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martedì 23 settembre 2014

FRANKIE, VALLI A VEDERE TE I MUSICAL DI BROADWAY





Jersey Boys
(USA 2014)
Regia: Clint Eastwood
Sceneggiatura: Marshall Brickman, Rick Elice
Cast: John Lloyd Young, Vincent Piazza, Erich Bergen, Michael Lomenda, Christopher Walken, Renée Marino, Kathrine Narducci, Steve Schirripa, Freya Tingley
Genere: musicale
Se ti piace guarda anche: La bamba, Ray, Quando l'amore brucia l'anima – Walk the Line, Not Fade Away, Quasi famosi, Volare, Quei bravi ragazzi

Una cosa che mi piace di Clint Eastwood è il suo continuo uscire dagli stereotipi.
Mi piace il modo in cui un repubblicano vecchio stampo come lui ha trattato in maniera aperta e intelligente il tema dell'eutanasia in Million Dollar Baby e la questione razziale in Gran Torino.
Mi piace il fatto che il texano dagli occhi di ghiaccio noto per i suoi ruoli da duro e puro abbia girato uno dei film più smielati di sempre come I ponti di Madison County, per quanto quel film non mi sia piaciuto.
Mi piace immaginarmi il vecchio rude Clint tra il pubblico di Broadway mentre si commuove ascoltando le canzoncine commerciali anni '50 proposte dal musical Jersey Boys, in maniera analoga a quanto fa Christopher Walken nell'adattamento cinematografico.
Mi piace l'idea di Eastwood che, all'età di 84 anni, tenta ancora strade nuove e questa volta si cimenta con la trasposizione di un musical, un genere con cui si era confrontato solo nel lontano 1969, come attore ne La ballata della città senza nome.

Mi piace la prima parte della pellicola Jersey Boys, che racconta l'ascesa al successo dello scugnizzo Frankie Valli come cantante di un quartetto vocale che cambia più volte nome, fino a diventare i The Four Seasons. Si tratta di un romanzone di formazione classico, vagamente alla Scorsese, in cui le organizzazioni criminali mafiose fanno giusto da sfondo alla vita del parrucchiere aspirante cantante Frankie e un grande spazio viene affidato alla musica. Un biopic molto tradizionale, d'altra parte a Clint Eastwood non è che si chieda innovazione registica, che ricorda molti altri film musicali ma che possiede un buon ritmo, ben più sostenuto di altre pellicole retrò macchinose firmate dal regista come J. Edgar o il soporifero Changeling.

Mi piace meno la seconda parte della pellicola. Questo genere di storie dedicate a band e musicisti, di cui come esempi posso citare Ray, La bamba, Great Balls of Fire, Not Fade Away, Quasi famosi e Quando l'amore brucia l'anima – Walk the Line, tanto per dirne alcuni che Jersey Boys a tratti riecheggia, di solito è diviso in due tempi: l'ascesa e poi il declino. L'ascesa come detto è raccontata in maniera gradevole, anche se purtroppo manca quasi del tutto la componente sesso, droga & rock'n'roll, visto che il sesso è rappresentato in una maniera pudica che manco Steven Spielberg, la droga è una tematica che resta molto marginale, mentre di rock'n'roll nel pop sbarazzino di Frankie Valli & soci non vi è neanche l'ombra. I The Four Seasons possono semmai essere visti come i padrini dei gruppi vocali in stile New Directions della serie tv Glee, per non dire i Neri per Caso, e pure delle boy-band, considerando il modo di esibirsi in pubblico vestiti tutti uguali e accennando persino delle mosse di ballo. Nonostante la storia del gruppo appaia come una versione edulcorata di quella di una rock band, il tutto si lascia seguire con piacevolezza.
La grave pecca sta allora nella seconda parte, quella del declino. A mancare qui sono le emozioni forti. Il vero drama tipico di questo genere di storie. Sì, c'è un momento triste legato a un famigliare di un membro della band, non vi spoilero chi, però si tratta di un personaggio che pare buttato lì in mezzo a casaccio tanto per suscitare un po' di commozione. C'è anche il contrasto tra Frankie e un altro del gruppo, il gangsta Tommy, però niente che coinvolga più di tanto. Il film non riesce a decollare mai davvero e nella parte conclusiva si spegne progressivamente, finendo nella sua eccessiva durata per annoiare un pochino. Ho detto un pochino io che in questo genere di storie ci sguazzo e di biopic su musicisti e gruppi me ne sparerei uno al giorno, ma i meno appassionati potrebbero pure annoiarsi non solo un pachino, ma parecchio.

