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lunedì 13 maggio 2019

La diseducazione di Cannibal Kid





I kissed a girl, and I liked it. Mi stavo baciando con una ragazza, quand'ecco che mi hanno prelevato e portato via. Senza manco fare in tempo a ribattere qualcosa. Mi sono ritrovato all'improvviso in un centro di conversione. Un centro di conversione per eterosessuali. Avevo già visto qualcosa del genere, ma solo nei film e si trattava di terapie di conversione per omosessuali. È quanto avevo assistito in Boy Erased - Vite cancellate di Joel Edgerton con lo stesso inespressivo Joel Edgerton e con Lucas Hedges, un film un po' troppo tradizionale, ruffianotto e da Oscar per i miei gusti. E a quanto pare troppo ruffianotto e non abbastanza da Oscar persino per l'Academy, che alla pellicola non ha sganciato manco mezza nomination. Nemmeno per comprimari di lusso, e qui parecchio svogliati, come Nicole Kidman e Russell Crowe.

venerdì 8 aprile 2016

La quinta onda. Ma scusate, e le prime quattro?






Gli alieni hanno architettato un piano diabolico per conquistare le giovani menti più impressionabili. Il loro piano non consiste in un'invasione bellica, con armi, bombe e distruzione. Hanno deciso di giocarla in maniera differente, scegliendo di entrare dentro i cervelli dei nostri ragazzi e ragazze con alcune serie young adult, sia letterarie che cinematografiche. Un piano che consiste, almeno al momento, di cinque fasi, o meglio cinque onde. Eccole.

La prima onda
I maghetti

martedì 27 ottobre 2015

Dark Places - Nei posticini oscuri di Charlize Theron





Dark Places - Nei luoghi oscuri
(USA, UK, Francia 2015)
Titolo originale: Dark Places
Regia: Gilles Paquet-Brenner
Sceneggiatura: Gilles Paquet-Brenner
Tratto dal romanzo: Nei luoghi oscuri di Gillian Flynn
Cast: Charlize Theron, Nicholas Hoult, Christina Hendricks, Tye Sheridan, Chloë Grace Moretz, Sean Bridgers, Corey Stoll, Drea de Matteo
Genere: dark
Se ti piace guarda anche: Devil's Knot - Fino a prova contraria, Rectify, Cold Case

Signora Gillian Flynn, lei è condannata. Condannata a saper scrivere dei buoni thriller. Lo dico senza manco aver mai letto una pagina dei suoi lavori. Mi è bastato vedere L'amore bugiardo - Gone Girl per capirlo e con Dark Places ne ho avuto la conferma. Dark Places quindi è un nuovo giallo della Madonna?
No. Poteva tranquillamente esserlo se sulla sedia da regista si fosse seduto di nuovo David Fincher, o un nome analogo. Ammesso e non concesso siano in circolazione nomi analoghi a David Fincher e ne dubito. Forse giusto Brian De Palma oggi come oggi può essere considerato un thrilleraro degno del confronto. Di certo non lo è Gilles Paquet-Brenner, l'autore francese di questa trasposizione cinematografica che aveva già girato il valido La chiave di Sara e il ridicolo Walled In - Murata viva e che qui dirige in maniera anonima, una volta si sarebbe detto “televisiva” in senso dispregiativo, ma al giorno d'oggi risulterebbe semmai un complimento.

mercoledì 11 marzo 2015

GESÙ, GIUSEPPE E SILS MARIA, KRISTEN STEWART SA RECITARE!





Sils Maria
(Francia, Svizzera, Germania, USA, Belgio 2014)
Titolo originale: Clouds of Sils Maria
Regia: Olivier Assayas
Sceneggiatura: Olivier Assayas
Cast: Juliette Binoche, Kristen Stewart, Chloe Grace Moretz, Johnny Flynn, Angela Winkler, Lars Eidinger, Hanns Zischler, Claire Tran, Brady Corbet
Genere: metacinematografico
Se ti piace guarda anche: Maps to the Stars, Birdman, Demonlover, Il mistero dell'acqua

Ci sono cose che uno non si immaginerebbe mai di dire in tutta la sua vita.
Cose tipo: “Maurizio Gasparri ha detto proprio una frase intelligente!”.
Oppure tipo: “Che bello l'ultimo film di Paolo Ruffini!”.
O ancora tipo: “Kristen Stewart è davvero un'ottima attrice!”.

Quanto alle prime due, niente è cambiato e credo non cambierà mai. La terza invece mi sono ritrovato con mia somma sorpresa a gridarla, al termine della visione di Sils Maria. Che poi è un'ingiustizia, giudicare un'attrice, o in generale un artista, soltanto per il suo lavoro più noto. Come se Kristen Stewart fosse Bella Swan. Come se il fatto che Twilight sia una cagata pazzesca implichi che la colpa sia della Stewart. Come se il fatto che in quella serie di film reciti sempre peggio, fino a raggiungere in Breaking Dawn - Parte 1 e 2 livelli agghiaccianti, significhi per forza che come attrice non valga niente. O come se il fatto di aver recitato in una saghetta vampiresca commerciale significhi che sia insignificante come il personaggio che ha portato sul grande schermo.

venerdì 14 novembre 2014

RESTA (SECCA) ANCHE DOMANI





Resta anche domani
(USA 2014)
Titolo originale: If I Stay
Regia: R. J. Cutler
Sceneggiatura: Shauna Cross
Tratto dal romanzo: Resta anche domani di Gayle Forman
Cast: Chloë Grace Moretz, Jamie Blackley, Joshua Leonard, Mireille Enos, Liana Liberato, Aisha Hinds, Stacy Keach, Ali Milner
Genere: melodramma
Se ti piace guarda anche: Amabili resti, Ghost, Se solo fosse vero, Colpa delle stelle

È curioso come la vita possa cambiare in un solo istante. Un momento sei lì in auto che ti fai un viaggetto e come accompagnamento decidi di mettere su il nuovo disco di una rock band storica, i Pink Floyd, e poi puff, ti ritrovi in coma. È vero che non sono mai stati il gruppo più scatenato del mondo, però come soundtrack di un trip, mentale ma anche fisico, ci stanno bene. Metto così su sull'autoradio il CD appena masterizz... comprato e partono le prime note di “The Endless River”, e poi...



lunedì 20 gennaio 2014

CARRIE, IL REMAKE CHE MANCO SATANA




Lo sguardo di Satana – Carrie
(USA 2013)
Titolo originale: Carrie
Regia: Kimberly Peirce
Sceneggiatura: Lawrence D. Cohen, Roberto Aguirre-Sacasa
Tratto dal romanzo: Carrie di Stephen King
Cast: Chloë Grace Moretz, Julianne Moore, Gabriella Wilde, Ansel Elgort, Judy Greer, Portia Doubleday, Alex Russell, Zoë Belkin, Samantha Weinstein, Karissa Strain, Katie Strain, Connor Price, Demetrius Joyette, Barry Shabaka Henley
Genere: rifatto
Se ti piace guarda anche: Carrie – Lo sguardo di Satana, Denti, Blood Story, La casa

Io mi chiedo che senso abbia fare il remake di un film d’autore, in questo caso di Brian De Palma. È come fare la copia di un quadro di van Gogh. O fare la cover di un pezzo dei Beatles. Che risultati si può raggiungere? Ben che vada, un’imitazione quasi dignitosa. Mal che vada, un disastro. Posso ancora comprendere il rifacimento di una pellicoletta commerciale che ben si può prestare a un’operazione del genere. Rifare un film d’autore e svuotarlo della parte autoriale è invece un omicidio. Una crudeltà degna di Carrie.

