Visualizzazione post con etichetta chris messina. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta chris messina. Mostra tutti i post

lunedì 11 maggio 2015

MA CHE CAKE HAI DETTO?





Cake
(USA 2014)
Regia: Daniel Barnz
Sceneggiatura: Patrick Tobin
Cast: Jennifer Aniston, Adriana Barraza, Sam Worthington, Anna Kendrick, Felicity Huffman, William H. Macy, Chris Messina, Mamie Gummer, Britt Robertson, Lucy Punch
Genere: depresso
Se ti piace guarda anche: Rabbit Hole, Still Alice, In the Bedroom

Jennifer Aniston ha le visioni. Prende un sacco di droghe e medicinali antidepressivi e ha le visioni. E cosa vede? Vede Anna Kendrick.
Jennifer, dammi l'indirizzo del tuo pusher che le tue droghe le voglio prendere anch'io!

A dirla tutta, negli ultimi tempi vedo Anna Kendrick in continuazione pure io. E senza manco il bisogno di droghe. La vedo in qualunque film. Per lo più film mediocri, quando non addirittura pessimi.
Anna Kendrick io la adoro. Mi piace parecchio come attrice...

sabato 26 ottobre 2013

SEPARATI INNAMOLLATI




Separati innamorati – Celeste and Jesse Forever
(USA 2012)
Titolo originale: Celeste and Jesse Forever
Regia: Lee Toland Krieger
Sceneggiatura: Rashida Jones, Will McCormack
Cast: Rashida Jones, Andy Samberg, Ary Graynor, Eric Christian Olsen, Elijah Wood, Emma Roberts, Will McCormack, Rebecca Dayan, Chris Messina, Janel Parrish
Genere: fine di una storia
Se ti piace guarda anche: Blue Valentine, Take This Waltz, Juno, 5 anni di fidanzamento, Ruby Sparks, Nick & Norah – Tutto accadde in una notte

Celeste e Jesse sono la coppia perfetta. Stanno insieme dai tempi del liceo, cioè da sempre, sono affiatatissimi, ridono ancora per le cavolate l’uno dell’altra, cantano insieme le canzoni di Lily Allen, in particolare la splendida “Littlest Things”, e davvero non si riuscirebbe a immaginarli separati.
Celeste e Jesse sono la coppia perfetta. L’unico problema è che sono separati da sei mesi, stanno per divorziare e ciò nonostante continuano a frequentarsi, fanno ancora tutto insieme e lui vive nella dépendance (non è il nome di un nuovo ballo) di lei. Il loro è un rapporto malato, oppure stanno solo affrontando al meglio la fine della loro relazione?

Celeste and Jesse Forever sembra la classica pellicola sulla conclusione di una storia d’amore, sulle conseguenze del lasciarsi, sul cercare di andare avanti e in parte lo è. Soprattutto nella prima parte. Un’autopsia di un amore realizzata in una maniera più leggera e meno drammatica rispetto ad esempio a un Blue Valentine. Ma il film è anche qualcos’altro, qualcosa di diverso, qualcosa di più. A un certo punto viene lasciato un po’ da parte il personaggio di Jesse, quello che sembrava l’elemento debole della relazione e che invece ATTENZIONE SPOILER è il primo a voltare pagina, e ci si concentra soprattutto su Celeste. Lei che sembrava l’elemento forte della coppia, in realtà è quella che troverà più difficolta ad andare avanti e a dimenticarlo. FINE SPOILER

