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domenica 3 agosto 2014

THE LEFTOVERS E IL MISTERO DEI POST SCOMPARSI NEL NULLA





The Leftovers
(serie tv, stagione 1, episodi visti finora 1-5)
Rete americana: HBO
Rete italiana: Sky Atlantic
Creata da: Damon Lindelof, Tom Perrotta
Ispirata al romanzo: Svaniti nel nulla di Tom Perrotta
Cast: Justin Theroux, Amy Brenneman, Margaret Qualley, Chris Zylka, Christopher Eccleston, Liv Tyler, Ann Dowd, Emily Meade, Carrie Coon, Michael Gaston, Max Carver, Charlie Carver, Frank Harts, Amanda Warren, Annie Q.
Genere: misterioso
Se ti piace guarda anche: Les Revenants, Twin Peaks, Lost

Avevo scritto un post bellissimo dedicato alla nuova serie HBO The Leftovers. Peccato sia sparito. Dove?
Nessuno lo sa. Un giorno, il 2% dei post di tutti i siti del mondo è scomparso. Svanito nel nulla.
Da allora, il web non è più stato lo stesso. Noi autori di blog vaghiamo per la rete con lo sguardo assente. Non ci fidiamo più di nessuno. Continuiamo a fare copie di backup dei nostri pezzi, spaventati dal fatto che si possa ripetere di nuovo qualcosa del genere. Quell’esperienza ormai ci ha cambiati per sempre e non potremo mai dimenticare quei meravigliosi post andati perduti.
A dirla tutta, in quel 2% di pubblicazioni c’erano anche un sacco di schifezze che non mancheranno a nessuno, ma questo non importa. Niente può cancellare il dolore per aver perso per sempre le nostre opere.

Anche sforzandomi, non riuscirò più a scrivere un post meraviglioso quanto quello che avevo preparato con tanto amore su The Leftovers. Era un pezzo che univa l’asciuttezza stilistica di un Ernest Hemingway, il sarcasmo di un giovane Bret Easton Ellis, l’epicità di un William Shakespeare, la solennità di Giovanni, Matteo, Luca e Marco ovvero Gli Evangelisti all-stars, la spudoratezza commerciale di un Dan Brown, la poetica di un Giacomo Leopardi e la libertà espressiva di un Allen Ginsberg, il tutto scritto in terzine incatenate di versi endecasillabi come la Divina Commedia.
Adesso quelle stesse parole non mi vengono più. Perché è davvero difficile descrivere il fascino di una serie come The Leftovers a chi non l’ha mai vista. Al suo interno si respira un’aria malsana. In ogni scena traspare il senso di angoscia esistenziale dei suoi protagonisti. Non passa un momento in cui non si venga presi da un’inquietudine di quelle vicine alla visione di Twin Peaks o Les Revenants. Allo stesso tempo c’è anche una splendida costruzione del mistero che ricorda Lost. Non è certo un caso che il co-creatore della serie, insieme al Tom Perrotta autore del libro Svaniti nel nulla da cui è tratta, sia Damon Lindelof, una delle tre menti deviate e geniali che ci hanno regalato il cult con Jack, Kate, Sawyer, Hurley, Locke e tutti gli altri.

Questi riferimenti possono essere però fuorvianti e far pensare a un prodotto derivativo. Nonostante le vicinanze con queste e ad altre serie (FlashForward, The 4400, Resurrection etc.) e oltre alla regia nei primi episodi di Peter Berg che rimanda col pensiero a Friday Night Lights, The Leftovers brilla di luce propria. Ha una sua identità precisa e ben definita, di quelle che le sole parole non bastano a descriverla. Bisogna vederla, bisogna sentire le splendide musiche composte da Max Richter, quello della grandiosa colonna sonora di Valzer con Bashir, bisogna viverla. Insieme alla sua gente, insieme ai suoi personaggi, come i tizi della setta che non parlano ma fumano soltanto come delle ciminiere tutto il giorno, o come il capo della polizia interpretato da Justin Theroux. Sì, proprio quel tipo che tutti ci chiedevamo che fine avesse fatto dopo essere stato il protagonista maschile del capolavoro Mulholland Drive di David Lynch e poi si è scoperto che non era sparito proprio nel nulla, ma si stava ciulando Jennifer Aniston.