Chi è Carrie?
Carrie in questo caso non è Carrie Bradshaw di Sex and the City. E non è manco quella della lagnosa canzone degli Europe. Carrie qui è Carrie White, la protagonista del romanzo Carrie di Stephen King diventato nel 1976 un cult horror movie firmato da Brian De Palma, Carrie – Lo sguardo di Satana, con protagonista un’inquietante e giovanissima Sissy Spacek. Inquietante non perché giovanissima ma perché era proprio inquietante nei panni di Carrie.

DING DING DING
Ho vinto una bambola di Carrie per aver battuto il record mondiale dell’uso della parola Carrie in un solo paragrafo. Carrieamba! Che sorpresa.

"Non mi sono ancora spuntate le tette, ueeè!"
C’era bisogno di rifare un film così mitico e che anche visto di recente faceva ancora la sua porchissima figura?
No, naturalmente no. Però per soldi si fa questo e altro. Era già capitato di recente con La casa di Sam Raimi, ristrutturata senza l’ironia dell’originale, risuccede ora con questo modestissimo (ma se non altro non orrido quanto La casa 2.0) remake dell’ormai classico di Brian De Palma. Ci va del coraggio, per rifare De Palma. Quentin Tarantino potrebbe essere degno di rifarlo, pochi altri. Di certo non Kimberly Peirce, autrice in passato, ormai 15 anni fa, del pur dignitoso ma non fenomenale Boys Don’t Cry, indie gay movie con protagonista una Hilary Swank generosamente premiata con l’Oscar.
Alle prese con un paragone tanto scomodo, la Peirce cerca di salvare la faccia e, almeno da un punto di vista superficiale, ci riesce anche, grazie a una fotografia curata, una colonna sonora indie cool e a riprese nemmeno troppo malaccio. Allo stesso tempo, è come intimorita e non riesce mai a scostarsi del tutto dall’insuperabile modello originale, finendo per costruire una versione aggiornata al gusto teen contemporaneo e decisamente troppo edulcorata del film 70s depalmiano. È come se fosse il pilot di una serie fantasy di The CW alla The Vampirl Diaries/The Secret Circle.

Per capire come l’operazione sia un fallimento basta la seconda scena. Sulla prima, pessima, con Julianne Moore è meglio stendere proprio un velo pietoso, così come sul finale che è davvero tremendo. Questa seconda scena riprende quella d’apertura del film originale, in cui un gruppo di fanciulle faceva la doccia con le zinne di fuori. D’altra parte, chi fa la doccia vestito? Nel remake, a quanto pare si. Non ci sono scene di nudo. Non si intravede niente. Che cazzo di scena nella doccia è?
Da qui possiamo già capire come i tempi siano cambiati, dal 1976 a oggi, e, anziché andare verso una maggiore libertà nei costumi, come il naturale corso della Storia prevederebbe, è successo il contrario. È la dimostrazione di come, almeno nel cinema USA, il politically correct ha vinto. Ha battuto persino la Storia.

"Uffi, signora maestra, mi sfottono perché mi è appena venuto il ciclo."
"Dannate pompinare!"

"Dite che più che lo sguardo di Satana ho lo sguardo
da bimbaminkia? Beh, mi sa che non avete tutti i torti."
Qualcuno potrà dire che però, se non altro, in questo remake sangue e morti non mancano. Vero, ma sono morti stupide, spettacolarizzate, alla Final Destination, una baracconata. Nel Carrie 2.0 – 2013 Edition non c’è tensione, non c’è paura, non c’è niente. È una visione che procede senza scossoni e ripercorre in maniera prevedibile e impersonale il film di De Palma. Più che un remake, sembra un update, la nuova versione di un software. Sì è aggiunto un tocco moderno, con il bullismo che è diventato cyber grazie all’uso di video diffusi in maniera virale, e Carrie è stata trasformata in una specie di anti-eroina sullo stile del protagonista di Chronicle, però non si va oltre questo. Non è manco un remake. È solo un update.
E qui si ritorna alla domanda iniziale: che senso ha, un’operazione del genere?
Sì, ok, i soldi. Considerando però come non è che gli incassi di questa nuova Carrie siano stati così stellari, evidentemente in pochi sentivano il bisogno di un remake come questo.

Così così persino il cast, sulla carta non male. Julianne Moore recita col pilota automatico la parte della madre bigottona della protagonista, perdendo nettamente il confronto con Piper Laurie. Carrie è invece interpretata da una Chloë Grace Moretz solitamente bravina, ma che qui appare spaesata nella parte ed è ben lontana dagli exploit di (500) giorni insieme e Kick-Ass. E poi ormai – diciamolo – con tutte le sue smorfiette e faccine sta cominciando a stufare. Considerando inoltre come, dopo Blood Story - Let Me In, abbia realizzato il secondo remake horror inutile della sua breve carriera, se continua così la sua breve carriera rischia di rimanere davvero breve.
Chi non ha visto l’originale magari lo troverà un teen-horror di discreta fattura, sebbene sullo stesso genere ci sono in giro cose ben più interessanti e malate come Excision e Denti - Teeth. Ma chi non ha visto l’originale dovrebbe vedersi l’originale con una perfetta Sissy Spacek e rinunciare a dare a questo inutile remake uno sguardo. Di Satana.
(voto 4,5/10)

"La pagherete, per questo remake. La pagherete cara!"

venerdì 29 novembre 2013

JENNIFER LAWRENCE IS IN DA HOUSE, THE POKER HOUSE




The Poker House
(USA 2008)
Regia: Lori Petty
Sceneggiatura: David Alan Grier, Lori Petty
Cast: Jennifer Lawrence, Selma Blair, Chloe Grace Moretz, Sophi Bairley, Bokeem Woodbine, Danielle Campbell
Genere: 70s
Se ti piace guarda anche: Un gelido inverno - Winter’s Bone, Fish Tank

The Poker House è un film tratto da una storia vera.
The Poker House è ambientato negli anni ’70.
The Poker House, nonostante il titolo, non è che parli poi molto di poker. Quasi per nulla.

Tutte queste informazioni non sono importanti. Intendo, in circostanze normali lo sarebbero. Questa però non è una circostanza normale. L’unica informazione davvero rilevante in questa occasione è un’altra.
The Poker House ha per protagonista Jennifer Lawrence, oggi come oggi forse l’attrice più acclamata del mondo, fresca di Oscar e nelle sale mondiali con il mega blockbuster Hunger Games – La ragazza di fuoco. Una giovane già stupenda e già bravissima Jennifer Lawrence in un ruolo non troppo distante da quello che aveva in Un gelido inverno – Winter’s Bone. Questo è tutto ciò che dovete sapere su questo film.