La colazione dei campioni.
Lo stile è molto indie, tutto in questa pellicola grida “Hipster!” ad alta voce, quasi fossimo dentro a un disco de I Cani, ma poco a poco il film cresce sempre di più e rivela una notevole profondità. Siamo dalle parti delle pellicole fatte apposta per sfilare al Sundance (nemmeno questo è un nuovo ballo), da qualche parte tra Juno e Ruby Sparks, e ancor di più il recente meraviglioso Take This Waltz, eppure Celeste and Jesse Forever riesce a mantenere una sua personalità. Merito di due ottimi protagonisti, quel facia da pirla che al solo vederlo fa morir dal ridere di Andy Samberg, quello di Hot Rod nonché membro del gruppo di comici The Lonely Island nonché attuale protagonista della funny serie Brooklyn Nine-Nine, e soprattutto Rashida Jones, attrice cresciuta nelle serie The Office US e Parks and Recreation. Si vede che Rashida sente particolarmente il suo personaggio, non a caso ha co-scritto la sceneggiatura insieme all’altro attore Will McCormack, qui presente nel piccolo ruolo di un piccolo spacciatore di marijuana. Perché, volevate forse che in una pellicola indie americana mancasse la marijuana?
Celeste and Jesse sono due personaggi costruiti in maniera molto accurata e intima. Non è come se li vedessimo sfilare su uno schermo, ma è quasi come se li conoscessimo di persona. O, almeno, questa è l’impressione che hanno fatto a me. Mi sono ritrovato tantissimo in entrambi i protagonisti, sia in lui, nella sua attitudine da cazzaro nullafacente e immaturo, sia in lei, esperta di pop culture e pseudo scrittrice con l’attitudine a criticare tutto e tutti. Perché, ebbene sì, se non l’avevate ancora capito leggendo il mio blog, io adoro criticare tutto e tutti. Raramente allora mi è capitato di immedesimarsi così tanto non solo in uno, bensì in due personaggi del medesimo film. Questo è un piccolo miracolo indie, e non è manco ancora Natale.

"Cannibal mi ha dedicato appena due parole in croce, ma stiamo scherzando?"
A completare lo splendido cast, tutto molto hipster of course, in una serie di piccoli ruoli ritroviamo inoltre Chris Messina (The Mindy Project, The Newsroom, Damages, Ruby Sparks e un miliardo di altre cose), Ari Graynor (Lo spaventapassere, Nick & Norah), Elijah Wood nei panni di una specie di parodia del solito amico gay di turno, Janel Parrish (la Mona di Pretty Little Liars) e una sempre più notevole e versatile Emma Roberts che fa una popstar simil Ke$ha.

Celeste and Jesse Forever è una commedia dalle tinte leggermente drammatiche e riflessive, ma pur sempre una commedia, e, se non si era capito, è un film da non perdere. Almeno per gli appassionati del cinema indie. Quello sì un po’ hipster, un po’ fighetto, eppure in grado di consegnarci dei personaggi sfaccettati come invece capita di rado di vedere nel cinema mainstream. Quello sì che Julia Roberts e Katherine Heigl si sognano la notte.
Il film lo potete trovare sottotitolato altrimenti, anche se non è mai arrivato nei nostri cinema, credo sia uscito direttamente per il mercato home-video o forse addirittura per la pay-tv con il solito titolo scemo italiano, Separati innamorati, che comunque rende abbastanza bene il rapporto tra i due protagonisti. Sebbene io avrei tenuto il titolo originale: Celeste and Jesse 4eva, bitches!
(voto 7+/10)



lunedì 10 dicembre 2012

Ruby Sparks, Rubacuori immaginaria

Ruby Sparks
(USA 2012)
Regia: Jonathan Dayton, Valerie Faris
Sceneggiatura: Zoe Kazan
Cast: Paul Dano, Zoe Kazan, Chris Messina, Annette Bening, Antonio Banderas, Steve Coogan, Elliott Gould, Deborah Ann Woll, Alia Shawkat, Aasif Mandvi
Genere: amore immaginato
Se ti piace guarda anche: Lars e una ragazza tutta sua, La donna esplosiva, Harvey, Il ladro di orchidee, Se mi lasci ti cancello


Ruby Sparks è un film sul blocco dello scrittore.
Certe volte scrivi e scrivi e scrivi e scrivi e non riesci più a smettere, altre volte semplicemente non ti escono più le parole
















