Sceneggiatura: Jason Scott Batchler, Lee Batchler, Michael Robert Johnson
Cast: Kit Harington, Emily Browning, Kiefer Sutherland, Adewale Akinnuoye-Agbaje, Jessica Lucas, Jared Harris, Carrie-Anne Moss, Currie Graham
Genere: trash storico
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È girato malamente dall’Anderson scarso, Paul W.S., è recitato così così dai tre protagonisti Kit “Jon Snow” Harington, Emily “bella gnocca addormentata” Browning e Kiefer “Jack Bauer” Sutherland in versione cattivone, la ricostruzione storica è degna di una serie della The CW, la trama sembra un mix alla buona tra Il gladiatore e Titanic ma, per le tette di Giunone, Pompei è uno dei film più (involontariamente?) divertenti dell’anno!
Cast: Billy Connolly, Kesun Loder, Carrie-Anne Moss, Dylan Baker, Henry Czerny, Tim Blake Nelson Genere: zombie
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I film e le serie tv con protagonisti zombie e vampiri diventano automaticamente oggetto di culto. La loro qualità non è importante. Anzi, spesso più è bassa e più il loro seguito cresce, vedi il successo di Twilight o un Underworld che ha già prodotto finora ben 4 episodi 4 senza motivo apparente.
Vi siete mai chiesti perché attirano tanta attenzione?
No? Buon per voi. Io invece me lo sono chiesto.
Se i vampiri sono creature affascinanti, poiché forever young, gli zombie invece hanno in apparenza ben pochi motivi d’attrazione. Sono degli esseri inutili, si muovono lentamente, manco parlano, sono brutti come la fame… Eppure The Walking Dead è la serie più seguita sulla tv via cavo americana, i film di Romero sono stracults, Resident Evil è diventato uno dei videogiochi di maggior successo ever e ha generato persino una (orrenda) saga cinematografica.
Eppure, gli zombie incuriosiscono probabilmente per una ragione principale: sono la risposta data dalla fantasia al mistero più grande di tutti, quello della vita dopo la morte.
Gli zombie sono vivi o sono morti?
È quanto si chiede il bimbo protagonista di questo Fido. La pellicola è ambientata negli anni ’50, dentro sobborghi americani tipicamente stilizzati alla Pleasantville/vecchie sitcom a stelle e strisce. Un unico dettaglio non torna nel solito schema che siamo abituati a vedere: ci sono gli zombie. Nel passato distopico immaginato da questo fanta retrò film, a causa di una nube tossica di provenienza aliena, i morti possono tornare in vita. Ciò ha provocato una lunga e sanguinosa guerra mondiale, in cui alla fine i vivi hanno avuto la meglio sui non-morti, o non-vivi, o morti viventi, o morti dementi, o come preferite chiamare i cacchio di zombie.
Zombie Zombie Zombieeeeooo-eooo-uuuuuu
Ok, grazie Dolores dei Cranberries per il tuo contributo vocale. Ora tornatene a cuccia come un cucciolo fido.
E a proposito, Fido è il nome dello zombie personale del bimbetto protagonista.
Al termine della guerra tra umani e zombie, come dicevamo prima dell’intervento musicale della O’ O’ E’ O’ U’ U’ O’ Riordan, i non morti sono stati addomesticati tramite un collare da cani che reprime i loro impulsi violenti. Qualcosa del genere accadeva anche al vampiro Spike in Buffy, stagione 4 se non ricordo male.
Gli zombie sono quindi usati come schiavi, camerieri e inservienti vari, un po’ come le persone di colore all’epoca. Su questa tematica razziale il film avrebbe potuto osare una riflessione più approfondita, ma alla fine preferisce giocare la sua partita sul campo della innocua commedia eccentrica, anziché tentare interpretazioni troppo sociali.
Tutte le famiglie benestanti possiedono vari non-morti come schiavetti, mentre Fido è il primo e unico per la famiglia del bambino protagonista, poiché suo padre ha una paura fo**uta degli zombie, per quanto resi innocui dai collari.
Collari che in effetti non si riveleranno troppo affidabili, e così nella tranquilla cittadina cominceranno una serie di sparizioni e di omicidi…
Ve la state facendo sotto? Pensate che il film a questo punto si trasformi in un agghiacciante e sanguinoso thriller?
