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venerdì 27 settembre 2013

LA FINE DI DEXTER




Il finale di Dexter è
***ATTENZIONE SPOILER***
una merda
***FINE SPOILER***

Dexter
(serie tv, stagione 8)

D’ora in poi, “Fare la fine di Dexter” potrebbe diventare sinonimo di “Fare una brutta fine” ed essere usata in frasi di uso comune, come "Bambini, attenti che se continuate così fate la fine di Dexter".
Un sacco di serie peggiorano nel corso del tempo. Quando si tira le cose troppo per le lunghe, d’altra parte, è inevitabile. Il primo e più evidente caso si è avuto con Happy Days: quando alla quinta stagione gli autori, che ormai non sapevano letteralmente più che pesci pigliare, decisero di far saltare Fonzie con gli sci nautici sopra a uno squalo, quello fu il momento in cui la serie era ormai giunta a un punto di non ritorno nello schifezzometro. Da allora in poi "Salto dello squalo" è l'espressione che si usa per definire una serie che si è ormai smerdata. Dexter è stata una di quelle serie che hanno subito lo stesso sventurato destino.
Partita in maniera interessante, sebbene con qualche debito di troppo nei confronti dell’American Psycho di Bret Easton Ellis, di cui rappresentava una versione più seriosa, la serie c’ha messo un po’ a carburare. Ma poi ce l’ha fatta. Prima di crollare definitivamente.

All’indomani della conclusione di uno dei telefilm più amati dell’ultimo decennio, è allora lecito porsi una domanda: qual è stata l’importanza di Dexter all’interno del panorama televisivo?
Dexter è stato fondamentalmente un personaggio rivoluzionario inserito all’interno di una serie non poi così rivoluzionaria. I vari episodi e le varie stagioni sono infatti state costruite come una leggera variante del crime procedural classico. Laddove in quello di solito l’episodio si conclude con la cattura e l’arresto dell’assassino, qui invece troviamo il criminale nelle mani del protagonista. Più che nelle mani, avvolto nel nylon da Dexter, il serial killer dei serial killer. Non il tipico protagonista di una serie, eppure in grado poco a poco di risultare simpatico, o più o meno simpatico, nei confronti dello spettatore.
Lo schema da crime tipico è stato seguito dagli episodi soprattutto all’inizio, mentre più in là le trame hanno cominciato a svilupparsi maggiormente in orizzontale, puntando ad approfondire la psicologia del protagonista e puntando forte anche sul “cattivone” stagionale. Ed è proprio da questo villain che è dipesa ogni volta la maggiore o minore riuscita delle varie season. Non a caso il miglior ciclo di episodi, il quarto, coincide proprio con il cattivo più pericoloso e inquietante, Trinity, interpretato da un magistrale John Lithgow, mentre la serie è scaduta nel ridicolo totale nel corso della sesta stagione, per colpa della inverosimile coppia di villain di turno, il pivello Travis (Colin Hanks, figlio raccomandato di Tom) e il Prof. Gellar.
La serie ha vissuto quindi alti e bassi, con il vertice assoluto - in positivo - toccato nel finale raggelante della quarta stagione, quando Dexter ritrova il cadavere della sua amata Rita (Julie Benz) in uno dei cliffhanger più sconvolgenti mai visti. Nelle ultime tre stagioni, a partire proprio da quella con Mignolo, pardon Travis e il Prof., c’è però stato un calo qualitativo impressionante nelle sceneggiature, con una ripetitività nelle situazioni e l’inserimento di poco convincenti svolte in territori da soap-opera, con Dex conteso tra la la sua sboccata sorellastra Debra (Jennifer Carpenter) in tragici momenti incestuosi e la sventolona bionda Hannah (Yvonne Strahovski).
Pensate al Dexter dei primissimi tempi. Del sesso non gliene importava nulla. Tutto quello che voleva fare era uccidere uccidere uccidere. Poi è arrivata lei…


E persino Dexter non ha più capito nulla. C’è poco da fare, anche se sei un serial killer vale il detto: tira più un pelo di figa, che un carro di sangue.
La serie si è così trasformata da così...




A così: un incrocio tra Dawson's Creek...


e True Blood...