"Sicura di fare Sparks di cognome e non Rubacuori?
Non vorrei poi veder arrivare un salatissimo conto da pagare..."
Oh, merda!
Ma allora il blocco dello scrittore è contagioso…
Il blocco dello scrittore è un male che può arrivare all’improvviso, senza presentare sintomi particolari. A un certo punto, non sai più cosa scrivere. È come per la musica: tutto è già stato suonato, così come tutto è già stato scritto. O forse no?
Forse si può scrivere proprio del blocco dello scrittore. È un bel modo per rompere il ghiaccio dello scrittore. Ed è proprio ciò che fa il film numero 2 di Jonathan Dayton e Valerie Faris. Una coppia di registi, ma anche una coppia nella realtà. I due sposi hanno realizzato vari notevolissimi video musicali, su tutti il grandioso e premiatissimo “Tonight, Tonight” degli Smashing Pumpkins, ma pure quello altrettanto meraviglioso ed epocale per “1979”, e poi hanno debuttato col botto nel cinema. Il loro esordio Little Miss Sunshine ha vinto due Oscar, ottenuto nomination e riconoscimenti vari ed è diventato un cult per qualcuno (il mio blogger enemy Little Miss Ford, ad esempio). Una commedia indie stralunata e riuscita a cui era difficile dare un seguito degno. Di cosa parlare, allora, in un nuovo film?
Massì, proprio di questo. Della difficile opera seconda. Perché il secondo album è sempre il più difficile, nella carriera di un artista, come diceva Caparezza.



Nel caso di Dayton e Faris non si parla di un album musicale, bensì di un film, il difficile secondo film, e nel caso del protagonista del film, lo scrittore Calvin Weir-Fields, interpretato dal Paul Dano lanciato anch’esso da Little Miss Sunshine, si tratta del difficile secondo romanzo.
Calvin Weir-Fields ai tempi dell’esordio letterario è stato osannato come un nuovo Salinger, o un nuovo Francis Scott Fitzgerald (omaggiato, oppure l’opposto?, con il nome del suo cane). Da quell’esordio letterario sono però ormai passati una decina d’anni, trascorsi in preda al blocco dello scrittore. Perché certe volte semplicemente capita

















Di nuovo?
Oh, andiamo. Non si può nominare, che subito ti prende, dannato blocco dello scrittore!
Eppure, come tutte le cose brutte, prima o poi anche il blocco finisce e ti rimetti a scrivere. Così fa Calvin, ispirato da una musa, una ragazza che gli appare in sogno. Da lì in poi scrive di lei, tale Ruby Sparks, e non la finisce più.
Fino a che lei…



Che succede, un altro blocco dello scrittore?
No, questa volta mi arresto in maniera volontaria, per evitarvi spoiler.
Se volete proseguire nella lettura, fatelo solo a vostro rischio e pericolo.

ATTENZIONE SPOILER
Senza svelarvi troppo, il film si evolve in una direzione assurda, in una maniera che ricorda Charlie Kaufman e le sue pippe mentali. Pippe mentali geniali, ma pur sempre pippe mentali. La storia ricorda però anche la pellicola cult degli anni ’80 La donna esplosiva (Weird Science), in cui due nerd creavano attraverso un primordiale PC la loro donna ideale in carne e ossa. Solo che laddove là ne usciva la bombona sexy Kelly LeBrock

"Hey ragazzi, volete vedermi le tette?"

Oggi i canoni estetici sono un pochino cambiati. O almeno lo sono quelli di Calvin Weir-Fields. La donna dei suoi sogni che esce dalla sua macchina da scrivere è infatti un tipo di bellezza definiamola meno appariscente  e più indie, che ha il volto e il corpo di Zoe Kazan

"Hey ehm... ragazzi... ehm... cioè... l'avete visto l'ultimo
di Wes Anderson? Carino, ehm... vero?"