"Fammi vedere per chi sono i cuoricini, su quel tuo diario. Per Gale o Peeta?"
Volete sapere altro?
Volete davvero saperlo?
Non ci credo, ma vabbè. Allora vi dico che oltre a una strepitosa Jennifer Lawrence, in grado di tenere in piedi da sola un film non brutto, ma nemmeno particolarmente incisivo o in alcun modo memorabile, c’è pure un altro gruppetto di interpreti femminili pazzesche. Jennifer Lawrence è una ragazzina che vive insieme alla madre, una tossica alcolizzata prostituta che gestisce una poker house, una casa in cui passano spesso varie persone per bere, drogarsi, fare sesso e poi se avanza del tempo magari anche giocare a poker. La madre della Santa Jennifer non è la Madonna, ma è una prostituta tossica interpretata da una (s)fattissima Selma Blair, che sembra un incrocio tra Asia Argento e Courtney Love dei tempi peggiori, cioè dei tempi migliori.
Come potete immaginare, una madre degenere del genere non è che tiri avanti molto la famiglia e allora più che altro ci pensa la Jenniferona nostra. Le sue due sorelline poi, nonostante la giovanissima età, sono molto indipendenti e badano a loro stesse da sole. Una delle due è Chloe Grace Moretz, la Hit-Girl, la bambina fenomeno del cinema americano che qui tira fuori tutto il suo repertorio di faccine assurde. La seconda delle due è Sophi Bairley, che uno dice “E chi ca**o è?”. E io che ca**o ne so, però è una in grado di reggere i livelli della Lawrence e della Moretz e della Blair, o quasi, quindi tanto di cappello pure a lei.

Al di là di queste 4 performance attoriali degne di nota, il film non ha poi molto altro da offrire. Ci racconta la vita di questa famiglia sui generis e… basta. Non è una di quelle pellicole con una trama particolarmente elaborata. Diciamo che non è una di quelle pellicole con una trama. È più un raccontare la vita di tutti i giorni nel suo svolgersi, senza grandi eventi o accadimenti così degni di nota. Un rivivere la propria problematica adolescenza in maniera molto autobiografica e personale da parte dell’attrice Lori Petty, qui in veste di regista e sceneggiatrice, che i più ricorderanno come protagonista femminile di Point Break.
Questa qui.


"Sono un fenomeno con l'arco, ma come diavolo si usa questa?"
Oltre a questa trama/non-trama non molto stimolante, se non per chi vuole conoscere com’è cresciuta Lori Petty, il problemuccio è che nel film sono inserite persino troppe cose, troppe tematiche e troppi personaggini appena abbozzati. Ci sono gli anni Settanta, la musica degli anni Settanta, la musica black, la cultura black, tutto però viene accennato senza andare granché in profondità. Fino alla svolta drammatica della parte finale, che non vi svelo ma che riesce a svegliare un pochino una pellicola per il resto non dico noiosa, perché comunque la visione di Jennifer Lawrence non è mai noiosa, però a tratti carente di altri enormi motivi di interesse.
The Poker House è così, un piccolo film recitato alla grande. E, soprattutto, è l’occasione per recuperare l’esordio da protagonista sul grande schermo di Jennifer Lawrence. Vi sembra poco?
(voto 6/10)



mercoledì 2 ottobre 2013

KICK-ASS AND HIT-MEAN-GIRL




Kick-Ass 2
(USA, UK 2013)
Regia: Jeff Wadlow
Sceneggiatura: Jeff Wadlow
Basato sui fumetti: Kick-Ass 2 e Hit-Girl di Mark Millar e John Romita, Jr.
Cast: Aaron Taylor-Johnson, Chloe Grace Moretz, Christopher Mintz-Plasse, Jim Carrey, Clark Duke, Morris Chestnut, Claudia Lee, Lyndsy Fonseca, John Leguizamo, Sophie Wu, Donald Faison, Augustus Prew, Garrett M. Brown, Robert Emms, Lindy Booth, Ella Purnell, Daniel Kaluuya
Genere: sequel
Se ti piace guarda anche: Kick-Ass, Mean Girls, Scott Pilgrim vs. the World

Così come Kick-Ass 1 ha fatto il culo a quasi tutti gli altri film sui supereroi in circolazione, convincendo pubblico e critica, uomini e donne, grandi e piccini, Batman e Superman, questo Kick-Ass 2 è destinato a lasciare scontenti un po’ tutti:

- I fan della prima pellicola, che si ritroveranno di fronte a un film in tono minore e inevitabilmente privo dell’originalità del precedente capitolo.

- Quelli, pochi a dire la verità, a cui già non era piaciuto il primo e che qui figuriamoci se troveranno grandi soddisfazioni.


- I nerd fan dei fumetti di Mark Millar e John Romita, Jr., che quelli non sono mai contenti e che qui si lamenteranno per incongruenze e infedeltà con la versione comic.

- I superpatiti di pellicole sui supereroi, che qui storceranno il naso in più di una occasione, soprattutto nelle parti in cui Kick-Ass 2 mette su la maschera da film teen, in particolare per via del personaggio di Hit-Girl che vive il suo primo anno di liceo in maniera molto simile a quanto fatto da Lindsay Lohan in Mean Girls. La scena con la parodia della boyband in stile One Direction però è spassosa, anche se non sono sicuro si tratti di una parodia, visto che i ragazzetti della pellicola, gli Union J, esistono veramente e sono veramente i nuovi One Direction.



- I superpatiti di film molto teen, che gioiranno per le parti con Hit-Girl al liceo, ma che si annoieranno parecchio con i numerosi combattimenti, spettacolari per carità però alla lunga un po’ ripetitivi, che imperversano soprattutto nella parte finale.

- I fan di Jim Carrey, che si aspettavano un Jim Carrey in grado di fare la differenza e invece si devono accontentare di un Jim Carrey mascherato per tutto il tempo e quindi non in grado di esprimere la sua solita gommosa faccialità. Qual è il senso di avere Jim Carrey e poi usarlo così?
A questo punto tanto valeva resuscitare Nicolas Cage…
No, vabbé, adesso non esageriamo.

"La mia carriera sta colando a picco peggio di quella di Nic Cage? Sì, forse avete ragione..."

- Chi si aspettava qualcosa di un minimo anticonvenzionale e diverso dal solito, come faceva la prima pellicola bella cattivella. Qui, al di là di qualche battutina politically incorrect del cattivone Motherfucker e qualche scena cruenta, si seguono i sentieri del film buonista hollywoodiano tradizionale. Oltre che le regole tradizionali del consueto sequel di routine. Non c’è nessuna sorpresa. L’unica trovata carina e un minimo originale è quella di usare i fumetti al posto dei sottotitoli per i personaggi stranieri. Al di là di questo, siamo ben lontani dalle trovate delle altre pellicole supereroistiche più innovative come Scott Pilgrim vs. the World, Unbreakable, i Misfits dei vecchi tempi o appunto il primo Kick-Ass.

"Ma il Comic-Con non è finito già da un pezzo?"

- Chi come me aveva una voglia matta di parlare con toni entusiastici di questo film. Innanzitutto perché il primo mi era piaciuto parecchio e poi perché, in cambio di un pochino di promozione pubblicitaria, ho ricevuto una fichissima felpa hoodie che si trasforma nel costume di Kick-Ass e che potrebbe tornarmi utile il prossimo Halloween.