Prima di crollare con le ultime stagioni, Dexter il personaggio ha però rappresentato qualcosa di davvero nuovo e unico all’interno del panorama seriale, in maniera analoga al Dr. House, anch’esso un personaggio fenomenale protagonista di una serie per il resto non sempre convincente e portata avanti in maniera discontinua.
Un personaggio come Dexter si sarebbe quindi meritato un finale migliore, magari come quello splendido avuto proprio dal Dr. House. Persino una serie come Gossip Girl, che nel corso degli anni ha disintegrato ogni limite del ridicolo, con l’ultimo episodio è riuscita a trovare una sua quadratura, a ricollegarsi alle sue origini e a dare una chiusura più o meno coerente con il suo spirito iniziale.

***ATTENZIONE DA QUI IN POI SPOILER SULL'OTTAVA STAGIONE***
Cosa che gli autori di Dexter non sono riusciti a fare, lasciando andare il telefilm alla deriva come il protagonista nella penultima scena. Che si fosse conclusa lì, in mezzo al mare, sarebbe stata una fine schifosa, ma ancora ancora quasi decente.
Invece no. Invece è arrivata l’ultimissima sequenza, con Dexter ritiratosi a vita privata, a fare tipo il camionista. WTF???

Un finale più appropriato secondo me avrebbe dovuto mostrarci un Dexter ambiguo, un Dexter pronto ancora a uccidere, con una scena che ce lo presentava lì lì sul punto di ammazzare qualcuno e poi… the end, cala il sipario, lasciandoci incerti. Dexter ucciderà ancora, oppure frenerà i suoi istinti?
O non sarebbe stato male vedere Dexter catturato. O ancora vedere Dexter che si costituisce, ammette finalmente i suoi crimini e si prende le sue responsabilità. Io, personalmente, come ideale conclusione l’avrei fatto friggere sulla sedia elettrica. Un finale giustizialista per una serie giustizialista.

Il finale scelto dagli autori ci lascia invece un Dexter in versione martire, che ha sacrificato tutto per amore del figlio, e ancora ci può stare, e di Hannah, una pazza assassina che agli inizi della serie non avrebbe esitato a far fuori a sangue freddo e a cui invece affida il suo bimbo. Hanno voluto dare a Dexter un finale alla Pinocchio, con il burattin… pardon il serial killer che finalmente diventa umano. Una scelta in linea con la filosofia tipica dell’American way of life che tutti possono cambiare, persino gli psyco assassini, ma poco in linea con quella che era la serie, almeno nei primi tempi.
Una scelta discutibile, per di più realizzata in maniera pessima, con degli effetti speciali da far rimpiangere Sharknado, e buttata lì in maniera frettolosa, dopo aver sprecato l’intera stagione con trame ripetitive e sottotrame inutili. La vicenda di Masuka (C.S. Lee) che scopre di avere una figlia, ad esempio, l’hanno messa lì malaccio, come riempitivo, e poi? Nell’ultima puntata Masuka dove cazzo è finito?
Lo so che era un personaggio minore, però potevano fargli fare qualcosa, fargli dire una battutina, a lui che era il personaggio simpa della serie. Invece niente.
Noi comunque lo ricorderemo così...


e così...


È anche da questi piccoli dettagli, che poi tanto piccoli non sono, che si capisce come gli autori abbiano sprecato tutto con noncuranza. Altra piccola cosa: perché la canzone che la dottoressa Vogel (Charlotte Rampling) ascolta sempre è "Make Your Own Kind of Music", pezzo anni '60 di Mama Cass Elliot già riportato in auge da Lost, dove era suonato in vari episodi? Con tutte le canzoni del mondo, proprio una usata da un'altra serie, tra l'altro non proprio sconosciuta?
Dettagli a parte, sono pure le questioni centrali a essere state gettate nel cesso: vogliamo parlare della fine che fanno fare alla povera Deb? Un momento sta bene e quello dopo è un vegetale. Ma ‘ndo stiamo? In una puntata di Grey’s Anatomy?
Per non dire del modo in cui Dexter porta via il suo cadavere sotto gli occhi di tutti. Vabbè che c’è un tornado in arrivo, però possibile che mai nessuno si accorga di niente? E come si fa a credere che una sventolona ricercata come Yvonne Strahovski riesca pure lei a passare inosservata, senza manco fare lo sforzo di cambiare colore di capelli o indossare un cacchio di paio di occhiali? Capisco la sospensione dell’incredulità, ma a Miami sono tutti storditi come le Pretty Little Liars? 