Zoe Kazan (nipote del regista Elia Kazan, non di Mubarak) non sarà dirompente quanto Kelly LeBrock, però ha il suo fascino indie. E poi dalla sua Zoe ha il fatto di essere non solo un’attrice promettente, ma anche di essere una sceneggiatrice dal potenziale notevole. La sceneggiatura è infatti firmata dalla stessa Zoe Kazan, un’esordiente che curiosamente scegliere di parlare della difficile opera seconda.
Nel suo prossimo script di che parlerà? Della difficile opera terza?

"Il vero mistero del film è: ma perché cavolo sono l'unico
pirla al mondo che ancora usa una macchina da scrivere?"
Cosa succede, poi? Così come al protagonista del film, anche alla sceneggiatrice/attrice Zoe Kazan sfugge di mano il controllo della script. Dopo una prima parte ottima e del tutto avvincente, nella seconda il film diventa leggermente ripetitivo e si accartoccia su se stesso. Non eccezionale ad esempio la parentesi famigliare, con la madre new-age Annette Bening e il patrigno caliente Antonio Banderas che sono due semplici macchiette, più che personaggi a tutto tondo come invece erano quelli della famiglia di Little Miss Sunshine. Ma a Ruby Sparks, pardon Zoe Kazan, qualche difettuccio lo si può perdonare. È pur sempre un’esordiente totale. E poi i meriti del film eccedono i suoi difetti.

Ruby Sparks è una riflessione parecchio interessante sul lavoro di creazione, sul processo creativo, così come sulla solitudine e sulla difficoltà di trovare una persona con cui stare davvero bene, chiamatela anima gemella, chiametela l’altra metà della mela, chiamatela yin al vostro yang o chiametela come caxxo volete.
Non sta ricevendo e non riceverà le stesse acclamazioni di Little Miss Sunshine, ma Ruby Sparks è una preziosa perla di cinema indie di cui innamorarsi e ora non so più come finire la recensione, mi sa che il blocco dello scrittore sta di nuovo avendo la meglio























(voto 8/10)


venerdì 16 novembre 2012

Cogito Argo sum

"Oh, ma qua poster di Lady Gaga non ne hanno?"
Argo
(USA 2012)
Regia: Ben Affleck
Sceneggiatura: Chris Terrio
Ispirato a un articolo di: Joshuah Bearman
Cast: Ben Affleck, Bryan Cranston, Alan Arkin, John Goodman, Victor Garber, Tate Donovan, Christopher Denham, Scoot McNairy, Kerry Bishé, Clea DuVall, Rory Cochrane, Kyle Chandler, Chris Messina, Zeljko Ivanek, Titus Welliver, Farshad Farahat, Taylor Schilling
Genere: arguto
Se ti piace guarda anche: Homeland, 24

"...E non c'è manco uno che mi chiede l'autografo. Ma dove sono finito?"
Fino a poco tempo fa, quando pensavi a Ben Affleck pensavi a Ben Affleck il sex symbol, Ben Affleck ‘o sciupafemmene che passa da J.Lo a Jennifer Garner, Ben Affleck l’attore modesto. L’attore modesto e dall’espressività limitata che però ti dava l’impressione di avere qualcosa in più da offrire. Sarà per quella sceneggiatura da Oscar scritta a quattro mani insieme all’amichetto Matt Damon, quella per Will Hunting - Genio ribelle, il film che ha rivelato entrambi. Che dopo ce l’ha messa tutta, per farsi dimenticare di essere uno sceneggiatore da Oscar, intepretando filmetti come Pearl Harbor, Daredevil o Amore estremo. E invece, il Ben aveva una carta inaspettata da giocarsi, quella da regista.
Contro ogni aspettativa, Ben Affleck esordiva ben bene, con il thriller parente di Mystic River, Gone Baby Gone. Al che pensavi che vabbé, un film decente può riuscire a chiunque. È riuscito persino a Ligabue, con l’esordio Radiofreccia, non c’è da stupirsi troppo sia venuto fuori a Ben Affleck.
Con il secondo film, lo splendido The Town, i dubbi che a Ben il primo colpo non fosse uscito per puro caso arrivavano. Si aveva semmai l’impressione che con l’esordio fosse persino andato con il freno tirato, mentre per le strade di The Town Affleck scorrazzava che è un piacere.
Se un indizio può non voler dire niente e due indizi possono rappresentare un semplice caso, al terzo non c’è più spazio per i dubbi. Il terzo è una prova. Argo è una prova.
Prova di cosa?
Prova che Ben Affleck è un dannato grande regista. Uno dei migliori in circolazione negli USA al momento.
Chi l’avrebbe detto? Probabilmente nemmeno lui stesso, visto che con autoironia, attraverso un dialogo presente nel film, schernisce la sua nuova professione:

“Si impara a fare il regista in un giorno?”
“Perfino una scimmia impara a fare il regista in un giorno.”

"Signore, mi spiace ma questo coso pieno di cocaina è leggermente illegale.
Se però se lo infila nel didietro, faccio finta di non aver visto niente..."
Un grande merito dell’Affleck regista è quello di sapersi scegliere delle belle storie da raccontare. Dopo i romanzi da cui erano tratti i suoi due film precedenti, a ispirare questa sceneggiatura impeccabilmente firmata dall’esordiente Chris Terrio è invece un articolo. Una storia talmente da film da essere vera.
A cavallo tra il 1979 e il 1980, 6 diplomatici americani si ritrovano rifugiati politici dell’ambasciata canadese in Iran. Il governo degli USA vuole farli tornare in patria, ma come fare, vista la delicatissima situazione in quel paese?
"Certo che come produttore sei proprio braccine corte, Ben. Non solo
il pranzo ce lo dobbiamo fare sugli scalini con la roba del McDonald's,
ma hai pure usato i buoni sconti, hai usato. Te credo che J.Lo t'ha lasciato!"
ATTENZIONE SPOILER
È qui che arriva Ben Affleck bello fresco, in versione consulente della CIA, e propone un’idea singolare e folle per riportarli negli Stati Uniti: organizzare le riprese di un finto film di fantascienza, intitolato per l’appunto Argo, e fingere che i 6 facciano parte della troupe, giunta in Iran per dei sopralluoghi per le location. Ce la faranno i mezzi del cinema a riuscire laddove la politica sembra fallire?

Lo scopriremo con Ben Affleck che ci terrà la manina attraverso i vari registri della pellicola. Dopo una prima parte prettamente politica, Argo diventa una visione con vari spunti divertenti e una serie di battute scoppiettanti. Perché Argo è un film di fantascienza all’interno della finzione narrativa della pellicola stessa, mentre l’Argo firmato da Ben Affleck è una pellicola politica e spionistica, ma trova pure il tempo di concedersi qualche sberleffo nei confronti di Hollywood e dei suoi meccanismi. Sberleffo e al contempo una celebrazione di Hollywood, visto che la missione è organizzata con l’aiuto di un paio di producers cinematografici, due gigionissimi Alan Arkin e John Goodman, i migliori di un cast ricchissimo e mega-telefilmico.

"Siamo troppo retrò in questa foto, altroché Instagram!"
Accanto al Ben Affleck protagonista, che tra Argo e The Town si dimostra attore più convincente quando si auto dirige, compaiono infatti un sacco di volti proveniente perlopiù dal mondo delle serie tv: Bryan Cranston di Breaking Bad qui come in Drive e Detachment si ritaglia solo un ruolo marginale, però almeno fa dimenticare una serie di comparsate in pellicole dimenticabili come Larry Crowne e Total Recall; sfilano poi Tate Donovan di The O.C. e Damages, Clea DuVall attualmente guest-star di American Horror Story Asylum, Kyle Chandler di Friday Night Lights, Titus Welliver Uomo in nero di Lost, Chris Messina di Damages e The Mindy Project, e questo solo per citarne alcuni. Occhio poi pure a una manciata di rivelazioni indie da tenere appunto d’occhio: Christopher Denham, di recente visto nel notevole Sound of My Voice, Scoot McNairy di Monsters e la gnocchetta Kerry Bishé vista in Red State.
Ma è un cast talmente ricco che si farebbe prima a nominare chi non è presente. Matt Damon, ad esempio. Che Ben & Matt negli ultimi tempi non siano più BFF come una volta?