Lascerà allora con l’amaro in bocca tutti o quasi, questo Kick-Ass 2, ma una volta detto ciò, non si tratta certo di un film scandaloso. Kick-Ass 2 è una visione divertente, che scivola via senza problemi, senza però lasciare traccia alcuna. È il classico sequel inutile che non aggiunge niente all’originale. Considerando il suo non esaltante successo ai botteghini, il già annunciato terzo e ultimo capitolo della saga potrebbe anche non arrivare e forse sarebbe meglio così. C’è una scena in cui il protagonista Dave/Kick-Ass indossa una maglietta con su scritto: I hate reboots. Ecco, sono d’accordo, ma mi piacerebbe di più averne una con scritto un più generale: I hate sequels.
(voto 6/10)


venerdì 19 luglio 2013

KICK-ASS TORNA A FARCI IL CULO




Ve lo ricordate Kick-Ass?
Scommetto di sì. È stato uno dei pochi film dedicati ai supereroi a proporre un approccio più originale del solito, anziché limitarsi a scimmiottare Il cavaliere oscuro. Era piaciuto persino a me che di solito combatto gli heroes movies come fanno i villain nei fumetti.
Adesso è giunto il momento di vivere una nuova avventura insieme a Kick-Ass (Aaron Taylor-Johnson), Hit-Girl (Chloe Grace Moretz), Motherfucker (Christopher Mintz-Plasse) e alla new entry di questo secondo episodio, il colonnello Stars and Stripes interpretato da Jim Carrey. Sì, ma quando???
Kick-Ass 2 arriva nelle sale italiane il 15 agosto. Mare, montagna, città d’arte… Sempre la solita minestra. Per passare un Ferragosto davvero alternativo, il cinema potrebbe rivelarsi una scelta interessante e Kick-Ass 2 la pellicola ideale.
Per ingannare l’attesa, ecco intanto il nuovissimo trailer italiano (con tanto di fighissima colonna sonora in cui sfilano gli Sleigh Bells e Caspa feat. Keith Flint dei Prodigy) e i character poster.
Qual è il vostro personaggio preferito?
Il mio è naturalmente lei, l’idolissima Hit-Girl.









martedì 25 settembre 2012

Tim (Burton) Tribù

"Tenetemi incatenato, che se no mi scappa un'altra Deliranza!"
Dark Shadows
(USA 2012)
Regia: Tim Burton
Cast: Johnny Depp, Bella Heathcote, Eva Green, Michelle Pfeiffer, Helena Bonham Carter, Chloe Grace Moretz, Jonny Lee Miller, Jackie Earle Haley, Gulliver McGrath, Christopher Lee, Alice Cooper
Genere: burtoniano
Se ti piace guarda anche: La famiglia Addams, Beetlejuice - Spiritello porcello, Sweeney Todd, Dark Shadows (serie tv)

Luci e ombre.
Per un film che si intitola Dark Shadows, ci si aspetterebbero più ombre. E infatti è così.
Però partiamo dalle luci: Dark Shadows non fa schifo. Non è una porcheria come Alice in Wonderland. E qui possiamo tirare un sospiro di sollievo. Il film è ad anni luce di distanza dai capolavori di Tim Burton, ovvero Edward mani di forbice, Nightmare Before Christmas e Big Fish. Nemmeno riesce a infilarsi nella seconda fascia, quella di suoi altri grandissimi film come Mars Attacks!, Ed Wood, Il mistero di Sleepy Hollow e La sposa cadavere. Diciamo che Dark Shadows scivola molto più in basso, all’interno della mia classifica burtoniana ideale, e oltre al terrificante Alice supera giusto il suo non richiesto remake de Il pianeta delle scimmie.
Non è tanto, ma è qualcosa per intravedere un segnale di miglioramento. Almeno, qui Tim Burton sembra essersi divertito come un bambino in un parco giochi. Sebbene di certo si sia divertito più lui degli spettatori. Il suo Alice in Wonderland invece non era stato un viaggio nel paese delle meraviglie probabilmente nemmeno per lui, quanto piuttosto un compitino sterile svolto per la Walt Disney Productions. Il legame con la casa di Topolino prosegue anche in questa pellicola, però questa volta il bilanciamento Burton-Disney volge un po’ più a favore del primo, così come dovrebbe capitare anche nel suo prossimo Frankenweenie. Sebbene il fatto che sia ispirato a un suo cortometraggio del 1984 fa sentire puzza di idee riciclate all’orizzonte.

"Che pizza: Tim Burton vuole farci rivedere Alice in Wonderland!"
Per quanto non si possa ritenere una pellicola riuscita, se non altro Dark Shadows permette allora a Burton di rimettere la testa fuori dall’ombra Disney e di mostrare le caratteristiche tipiche del suo cinema. All'interno della casa della pellicola c’è infatti un sacco di Burton, pure troppo. Che il regista dark per eccellenza con Dark Shadows abbia rischiato di diventare una parodia di se stesso?
Il rischio in qualche scena lo corre, soprattutto quelle in cui Johnny Depp versione vampiro gigioneggia ancora più del suo solito. Eppure nel complesso il rischio di scadere nel ridicolo - leggi Deliranza - è qui scampato. Molto bene, allora?
Eh no, perché laddove il film non cade nel penoso e nel ridicolo, allo stesso tempo non accende mai un vero interesse. Se Alice in Wonderland generava più che altro disgusto e ribrezzo, Dark Shadows lascia parecchio indifferenti.
Quale delle due cose è peggiore?
Per un regista spesso estremo e kitsch, forse la seconda.

"Tranquilla Chloe, lo fermo subito io!"
Qualche luce è comunque presente. Due, in particolare: Chloe Moretz ed Eva Green.
Chloe “Hit-Girl” Moretz, dopo la spenta parentesi scorsesiana di Hugo Cabret, pure qui si è trovata a lavorare con un mostro sacro del cinema. Anche in questo caso ben lontano dal suo apice. Se Dark Shadows è più o meno sullo spento livello dell’ultimo film di Martin Cabret, qui almeno la giovanissima Moretz sa illuminare la scena, nelle purtroppo pochissime scene in cui compare. Il suo personaggio della teen ribelle e rockettara è quello potenzialmente più interessante, peccato sia sfruttato male dal confusionario Burton.

L’altra star del film, anzi la star principale e indiscussa del film è Eva Green. In versione strega bionda, la Eva si inserisce alla perfezione nella tradizione delle femme fatale burtoniane, raccogliendo il testimone dalla Kim Basinger di Batman, dalla Micetta Pfeiffer di Batman - Il ritorno, dalla Patricia Arquette di Ed Wood, dalla Alison Lohman di Big Fish, dalla Lisa Marie di Mars Attacks!, della Christina Ricci de Il mistero di Sleepy Hollow e mi scuso personalmente con qualunque altra abbia dimenticato.
Cattiva e sexy allo stesso tempo, la Green è la luce verde del film, l’elemento catalizzatore dell’attenzione di una pellicola per il resto stanca e stancante, ferma come l'ispirazione di Burton alla luce gialla del semaforo.