Se vogliamo essere generosi, l’ottava stagione non è nemmeno stata del tutto da buttare e sotto certi aspetti ha rappresentato un lieve miglioramento rispetto alle disastrose season 6 e 7. Il cattivone di turno (interpretato dall'attore islandese Darri Ingolfsson), il figlio con gli occhi da cocainomane più che da psicopatico della soporifera Vogel, anche questa volta è stato pessimo piuttosto che no, eppure se non altro si è scaduti meno sui sentieri del trash.
Nonostante una stagione mediocre, era comunque lecito sperare che almeno per l’ultima puntata ci sarebbe potuta essere una chiusura degna. E invece…
Invece è arrivato un finale in cui persino lo stesso Michael C. Hall pare rimanerci male, con quello sguardo svuotato.


Certo, poteva andare ancora peggio. Poteva esserci un happy ending con Dexter in Argentina a ballare il tango. Però diciamo che, tra tutti i finali possibili, quello scelto è stato il secondo peggiore. A pensarci bene, in fondo in fondo allora forse è una conclusione coerente con il comportamento del protagonista. Gli autori hanno ucciso la serie in maniera spietata. Sono loro i veri killer, altroché Dexter.
(voto all’ottava stagione 4,5/10
voto al series finale 3/10)

"Dopo aver letto questa recensione, potrei tornare a uccidere!"

lunedì 24 ottobre 2011

La malinconia di Kirsten Dunst e delle sue pere al vento

Melancholia
(Danimarca, Svezia, Francia, Germania 2011)
Regia: Lars Von Trier
Cast: Kirsten Dunst, Charlotte Gainsbourg, Kiefer Sutherland, Alexander Skarsgard, Stellan Skarsgard, John Hurt, Charlotte Rampling, Udo Kier, Brady Corbet, Cameron Spurr
Genere: fine del mondo
Se ti piace guarda anche: The Tree of Life, Donnie Darko, Festen, La malinconia di Haruhi Suzumiya

C’è una sottile linea (rossa) che congiunge The Tree of Life di Terrence Malick alla Melancholia di Lars Von Trier. Non che siano poi così simili, Melancholia è più dialogato, più narrativo, più fisico. Uno rappresenta la cosmogonia, l'altro la cosmoagonia. Insomma, per certi aspetti sono opposti, vedi anche la reazione all’ultimo Festival di Cannes dove uno ha vinto e l’altro è stato cacciato, ma in un certo qual modo è come se entrambi i registi avessero voluto dare la loro personale risposta alla bruttezza imperante della reality-tv, così come dei video caricati su YouTube in bassa qualità. Entrambi hanno fatto due film esteticamente estasianti, in cui comunque i contenuti sono ben presenti e dicono cose importanti sulla vita, sulla morte, sul mondo. Basta solo saperle vedere, le cose.



Che Kaiser Von Trier abbia voluto fare la sua opera più visivamente curata lo si capisce fin da una scena d’apertura di raggelante, splendida, pittorica bellezza, che in una manciata di minuti spazza via anni di cinema catastrofico di Roland Emmerich.
Il ralenty usato è uno dei pochi punti di contatto con il precedente Antichrist, film molto controverso che ha suscitato reazioni parecchio contrastanti (chi ha parlato di capolavoro, chi di schifezza, io per una volta sto nel mezzo e dico che è stato una delusione ma al suo interno aveva anche elementi interessanti). E anche questo film dividerà. Certo, il pubblico che andrà a vederlo aspettandosi un bel blockbusterone catastrofico rimarrà alquanto sconcertato, un po’ come chi andando a vedere The Tree of Life si immaginava un drammone strappalacrime con i superdivi Pitt & Penn, o chi da Somewhere di Sofia Coppola si attendeva una spassosa celebrazione della vita di una star hollywoodiana, o ancora chi ha fremuto in poltrona aspettando che in Drive di Refn a un certo punto il protagonista Ryan di O.C. (ah perché, non era Ryan di O.C.?) facesse due freni a mano insieme a Vin Diesel.
Al punto che negli Stati Uniti (e questa non è una notizia da me inventata, ma una cosa successa davvero) una certa Sarah Deming ha fatto causa alla distribuzione di Drive perché il trailer prometteva secondo lei una pellicola in stile Fast & Furious e invece il film era tutt’altra cosa.
Che la signora in questione sia per caso parente di un certo Vasco Rossi, l’uomo dalla denuncia facile?

