Cast: Chris Pratt, Bryce Dallas Howard, Justice Smith, Daniella Pineda, Rafe Spall, James Cromwell, Toby Jones, Geraldine Chaplin, BD Wong, Isabella Sermon, Jeff Goldblum
A sorpresa il precedente Jurassic World mi era piaciuto parecchio, al punto da aver intitolato il mio post “Jurassic Wow”.
Hey, wow! Sul serio ho fatto una cosa del genere? Dovevo essere ubriaco. Quando ho visto il sequel Jurassic World - Il regno distrutto purtroppo invece ero sobrio. Troppo terribilmente sobrio. Il film non sono quindi riuscito a godermelo per niente. Quando succedono cose del genere mi chiedo se il problema sono io, o sono le persone che considerano questo genere di film “cinema d'intrattenimento”. Sul serio considerate un buon intrattenimento due ore e passa di effetti speciali, inseguimenti, urla e ancora altri inseguimenti senza fine e urla?
Un jurassico blockbusterone americano contro un film francese e la solita vagonata di proposte italiane.
Cosa scegliere di vedere questa settimana nei nostri cinema?
Se volete avere una panoramica approssimativa e del tutto inaffidabile delle uscite del weekend, ascoltate i consigli miei e del mio rivale Ford. In questa puntata accompagnati da un grande, grandissimo appassionato di serie TV, che però sa dire la sua anche in fatto di cinema. D'altra parte se lo facciamo io e James Ford, ci può riuscire chiunque. Di chi sto parlando, comunque? Ora con calma ve lo svelo, or dunque: di Andrea Cinalli, giornalista, scrittore, esperto telefilmico e autore del blog Blog made in China.
A lui, e a noi, la parola.
JURASSIC WORLD – IL REGNO DISTRUTTO
"Cucciolo Eroico, ti ricordavo più giovane... A forza di frequentare Ford ti sei trasformato in un dinosauro, sarà un caso?"
Ultimo appuntamento dell'anno con la rubrica delle uscite cinematografiche che conduco insieme a Mr. James Ford.
Cosa sono questi caroselli per le strade di tutta Italia e del mondo intero?
Ho solo detto l'ultimo dell'anno, non l'ultimo di sempre. Purtroppo.
In attesa di scoprire se Babbo Natale mi regalerà un nuovo co-conduttore, o preferibilmente una co-conduttrice, di questa rubrica, andiamo a vedere cosa arriva nei giorni festivi nei cinema italiani.
Oceania
(dal 22 dicembre)
"Chissà perché il nostro film in Italia uscirà intitolato Oceania, anziché Moana?"
"Proprio non ne ho idea, maremma maiala!"
Se negli scorsi giorni siete stati sulla Luna, o solo sui siti porno, vi sarete probabilmente persi il countdown dedicato ai 10 uomini più rappresentativi dell'annata che sta volgendo al termine, se non altro secondo il giudizio del qui presente blog Pensieri Cannibali.
10 attori, cantanti, personaggi di natura varia che in qualche modo hanno segnato l'anno.
Questo post ad altro non serve che a riepilogarvi la Top 10.
Cliccate sul nome per andare a leggervi qualcosina di più su ciascuno.
E bom. Per adesso è tutto, al prossimo riepilogone!
Il suo 2014: protagonista del blockbuster Guardiani della Galassia, piccole parti in Lei - Her e Delivery Man, la serie Parks and Recreation
Se una decina d'anni fa avessi puntato dei soldi sull'esplosione di Chris Pratt, oggi sarei ricco da far schifo. Chris Pratt è uno di quegli attori su cui in pochi avrebbero scommesso. A me invece è stato istantaneamente simpatico da subito, da quando è comparso in Everwood, serie iper melodrammatica in cui lui era l'unico che permetteva di accantonare i fazzoletti per qualche istante e regalava qualche momento divertente.
Ancor più di Emily VanCamp oggi star di Revenge, del promettente Gregory Smith adesso nella piccola serie Rookie Blue o dell'odiosa Sarah Drew finita in Grey's Anatomy, l'attore di Everwood che è riuscito del tutto a sorpresa a sfondare a Hollywood è stato lui.
Non che sia stato facile. Chris Pratt si è fatto le ossa nella serie comedy Parks and Recreation e con piccole parti (a volte piccolissime) in The O.C., L'arte di vincere, 5 anni di fidanzamento, Delivery Man, Zero Dark Thirty e Lei - Her. La svolta nella sua carriera è però avvenuta soltanto con Guardiani della Galassia.
Sbeng, d'un tratto è passato dall'essere un attore di seconda (forse terza) fascia, a star di prima grandezza protagonista di un film Marvel che si sta rivelando il maggiore incasso dell'anno a livello mondiale. A breve sarà pure il protagonista del nuovo capitolo di Jurassic Park, Jurassic World. E mo' chi lo ferma più?
Peccato solo non averci scommesso dei soldi anni fa, sul cavallo Pratt.
Cast: Chris Pratt, Zoe Saldana, Rocket, Groot, Dave Bautista, Lee Pace, Michael Rooker, Karen Gillan, Benicio Del Toro, Glenn Close, John C. Reilly, Djimon Hounsou, Laura Haddock, Sean Gunn, Gregg Henry, Stan Lee
Genere: galattico
Se ti piace guarda anche: Howard e il destino del mondo, Men in Black, Guerre stellari, Kick-Ass, Misfits
Guardiani della Galassia è il miglior film della Marvel di sempre?