"Non mi piace quello che dice Cannibal su di me.
Penso che me ne andrò a piangere..."
Mi piace ancora meno quello che è il vero grande problema di questa pellicola non brutta, solo incapace di lasciare il segno. Clint Eastwood ha peccato di eccessiva fedeltà nei confronti del musical cui si è ispirato. O almeno così sembra. Io il musical Jersey Boys non l'ho visto. Non sono mai stato a Broadway e anche se ci andassi probabilmente non lo guarderei. L'impressione viene però fuori già solo andando a vedere il cast. Clint, oltre che gli stessi sceneggiatori, ha reclutato per lo più gli stessi interpreti dello spettacolo originale, ormai invecchiati di una decina d'anni rispetto alle prime rappresentazioni e quindi un po' fuori parte. Al di là di una questione anagrafica, ciò che funziona su un palco di Broadway non necessariamente funziona al cinema. Si veda Les Miserables. In quel caso il peso principale del film era che gli attori cantavano tutto, ma proprio TUTTO il tempo, cosa che per un musical visto a Broadway va bene, mentre visto su pellicola diventa una cosa difficile da reggere. Qui per fortuna non è così. I personaggi non si mettono a cantare invece di parlare. Le canzoni sono presenti quando i Four Seasons si esibiscono nei locali o in tv, o quando registrano in studio.
A non funzionare sono gli interpreti, fatta eccezione per Vincent Piazza, già visto nella serie Boardwalk Empire, l'unico del cast che sembra poter avere un futuro cinematografico, sebbene con quella faccia rischi di rimanere intrappolato nello stereotipo dell'italo-americano a vita. Gli altri tre Four Seasons invece non bucano lo schermo. Michael Lomenda è del tutto anonimo e il suo personaggio Nick è inutile, mentre Erich Bergen, che veste i panni dell'autore delle canzoni della band, sembra la versione inespressiva del nostro Alessio Boni. Il peso maggiore grava però sulle spalle del protagonista principale. Sono sicuro che John Lloyd Young a Broadway sia stato bravissimo e si sia meritato di vincere il prestigioso Tony Award, ma come attore cinematografico non funziona. Non ha carisma. Gli manca l'X-Factor filmico. Inoltre la sua voce è piuttosto fastidiosa e non rende giustizia al vero Frankie Valli, un po' come la pallida imitazione di Beppe Fiorello non era in grado di riportare in vita il ricordo del vero Domenico Modugno nella fiction Rai Volare.



Mi spiace allora per Clint Eastwood, ma ha fatto l'errore di apprezzare il musical in maniera eccessiva e di non averlo voluto cambiare più di tanto. Il cinema, un veterano come lui dovrebbe saperlo, funziona in maniera differente da uno spettacolo teatrale e il suo film finisce per essere troppo Broadway e poco Hollywood. Si veda il finale. La classica scena che a teatro è l'occasione per il cast di prendersi gli applausi, e magari la standing ovation del pubblico, e che invece in una sala cinematografica fa solo andare via gli spettatori mesti e con la faccia delusa del “Tutto qui?”.
(voto 6/10)

mercoledì 18 settembre 2013

UNA FRAGILE ARMONIA, NON UNA FRAGILE PELLICOLA




Philip Seymour Hoffman che suona
Una fragile armonia
(USA 2012)
Titolo originale: A Late Quartet
Regia: Yaron Zilberman
Sceneggiatura: Seth Grossman, Yaron Zilberman
Cast: Philip Seymour Hoffman, Catherine Keener, Christopher Walken, Mark Ivanir, Imogen Poots, Liraz Charhi, Wallace Shawn, Nina Lee
Genere: classico
Se ti piace guarda anche: Una canzone per Marion, Il concerto

Qual è la differenza tra una rock band e un quartetto d’archi?
La rock band brinda alla figa. Il quartetto d’archi brinda alla Fugue, intesa come fuga musicale (vi rimando a Wikipedia perché non sarei in grado di spiegare cos’è con parole mie), e intesa come nome del gruppo messo insieme dai protagonisti.

"Viva la fugue!"

Questo per darvi subito l’idea della pellicola che vi troverete davanti, se mai vi avventurerete in una visione simile. Capite bene che si tratta di un film dai toni assai differenti da un Almost Famous, tanto per citare un altro film a tema musicale.
Se siete patiti di musica classica, comunque, questo film vi farà venire. È come 8 Mile, con la classica al posto del rap. La colonna sonora comprende interpretazioni di brani di Beethoven, Haydn, Bach, Strauss, più pezzi originali creati dal grande Angelo Badalamenti, che qui dimentica le atmosfere inquiete di Twin Peaks e dei lavori fatti per il suo compare preferito David Lynch e si concentra pure lui in una serie di composizioni molto… classiche, indovinato!
In più, tutti i personaggi parlano di musica classica, suonano in teatro, in studio, oppure si esercitano, o insegnano. Insegnano cosa? Matematica? Letteratura? Educazione fisica?
Ma va. Insegnano musica classica, ovviamente.