Alla fine quindi è tutta una questione di aspettative. Io personalmente quando vengo colto di sorpresa da qualcosa che ribalta le mie aspettative il più delle volte sono contento. Se vado a un appuntamento al buio e mi si presenta davanti un uomo anziché una donna magari non è proprio la sorpresa più gradita del mondo, però  in genere mi piace essere sorpreso. E se poi l’uomo è Jared Leto, oh lo si fa andare bene lo stesso.
La gente (sì, sto facendo un discorso generalista, lo so che non è giusto ma tant’è: è il mondo a non essere giusto) invece vuole vedere proprio ciò che si aspetta. Sempre. Altrimenti chiede indietro il prezzo del biglietto. O un risarcimento, vedi signora di sopra.
E prevedo che un sacco di gente che andrà a vedere Melancholia chiederà indietro il prezzo del biglietto. E un sacco di risarcimenti. Però certo che per chiedere indietro i soldi di un film in cui Kirsten Dunst compare nuda bisogna avere un senso della bellezza alquanto ottenebrato, per non dire inesistente.
Ma la gente chiederà il risarcimento.
Perché la gente è noiosa.
La gente non sa vedere oltre la superficie delle cose.
La gente non la sa vedere, la bellezza.
E io sto generalizzando.
Proprio la stessa cosa che fa la gente.

Qualche anticipazione su quanto vi aspetta se avrete il coraggio e l’incoscienza di addentrarvi in questo ennesimo, spudorato, esagerato viaggio nel mondo della mente malata del genio Von Trier?
La pellicola è divisa in due parti, che potrebbero sembrare piuttosto sconnesse e disomogenee tra loro ma in realtà sono speculari e procedono sulla stessa traiettoria, come due pianeti che gravitano vicini, fino a che si scontrano. È inevitabile.



Nella prima, Kirsten Dunst e Alexander Skarsgard si sposano per tentare di guadagnarsi il titolo di coppia più bella del mondo e ci dispiace per gli altri, anche per Celentano e consorte. I due sono così belli, bianchi e biondi che insieme potrebbero realizzare il sogno di Lars Von Trier di dare vita alla razza perfetta.
Prima che mi arrivi una richiesta di rettifica, specifico: non intendo sostenere che Lars Von Trier sia un nazi. Anche perché tanto ci pensa già lui a definirsi tale.
“Capisco Von Trier, credo che abbia fatto delle cose sbagliate, come il non del tutto riuscito Antichrist, ma riesco a vederlo seduto nel suo bunker. Credo di capire l'uomo, non è quello che definirei un “bravo ragazzo”, ma credo di comprenderlo.”
Dopo questa dichiarazione verrò considerato “persona non grata” dal mondo dei blogger?

Nella prima parte, la storia è tutta dedicata alla festa post-nozze della coppia di superfighi, innamorati, innamoratissimi. Sembrerebbe. Lei pubblicitaria geniale e di successo, lui uomo più fortunato del mondo solo per averla sposata. La seconda parte è invece incentrata maggiormente sulla sorella della protagonista, ovvero Charlotte Gainsbourg, che si dimostra la donna più coraggiosa del mondo tornando a lavorare con l’Anticristo Lars dopo essere stata martoriata in Antichrist.
Ma tranquilli, perché Kirsten è presente pure in questo seconda orbita del film. Ed è fenomenale, tra l’altro, anche se forse la mia parola non è delle più obiettive. Kirsten Dunst è sempre stata una delle mie attrici culto fin dai tempi di Jumanji e Intervista col vampiro (dove era la vampira condannata a rimanere bambina per sempre), arrivando poi a dare il meglio di sé con Sofia Coppola nella rappresentazione della bellezza eterna ne Il giardino delle vergini suicide e con lo stravolgimento del cinema storico nel super fashion Marie Antoinette, fino ad arrivare alla parentesi “commerciale” ma pur sempre cinematograficamente ottima nei panni della rossa Mary-Jane in Spider-Man.

In Melancholia Kirsten interprete il suo ruolo più estenuante a livello fisico (ma rispetto ad altre donne vontriereriane le è ancora andata bene, vada a chiedere a Nicole Kidman, Bjork o alla collega di set Gainsbourg), con una performance quasi da cigno nero in cui la vediamo sprofondare progressivamente sempre di più negli inferi, della sua anima o di una forza superiore, questa è una domanda interessante. Il suo andamento è infatti lunatico, o meglio melancholico visto che più che dalla Luna o dal ciclo mestruale il suo umore dipende dal pianeta Melancholia. O forse è lei a controllare il comportamento dei pianeti, come nel geniale anime La malinconia di Haruhi Suzumiya? Di certo c’è che il premio di miglior attrice all’ultimo Cannes è stato davvero azzeccato, così come quelli a The Tree of Life di miglior film e a Refn per la miglior regia. Quest’anno mi sento totalmente in linea con le scelte di Robert De Niro e del resto della giuria del Festival. Devo cominciare a preoccuparmi? Il mondo sta davvero per giungere al termine?