"Ma stiamo girando Argo il finto film all'interno del vero film, oppure Argo
il vero film ispirato a un fatto reale? Non ci capisco più niente neanch'io..."
Oltre a un gran cast, a una splendida cura nella fotografia, nei costumi e persino nelle pettinature tardo ’70, a funzionare è il ritmo. Ben Affleck sa come tenere il tempo. Dopo averci divertito con la parte dedicata al dorato mondo di Hollywood, ci scaraventa in una parte finale al cardiopalma, in cui la tensione raggiunge gli stessi livelli delle puntate migliori delle migliori serie spionistiche dell’ultimo decennio, Homeland e 24.
Ben Affleck sembra quindi ricalcare le orme del suo altro amichetto, George Clooney, che non a caso figura tra i produttori di questo Argo. Entrambi sex symbol, entrambi attori non fenomenali, eppure migliorati pure in questo campo negli ultimi tempi. Da quando fanno i registi. Che poi fare i registi è la cosa che riesce loro meglio. A parte fare gli sciupafemmene in giro. Almeno Ben, viste le voci che circolano sul conto del bel George…

E allora Ben Affleck, gran figlio di una buona donna, did it again. E se un indizio può non voler dire niente e due indizi possono rappresentare un semplice caso, al terzo non c’è più spazio per i dubbi. Il terzo è una prova. Argo è una prova. Anzi, come prova basterebbe la sola grandiosa scena di montaggio alternato tra la conferenza stampa tenuta da un’attivista iraniana e quella tenuta dai producers del finto film Argo, un magistrale alternarsi di realtà e fiction, nonché di due diversi approcci al mondo, che racchiude tutta la grandezza del vero film Argo.
Ah, ho dimenticato una cosa fondamentale: cosa vuol dire Argo?
Argo vaffanculo se non lo guardate!
(voto 8/10)

Post pubblicato anche su L'orablu.

giovedì 13 ottobre 2011

Cosa c’è dietro la curva? La maDamages. Butta via tutto, butta via tutto!

Damages
(serie tv, stagione 4)
Rete americana: DirecTV
Reti italiane: AXN, Canale 5
Creata da: Todd A. Kessler, Glenn Kessler, Daniel Zelman
Cast: Rose Byrne, Glenn Close, John Goodman, Dylan Baker, Chris Messina, Griffin Dunne, Judd Hirsch, Julie White Fisher Stevens, Bailey Chase
Genere: legal-political
Se ti piace guarda anche: Homeland, 24, The Good Wife, Suits, Fairly Legal, Crime d'amour

Dopo la prima esaltante stagione, avevo un po’ perso di vista e sottovalutato Damages. Con l’arrivo della season number 4 (e la produzione della 5 è già stata confermata) mi è però ritornato l’entusiasmo per questa ottima serie, che a prima vista potrebbe sembrare solo l’ennesimo telefilm ambientato in uno studio legale e invece no, sbagliato! niente di più lontano. Sìvabbeneok le protagoniste sono due avvocatesse e al centro delle varie stagioni vi è sempre un caso legale, però questo è solo un dettaglio. La vicenda legale porta infatti con sé un sacco di ramificazioni e nella stagione 4 si va a toccare l’argomento ancora caldo (visto che da lì, americani ed europei, non ce ne andiamo più) dell’Afghanistan.