Poi c’è Liv Tyler. Dov’era finita pure lei? Boh, dopo i video per gli Aerosmith del paparino Steven, Armageddon e Il signore degli anelli nessuno l’ha praticamente più vista per anni e ora rieccola qua, con un fascino più maturo, più misterioso. Inoltre ci sono un sacco di personaggi teen, personaggi teen inquietanti, personaggi teen che si masturbano mentre si fanno strangolare, personaggi teen che non sono i soliti bimbiminkia delle serie adolescenziali. Tra loro spiccano Chris Zylka che fino a poco fa nelle serie bimbominkiose ci sguazzava (The Secret Circle e Twisted), così come i gemelli Max e Charlie Carver di Teen Wolf, in più c’è la gnocchetta Emily Meade e soprattutto la splendida rivelazione Margaret Qualley, che con quei suoi occhioni tristi sembra una versione aggiornata di Lara Flynn Boyle AKA Donna Hayward di Twin Peaks.
E infine ci sono i cani. Quali cani?
Sembrano quelli di una volta, eppure non sono più i nostri cani.

Non avete idea di cosa sto dicendo?
C'è un unico modo per rimediare. Se ancora non avete visto The Leftovers, guardatela. È una delle cose migliori che passano quest’estate sulla tv americana e pure su quella italiana, grazie a Sky Atlantic. Quando lo farete, vi sentirete come se aveste recuperato qualcosa. Qualcosa che era andato perso per sempre e nessuno sa perché.
Adesso vado a fare una copia di backup di questo post. Che non si sa mai.
(voto 8/10)

domenica 1 settembre 2013

UNA CANZONE PER MARION, IL GLEE DELLA TERZA ETA'




Una canzone per Marion
(UK, Germania 2012)
Titolo originale: Song for Marion
Anche noto come: Unfinished Song
Regia: Paul Andrew Williams
Sceneggiatura: Paul Andew Williams
Cast: Terence Stamp, Vanessa Redgrave, Gemma Arterton, Christopher Eccleston, Barry Martin, Anne Reid, Taru Devani, Orla Hill
Genere: strappalacrime
Se ti piace guarda anche: 50 e 50, Paradiso amaro, Broken

In quest’ultimo periodo mi stanno arrivando lettere di protesta da lettori preoccupati che si lamentano di come stanno andando le cose di recente su Pensieri Cannibali. Una volta era tutto un parlare ed esaltare pellicole teen, serie teen, puttanelle teen, stronzate teen. Sembrava di essere dentro un numero di Cioè. Adesso si criticano eventi da bimbiminkia come gli Mtv Video Music Awards 2013 e si dà invece spazio a film con protagonisti dei vecchietti come Barbra Streisand, a robe come Uomini di parola, Amour, Paulette e ora pure questo Una canzone per Marion. Insomma, che diavolo sta capitando? Cannibal Kid è pronto per un ricovero d’urgenza allo stesso pensionato in cui vive, da ormai parecchio tempo, il suo eterno rivale, il blogger Mr. James AmpliFord?
Forse sì. Il fatto che parli di se stesso in terza persona, come in questo post, è un ulteriore segno di precoce rincoglionimento.

"Hey Cannibal, siamo più ggiovani noi di te!"
Qual è il motivo di questa recente passione del Cannibal non più Kid che d’ora in avanti chiameremo Cannibal Old?
La verità è che old is the new young. I film con i vecchietti sono ormai parecchio più imprevedibili di quelli adolescenziali. Sono un po’ come Game of Thrones: non sai mai quando può morire uno dei personaggi principali. Questi film con i nonnini sanno quindi sorprendere e stupire, andare oltre le aspettative. Cosa che invece non capita più molto spesso con le pellicole teen, un genere negli ultimi tempi un po’ in crisi.

