressivo di Ciara Bravo, una che starebbe a suo agio in una serie Disney più che dentro un ospedale.


Quanto al tizio simpa di turno, si è passati dal cazzaro napoletano Toni al tipo di colore fissato con il sesso interpretato dal giovane rapper Astro uscito da X Factor America.


Non hanno subito invece enormi differenze i personaggi di Vale e del “comatoso” Rocco, che erano piuttosto fastidiosi già nella versione italiana e lo sono pure in questo remake USA.


Il personaggio più cambiato è invece Davide.
Davide nella versione americana è diventato… una ragazza. WTF?
Il calciatore Davide si è tramutato in Zoe Levin, attrice già vista in Palo Alto di Gia Coppola, nonché la più promettente del cast della serie americana.

"Hey Davide, sei diventata più... gnocca durante la notte."

Vari cambiamenti li possiamo assistere anche tra i personaggi minori. Per esempio, anziché la primaria di chirurgia qui il ruolo della “stronza” di turno viene indossato dall’infermiera Octavia Spencer, in un ruolo che ricalca molto quello della nazi Miranda Bailey di Grey’s Anatomy.
Visto che siamo dalle parti di Hollywood, tutto naturalmente è inoltre diventato più bello e scintillante, quanto artificiale, e così il ruolo del dottore vicino alla pensione interpretato da Andrea Tidona, con tutto il rispetto certo non un Adone…


…sì è trasformato nella versione statunitense nel giovane dottore figo di turno, interpretato da Dave Annable, pessimo attore già avvistato in 666 Park Avenue.


A differenza di quest’ultima serie, subito cancellata, Red Band Society potrebbe trasformarsi in un successo, perché la storia dei ragazzini malati di cancro è un cavallo vincente su cui puntare e inoltre perché, nonostante gli ascolti del pilot non siano stati fenomenali, sembra un adattamento perfetto per il pubblico americano. Il problema è proprio quello. È tutto troppo americano, nel senso di finto, di pulitino e di costruito. Io, per una volta, almeno a giudicare dal primo episodio preferisco l’Italia. Su tutto, tranne su un aspetto. La colonna sonora di Red Band Society con Brian Eno, Who, Clash, Stealers Wheel, Sleater Kinney e Coldplay è molto meglio di quella di Braccialetti rossi con Vasco, Laura Pausini, Il Cile, Francesco Facchinetti, Emis Killa ed Emma.
Musica a parte, questa volta Italians do it better. Ai em sorri ammericani.
(voto 6-/10)

martedì 9 settembre 2014

COLPA DELLE STELLE? NO, COLPA DELLA SFIGA







Colpa delle stelle
(USA 2014)
Titolo originale: The Fault in Our Stars
Regia: Josh Boone
Sceneggiatura: Scott Neustadter, Michael H. Weber
Tratto dal romanzo: Colpa delle stelle di John Green
Cast: Shailene Woodley, Ansel Elgort, Nat Wolff, Laura Dern, Sam Trammell, Willem Dafoe, Lotte Verbeek, Ana Dela Cruz, Emily Peachey
Genere: melò
Se ti piace guarda anche: L’amore che resta, Now Is Good, Braccialetti rossi, Red Band Society, Chasing Life

Volete sapere qual è il trend del momento?
Pensate a vampiri, licantropi e zombie?
Nah. Quella è roba del passato. È roba che fa tanto 2 0 1 2 massimo 2 0 1 3.
Il filone più cool oggi, al cinema quanto in tv, è quello della gente malata di cancro. Non siete malati di cancro?
Male. Siete troppo out. Se volete essere i più fighi alla prossima festa o all’aperitivo di tendenza, tornate con un mesotelioma e ne riparliamo. Anche una leucemia può andare bene, come capita alla protagonista di una delle serie tv più (piacevolmente) infettive dell’estate, Chasing Life. In tv il cancro spopola. Dopo i più “adulti” Breaking Bad e The Big C, la nuova sotto tendenza di questo particolare filone è quella di parlare di ragazzini malati, si veda la serie tv spagnola Polseres vermelles, la sua versione italiana Braccialetti rossi e il nuovissimo remake americano Red Band Society. O si veda questo Colpa delle stelle.

Colpa delle stelle racconta di Hazel Grace, una giovane fanciulla interpretata da Shailene Woodley, la vera contendente di Jennifer Lawrence al titolo di erede di Meryl Streep. Hazel Grace ha un cancro ai polmoni e deve stare con delle cannucce per respirare attaccate alle narici, come la tipa creepy di Bates Motel. A un gruppo di supporto di quelli che negli USA vanno sempre forte, e non solo per imbucarsi e fingersi malati come faceva il protagonista di Fight Club, incontra il brillante Augustus (l’attore da tenere d’occhio Ansel Elgort) un ragazzo sopravvissuto al cancro cui è stata amputata una gamba.

"Ti ho preso questi. I crisantemi mi sembravano un po' prematuri."
"Oh, peccato. Erano i miei preferiti."

Siamo molto dalle parti di Braccialetti rossi, esatto. Anche in questo caso, il merito principale della riuscita sta nel giusto calibrare momenti melodrammatici con situazioni più leggere e persino risate. Colpa delle stelle sarà un drammone, ma è il film che mi ha provocato la risata cinematografica più grossa dell’anno, quando la protagonista incontra il suo scrittore preferito, gli pone alcuni quesiti, lui le dice: “Ti sei mai chiesta perché tieni tanto alle tue sciocche domande?” e lei gli risponde con un liberatorio: “Ma vaffanculo!” alla Johnny Stecchino.
Ho riso per 10 minuti minimo.