Gente che suona

Philip Seymour Hoffman, che qui interpreta la parte del secondo violinista della band, ascolta musica classica persino facendo jogging. Io per andare a correre ascolto invece soprattutto roba dubstep o hip-hop o pop-rock o comunque dotata di un certo ritmo (ma non con bpm troppo elevati, devo mica fare i 100 metri piani).
Ecco qui, giusto per spezzare l’andatura classica del post, la playlist dei pezzi che mi caricano di più per correre al momento, ascoltabile con Spotify. E se non avete Spotify siete più superati di P.S. Hoffman e dei suoi amichetti del quartetto d’archi.




Nonostante Una fragile armonia sia l’apoteosi della celebrazione della musica classica, il film riesce ad appassionare e coinvolgere anche i meno patiti del genere. Oddio, se proprio odiate la classica con tutti voi stessi, preferirete una mazzata sulle palle piuttosto che immergervi in tale visione, ma se il genere non vi fa del tutto schifo, qui vi ritroverete di fronte a un film con un’atmosfera molto classica, girato anch’esso in maniera classica, leggermente da indie movie radical-chic Sundance classic syle ma non troppo, e interpretato alla grande. In modo sì un po' classico, ma comunque alla grande. I 4 protagonisti membri del quartetto fanno a gara a chi è più bravo. Sia a livello musicale, e qui vince il meno conosciuto del lotto, l’attore ucraino Mark Ivanir, sia a livello recitativo, e qui invece ad avere la meglio è il solito enorme Philip Seymour Hoffman. Bravi pure Christopher Walken e Catherine Keener, mentre la rivelazione è Imogen Poots, giovane bionda già avvistata ne I segreti della mente – Chatroom  e Fright Night – Il vampiro della porta accanto, qui in grado di tenere testa alla grande a un cast di simile livello e pronta quindi a stupirci ancora, in futuro.
Segnatevi il suo nome. Lo ripeto a scanso di equivoci: Imogen Poots, non Imogen Boobs.

Una gnocca che suona

Oltre a beccarvi un cast in formissima, se non siete patiti di classica perché mai dovreste guardarvi un film come questo?
Perché, insieme alla parte più strettamente musicale, Una fragile armonia ci fa anche entrare dentro la vita dei membri del quartetto d’archi, ci fa sentire tutte le tensioni che si sono accumulate tra loro in 25 anni di collaborazione e che esplodono quando il più vecchio, Christopher Walken, annuncia l’imminente ritiro per via del Parkinson.
Musica classica, Parkinson…
E che due maroni! Mi rendo conto che non possano essere gli argomenti più appealing per la visione di un film. Superato lo scoglio del primo movimento, Una fragile armonia si rivela però a sorpresa una sinfonia potente, che fluisce alla grande e con tutti gli strumenti che si incastrano alla perfezione: musica, malattia, ma anche amori e passioni che trascinano fino alla fine, magari non come un’opera di Beethoven, ma sicuramente più di una composizione di quel bidone musicale che risponde al nome di Giovanni Allevi.

Ancora gente che suona

Non sarà la pellicola più divertente e d’intrattenimento dell’anno, eppure Una fragile armonia merita un ascolto, pardon una visione. Anche perché, come spiega in una splendida scena del film Christopher Walken ai suoi studenti di musica, parlando di un suo collega:

Casals metteva in rilievo le cose buone, quelle che gli erano piaciute. Era incoraggiante. E il resto, lasciatelo agli imbecilli o, come si dice in spagnolo, chi giudica contando gli errori.

È quello che si cerca di fare anche qui, a Pensieri Cannibali, almeno nei giorni positivi. A parte le volte in cui ci si diverte a demolire del tutto qualche sciagurato film, come ad esempio World War Z, si cerca sempre di trovare del buono anche in pellicole che non sono dei capolavori. E Una fragile armonia non è un capolavoro, ma è un film tutt’altro che fragile e che al suo interno ha delle cose buone. Parecchio classiche, però buone.
(voto 7/10)


Tanto per cambiare, della gente che suona


giovedì 22 agosto 2013

1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 PSICOPATICI




1 bella prima parte, ritmata, frizzante ed elettrizzante.


2 discrete palle la parte finale, sconclusionata e troppo prevedibilmente crime oriented.


3 tre civette sul comò
che facevano l'amore
con la figlia del dottore
il dottore si ammalò
ambarabà ciccì coccò!
Se devo scegliere tra questo film e il precedente del regista/sceneggiatore Martin McDonagh, quel gioiellino di humour nero che era In Bruges, scelgo nettamente In Bruges senza nemmeno dover fare la conta ambarabà ciccì coccò.