Detto questo, Una canzone per Marion è un film piuttosto classico. Non è una rivelazione assoluta. Non stupisce più di tanto, eppure sa colpire al cuore. Occhio, perché se siete particolarmente anziani potreste anche avere un attacco a vederlo. A una certa età, bisogna stare attenti.
La storia è la tipica storia strappacuore e strappalacrime di una donna in fin di vita, cui sono rimaste giusto poche settimane prima di schiattare tra atroci sofferenze e che ha un ultimo desiderio, un’ultima passione nella vita: la musica. La vecchia rimbambita povera vecchina moribonda (Vanessa Redgrave) fa parte di un coro di vecchini, un Glee club della terza età, capitanato non dall’ingellatissimo Matthew Morrison, bensì da quella sventolana di Gemma Arterton.
Nota a parte: Cannibal Old non si è nemmeno eccitato, vedendo Gemma Arterton in questa pellicola. Ha avuto bisogno di prendere il Viagra.

"GRRR, dobbiamo per forza cantare un pezzo di Justin Bieber?"
La cosa fica di questi vecchini sprint è che hanno una forza vitale notevole e si gasano con una serie di brani apparentemente all’infuori del loro abituale contesto e della loro era geologica: dal sexy R&B delle Salt-n-Pepa con “Let’s Talk About Sex” al metal dei Motorhead con “Ace of Spades”. La pellicola regala quindi dei bei momenti a livello musicale, ma anche e soprattutto a livello emotivo. Se pensate a una roba giocata sui buoni sentimenti, sì, avete ragione. A rendere il tutto un po’ più amaro e meno buonista ci pensa però il protagonista, uno strepitoso Terence Stamp, attore caratterista visto in un sacco di film soprattutto nella parte del cattivo, che qui veste i panni dello scontroso e scorbutico marito della Redgrave in fin di vita. Attraverso il punto di vista di questo novello Mr. Scrooge, i toni sentimentaleggianti del film si fanno più tenui e ci si riesce ad emozionare senza sentirsi dei completi idioti. O delle complete mammolette.
Nota a parte: qualcuno sa spiegarmi perché, se scrivo “mammolette” su Google immagini, mi escono quasi solamente foto di Pierluigi Bersani?


"Ti vedo giù, Terence. Che posso fare per tirarti su?"
"Eh, tante cose Gemma. Son troppo vecchio per ricordare quali, però tante cose."
Ok. Era una domanda retorica.

Film ricattatorio, buonista e ruffianotto fin che si vuole, però Una canzone per Marion risuona con quel tocco di bastardaggine e disillusione tipicamente britannico che rende la melodia più cattivella. Nota di merito poi, oltre che all’ottimo cast, alla variegata selezione musicale che riesce a evitare le banalità, fino quasi alla fine. Sul finale, il film purtroppo cede un po’ troppo ai sentimenti e soprattutto a canzoni scontate: si poteva scegliere qualcosa di meglio da far cantare a Terence Stamp nel suo grande momento di gloria, piuttosto che la deprimente “Lullaby (Goodnight) My Angel” di Billy Joel. Quando poi sui titoli di coda è risuonata la voce di - oh mio Dio! - Celine Dion, Cannibal Old si è sentito male. Ha avuto un grave attacco al cuore, un po' a tutto il corpo e soprattutto alle orecchie. Adesso si sta riprendendo, sta facendo fisioterapia e si sta guardando un sacco di film con vecchi che fanno cose da vecchi. Tipo morire.
(voto 7/10)



venerdì 31 agosto 2012

Blackout is the new black

Blackout
(mini-serie UK in 3 puntate)
Rete britannica: BBC1
Rete italiana: non ancora arrivata
Creata da: Bill Gallagher
Regia: Tom Green
Cast: Christopher Eccleston, Ewen Bremner, Lyndsey Marshal, MyAnna Buring, Rebecca Callard, Branka Katic, Dervla Kirwan, Olivia Cooke, Andrew Scott
Genere: politically
Se ti piace guarda anche: Boss, Damages, Political Animals

Ho guardato la puntata pilota di Blackout. Com’era? Non me lo ricordo.
Il giorno dopo me ne ero dimenticato. Ho avuto un blackout.
Dunque, è una serie noiosa, di quelle per niente memorabili?
Nient’affatto, è solo che la sera in cui l’ho visto ero davvero stanchissimo e quindi sono crollato. Ma non è colpa della serie, promesso.
Dopo aver avuto questo blackout, ho fatto un secondo tentativo, più che meritato: Blackout è infatti una visione di quelle da non lasciarsi sfuggire. Non fate come me. Non addormentatevi. Seguitela con grande attenzione. Dopo tutto, sono appena tre puntate tre da un’oretta ciascuna, che vanno a formare una sorta di film lungo o di mini-serie molto mini. Ste cose gli inglesi le fanno spesso. Sono specialisti nelle mini-serie.