No, tranquilli. Le cose non vanno così. Fido si mantiene sulle coordinate della comedy dal forte gusto retrò. Tutto perfetto, tutto preciso, tutto carino, però allo stesso tempo il film non morde mai. Non come ci si aspetterebbe da una pellicola zombie. Parte da uno spunto curioso e abbastanza originale, ma lo sviluppa in maniera prevedibile e ordinaria. Non straborda né nell’horror, né nel thriller, ma nemmeno come commedia funziona davvero. Non fa ridere, non commuove come a un certo punto sarebbe lecito pensare, attraverso una possibile love story tra lo zombie e Carrie-Anne Moss, accenna qualche riflessione interessante sia sulla condizione dell’essere uno zombie, così come sull’ipocrisia dell’apparentemente perfetta e ordinata società americana, eppure non ha il coraggio di andare fino in fondo e mettere a segno qualche colpo.
Fido resta così un filmetto fedele e caruccio come un cane da passeggio, senza la forza di un rottweiler o il morso di un bulldog. Una visione piacevole, ma che non si trasforma in un cult. E sì che quando si parla di zombie, il cult scatta quasi in automatico.
Sarebbe stato interessante vedere cosa avrebbe cavato fuori da una storia del genere Tim Burton. Intendo il Tim Burton vivo dei vecchi tempi, non quello trasformato in zombie dalla Disney delle ultime opache pellicole.
Comunque, la riflessione più bella sugli zombie io l’ho trovata non in un film su di loro, bensì in una serie tv sui paramedici, Saved, dove il protagonista diceva:
“Forse ho scoperto quello che hanno gli zombie di bello… Dentro non sentono niente. Vanno avanti e basta.”
Quello che succede a Vegas…resta a Vegas. E speriamo se
ne resti pure lì.
Non che sia una serie terribile, la new-entry Vegas. È
anzi un prodotto ben realizzato e l’episodio pilota si lascia seguire senza
problemi. Il problema è solo un altro: non sembrano esserci grossi motivi per
proseguire a seguirla. Questione mica da poco, per un telefilm.
Incuriosito anche dal fatto che si parla spesso di
riaperture di casinò in Italia, mentre addirittura la Russia cancella le tasse sul gioco, come modo per rilanciare il turismo, mi aspettavo una
vicenda che potesse essere maggiormente incentrata sul gioco d’azzardo e che
potesse magari svilupparsi in maniera più complessa. Una sorta di versione
commerciale di Boardwalk Empire o qualcosa del genere. Fondamentalmente si
tratta invece di un altro, solito, ennesimo, miliardesimo crime con episodi
autoconclusivi e sviluppi orizzontali della trama che si preannunciano rari e
poco interessanti anche per quanto riguarda i prossimi episodi. Una specie di CSI:
Las Vegas, 60s Edition. Solo che all’epoca non c’erano ancora grosse tecniche
scientifiche e allora ci si doveva affidare all’intuito dello sbirro-sceriffo
Dennis Quaid. Erano proprio a posto, allora.
"Ma negli anni '60 non andavano forte i Beatles?
Perché voi vi siete vestiti da Village People?"
Le particolarità di Vegas sono due, ma non è che siano
poi ‘ste grosse particolarità. La prima, come è facile intuire dal titolo, è
che è ambientata a Las Vegas. Solo che c’è già stato CSI original che va avanti
ormai da decenni e allora non è una grossa novità.
La seconda particolarità è che a livello temporale è
ambientata negli anni ‘60. Anche questa non una grossa novità, visto che dopo
Mad Men è diventata una consuetudine andare a riscoprire quel decennio in tv,
con alterni risultati, si vedano gli sfortunati Pan Am (cancellato dopo una
stagione) e The Playboy Club (durato appena una manciata di episodi). Se un
paragone con Mad Men è del tutto improponibile, Vegas non sembra possedere
nemmeno il fascino glamour delle altre due. I 60s qui rispolverati mostrano una
Las Vegas in cui i primi casinò cominciavano a diventare il fulcro della futura
capitale del gioco d’azzardo mondiale. Una città che si stava trasformando in
un enorme Luna Park/centro commerciale ancora immerso però in un’atmosfera
western. L’ambientazione è quindi l’elemento più interessante di una serie che
per il resto da offrire ha davvero poco, se non come accennato i soliti
sviluppi crime.