L’avvocatessa Rose Byrne (l’ho già detto che è una delle attrici in maggiore mostruosa forma degli ultimi tempi?) decide infatti di intentare causa contro il più potente esercito privato degli Stati Uniti per la morte molto sospetta di alcuni suoi soldati-mercenari. Tra i sopravvissuti alla missione c’è il testimone chiave della vicenda, che guarda caso è anche un ex cumpà del liceo della Byrne. Peccato che una causa del genere possa essere molto rischiosa, visto che di mezzo ci sta pure la CIA, e così il suo studio legale decide di non supportarla. Cosa fare a questo punto? La nostra (o almeno mia) avvocatessa preferita (suca Ally McBeal, suca!) a questo punto si rivolge alla sua nemicamica preferita, la machiavellica Glenn Close, una sorta di gemella ancora più incattivita della Sue Sylvester di Glee. Tra le due donne/avvocatesse i legami si fanno ancora più stretti che in passato, sarà che in fin dei conti non sono poi così diverse?

Più che una serie legal, Damages è quindi una serie political. I casi giudiziari infatti inizieranno paradossalmente soltanto al termine della stagione, mentre l’attenzione degli episodi è rivolta piuttosto a ciò che avviene prima di un processo, come la ricerca e la protezione dei testimoni, che in questo caso in particolare si rivelerà tutt’altro che semplice. La stagione come detto ruota attorno alla spinosa questione di un corpo di forze speciali inviato in Afghanistan, dei mercenari specialisti che operano nel mercato della guerra capitanato da un John Goodman americano vecchio stampo duro e puro (si fa per dire) davvero convincente nella sua bastardaggine che ridacchiando dice: “Per me ci sarà sempre lavoro, perché la guerra non finirà mai.”

La serie offre l’ottima occasione di riflettere sull’impegno militare tanto degli Usa quanto nostro a ormai 10 anni e passa di distanza dall’11 settembre 2001, un tema assolutamente non inflazionato e che anzi negli ultimi tempi sembrava finito nel dimenticatoio e che invece Damages riporta alla ribalta con una serie di spunti parecchio interessanti. Ma la cosa più notevole della serie è che oltre alla componente legal e a quella political si aggiunge una costruzione notevole delle vite personali dei personaggi, da una Patty Hewes (Glenn Close) che a questo giro sarà costretta ad andare da uno strizzacervelli (sebbene non si rivelerà una paziente molto paziente…) a una Ellen Parsons (Rose Byrne) che si troverà a dover scegliere se diventare come l’amicanemica Patty o a prendere una strada sua, personale. E poi ancora le altre figure nuove della season come l’agente sotto copertura Jerry Boorman (Dylan Baker) che rivelerà molti lati sfaccettati della sua complessa personalità o il soldato mercenario Chris Sanchez (Chris Messina), il testimone chiave nella causa contro il potente Howard Erickson (John Goodman), una sorta di incrocio tra George W. Bush e Silvio Berlusconi…
Oh. My. Freaking. God.

A differenza di altri legal drama il caso legale tiene l’intera stagione, e non i singoli episodi, e la costruzione dell’intreccio narrativo è talmente elaborata da ricordare 24 per la ricchezza di situazioni e personaggi, mentre il mix di piani temporali che era stato uno dei punti di forza in precedenza qui viene un pochino meno. Oh, un difetto doveva pur averlo, ma se a ciò aggiungiamo una regia di ottimo livello e una recitazione della Madocina in particolare delle due protagoniste Byrne/Close, che altro vi devo dire se non: anche e soprattutto se non amate le serie con gli avvocati, guardatela. Dai, cazzo!
(voto 7,5/10)

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...

DISCLAIMER

Questo blog non rappresenta una testata giornalistica, pertanto non può considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001. L'autore, inoltre, non ha alcuna responsabilità per il contenuto dei commenti relativi ai post e si assume il diritto di eliminare o censurare quelli non rispondenti ai canoni del dialogo aperto e civile. Salvo diversa indicazione, le immagini e i prodotti multimediali pubblicati sono tratti direttamente dal Web. Nel caso in cui la pubblicazione di tali materiali dovesse ledere il diritto d'autore si prega di Contattarmi per la loro immediata rimozione all'indirizzo marcogoi82@gmail.com