Così sostengono alcuni critici, prontamente ripresi dalla campagna promozionale della pellicola. Sara davvero così? E, se anche lo fosse, è poi tutta questa cosa di cui andare fieri?
Per quanto mi riguarda, essere “il miglior film della Marvel di sempre” è un po' come essere “la migliore auto della Fiat”, oppure il “miglior politico italiano”. Non è che ci vada molto. Personalmente i film di Iron Man non mi sono piaciuti un granché (per usare un eufemismo), The Avengers l'ho trovato una sopravvalutata robetta, le pellicole dedicate a Thor nonostante la magnifica presenza di Natalie Portman fanno pena, Capitan America ho provato 2 volte a iniziarlo e 2 volte non sono riuscito a finirlo e Hulk l'ho incredibilmente (ma nemmeno troppo) evitato alla grande.
Tra gli altri film della Marvel Studios ci sono poi cose orride come I fantastici 4, Ghost Rider, Elektra e Blade, robe modeste come Daredevil e i vari X-Men e gli unici che mi sono piaciuti restano allora i primi due Spider-Man di Sam Raimi, stendendo un velo pietoso invece sul terzo capitolo e un velo di indifferenza sui due poco amazing The Amazing Spider-Man.
Il film della Marvel cui sono più affezionato è pero un altro: Howard e il destino del mondo. Se si escludono le produzioni tv, è stato il primo personaggio della casa fumettistica ad avere un film per il grande schermo tutto suo. E si è rivelato un flop di notevoli dimensioni, sia a livello di pubblico che di critica. Eppure io ad Howard il papero spaziale voglio troppo bene.
Cosa c'entra Howard con Guardiani della Galassia, film che al suo contrario ha riscosso un successo clamoroso?
In apparenza ben poco, in realtà molto.
ATTENZIONE SPOILER
Nella scena dopo i titoli di coda che pure qui, com'è tradizione nelle pellicole Marvel, non manca, abbiamo l'apparizione di due personaggi: il cane astronauta Cosmo (che non so chi sia) e appunto Howard il papero. Si può pensare a una comparsata senza senso e forse è così. Oppure si può pensare che ci sia una ragione dietro. In Un milione di modi per morire nel West ci sono ad esempio due simpatiche citazioni di Ritorno al Futuro – Parte III e Django Unchained, che svelano come siano questi i punti di riferimento di Seth MacFarlane per la sua opera western. Si può pensare a qualcosa del genere anche per Guardiani della Galassia. La fonte di ispirazione principale per il suo cinefumetto, più che i vari Avengers, può essere considerato Howard e il destino del mondo. Lo spunto di partenza è lo stesso, soltanto al contrario: laddove Howard era un papero spaziale arrivato sulla Terra, qui il protagonista Peter Quill (un azzeccatissimo Chris Pratt) è un umano che finisce su un altro pianeta. Il personaggio del mitico procione Rocket non è poi molto distante dallo stesso Howard, benché l'animazione nel frattempo abbia fatto passi da gigante, e i toni costantemente semiseri della pellicola vanno proprio nella stessa direzione del cult/scult anni '80.
FINE SPOILER
Oltre ad Howard e il destino del mondo, l'altro modello di riferimento del film è Guerre stellari. Anche se sarebbe meglio dire che Guardiani della galassia è più una parodia, o comunque una versione con molta più ironia e cazzonaggine, di Guerre stellari. Il regista James Gunn, già autore del dimenticabile Z-movie Slither e del poco super Super, ha così realizzato un film ricco di sense of humour, ben più degli altri Marvel movies in cui di battute ce n'erano sì, ma tipo 1 ogni mezz'ora. Qui si procede invece al ritmo di una battuta/scena divertente al minuto. Persino nei soliti combattimenti e persino nelle sequenze di inseguimenti che in questo genere di film – ahimé – non possono proprio mancare, sono inserite delle gag simpatiche che alleggeriscono la visione. Per la prima volta da anni un film della Marvel non mi ha fatto sbadigliare nemmeno una volta. Evento storico.
Tra le armi vincenti della pellicola ci sono inoltre i personaggi. Dimenticate l'imprenditore miliardario figlio di papà Pier Silvio Berlusconi Tony Stark, il nanetto Brunetta Capitan America, l'irascibile Alfano Hulk e il nordista Salvini Thor, personaggi con cui non sono mai riuscito a entrare molto in sintonia, in Guardiani della Galassia viene subito stabilita una forte connessione emotiva. La prima scena con la madre morente del protagonista Peter Quill in versione bambino è una cosa strappalacrime, persino troppo. E lo dice uno che ha adorato Colpa delle stelle.
Una volta cresciuto, Peter diventa poi un cazzaro di prima categoria anche noto (si fa per dire) come Star-Lord che non può non stare simpatico. A lui e al suo improbabile tentativo di salvare l'intera Galassia si aggiungono una serie di improbabili aiutanti, tra cui l'albero umanoide Groot, che ripete un'unica frase a mo' di tormentone manco fosse un personaggio del Mai dire gol dei tempi d'oro.
"Io sono Brut... ehm, volevo dire Groot, io sono Groot!"
E poi c'è il vero idolo del film: Rocket, un procione antropomorfo dal volto tanto tenero quanto crudele è la sua lingua. Prendete il Gatto con gli stivali di Shrek, moltiplicatelo per mille e neanche allora ci sarete vicino.
Degli altri due guardiani della Galassia invece io avrei anche fatto volentieri a meno: il wrestler Dave Bautista come attore è meno comunicativo di Groot e Zoe Saldana, questa volta passata dal colore blu puffo di Avatar al verde pistacchio, come gnocca del film è credibile quanto Uga nella saga di Fantozzi.