Allo stesso tempo, è pure il film che negli ultimi tempi mi ha fatto scendere le lacrime più pesanti. Lo metto in chiaro: a non tutti potrebbe fare lo stesso effetto. Se non entrate in sintonia con i due protagonisti, sono cazzi amari. Io invece li ho trovati adorabili. Per quanto tutti e due un po’ troppo buonini e buonisti per i miei gusti, non ho potuto fare a meno di provare una grande compassione per entrambi, per la condizione di salute non proprio stellare che hanno, e allo stesso tempo un po’ di invidia per la grande amicizia e poi il grande amore che vivono. La loro però non è una di quelle love story troppo smielate e cuoriciose. Ha quel giusto grado di romanticismo che non sfocia per fortuna nel “Stiamo sempre vicini vicini” o nel “Trottolino amoroso e dudù dadadà”.

"Mi piaci proprio tanto, Hazel Grace."
"Anche con queste robe al naso?"
"Soprattutto con quelle robe!"
"Uff, possibile che attiri solo dei maniaci feticisti?"

Il merito principale di Colpa delle stelle, oltre a non essere troppo sdolcinato, è quello di non essere deprimente. Non in maniera eccessiva, se non altro. Come capitato anche con altri film recenti dedicati al tema della malattia, ad esempio Quasi amici o Un sapore di ruggine e ossa, non si sfocia nel facile pietismo o nel cinema del dolore. Rispetto a quelli è pur sempre una pellicola americana e quindi qualche concessione al pubblico dal fazzoletto facile c’è, ma non si esagera, come può invece capitare nelle trasposizioni cinematografiche dei romanzi di Nicholas Sparks con cui questo lavoro nonostante le drammatiche premesse non ha – grazie a Dio! – molto a che vedere.
Il pensiero va più che altro a film come Noi siamo infinito o ancor più L’amore che resta – Restless di Gus Van Sant. Nel caso di Colpa delle stelle la regia del giovane Josh Boone non è allo stesso livello, però in compenso la sceneggiatura tratta dall’omonimo best-seller scritto da John Green è davvero brillante. I dialoghi rimangono impressi. C’è la parola “okay” che viene trasformata in un tormentone e per fare una cosa del genere con un termine tanto comune ci va della classe. C’è poi la bella idea della sigaretta tenuta in bocca senza essere accesa. C’è l’ottimo inserimento di un metaromanzo, il libro fittizio Un’imperiale afflizione di Peter Van Houten, di cui i due giovani protagonisti sono fan e che vanno a trovare in quel di Amsterdam. Grazie a questo film, credo che la capitale dei Paesi Bassi possa avere una ricollocazione a livello di marketing turistico: non più solo meta prediletta per drugà e fattoni, ma anche città romanticissima, come e più di Venezia.

"Siamo due malati di cancro ad Amsterdam e non ci siamo ancora fatti una canna?"
"Ma cosa ca**o stiamo aspettando?"

Niente male anche la colonna sonora, in cui svettano l’esplosiva “Boom Clap” di Charli XCX e l’epica “Wait” degli M83, più “Strange Things Will Happen” dei Radio Dept., indie band svedese che pensavo di conoscere solo io al mondo e invece no e che grazie a questa colonna sonora spero possa aumentare ulteriormente la sua popolarità.

Se vogliamo trovare un difetto al film è che, oltre a non essere registicamente troppo memorabile, non viene dato un grosso spazio ai personaggi secondari. In particolare avrebbe meritato più attenzione l’amico cieco del protagonista, interpretato da un Nat Wolff dopo Palo Alto e Comportamenti molto… cattivi sempre più da tenere d’occhio. Un attore che fa il cieco da tenere d’occhio? Isn’t it ironic? chiederebbe Alanis Morissette.
Il bello della pellicola però sta anche in questa scelta di puntare quasi esclusivamente sui due protagonisti. Spesso abbiamo visto la malattia di un ragazzino dal punto di vista dei genitori, come in Alabama Monroe o La guerra è dichiarata, mentre qui viviamo l’esperienza direttamente attraverso la Hazel Grace regalataci da Shailene Woodley e dal suo amico/qualcosapiùcheamico Augustus alias Ansel Elgort. Il film sta tutto in quei due. Se non sopportate loro, questa visione risulterà per voi impegnativa quanto un ciclo di chemio. Se invece ve ne innamorate, Colpa delle stelle sarà una delle esperienze più emotivamente coinvolgenti in cui vi imbatterete quest’anno. Quanto a me, devo ammettere di stare dalla seconda parte. Al punto che vorrei essere una ragazzina di 16 anni soltanto per poter gridare al mondo:
“Io amo questo film!”

Invece sono un ragazzo uomo con ormai il doppio dell’età costretto a sussurrare con grande vergogna e con un filo di voce:
“Io amo questo film!”
Un film non solo okay. Un film infinitamente più che okay.
Okay?
(voto 8/10)

"Pronto, Hazel Grace? Ma l'hai visto il post di WhiteRussian?"
"Sì e non vedo l'ora di morire per non dover mai più leggere quel sitaccio, okay?"

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