Il problema di Dark Shadows non sta comunque certo negli attori. Johnny Depp non è alla sua migliore intepretazione burtoniana, ma almeno riesce a far dimenticare orrori recenti come The Tourist e il cappellaio matto del già più volte menzionato Alice in Wonderland.
Discorso analogo per altre aficionados del regista come Helena Bonham (ma non troppo bona) Carter e Michelle Pfeiffer, pure loro non ai loro massimi eppure più che valide nelle loro interpretazioni.
Un plauso poi allo spaventoso Jackie Earle Haley, recente Freddy Krueger, uno che con quella faccia non poteva non essere convocato da Burton, mentre il trainspottinghiano Jonny Lee Miller resta troppo nelle shadows e l’emergente quasi esordiente totale Bella Heathcote è la tipica bellezza burtoniana, ma come attrice può e deve maturare ancora parecchio.


"In radio c'è un pulcino, in radio c'è un pulcino...
Hey, non è che il gobbo m'ha messo il testo della canzone sbagliata?"
Luci più che ombre arrivano pure dalla colonna sonora. Davvero belli la maggior parte dei pezzi, in particolare Nights in White Satin dei Moody Blues suonata in apartura, che illude di poterci trovare di fronte a un nuovo cult burtoniano. Così non sarà e si rivelerà solo un’illusione. Un’illusione sonora.
Niente male anche Iggy, Elton John, Percy Faith, Carpenters e i Killers sui titoli di coda. E pure un redivivo Alice Cooper in Wonderland fa la sua apprezzabile comparsata, non solo musicale, bensì proprio a livello fisico, con un cameo.

Il problema di Dark Shadows non sta nemmeno nei personaggi. I personaggi, bene o male, ci sono. Qualcos’altro invece manca del tutto.
Dove sono la storia, dove sono gli sviluppi, dov’è il film?
Dark Shadows si ispira a una serie tv. E si vede. Sembra infatti l’episodio pilota per un remake del telefilm anni '60/'70. Un episodio in cui ci vengono presentati i personaggi, in cui si intravedono i conflitti e le possibili relazioni tra di loro. Solo che un episodio pilota non è una pellicola completa.
Dark Shadows lascia così con l’impressione di aver assistito a un anticipo, a un antipasto. Solo che io sto ancora attendendo che il film, quello vero, cominci.
(voto 6/10)

giovedì 8 marzo 2012

Jessica Chastain Film Festival

Oggi è la giornata della donna. Ve ne eravate scordati? Tranquilli, siete ancora in tempo prima che le donne della vostra vita smettano di rivolgervi la parola perché non avete regalato loro manco una mimosa. E tutto questo grazie a Pensieri Cannibali, che funziona meglio dei promemoria sul cellulare.
In occasione dell’8 marzo, per prima cosa da buon ruffiano faccio gli auguri a tutte le donne! e poi dedico il mio post mimosa in particolare alla donna dell’anno.
Eva del duo Adamo ed Eva?
Nuh, vabbè che quest’anno va di moda l’effetto nostalgia, però è davvero troppo retrò.
La Maria Vergine?
Nuh, troppo Santa.
La Belen Rodriguez?
Nuh, troppo Zoccola.
E allora non resta che lei, la sola e unica Jessica Chastain. Una donna in grado di recitare nell’ultima annata non in 1, non in 2, non in 3, non in 4, bensì in 5 film interessanti.
Dopo aver osannato il capolavoro The Tree of Life, lo splendido Take Shelter e l’ottimo The Help, adesso è il turno di due suoi film minori, ma comunque degni di attenzione. Se non altro per la sua fenomenale presenza.
Al via or dunque la Jessica Chastain mini-rassegna.

Texas Killing Fields
(USA 2011)
Regia: Ami Canaan Mann
Cast: Sam Wothington, Jeffrey Dean Morgan, Chloe Moretz, Jessica Chastain, Sheryl Lee, Annabeth Gish, Stephen Graham
Genere: ragazze scomparse
Se ti piace guarda anche: The Killing, Friday Night Lights, Twin Peaks

La partenza del film, con il classico ritrovamento del cadavere di una ragazza, non può che far venire subito in mente Twin Peaks e allo stesso tempo non si può che rimanere a seguire la vicenda. Nonostante sia una storia raccontata più e più volte, per chi è cresciuto con la serie di David Lynch non si può fare a meno di essere attratti da una vicenda che si apre in tal modo.
Texas Killing Fields ricorda quindi il telefilm per eccellenza, Twin Peaks, ma allo stesso tempo riporta alla mente pure le atmosfere inquiete del recente The Killing, caratterizzato però da un’ambientazione texana che fa molto Friday Night Lights (non a caso la regista ne ha diretto un episodio). I riferimenti televisivi non sono così casuali, visto che questo più che un film per il cinema finisce per assomigliare alla puntata pilota di una potenziale serie tv. Un difetto, visto che la pellicola rimane incompiuta e i suoi personaggi sospesi, come se meritassero un ulteriore approfondimento in puntate successive che mai vedremo. Ma nemmeno un difetto così grave, visto che Texas Killing Fields sarebbe un pilot di livello piuttosto buono. Peccato solo non sia un pilot, bensì un film.

A curare la regia della pellicola è Ami Canaan Mann. Un nome che non vi dirà niente, visto che è una esordiente assoluta, ma un cognome che invece potrebbe farvi scattare un campanello in testa.
Mann? Sì, non è una coincidenza: si tratta proprio della figlia di Michael Mann, il regista di Heat, Collateral, Manhunter, L’ultimo dei Mohicani, Miami Vice, Nemico Pubblico, Alì, Insider…
Una figlia raccomandata, or dunque, e alla mente vengono subito due nomi di figlie d’arte di altri grandi registi. Ai limiti, se vogliamo, opposti. Da una parte Sofia Coppola, autrice strepitosa di una serie di pellicole con cui è riuscita a definire una poetica e un linguaggio del tutto personali, ben lontani dall’ombra ingombrante di paparino Francis Ford. Dall’altro lato troviamo invece Jennifer Lynch, la figlia di quel David il cui nome abbiamo già incontrato e che menzioneremo ancora. Jennifer che ha girato tre film, tra cui l’esordio Boxing Helena. Una pellicola che aveva fatto discutere parecchio per la morbosità del tema trattato e per via di una causa legale con Kim Basinger, che sarebbe dovuta esserne la protagonista, ma che alla prova del grande schermo si è rivelata un notevole flop nonché il tentativo della figlia di imitare (senza successo) le atmosfere angoscianti e visionarie del padre. Uno scult totale a suo modo entrato nella storia del cinema.
E la Ami Canaan Mann dove si pone, tra queste due figlie d’arte?