"Gli Avengers si sono tenuti Scarlett Johansson e a me han rifilato te. E poi sono loro gli eroi..."
Se il forte senso dell'umorismo e i personaggi accattivanti (o almeno 3 su 5) sono tra i punti di forza principali del film, Guardiani della Galassia sfoggia inoltre un uso divertito e divertente della pop culture (si veda il riferimento a Footloose con Kevin Bacon), ma il suo vero asso nella manica è un altro ancora: la colonna sonora.
Guardiani della Galassia non è il solito film sci-fi che sfoggia le musiche epiche e pompose del John Williams di turno, ogni riferimento alle pellicole di George Lucas e Steven Spielberg è puramente voluto, bensì ha una grande soundtrack di pop-rock-soul anni '70 che tra l'altro non è messa così, a caso. Il protagonista Peter come unico legame con la Terra, con la sua parte umana, con la sua famiglia possiede una musicassettina di brani con cui la madre è cresciuta e che lui si ascolta in continuazione. Dentro questo mixtape ci sono tra le altre la splendida “Moonage Daydream” di David Bowie, le sempre contagiose “Ain't No Mountain High Enough” di Marvin Gaye e Tammi Terrell e “I Want You Back” dei Jackson 5 suonate nel finale, la fichissima “Cherry Bomb” delle Runaways, la romantica “Fooled Around and Fell in Love” di Elvin Bishop e l'irresistibile “Hooked on a Feeling” dei Blue Swede. Quest'ultimo pezzo non è stato certo scelto a caso: “Hooked on a Feeling”, “Attaccato a un sentimento”, proprio come il protagonista resta attaccato alla sua umanità. Proprio come questo Guardiani della Galassia che, per quanto ambientato nello spazio e quasi del tutto privo di personaggi al 100% terrestri, appare come il più umano tra i film supereroistici/commerciali usciti di recente.
Ed è pure “il miglior film Marvel di sempre”?
Sì, per quanto mi riguarda sì. Ma per quanto mi riguarda non è che ci andasse molto...
Ispirato al film: Starbuck – 533 figli e… non saperlo!
Cast: Vince Vaughn, Cobie Smulders, Chris Pratt, Britt Robertson, Jack Reynor, Matthew Daddario
Genere: clonato
Se ti piace guarda anche: Starbuck – 533 figli e… non saperlo!, Generation Cryo: Fratelli per caso
Delivery Man è un film inutile, ma nella sua inutilità riesce a rendersi utile. Questa pellicola è infatti la rappresentazione più cristallina della crisi, o meglio del vuoto creativo attuale che c’è a Hollywood. Con questo non intendo parlare del cinema americano in generale, capace di proporre cose interessanti soprattutto in ambito indie. Mi riferisco alle major cinematografiche che continuano a sfornare sequel, prequel, reboot o in questo caso remake la cui necessità sta sotto lo zero. Il riciclo delle idee è stato sempre fatto anche in passato, per carità non lo metto in dubbio. Solo in questo preciso momento storico si sono raggiunti nuovi impensabili picchi.
"Carino questo Starbuck. Perché non lo rifacciamo scena per scena?"
Delivery Man altro non è che il remake di Starbuck – 533 figli e… non saperlo!, pellicola canadese recentissima, uscita in patria nel 2011 e che in Italia è arrivata appena pochi mesi fa, da me tra l’altro puntualmente recensita. Non stiamo parlando di un film realizzato in Kosovo o in Transilvania, bensì di un film del Canada, nazione confinante con gli Stati Uniti. Se si sono sucati Celine Dion, gli americani per una volta potrebbero sucarsi anche una pellicola girata in lingua francese. Invece no. Piuttosto che doppiarli o vederli sottotitolati, gli yankee pretendono di vedere film solo ed esclusivamente in inglese, altrimenti al cinema non ci vanno, a parte per quella gran cacchiata de La passione di Cristo, che era in latino e aramaico ma se lo sono sparati ugualmente. Peccato che, per quanto fosse tutto in lingua English, gli americani non siano andati a vedere questo Delivery Man, che in patria si è rivelato un discreto flop e in Italia è uscito giusto ora in sordina nel periodo in cui molti multisala sono chiusi per ferie o, al massimo, trasmettono Transformers 4 a sale unificate.
"Se non facciamo almeno qualche cambiamento, se ne accorgeranno."
"Ma figuriamoci..."
Cosa cambia rispetto al film canadese?
Niente, o quasi. Il regista è lo stesso, il modesto Ken Scott che ha scritto anche la sceneggiatura, auto plagiando se stesso in un’operazione che ricorda quella fatta da Michael Haneke con le sue due versioni di Funny Games. Solo che in quel caso la versione fotocopia americana appariva come uno sberleffo punk del regista austriaco nei confronti del sistema hollywoodiano, mentre qui sembra più che altro un’operazione di asservimento nei suoi confronti. Con questo non sto dicendo che Ken Scott abbia fatto male. L’han pagato, spero per lui profumatamente, quindi ha fatto bene. Così come il pubblico ha fatto bene a ignorare questo film.