L’inizio di Blackout è molto ma molto noir. Il protagonista è un consigliere comunale con qualche problemino di alcool. E con qualche problemino, intendo che è un alcolista allo stato (quasi) terminale. Raramente ho visto qualcuno bere così tanto nel giro di così pochi minuti, sia in un film, in un telefilm o nella vita reale. Davvero dura tracannare più di quanto fa lui a inizio episodio. Ste cose gli inglesi le fanno spesso. Sono specialisti nel bere.
In una notte di assoluto delirio, oltre a sbronzarsi in una maniera colossale, principe Harry style, riesce anche a partecipare al balletto della figlia, a farsi una prostituta o quella che sembra essere una prostituta e a rimanere coinvolto in un omicidio. O a quello che sembra essere un omicidio.
Il giorno dopo, un uomo viene ritrovato in fin di vita. Chi l’avrà ridotto in quello stato? Lui?
Intorno a questo misterioso mistero si gioca una parte della misteriosa serie. Ma solo una parte, perché questo altro non è che appena l’inizio. Il bello, come si suol dire, o come dicono quelli bravi, deve ancora venire.
Il giorno dopo, rientrato da un hangover assurdo post-alcolico e post-coinvolgimento in un omicidio, il nostro sobrio protagonista va a fare visita a sua sorella, un noto avvocato cittadino. Quand’ecco che dei tizi armati sbucano fuori e cercano di farla fuori. Lui li nota e, da eroe quale non è mai stato in vita sua, frappone il suo corpo tra i proiettili e sua sorella. Il tutto ripreso dalle telecamere dei vari TG. Credo pure l’immancabile Studio Aperto.
Ed è così che il protagonista passa dall’essere un semplice consigliere comunale alcolista all’essere un eroe nazionale. Miracolosamente ancora in vita. Tutti lo cercano, tutti lo vogliono, e c’è già chi lo vede come potenziale candidato a sindaco cittadino.

Succedono davvero un sacco di cose, nella puntata pilota di Blackout, e quindi vi confermo che se alla prima visione mi sono addormentato è solo perché gli occhietti mi si chiudevano da soli. E nelle sue successive puntate ci sono nuovi notevoli sviluppi, per una serie British che per la tematica politica affrontata in maniera nuda e cruda si offre come una sorta di Boss d’Oltremanica, con un protagonista/sindaco dai lati parecchio oscuri, ma allo stesso tempo con un’identità tutta sua e un tocco britannico inconfondibile.
Bella la fotografia, misteriose e molto dark le atmosfere, di livello cinematografico la regia e, ciliegina sulla torta, il piatto forte della gran parte delle produzioni inglesi: una recitazione di sballoso livello. Il protagonista Christopher Eccleston (Piccoli omicidi tra amici, The Others e Dottor Who tra le tante cose nel suo CV) è davvero calato nella parte, mentre nei panni della bionda zoccola c’è MyAnna Buring, attrice sexy ma dal volto leggermente inquietante che ultimamente tra il film Kill List e la mini-serie White Heat mi sto ritrovando dappertutto. E la cosa non mi dispiace. C’è poi anche Ewan Bremner, lo Spud di Trainspotting.
Quello che si presentava così…



E faceva cose così…



Se il protagonista di Blackout è quello alcolizzato, lui invece, sorpresa sorpresa, appare in panni per lui parecchio sobri e seri. E adesso si presenta così...


L’unica pecca della serie, se pecca può essere considerata, è che tutto sembra avvenire troppo in fretta e che con ciò che succede gli americani ci avrebbero fatto su almeno una stagione da 24 puntate. Qui al termine dei tre episodi ne vorresti ancora di più e invece, in attesa di sapere se questa mini mini-serie avrà mai un seguito, bisogna accontentarsi così.
In chiusura, volete un consiglio? Evitate i blackout mentali, come me, e cercate di ricordarvi di dare un’occhiata a Blackout.
(voto 7/10)


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