Esattamente a metà strada. Il suo film d’esordio non è infatti del tutto riuscito, ma nemmeno una porcata totale. Il suo sguardo è piuttosto personale, i riferimenti al padre non sono particolarmente inva-evidenti, eppure non riesce nemmeno a emergere con una visione del tutto sua. Perché il modello di riferimento, più che papà Michael, come detto sembra essere pure per lei il Lynch.
La storia di alcune ragazze scomparse negli acquitrini di una cittadina texana è un indizio al proposito. Ma l’impressione si fa certezza quando ti vedi comparire davanti Sheryl Lee, una Laura Palmer che non è morta ma è cresciuta, ed è ancora una mezza prostituta con una vita disastrata.
Sheryl Lee… fa sempre piacere rivederla, di recente è capitato anche in Un gelido inverno e nella serie One Tree Hill (era la madre di Peyton), ma allo stesso tempo è sempre uno shock. È come rivedere viva una persona che credevi morta. Perché non importa fosse fiction: quando la tua vita è stata segnata indelebilmente da Twin Peaks, per te lei non è un cadavere. Lei è IL cadavere e la scena del ritrovamento del suo corpo non te la potrai mai più scrollare dalla mente.

Il paragone con un Twin Peaks in versione texana aleggia dunque sulla pellicola ed è un paragone che la pellicola non riesce a reggere. Nessuno può. Anche perché la storia parte da ottime premesse, ma si evolve in maniera un po’ lenta e macchinosa, fino ad arrivare a un finale che pare campato via e che invece avrebbe potuto regalare ben altra tensione. La Mann si vada in proposito a rivedere il gran finale di quell’altro cult anni ’90 che è stato Il silenzio degli innocenti, per capire quanto la conclusione del suo film non sia altrettanto efficace.

"Cannibal, ce l'hai ancora con me per Avatar?
Parliamone amichevolmente..."
A rendere più convincente una storia che possiede fascino, ma non grande originalità, ci pensa comunque un cast di buon livello. Uno dei due agenti protagonisti dell’indagine è Jeffrey Dean Morgan, noto per il ruolo del malato terminale Denny Duquette in Grey’s Anatomy ma anche come padre dei fratelli Winchester di Supernatural e quindi sì, torniamo ancora una volta su sentieri molto televisivi. L’altro agente è invece Sam Worthington, il da me tanto odiato Sam “Avatar” Worthington, che però qui va detto come sia alla sua prima interpretazione convincente. O almeno diciamo decente. Il ragazzo per la prima volta in assoluto non sembra recitare con lo scazzo addosso ma si impegna. Sebbene non rimanga certo il massimo dell’espressività.

Quindi troviamo anche una Chloe Moretz ragazzina sbandata e senza futuro, con un volto provato e sofferente che è l’esatto opposto della ragazzina tutta smorfie e faccette disneyane dell’Hugo Cabret scorsesiano. C'è pure un grandioso Stephen Graham (This is England, Boardwalk Empire) in versione psychopathico e poi arriviamo finalmente a lei, alla Jessica Chastain regina sovrana del nostro post. Ma Mann-aggia alla Mann che le ha dato un ruolo così piccolo.
La Chastain interpreta la terza agente coinvolta nelle indagini delle ragazze misteriosamente scomparse in ‘sti cazzo di inquietanti infiniti campi texani, ed è in più l’ex moglie dell’Avatar Worthington. Tra un battibecco con l’ex marito e la sua cazzutaggine quando entra in azione, Jessica riesce a rendere parecchio incisivo un personaggio che nella sceneggiatura non ricopre un enorme spazio. Una piccola grande interpretazione con cui conferma, se qualcuno - o folle - ne avesse ancora il dubbio, di come sia l’attrice più in forma del momento.
Se qualcuno vedendola in The Tree of Life e Take Shelter con due ruoli piuttosto simili aveva avanzato l’ipotesi che fosse capace a interpretare un solo tipo di parte, ovvero quello della moglie messa alla prova da disgrazie di varia natura, tra la bionda svampita (ma non troppo) di The Help e questa tosta poliziotta Walker Texas Killing Fields Ranger, dovrà ricredersi.
Quanto alla regista Mann, il suo esordio non convince in pieno però lascia intravedere ampi margini di miglioramento. Basta solo che riesca a ritagliarsi un posto al sole tutto suo. Lontana dall’ombra di papà Michael? No, lontana dall’ombra di David Lynch.
(voto 6,5/10)

"Ma perché continuano a farmi recitare con quell'Avatar? Peeeerché?"
Il debito
(USA 2010)
Titolo originale: The Debt
Regia: John Madden
Cast: Sam Worthington, Ciaran Hinds, Jessica Chastain, Helen Mirren, Tom Wilkinson, Marton Csosak, Jesper Christensen
Genere: il passato ritorna
Se ti piace guarda anche: La chiave di Sara, La donna che canta, Valzer con Bashir

Ancora dubbi sulle effettive capacità recitative di Jessica Chastain, anche dopo quanto vi ho detto qui sopra?
Volete essere banditi A VITA da questo blog?
Per convincervi del contrario io comunque mi gioco pure la carta de Il debito. Della cinquina di pellicole da lei intepretate in quest’ultima annata, è la meno convincente. Eppure lei, con una performance davvero strepitosa, riesce a tenere in piedi l’intero ambaradan e a renderla non dico una visione fondamentale, ma comunque decente. Considerando che alla regia c’è John Madden, il pessimo regista di pellicole come Shakespeare in Love e Il mandolino del capitano Corelli, non è roba da poco.
"Se mi liberi, io ti libero da Worthington una volta per tutte."
Se a ciò aggiungiamo il fatto che tra i protagonisti ritroviamo pure qui Sam “Avatar” Worthington, il rischio che la pellicola naufragasse era davvero alto. Altissimo. A proposito di Texas Killing Fields ho infatti detto che Worthington offre una prova recitativa finalmente accettabile, qui invece risulta parecchio meno credibile e convincente e ritorna subito sui suoi soliti bassissimi Avatar standards.
Certo che vedere due film due in cui Sam Worthington e Jessica Chastain recitano insieme è uno spettacolo davvero impietoso. Immaginate di leggere un racconto scritto a quattro mani da Moccia con Cormac McCarthy. Oppure Gigi D’Alessio duettare con… Adele. Sono cose che semplicemente NON dovrebbero accadere e invece in ben due pellicole capita di vedere uno degli attori più catatonici di sempre insieme alla più grande star che il cinema abbia partorito dai tempi di… Natalie Portman.
Dite che sono ancora questi i tempi di Natalie Portman?
Okay, allora diciamo dai tempi di… Nicole Kidman pre-botox.
Va bene, adesso?

A proposito del film Il debito, poco da dire: è la solita storia del presente che rivanga una vecchia vicenda del passato, in una maniera non troppo dissimile fatta dagli altrettanto recenti ma più riusciti La chiave di Sara e La donna che canta.
La vincenda in questo caso specifico è quella di tre agenti del Mossad, la CIA isrealiana, in missione negli anni ’60 per catturare un criminale nazista. Ci saranno riusciti? Non ci saranno riusciti? Cosa ha a che fare questa passata vicenda con il presente (la storia è ambientata nei 90s) dei protagonisti? E, soprattutto, a noi ce ne frega davvero qualche cosa?