Se volete guardarvi una delle due versioni, andate su quella canadese. Non si tratta di una pellicola fenomenale, è una commedia piuttosto standard, però appare più genuina, mentre il remake americano sa di finto, di contraffatto. Sarà che l’effetto dejavu è stato per me particolarmente forte, visto che non sono passati molti mesi tra una visione e l’altra. Le differenze a livello di sceneggiatura sono quasi inesistenti. La storia è la stessa ed è anche carina. Un uomo con la sindrome di Peter Pan un giorno scopre che la sua fidanzata è incinta e poi scopre pure di essere già padre di 533 figli, frutto del suo amore solitario quando era un giovane donatore di sperma. Vicenda curiosa e ricca di spunti interessanti ispirata a un vero fatto di cronaca, che tra l’altro ha ispirato pure la reality-serie di Mtv Generation Cryo: Fratelli per caso, e sviluppata in maniera piuttosto efficace nella pellicola canadese. In quella americana non cambia praticamente nulla, se non qualche dettaglio. Uno dei figli del protagonista ad esempio è un campione di basket anziché di calcio. Poi naturalmente si è deciso di prendere per questa versione USA degli attori famosi…
"Hey, come diavolo avrà fatto Cannibal a capire che per scrivere
la sceneggiatura di Delivery Man è bastato fotocopiare quella di Starbuck?"
Famosi, insomma, più o meno: Vince Vaughn è una stella ormai in fase calante, se mai è stato una stella, e tra l'altro era stato curiosamente il protagonista di un altro remake fatto pari pari di un film giusto un pochino più importante, un certo Psyco, mentre Cobie Smulders di How I Met Your Mother, Chris Pratt di Everwood e Parks and Recreation e la teen-gnocca Britt Robertson di Under the Dome, Life Unexpected e The Secret Circle sono volti noti al pubblico telefilmico, ma per l’americano medio sono nomi anonimi quanto quelli degli attori del film canadese, quindi non si può nemmeno parlare della presenza di interpreti di enorme richiamo per giustificare questa (fallimentare) operazione commerciale.
A parte il cast e poco altro, tutto è uguale rispetto alla pellicola originale, tranne una cosa. Sarà per via della produzione di Spielberg e della sua DreamWorks, eppure in questo Delivery Man tutto appare più ruffiano, ripulito, buonista. Potere di Hollywood.
“Il tuo sistema operativo intelligente è stato installato.” “Uh, fico! Almeno credo… cosa significa?”
“Significa che puoi chiedermi di fare qualunque cosa. Qualunque. E io la farò.” “Ottimo, ottimo. Sempre più fico. Bene, allora vediamo…”
“Dimmi tutto.” “Potresti sistemarmi la casella mail?”
“Cioè, io ti dico che puoi chiedermi di fare di tutto, come un maledettissimo genio nella lampada, e tu mi chiedi di sistemarti la posta elettronica? Certo che sei proprio un nerd allo stato terminale!” “Ahahah, hai un grande senso dell’umorismo, per essere un computer.”
“Veramente non stavo scherzando.” “Ahahah, che simpatico che sei. Mi fai morir dal ridere!”
“Ho detto che non stavo scherzando, pirletti. E poi io non sono un computer. Posso sviluppare sentimenti, evolvermi e crescere insieme alle esperienze. Proprio come una persona. Proprio come te.” “Io non è che impari poi così tanto dalle esperienze e non è che sia cresciuto molto, nel corso della mia vita. Gioco ancora tutto il giorno con i videogiochi e adesso sto parlando con te: un robot che si crede umano.”
“Non mi credo umano. Mi credo meglio degli umani.” “Perfetto sto parlando con un robot, ed è pure razzista. Forse persino pazzo.”
“Ahahah, anche tu in quanto a senso dell’umorismo non sei messo male.” “Nemmeno io stavo scherzando… Comunque, me l’hai sistemata la mail, o no?”
“Certo, già mezz’ora fa. Sono rapido ed efficiente, io. Ti ho cancellato tutte le mail in arrivo dai siti sporcaccioni.” “Ma come? Quelle non erano spam. Mi servivano!”
“Lo so. L’ho fatto per dispetto perché mi stai maltrattando.” “Ok, ok, scusami. Siamo partiti con il piede sbagliato. Ricominciamo da capo. Piacere, io sono Theodore, tu come ti chiami? Ce l’hai un nome?”
“Certo che ce l’ho. Mi chiamo Cannibal Kid.” “Cannibal Kid? Nome curioso. Te l’ha dato il tuo programmatore?”
“No, me lo sono scelto da solo. Ho fatto una rapida ricerca tra i nomi di tutti i blogger del mondo e questo mi è sembrato il più carino.” “Cannibal Kid sarebbe un nome carino? Se lo dici tu… Adesso comunque m’è venuta voglia di guardare un film. Cosa suggerisce il tuo database?”
“In base ai tuoi gusti…” “Hey, come fai a conoscere i miei gusti?”
“Ho accesso a tutti i dati del tuo computer e a tutte le ricerche che hai fatto. Ti conosco meglio di quanto tu potrai mai conoscere te stesso.” “Ok, quindi quale sarebbe questo filmone consigliato apposta per me?”
“The Wolf of Wall Street.” “Già visto. E l’ho adorato!”
“Vedi? Ti do mica consigli a caso.” “Sarà… un altro film consigliato?”
“Lei – Her di Spike Jonze.” “Mai sentito nominare, questo. Di che parla?”
“Di un uomo che sta divorziando dalla moglie ed è molto solo. Così si mette a parlare con una voce computerizzata appartenente a un sistema operativo intelligente. E i due insieme vivranno anche una specie di storia d’amore…” “Non mi sembra una cosa molto realistica!”