È in mezzo al territorio desertico del Nevada che,
subito in una delle prime scene, viene ritrovata una ragazza morta. Se vi viene
in mente Twin Peaks, scordatevelo. Quello è tutta un’altra cosa. Se vi viene in
mente The Killing, pure quello è tutta un’altra cosa. Qui il caso della ragazza
viene infatti risolto subito entro la fine dell’episodio, non lasciando spazio
a ulteriori sviluppi, ma lasciando prevedibilmente solo spazio a un nuovo caso
della settimana, come in qualunque altro crime procedural.
"In questo casinò non si vince nulla, devo arrestarvi per truffa."
"Ma la colpa non è nostra, è solo passato da queste parti un certo O'Mara..."
A non costituire un motivo di attrattiva nei confronti
di questa neonata serie contribuiscono poi personaggi anonimi e attori poco
eccezionali.
Innanzitutto, una serie che sfoggia come protagonista Dennis Quaid parte già menomata. Non so
cosa sia successo, a Dennis Quaid. Un grande interprete non lo è mai stato.
Quello no. Però negli ultimi anni sta dando davvero il peggio di sé, apparendo
in qualunque filmaccio e con interpretazioni da mettersi le mani tra i capelli;
cito solo i suoi film arrivati negli ultimi tempi come Che cosa aspettarsi
quando si aspetta, Beneath the Darkness, Legion e il remake di Footloose. Tra
un Mad Men che sfoggia un Jon Hamm e un Boardwalk Empire che vanta uno Steve
Buscemi, questo Vegas con un agghiacciante Dennis Quaid in versione solito
sceriffo vecchio stile fa davvero una figura pessima. E questo lo si capisce
già dopo pochi istanti di visione.
Se poi, nella parte del fratello, gli affianchiamo pure
Jason O’Mara, le cose si mettono davvero male. Jason O’Mara, per chi non lo
sapesse, porta infatti più sfiga di un certo cantante di canzoni dai testi
raffinati come Bella stronza e Vaffanculo che preferisco non nominare nemmeno
altrimenti mi esplode il sito. Che serie
ha fatto, O’Mara?
In Justice, chiusa dopo una stagione.
Life on Mars, durata una stagione.
Terra Nova, (giustamente) bandita dal piccolo schermo
dopo… una stagione.
Quanto pensate durerà allora questa Vegas?
"Tranquilli. raga. Con me nel cast, questa serie
è destinata a durare anni. Forse decenni!"
Un po’ meglio vanno le cose con il resto del cast, ma
non è che ci vada molto. Michael “La cosa” Chiklis dopo l’inguardabile No
Ordinary Family ci riprova pure lui in tv, con un ruolo da villain che sembra
riportarlo dalle parti di The Shield, però in versione italoammericana.
Carrie-Anne Moss, la Trinity di Matrix, è brava ma ha una parte piuttosto
anonima ed è del tutto sprecata, e poi come ggiovane della serie c’è Taylor
Handley, già pazzo psicopatico in The O.C., qui in una parte da scapestrato
playboy che appare stereotipata ma che potrebbe farlo diventare il personaggio
“simpa” della serie.
Molto professionale la realizzazione tecnica, con la
regia del pilota firmata dal buon mestierante James Mangold, uno che tra Walk
the Line - Quando l’amore brucia l’anima e Quel treno per Yuma di atmosfere
country-western se ne intende, mentre la sceneggiatura è co-firmata da Nicholas
Pileggi, già autore degli script (tratti pure da suoi stessi libri) per gli
scorsesiani Quei bravi ragazzi e Casinò. Uno che insomma di gioco d’azzardo +
criminalità se ne intende.
Vegas si preannuncia allora come una serie
guardicchiabile se proprio non ci fosse niente di meglio in circolazione. Ma
visto che di serie strepitose o quanto meno parecchio interessanti in giro ce
n’è sono a bizzeffe, perché perdere tempo a puntare i propri soldi su un
telefilm con protagonista Dennis Quaid?
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