Anziché utilizzare dei trucchi inverosimili come quelli pessimi di J. Edgar, qui per fortuna si è fatta una scelta differente per i protagonisti della pellicola: 3 attori giovani per il passato e 3 attori “vecchi” per il presente.
E così Sam Worthington, il pessimo - ripetiamolo una volta di più che male non fa - Sam Worthington diventa Ciaran Hinds (di recente visto anche nell’inutile The Woman in Black), Marton Csokas (come minchia ci pronuncia?) diventa quella faccia da antipatico di Tom Wilkinson e Jessica Chastain crescendo diventerà Helen Mirren.
E va bene che Helen Mirren è pure un premio Oscar, però tra tutti questi 6 attori a spiccare è lei e ancora lei e solo lei: Jessica Chastain. Il mio potrà anche essere un ragionamento da fan, visto che le ho persino dedicato questo post speciale, però per quanto il film sia parecchio scontato e puzzi di già visto, la sua interpretazione è davvero impressive, come direbbero gli americani.
Altri motivi per impiegare il vostro tempo a vedere una thriller spy story storica onesta ma poco eccezionale come Il debito? Nessuno, però direi che Jessica Chastain vale almeno come un milione di motivi in contanti.
(voto 6/10)


Jessica Chastain mora (!) in Mama.
Per il momento termina qui questa Jessica Chastain mini-rassegna, giusto un filo entusiastica nei suoi confronti, ma tranquilli che prossimamente ci regalerà nuove, di certo magnifiche, intepretazioni. La vedremo in Coriolanus, l’esordio dietro la macchina da presa di Ralph Fiennes, che mi auguro più capace come regista che come attore, in Wilde Salome di Al Pacino da Oscar Wilde, in Tar al fianco di James Franco e Mila Kunis (sbav!), nell’horror Mama, in Wettest County, nuovo film del regista di The Road John Hillcoat con tanto di super cast (Tom Hardy, Shia LaBeouf, Mia Wasikowska, Guy Pearce, Gary Oldman), nel prossimo misterioso film terroristico firmato da Kathryn Bigelow e naturalmente avrà una parte pure nel nuovo Terrence Malick. Davvero tanta roba!
Nei prossimi mesi l’invasione chastaniana proseguirà quindi sugli schermi cannibaleschi e mondiali. A presto, allora, con la seconda edizione del Jessica Chastain Film Festival...

sabato 25 febbraio 2012

Hugo Cabret, ti ci spedisco io a fare il viaggio nella Luna

Tutti seduti ai vostri posti? Avete preso il vostro caffè? Fumato le vostre due-trecento siga?
Tranquilli? Quieti? Pronti per la lezione?
La Storia del Cinema ve la racconta oggi un personaggio (incompetente) d’eccezione: Cannibal Kid.
Siete proprio finiti in buone mani, vero? Vi immaginate che vi racconti che tutto è iniziato con Quentin Tarantino?
Sdeng, sbagliato.
Anche se avrei potuto tranquillamente sostenere una tesi del genere, preferisco rispettare la tradizione e seguire i libri di scuola.
Tutto è iniziato con i fratelli Lumiere. Ma se loro li possiamo considerare i padri biologici, il vero papà del Cinema, quello è stato Georges Méliès.
Fosse stato solo per i Lumiere, adesso ci ritroveremmo forse con le sale piene solo di documentari e di un approccio alla visione di pura osservazione. Esatto: il Grande Fratello trasmesso su grande schermo.
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH
Oppure ci ritroveremmo proprio del tutto senza film, visto che, come sosteneva Louis, uno dei due illuminati fratelli Lumiere: “Il cinema è un’invenzione senza avvenire”.
A regalare un avvenire al cinema è allora stato un mago: Georges Méliès. È con lui, e con chi se non con un mago?, che il cinema si è fatto magia, trucco, illusione. Ha preso uno strumento che fino ad allora serviva a documentare la realtà e l’ha usato per documentare qualcos’altro: la dimensione del sogno.
Tirando fuori opere di pura fantasia e genio come il suo film più famoso, Viaggio nella Luna - Le voyage dans la lune.


Tutte queste cose sono raccontate, bene, in Hugo Cabret da Martin Scorsese, un regista che - non c’è certo bisogno che lo dica io - ha una cultura cinematografica immensa e che, ad esempio, prima dell’inizio delle riprese di un suo film dà sempre ai suoi attori qualche film da vedere e da studiare per prepararsi alla parte. Come un bravo professore che si rispetti.
Se Scorsese è bravo a raccontarci la storia, giusto un po’ romanzata, di Georges Méliès, sarà anche il regista più adatto a raccontarci quello che era, e che è ancora, il grande fascino del cinema di Méliès?

Andiamo a scoprirlo…

Hugo Cabret
(USA 2011)
Regia: Martin Scorsese
Cast: Asa Butterfield, Chloe Moretz, Ben Kingsley, Helen McCrory, Sacha Baron Cohen, Emily Mortimer, Jude Law, Christopher Lee, Ray Winstone, Richard Griffiths, Michael Stuhlbarg, Martin Scorsese, Michael Pitt
Genere: cine-fiabesco
Se ti piace guarda anche: Neverland, Harry Potter, A.I., Big Fish, Ember - Il mistero della città di luce

Si può immaginare un regista più lontano da Georges Méliès di Martin Scorsese?
"Che impresa sfuggire all'occhio vigile di quel furbone di Borat!"
Difficile, considerando come Scorsese si sia finora tenuto a parecchie distanze dal cinema fantastico, preferendo immergersi in un iperrealismo più da incubo che da sogno. A livello cinematografico, il regista italoamericano è un virtuoso, un fuoriclasse della macchina da presa, dei movimenti vorticosi, come ci tiene bene a sottolineare subito nell’apertura di questo Hugo Cabret, con una spettacolosa carrellata in avanti della stazione ferroviaria in cui gran parte del film è poi ambientato. Oppure nei rocamboleschi inseguimenti tra il piccolo protagonista e un odioso Sacha Baron Cohen, a metà strada tra slapstick comedy e Tom e Jerry, o anche tra Benny Hill Show e Mamma ho perso l’aereo.
Georges Méliès invece la telecamera si limitava a tenerla fissa, anche perché con i pesanti mezzi dell’epoca non è che si potesse fare altrimenti, e costruiva degli affascinanti quadri animati. Non potendo contare sui movimenti di macchina, i giochi di illusione del regista illusionista venivano creati attraverso il montaggio, di cui è considerato il padre. Anche perché se aspettavamo i Lumiere… bon voyage!
A livello stilistico il regista italoamericano e il suo cugino francese non c’entrano una beneamata mazza l’uno con l’altro. Cosa che comunque rende la sfida ancora più interessante e stimolante, sebbene il candidato ideale per portare oggi sullo schermo la figura di un Méliès sarebbe stato un certo altro regista…