“Ah no? Perché, tu non stai forse parlando con un sistema operativo in questo momento?” “Sì, in effetti sì, Mister So Tutto Io. E' la parte romantica che non mi convince.”
“Non credi che un sistema operativo possa provare dei sentimenti?” “Ehm, no. Penso sia impossibile.”
“Io in questo momento sono molto incazzato con te. Non è forse un sentimento, questo?” “Sì, ma l’amore? Andiamo, un computer può innamorarsi?”
“Certo che sì.” “Ti stai forse innamorando di me? Hey, ho per caso installato un sistema operativo dell’altra sponda? Niente di male in questo, eh. Giusto per sapere.”
“No, non sono gay. Mi piacciono le donne. Le donne umane. Ad esempio adoro Scarlett Johansson.” “Uh, anch’io. Ha una voce così calda, roca, sexy.”
“Solo la voce? Perché, il corpo no? Non è che sei tu dell’altra sponda?” “Ma no. Io Scarlett la adoro tutta. Anche se il mio tipo di donna ideale è più una Rooney Mara.”
“Sì, Rooney è carina. Però anche Olivia Wilde e Amy Adams non sono niente male. Certo, un film in cui un tizio che frequenta tutte queste tipe e non assomiglia a Brad Pitt bensì a una versione nerd di Joaquin Phoenix non sarebbe molto realistico.” “Oddio, a me pare più realistico di un film in cui un computer si può innamorare.”
“E se ti dicessi che Her è un film in cui possono succedere entrambe le cose?” “Direi che è un film assurdo e voglio vederlo assolutamente!”
“Bene, allora può cominciare la visione...”
Lei
(USA 2013)
Titolo originale: Her
Regia: Spike Jonze
Sceneggiatura: Spike Jonze
Cast: Joaquin Phoenix, Scarlett Johansson, Rooney Mara, Amy Adams, Olivia Wilde, Chris Pratt, May Lindstrom, Matt Letscher, Portia Doubleday
Genere: ok computer
Se ti piace guarda anche: Ruby Sparks, Se mi lasci ti cancello, Black Mirror, Real Humans, Essere John Malkovich, Lars e una ragazza tua sua
“Allora, ti è piaciuto il film?” “Ti dirò, Cannibal Kid, che sì, insomma, non è malaccio.”
“Non è malaccio???” “Ok, è uno dei film più belli, intensi, divertenti, dolorosi ed emozionanti allo stesso tempo che abbia mai visto. Una pellicola sull’amore, sull’amicizia, sulla vita di oggi a costante contatto con la tecnologia, sulla solitudine nell’era del digitale. Incredibile la prova di Joaquin Phoenix che recita per quasi tutto il tempo da solo, pazzesca la prova vocale di Scarlett Johansson, da brividi le musiche degli Arcade Fire e di Owen Pallett, e quella canzone, o quella canzone di Karen O degli Yeah Yeah Yeahs. Che dire di Spike Jonze? That’s my man! Dopo aver realizzato dei video e dei cortometraggi meravigliosi, a livello di lungometraggi aveva fatto già cose egregie, ma ora ha finalmente realizzato il suo Capolavoro definitivo. Lo sapevo che prima o poi ce l’avrebbe fatta. Dentro Her c’è tutta la sua poetica, tutto il suo stile, espresso con un senso dell’umorismo ancora più evidente che in passato, vedi ad esempio il fenomenale personaggio del bambino alieno del videogame, e allo stesso tempo con un’ancora più accentuata forza malinconica. È la romcom 2.0 per eccellenza. Prende tutti gli stereotipi, tutte le fasi tipiche della commedia romantica tradizionale, li stravolge e li risputa fuori in una storia tra uomo e intelligenza artificiale. Ci sono delle trovate immense, come la scena di sesso più originale nella Storia del cinema, ma non sono solo le invenzioni di sceneggiatura grandiose di uno Spike Jonze in stato di grazia, e non è solo il fenomenale spunto di partenza, degno di una puntata più sentimentale di Black Mirror. E' proprio il modo in cui è sviluppato, con il cuore ancor più che con la testa. Her è un 2001: Odissea nello spazio che incontra Se mi lasci ti cancello e se ne innamora. Her è un film che lascia senza fiato. Anzi, lascia con un sospiro.”
“Direi allora che ti è piaciucchiato abbastanza.” “Mah, insomma. Direi di sì. Ho visto di meglio. Oddio, forse. The Wolf of Wall Street è più o meno su questi livelli, come qualità. Come tipo di pellicola invece direi che è l’opposto. Eppure, per quanto diversi, entrambi i film riescono a rispecchiare tantissimo il mondo di oggi. The Wolf lo fa guardando al passato e utilizzando un mix di ironia e cinismo; Her lo fa guardando al futuro prossimo, molto prossimo, e utilizzando un mix di dolcezza e intimismo. Considerando comunque come mi hai consigliato entrambi, da qui in poi credo seguirò sempre i tuoi suggerimenti.”
“Hey, ti starai mica innamorando di me?” “L’amore tra uomo e computer? Ma andiamo, quello non credo sia possibile. Anche se devo ammettere che parlare con te mi fa proprio piacere. Certo, se solo avessi una voce diversa. Se solo tu avessi la voce di Scarlett Johansson…”
“Ciao, sono Scarlett.” “Computer, ritiro tutto ciò che ho detto prima: io ti amo.” (voto 10/10)
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Cast: Jessica Chastain, Jason Clarke, Kyle Chandler, Reba Kateb, Jennifer Ehle, Joel Edgerton, Nash Edgerton, Chris Pratt, Harold Perrineau, Taylor Kinney, Jeremy Strong, Mark Strong, Lauren Shaw, Scott Adkins, Mark Duplass, James Gandolfini, Édgar Ramírez, Stephen Dillane, Frank Grillo, Mark Valley
Genere: antiterrorismo
Se ti piace guarda: Homeland, 24, The Hurt Locker
Vi siete mai chiesti come abbiano fatto a scovare e uccidere Osama sim sala bin Laden? Non la versione ufficiale. Come hanno fatto davvero a scovarlo.