Grandioso anche tutto il resto del cast, con Lars che si dimostra un fan di 24: ha chiamato il mitico Jack Bauer al secolo Kiefer Sutherland per un ruolo (finto) rassicurante e pure il giovane Brady Corbet, presente nella 5a stagione, mentre per quanto riguarda lo stile cinematografico rimane lontano dai ritmi adrenalinici e dagli split-screen della serie. Ma forse il buon (buon si fa per dire) Lars è anche un fan di True Blood, visto che ha chiamato il vampiro Eric al secolo Alexander Skarsgard (ho sentito le urla delle fan vampirelle fin da qui!), accompagnato da suo padre Stellan, già habituè del regista, visti i suoi precedenti ne Le onde del destino, Dancer in the Dark e Dogville; però il Lars, che le scontatezze proprio non le ama, non gli ha dato lo scontato ruolo di padre dello sposo, bensì quello del capo della sposa. Altrettanto bastarda si può considerare anche la scelta di due grandi attori come John Hurt e Charlotte Rampling nei panni dei genitori della sposa per poi metterli un po’ in disparte, quando invece i loro personaggi avrebbero potuto avere maggiore spazio. Ma il fascino del cinema di Von Trier sta proprio in questo: non ti dà ciò che ti aspetti, ti dà qualcos’altro.

Se dai film precedenti Lars Von Trier appariva nelle vesti di sadico misogino, con questo Melancholia emerge un’altra realtà: forse il vero Von Trier non va cercato nei personaggi maschili delle sue pellicole, ma in quelli femminili. Se qui il personaggio indubbiamente più vicino al regista è quello di Kirsten Dunst, pere al vento a parte, chissà che anche nei suoi precedenti la martorazione delle varie Emily Watson, Nicole Kidman e Bjork non fosse in realtà un’autopunizione. Chissà? Chissà? E forse non è nemmeno lui ad essere un nazi. È il mondo ad esserlo.



Melancholia è una visione folgorante, un film immenso quanto un pianeta che procede solenne la sua inarrestabile rotta insieme al prelude del Tristano e Isotta di Wagner che funge da leitmotiv musicale. Qualcuno (leggi molti) lo troveranno pretenzioso o noioso, a me invece ha tenuto incollato allo schermo dall’inizio alla fine. È infettivo, contagia come una malattia e non se ne va più dalla tua mente nemmeno nei giorni successivi alla visione. Più che un film sulla fine del mondo, un film sulla depressione. Che per Lars Von Trier, qui alle prese con il suo Donnie Darko personale o forse solo con la paranoia da calendario Maya, alla fine sono la stessa cosa.
La Terra è corrotta
non c’è alcun bisogno di affliggersi per lei
nessuno ne sentirà la mancanza.

(voto 10/10 e se non siete d’accordo vi spedisco in vacanza premio sul pianeta Melancholia in compagnia di Lars Von Trier)

lunedì 8 agosto 2011

Ludivine... doppia Ludivine... Ludivine coi fiocchi

Swimming Pool
(Francia, UK 2003)
Regia: François Ozon
Cast: Charlotte Rampling, Ludivine Sagnier, Charles Dance, Jean-Marie Lamour, Marc Fayolle, Lauren Farrow
Genere: vacanze alternative
Se ti piace guarda anche: Crime d’amour, Shining, Paper Man, La piscina