"Questo automa per caricare un'immagine ci mette più di una connessione 56k!"
Ma mentre Steven Spielberg è troppo impegnato a fare all’amore con i cavalli, ecco che il buon Martin Scorsese gli ha bagnato il naso e ha realizzato il film che ci saremmo aspettati dal papà di E.T. e non da lui.
È di certo apprezzabile il tentativo di Marty McFly Scorsese qui in versione viaggiatore nel tempo di tuffarsi in una Parigi degli anni ’30 e raccontarci una fiaba dal sapore antico, ben lontana da tutto il resto del suo cinema, facendosi ispirare dal romanzo illustrato La straordinaria invenzione di Hugo Cabret di Brian Selznick. Un rinnovamento che fa piacere per la voglia di cambiare del regista sulla soglia dei 70 anni, ma allo stesso tempo il risultato è deludente piuttosto che no.
La prima parte in particolare è di scarso interesse ed è un’oretta buona di pellicola buttata via. Hugo Cabret è infatti il solito orfanello dickensiano che ha da poco perso il padre, un Jude Law che sembra uscito dritto da A.I. Intelligenza artificiale e che lavorava a un misterioso automa che ricorda L’uomo bicentenario con Robin Williams. Rimasto con uno zio (ovviamente) ubriacone (ovviamente) menefreghista e che a breve (ovviamente) sparisce, Hugo vive da solo all’interno della stazione di Parigi, dove per sopravvivere si arrangia come può.
Ovvero? Si prostituisce?
"Martin? Chloe? Beeen? Aiutoregistaaaa? Camerameeeen?
Hey, io sono ancora qui... qualcuno mi aiuta a scendere?"
No, questo non è il vecchio Scorsese, quello che faceva battere sulla strada una giovanissima Jodie Foster in Taxi Driver. Il nuovo Scorsese in benevola versione nonnetto ci presenta un Hugo Capretto ladruncolo, inseguito dal perfido Sacha Baron Cohen in scenette che ho trovato di una inutilità fastidiosa. A livello personale, io il personaggio di Borat l’avrei proprio eliminato del tutto, visto che è una macchietta stereotipata che non fa ridere e annoia. Così come ATTENZIONE SPOILERONE la sua conversione al pacifismo nel finale fa pensare di trovarsi uno Scorsese in versione davvero troppo natalizia (ma grazie Dio almeno non cinepanettona!).

Adesso dirò una cosa in stile vecchio che rimugina sul passato e su come erano belli i bei tempi andati. Parlerò come il mio blogger rivale Mr. James Ford, insomma. Uno dei problemi dei film per ragazzi di oggi è che sono quasi del tutto privi di ironia. Si prendono troppo sul serio, da un Harry Potter precisetti che sembra gli abbiano infilato una scopa volante su per il culo a tutte le varie altre saghe teen fantasy in cui l’assurdità delle situazioni di rado viene alleviata da una sana risata.
Se invece andiamo indietro nel tempo, non fino agli anni ’30 francesi di cui sembrano essere in fissa tutti i registi americani settantenni, ma indietro solo fino agli anni ’80, possiamo prendere come esempio I Goonies: tra Chunk e Mouth c’era da ammazzarsi dalle risate con ben due personaggi due. In un film come Hugo Cabret il simpatico umorista di turno sarebbe Borat in versione accalapia-orfani?
Bambinetti di oggi, non vi invidio proprio.

"Che figata, 'sto film di Scorsese! Come si chiama?"
"Taxi Driver."
A parte questo dettaglio non da poco, a non funzionare è anche il protagonista Hugo Cabret. Per un personaggio che dà il titolo al film, un problema certo non minore. Il giovanissimo attore Asa Butterfield non recita male, però nemmeno lascia il segno. Chloe Moretz, già esalta(n)tissima Hit Girl di Kick-Ass, qui è tutta smorfiette e faccette e il suo personaggio è davvero campato via; la bambinetta che accompagna Hugo nelle sue poco avventurose avventure a un certo punto sembra infatti volerci portare in un posto che è come “l'isola che non c'è, l'isola del tesoro ed il mago di Oz messi insieme”. Peccato che risulti come i politici italiani (e non solo italiani): brava a parole e a proclami esagerati, ma molto meno veritiera alla prova dei fatti.
Tutta la prima parte, molto fanciullesca, lascia quindi il tempo che trova, perfetta per una visione natalizia ma poco altro. Più che un omaggio al cinema di una volta, sembra un tributo alle pellicole fantasy Harry Potter style che vanno forte oggi (e infatti non a caso un paio di attori potteriani ce li ritroviamo pure qui dentro).

Le cose per fortuna vanno un po’ meglio nel secondo tempo, quando finalmente i riflettori si accendono su Georges Méliès e sulla sua storia.
È qui che il film ci regala i momenti migliori. Tutti le scene più magiche della pellicola sono quelle legate al regista francese, dalle animazioni dei suoi schizzi che si animano letteralmente, alle fantasmagoriche scenografie dei suoi set ricreate dai “nostri” Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo. Delle 11 nomination regalate dagli Oscar a questo film, quella per le scenografie è l’unica che appare davvero giustificata (ma, se vogliamo, ci possiamo mettere dentro anche quella agli effetti speciali). Le altre candidature sono invece regali puri tipici dell’Academy, compresa quella alla stucchevole colonna sonora francesizzante di Howard Shore. Sì, proprio l’autore delle musiche inquietanti del Silenzio degli innocenti che qui si è impegnato per suonare come una brutta copia della soundtrack di Amélie.
Per il resto, l’unica magia compiuta da Scorsese con questa pellicola è quello di aver convinto l’Academy Awards di aver realizzato qualcosa di grandioso, quando invece per lunghi tratti questo film è una semplice favoletta, arricchiata giusto da qualche riuscito omaggio cinematografico sparso qua e là: da Preferisco l’ascensore con la nota scena delle lancette (già citata peraltro, e in maniera molto più avvincente, in Ritorno al futuro) all’arrivo del treno dei Lumiere rivisitato in versione 3D. Che secondo me è l’unico vero motivo per cui Marty McFly Scorsese ha voluto girare questa pellicola in tre dimensioni.

Ne è uscita insomma una visione carina fin che si vuole, che però presenta anche delle notevoli lacune.
Cosa manca al film di Scorsese? L’ILLUSIONE. Cos’altro manca? LA MAGIA. Cosa si è dimenticato di inserire? IL TRUCCO. E poi? L’INVISIBILE AGLI OCCHI. Ma il peccato principale del film è un altro. Ha fallito di raccontare per davvero uno dei più grandi geni nella storia del cinema, la cui storia ci viene sì presentata con diligenza, ma senza riuscire a ricreare in pieno il misterioso fascino che opere come Les Voyage dans la Lune sprigionavano.
La cosa pazzesca di quei film è che sapevano sorprendere. Gli spettatori dell’epoca, così come quelli di oggi. La pellicola dello Scorsese nonnetto capretto invece non sorprende. Mai. Tutto è prevedibile, scontato, già visto. Ogni scena, così come ogni “colpo di scena”. Non bastano certo i camei suoi o di Michael Pitt per far gridare di stupore.
E poi io avrei voluto un film tutto sul grande regista francese, anziché su un bambinetto di scarso interesse.
Viva Georges Méliès, abbasso Hugo Cabret!
(voto 6+/10)

Dopo la delusione cabrettiana, aspettiamo allora di vedere la versione restaurata di Viaggio nella Luna - Le Voyage dans la Lune, con tanto di splendida colonna sonora firmata dagli Air e già presentata allo scorso Festival di Cannes.


Anche se l’omaggio migliore alla poetica, o per meglio dire alla magia del Méliès, resta sempre uno dei videoclip più belli mai realizzati: “Tonight, Tonight” degli Smashing Pumpkins, girato da Jonathan Dayton e Valerie Faris (futuri registi di Little Miss Sunshine). Quattro minuti che da soli valgono molto più di tutte le due ore del capretto.

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