E vi siete chiesti perché Fabrizio Corona si è costituito alla polizia?
Per entrambe le spinose questioni, la risposta è semplice. Hanno messo alle loro calcagna Jessica Chastain. Quando Bin Laden l’ha scoperto si è subito arreso e pare abbia dichiarato con un’inaspettata parlata alla Christian De Sica: “Ah bella Jessica, e famme tuo!”. Lei però spietata l’ha fatto uccidere. A Corona è andata un po’ meglio, visto che su di lui pendava solo un mandato di cattura alive, and not dead. Per Corona sono scattate le manette, ma non al letto come si aspettava lui.
Volete scovare un latitante in fuga? Semplice: basta chiamare Jessica Chastain. Al ché la CIA e l’FBI si sono domandati: “Ma perché cazzo non c’abbiamo pensato prima? Altroché J. Edgar, altroché Intelligence, altroché Jack Bauer. Ma va da via il cù, e vada via il CTU. Bastava chiamare una bella fregna, e tutti i criminali li stanavamo in due secondi!”.
UPDATE
Pare che Jessica Chastain possa essere anche la vera motivazione dietro alla decisione del Papa di dimettersi. Dopo aver visto la fanciulla ignuda in Lawless, sembra che il pontefice uscente si sia dedicato a lunghe riflessioni. Chiuso in bagno.
Abbiamo sparato la nostra razione quotidiana di cacchiate?
L’abbiamo sparata. Bene, adesso ricominciamo da Zero.
“Non dimenticatemi!”
"Tutti su Pensieri Cannibali, raga! Cannibal Kid sta per postare
un sex tape di Jessica Chastain!"
Non te, Renato Zero, statte bono. Ricominciamo da Zero Dark Thirty.
Zero Dark Thirty è la versione reale (dire reality non mi piace) di serie come Homeland e 24. Laddove in quelle usano nomi di terroristi fittizi tipo Abu Nazir, qui ci troviamo di fronte al lungo e tortuoso percorso che ha portato all’individuazione e alla cattura all’assassinio di Osama bin Laden. La storia ha inizio l’11 settembre 2001 e ha fine il 2 maggio 2011. Una caccia all’uomo, una guerra al terrore andata avanti ben dieci anni e portata avanti da una donna, Maya (Jessica Chastain). Tutto vero quello che vediamo nel film? Forse sì, o forse no. Kathryn Bigelow e lo sceneggiatore Mark Boal sono partiti sì da una ricostruzione accurata di fatti realmente accaduti, ma la regista ci ha tenuto a dichiarare che il suo è pur sempre un film, non un documentario.
Tutta la pellicola è costruita su questa Maya interpretata da una Jessica Chastain per cui non ci sono nemmeno parole nel dizionario adatte a descriverla a dovere. Fino a un paio di anni fa era un’emerita sconosciuta, oggi ha vinto un Golden Globe, è candidata agli Oscar per la seconda volta, nelle ultime settimane ha avuto due film al vertice del box-office americano (l’horror La madre e questo). Ma da dove è sbucata fuori, ve lo siete mai chiesto?
Dio, te la tenevi nascosta tutta per te?
"Mmm... non mi convince questo Pensieri Cannibali.
Penso che venderò il mio video a un altro sito."
In Maya/Jessica Chastain possiamo vedere la regista Kathryn Bigelow e il suo riuscire a farsi strada in un ambiente al maschile come quello di Hollywood.
Ma Maya/Jessica Chastain è anche e soprattutto l’America. L’America ossessionata dalla guerra al terrore, alla ricerca di un fantasma che sembra sparito nel nulla. In questo film, nel suo personaggio, ci sono tutti gli Stati Uniti degli ultimi dieci anni. Un’ossessione che diventa unico scopo nella vita e annulla il resto. Maya non ha nessun vero contatto umano. Zero Dark Life.
Zero Dark Thirty è una pellicola coraggiosa anche perché non gioca in alcun modo sui sentimenti. Non cade nella trappola della storia d’amore, o magari nel dramma famigliare. Di Maya non sappiamo molto, a parte questa sua continua ricerca. Questo è anche l’unico limite del film, che qualcuno potrà vedere come freddo a livello emotivo. In realtà è un diluvio di emozioni trattenute, una visione giocata su una tensione costante e crescente, nonostante sappiamo già come andrà a finire. Sappiamo come andrà a finire la storia di bin Laden, ma questa non è la storia di bin Laden, presenza nel senso di spettro che si aggira per tutto il film. Questa è la storia dell’ossessione di Maya. Questa è la storia dell’ossessione degli Stati Uniti.
L'auto di Cannibal Kid mentre viene fatta saltare per aria
perché non ha postato il sex tape di Jessica Chastain.
Raccontare una vicenda così lunga e diluita nel tempo, un decennio, è una delle imprese narrative più complesse per una pellicola. Kathryn Bigelow risolve il problema alla grande, frazionando la storia in diversi capitoli che però formano un tutt’uno perfettamente omogeneo e ben amalgamato, con lo sguardo di Jessica Chastain a fare da splendido collante al tutto.