Charlotte Rampling è una donna inglese di mezza età, autrice di best-sellers gialli con protagonista il solito detective. Un po’ una Camilleri al femminile. Stanca del personaggio e di scrivere sempre le stesse cose, va a starsene per qualche tempo in una villetta in Francia prestatale del suo editore/amante. Appena arriva in casa sistema le sue cose, vede un crocifisso appeso e lo toglie dalla parete. Solo per questo mi sta già simpatica. Peccato che per il resto sia una inglese vecchio stampo con un orrido gusto nel vestire e una “scopa piantata nel culo”.
Il film sembra procedere nella direzione di una commedia romantica in cui la protagonista è destinata a ritrovare il senso della vita e il piacere delle piccolo cose stile Sotto il sole della Toscana, solo che sarebbe sotto il sole della Francia, con la Rampling pronta a farsi montare da un qualche giovane stallone locale. Solo che i francesi, si sa, sono notoriamente frou frou e così no Raoul Bova, no party. Sorry, Charlotte.
In compenso però a sorpresa le piomba in casa la figlia del suo editore, una delle più grandi fighe (e attrici) della Francia e forse del mondo intero: Ludivine Sagnier. La giovine inevitabilmente le sconvolge la sua routine quotidiana, piantando casino al telefono, facendo il bagno nuda nella swimming pool e scopandosi ogni notte un qualche vecchiazzo rimorchiato giù in paese.
Pensieri Cannibali vi ricorda che l'uso di droghe & alcool è male. Forse...
Se all’inizio la donna rimarrà inorridita e sconvolta dal suo comportamento, con il passare del tempo si affezionerà a Ludivine e alle generosamente sue esibite tette da capolavoro botticelliano. Come in Crime d’amour, un altro rapporto/scontro tra donne, per una pellicola dai ritmi lenti, ma dal coinvolgente e sensuale fascino.
Firmato da François Ozon, uno dei più chic tra i molti registi chic francesi, un tuffo nei meandri della psiche femminile. O forse solo nella psiche femminile immaginata da una psiche maschile, ma è meglio se mi stoppo qui comincio a parlare come Alfonso Luigi Marra, famigerato autore de Il labirinto femminile. E ciò non è bene per la mia, di psiche.
(voto 7,5)


Crime d'amour
(Francia 2010)
Regia: Alain Corneau
Cast: Ludivine Sagnier, Kristin Scott Thomas, Patrick Mille, Guillaume Marquet, Gérald Laroche, Julien Rochefort, Olivier Rabourdin, Marie Guillard
Genere: donne contro
Se ti piace guarda anche: Swimming Pool, Uomini che odiano le donne, Kill Bill

Cat fight. Battaglia tra donne. In questo caso non ci troviamo di fronte a dei combattimenti veri e propri, come in Kill Bill o nel soft porno Bitch Slap, bensì in una sfida a un livello più sottilmente psicologico. È affascinante ed eccitante vedere un conflitto del genere quasi quanto guardare una battaglia nel fango. Se gli uomini infatti di solito si danno a gara per “chi ha il cazzo più lungo”, ovvero buttando la competizione su un piano di ostentazione superficiale su chi è più ricco, chi ha l’auto/l’aggeggio tecnologico più fico o chi tromba di più, qui la situazione si fa maggiormente complessa. Le donne, almeno quelle di queste due pellicole francesi, sembrano sfidarsi su terreni più sottili, se vogliamo più profondi, come chi è più felice o chi è più amata. Ma soprattutto: le donne tra di loro sanno essere davvero diaboliche.

Protagonista di questa mini rassegna sul cinema francese, la cui visione è nata su assist dell’ottimo blog Chicken Broccoli, è Ludivine Sagnier: una meraviglia, bastano le immagini e i video più di mille parole. Una sorta di incrocio tra Blake Lively e Melanie Laurent, con un pizzico di Chloë Sevigny. E scusate se è poco. Ma a parte questo è anche un’attrice pazzesca che qui offre un’interpretazione a dir poco strepitosa.
"Davvero fico questo blog, com'è che si chiama? Ah, Pensieri Cannibali!"
Il suo personaggio è quello di una giovane donna in carriera che viene sfruttata dalla sua capa, una perfida Kristin Scott Thomas, che usa le sue idee per farsi figa e per di più la umilia pubblicamente. Una situazione che sconfina spesso e volentieri anche nel mobbing, però il rapporto tra le due è più complesso di quanto potrebbe sembrare. Tra loro c’è una certa attrazione, oltre alla rivalità. Sono due figure enigmatiche e in qualche modo simili, ma preferisco non svelare altro e suggerirvi piuttosto la visione del film, diviso nettamente in due parti: la prima percorsa da un teso crescendo psicologico in cui l’odore della vendetta si stende nell’aria, la seconda attraversata da una spinta da giallo più tradizionale. Se vogliamo la spiegazione del caso è un po’ troppo didascalica, ma il mistero vero è un altro e rimane avvolto nell’incertezza insieme al volto della protagonista fino all’ultimo fotogramma.

Un gran bel film, un thriller sottile tra i migliori visti quest’anno, con una colonna sonora usata con grande parsimonia ma in maniera ottima e una Kristin Scott Thomas che tiene testa a una Ludivine Sagnier superbe, tres bien, charmant e con questo direi che ho finito il mio francese e pure il post.
(voto 7/8)

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