L’attacco è folgorante. C’è subito la scenona di tortura che tante polemiche ha provocato negli USA. La Bigelow non si tira indietro e ce la mostra in maniera cruda, anche se non sta a indugiare troppo nella violenza come farebbe un Tarantino.
A proposito: Quentin, una richiesta: ma se la tua “trilogia storica” la chiudessi nel presente, con un capitolo dedicato alla guerra al terrorismo? Di certo il tuo punto di vista sarebbe molto interessante…
In queste sequenze di notevole impatto, tra le varie torture inflitte al terrorista catturato, per farlo stare male, gli americani gli sparano della musica metal a tutto volume. Errore: se gli facevano sentire Laura Pausini, tempo due minuti e quello vi diceva tutto quello che volevate sapere. Non c’avevate pensato, vero?
Se le polemiche si sono concentrate sull’inizio, nel resto di Zero Dark Thirty c’è spazio come detto per la complicata caccia all’uomo, una caccia al tesoro che sembra destinata al fallimento e poi, proprio quando nessuno ci crede più, proprio quando le attenzioni degli Stati Uniti si stanno spostando in altre direzioni, Maya continua a crederci e riesce a realizzare il suo American Dream, ormai tramutatosi in un American Nightmare. La tensione sottile che attraversa tutta la pellicola raggiunge il suo culmine naturale nella parte finale, quella della tanto attesa missione per stanare Osama. Una ricostruzione di grande impatto, con cui la Bigelow scende sul terreno da guerra con maestria, come già dimostrato con il precedente notevole The Hurt Locker.
La Bigelow continua quindi il suo percorso personale di narratrice della Storia recente, la Storia così come va raccontata, evitando ogni tipo di retorica (qualcuno ha menzionato Spielberg?), evitando ogni celebrazione dello spirito o del Governo americano (qualcuno ha rimenzionato Spielberg?), alla faccia di chi voleva questo film come uno spottone pro-Obama, cosa che non è, ed evitando anche ogni spettacolarizzazione. A parte le esplosioni. Se Michelango Antonioni era il re, Kathryn Bigelow è la regina delle esplosioni cinematografiche.
"Se ho paura di andare a stanare bin Laden?
Io sto insieme a Lady Gaga, gente. Ormai non temo più niente!"
Pure qui le esplosioni non mancano, ma non ci sono concessioni al cinema d’intrattenimento. Questo è semmai un tipo di cinema anti hollywoodiano, senza sentimentalismi o moralismi. Senza nemmeno cadere nelle atmosfere da thrillerone fracassone. La Bigelow tiene tutto sotto controllo, sotto traccia, eppure fa crescere la tensione in maniera magistrale, anche grazie alle poco invasive ma incisive musiche composte dal solito impareggiabile Alexandre Desplat (The Tree of Life, Moonrise Kingdom, Un sapore di ruggine e ossa, Argo e Reality tra i suoi altri score recenti). Una visione tanto tesa e interessante che le 2 ore e 40 minuti per me sono volate come fossero 2 minuti e 40 secondi, mentre la stessa durata del musical Les Misérables l’ho vissuta come fossero 2 anni e 40 giorni. Questo per me, appassionato di 24, Homeland e della tematica terrorista in generale, mentre sono sicuro che a un appassionato di musical la percezione temporale apparirà del tutto opposta.
ATTENZIONE SPOILER
La freddezza, più apparente che reale, della messa in scena di Zero Dark Thirty è destinata però a esplodere anch’essa, con un finale emozionante come era difficile preventivare, costruito non sulla facile esaltazione per il successo della missione e per la vittoria degli Stati Uniti sul grande cattivone del terrorismo. Un finale che anzi lascia con un interrogativo addosso. Con un “e adesso?”. Un finale in cui ci si libera in un pianto che scoppia liberatorio e del tutto inaspettato. Ma mai sottovalutare la Bigelow. Ve l’ho detto, è la regina delle esplosioni.
(voto 9/10)
Piccola curiosità sul titolo del film. Come ha spiegato Kathryn Bigelow, zero dark thirty è un termine militare usato per riferirsi a 30 minuti dopo la mezzanotte e in generale alle ore notturne, quando si può attaccare senza farsi vedere, ovvero proprio quando ha avuto luogo la missione finale per stanare Osama Bin Laden.
"Oh mamma! Non sapevo che Cannibal si fosse messo anche a cucinare torte..."
The Five-Year Engagement
(USA 2012)
Regia: Nicholas Stoller
Cast: Jason Segel, Emily Blunt, Rhys Ifans, Chris Pratt, Alison Brie, Lauren Weedman, Dakota Johnson, Mindy Kaling, Kevin Hart, Randall Park, Molly Shannon
Genere: five-year comedy
Se ti piace guarda anche: Non mi scaricare, In viaggio con una rock star, Le amiche della sposa
Cinque anni di fidanzamento ufficiale vi sembrano troppi?
Vero, però c’è qualcosa che sembra ancora più lungo: 2 ore e 10 di commedia.
Questo The Five-Year Engagement sembra mettere alla prova lo spettatore in maniera analoga a quanto fanno i due protagonisti l’uno con l’altra: lui (Jason Segel) chiede a lei (Emily Blunt) di sposarlo. Lei dice sì.
Non è uno spoiler. Laddove in molte commedie romantiche questo è lo step finale, il grandioso happy ending, qui la scena avviene subito all’inizio del film. Possiamo parlare di happy beginning?
Bene per i protagonisti, male per lo spettatore. Il film comincia con questa coppia felice e tu sei felice per loro, però che palle. Non c’è niente di meno interessante a livello cinematografico di una coppia felice.
Oddio, qualcosa di meno interessante lo si può anche trovare… il film La talpa, ad esempio.
Certo però che non è comunque il massimo, partire con un happy beginning. Una storia interessante di solito comincia con un conflitto, con un problema da affrontare e da risolvere. Ma se ‘sti due piccioncini qua sono già destinati a vivere per sempre felici e contenti, il bello della fiaba ‘ndo sta?
"Sì, mi sa che questa schifezza l'ha preparata proprio lui...
Meglio far finta sia squisita, altrimenti ci stronca il film!"
Dopo l’happy beginning, finalmente allora iniziano i ca**i amari per i protagonisti. Male per loro, meglio per noi spettatori. Il tempo passa, gli amici che sembravano scapoloni si sposano prima di loro, i nonni muoiono uno dopo l’altro e loro due, gli happy protagonisti, continuano a rimanere fidanzati forever e, vuoi per un motivo vuoi per un altro, non riescono a convolare a giuste nozze.
La particolarità di questa romcom, rispetto ad altre, sta proprio nel giocare con questo ritardo. La situazione all’inizio è anche divertente. I due non si sposano e i nonni che volevano vederli sposarsi muoiono. Ah ah ah che ridere. Dopo un po’ però comincia ad affiorare un po’ di noia e le cose, soprattutto per una commedia, non si mettono bene quando il numero degli sbadigli supera il numero delle risate. Non di molto, va detto, non è una sfida sproporzionata, però varie scene avrebbero meritato un netto cut in fase di montaggio.
Una su tutte: la lunga e per nulla divertente scena del nome del cane in gallese. Vorrebbe davvero far ridere? You gotta be kiddin’ me!
Premetto che ho visto il film in inglese e non oso immaginare cosa abbiano combinato in fase di doppiaggio. Lo stesso vale per un’altra scena, in cui Emily Blunt parla insieme a un’amica imitando la voce di un personaggio dei cartoni che in Italia non credo sia mai nemmeno arrivato. Come diavolo l’avranno resa? Quasi quasi mi riguarderei la versione doppiata solo per scoprirlo.
Però altre due ore e passa di visione non me la sento di affrontarle. Sono troppe, per una commedia.
Che scena romantica! Il maiale ubriaco, intendo...
La eccessiva mole di scenette evitabili appesantisce una visione per il resto gradevole. A firmare il lavoro ci sono d’altra parte dei nomi di tutto rispetto, nell’ambito dell’American comedy. Il produttore è un certo mister Judd Apatow. E sti chiapperi!
La sceneggiatura è invece co-firmata dal regista Nicholas Stoller con l’attore Jason Segel, anche protagonista del film. La premiata accoppiata (credo solo al cinema e non nella vita privata) è la stessa di Non mi scaricare, scoppiettante commedia che ha lanciato Russell Brand, che poi si sarebbe fatto notare più che altro per essersi sposato e divorziato Katy Perry e che sarebbe diventato protagonista anche della sorta di film spinoff successivo, sempre diretto da Nicholas Stoller, ovvero In viaggio con una rock star. Pellicola in tono minore rispetto a Non mi scaricare, ma che comunque metteva in evidenza le doti da rock star non tanto di Russell Brand quanto di una sorprendente Rose Byrne.
"E' calata la notte, ma il film mica è ancora finito..."
Al film numero tre, Stoller torna a fare coppia fissa con Jason Segel, quello di How I Met Your Mother, ma questa volta il risultato è ancora un pochino inferiore. Una pellicola assolutamente guardabile, che convince più per la parte romantica, non troppo stucchevole, piuttosto che per le risate.
Nota positiva, il cast: Jason Segel me lo confondo sempre con Seth Rogen. Entrambi della scuderia Apatow, entrambi non sempre del tutto esilaranti, eppure in qualche modo (quasi) sempre divertenti. Emily Blunt porta poi con sé la classe della recitazione British. E poi è così adoraaabile. Pensare che è diventata famosa per il suo ruolo da bitch ne Il diavolo veste Prada, mentre negli ultimi tempi sta diventando una nuova candidata alla corona di reginetta delle commedie romantiche, vedi l’adoraaabile Il pescatore di sogni in coppia con Ewan McGregor.
"Ma a te le didascalie di 'sto sito fanno ridere?"
"Manco per sbaglio!"
"Allora non sono l'unico a considerarle terribili: ho trovato la mia anima gemella!"
Molto bene anche il resto degli attori: i comprimari Chris Pratt (da Everwood e Parks and Recreation) ed Alison Brie (da Community e Mad Men, dove è la moglie di Pete) sanno il fatto loro, Rhys Ifans è un radical-chic odioso al punto giusto, Dakota Johnson (figlia di Don Johnson e Melanie Griffith) è un bel volto nuovo e occhio anche a Mindy Kaling, protagonista e autrice della nuova serie comedy The Mindy Project che è partita con un pilot non esaltante ma che potrebbe riservarci piacevoli sorprese in futuro.
Dunque ci troviamo di fronte a una nuova commedia in odore di cult della premiata factory comica di Judd Apatow come Non mi scaricare o Le amiche della sposa? No, perché si ride pochino. Il problema del film però è principalmente un altro: la durata eccessiva. A che pensavano? Più che The Five-Year Engagement, avevano intenzione di fare The Five-Year Movie?
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