4 come gli amici al bar di Gino Paoli.
Cosa c’entra? Niente, ma dopo tutto chi vi dice che io non sia l’ottavo psicopatico?


5 ottimi attori (Woody Harrelson, Colin Farrell, Sam Rockwell, Christopher Walken, Michael Pitt) + 2 ottime attrici (Abbie Cornish e Olga Kurylenko).


6,5 il mio voto alla pellicola.


7 psicopatici
(UK 2012)
Titolo originale: Seven Psycopaths
Regia: Martin McDonagh
Sceneggiatura: Martin McDonagh
Cast: Colin Farrell, Sam Rockwell, Abbie Cornish, Olga Kurylenko, Woody Harrelson, Christopher Walken, Helena Mattson, Michael Pitt, Michael Stuhlbarg, Harry Dean Stanton, Linda Bright Clay, Gabourey Sidibe, Zeljko Ivanek, Tom Waits
Genere: psyco crime
Se ti piace guarda anche: In Bruges, Uomini di parola, Small Apartments, A Fantastic Fear of Everything





mercoledì 17 luglio 2013

VECCHINI DI PAROLA


Uomini di parola
(USA 2012)
Titolo originale: Stand Up Guys
Regia: Fisher Stevens
Sceneggiatura: Noah Haidle
Cast: Al Pacino, Christopher Walken, Alan Arkin, Mark Margolis, Julianna Margulies, Addison Timlin, Lucy Punch, Katheryn Winnick, Vanessa Ferlito, Craig Sheffer, Bill Burr, Courtney Galiano, Weronika Rosati
Genere: old school
Se ti piace guarda anche: Scent of a Woman - Profumo di donna, 7 psicopatici, La 25a ora

Tre amici all’ultima avventura delle loro vite. Al Pacino, Christopher Walken e Alan Arkin, tutti e tre ormai oltre la soglia dei 70 anni, si ritrovano per combinare ancora qualche casino in giro, come ai vecchi tempi.
Tutti e tre delinquenti esperti, ma solo uno di loro è finito in galera: Al Pacino, per ben 28 anni in cui non ha mai aperto bocca pur di coprire gli amici. Il film è interamente ambientato il giorno in cui finalmente esce di prigione. Dopo tutti quegli anni in gattabuia si ritrova davanti un mondo cambiato, in cui ad esempio le auto non si accendono più con le chiavi e sono quindi ancora più facili da rubare. Un mondo cambiato in cui vuole ancora dire la sua, sebbene solo per una manciata di ore. Il mattino seguente, il suo migliore amico Christopher Walken dovrà infatti ucciderlo. È costretto da un boss interpretato da Mark Margolis (il vecchino inquietante di Breaking Bad) a ucciderlo. Perché? Perché Al Pacino a suo volta e a suo tempo aveva ucciso il figlio del boss, per sbaglio… ma non è questo l’importante. L’importante è l’avventura tutta in una notte di Pacino & Walken, cui più in là si aggrega anche il terzo membro del trio, Alan Arkin, dritto dritto dall’ospizio.

Nonostante l’età, i tre ne combineranno di tutti i colori. Vanno in un bordello, dove Al Pacino avrà bisogno di un’ingente quantità di Viagra per far tornare in piedi il birillo, si sniffano medicinali (oh, sono pur sempre dei vecchietti), sfrecciano a manetta con un’auto nuova fiammante, aiutano una tizia stuprata ad avere la sua tarantiniana vendetta, e non a caso a interpretare la tizia c’è Vanessa Ferlito, quella della lap dance di A prova di morte. E poi, poi ne combinano di tutti i colori.
Uomini di parola (titolo originale Stand Up Guys) è un tutto in una notte molto ben sceneggiato e orchestrato, non ai livelli di un Collateral, certo, però riesce a mantenere l’intrattenimento su buoni livelli dalla prima all’ultima scena. I tre protagonisti, soprattutto un indemoniato e super mangione Al Pacino, sono in gran forma, manco fossero tre giovinetti alla prima uscita alcolica insieme. Diciamo che è una specie di teen movie al contrario; laddove lì vengono raccontate le prime esperienze, qui vengono raccontate le ultime, che sono altrettanto importanti e assumono contorni malinconici.
Possiamo anche vederlo come una versione meno tamarra e action, ma più riflessiva e con dialoghi decisamente migliori, degli Expendables. La vecchia scuola che cerca di dire la sua nel mondo odierno, in una pellicola che è molto più avvicente e profonda di quanto ci si potrebbe aspettare dalla classica comedy criminale. A sorpresa, tutto funziona alla perfezione, sia i momenti riflessivi, mai troppo melensi, che quelli comici, dove, nonostante alcune gag piuttosto prevedibili come quella del Viagra, non si scade troppo nel volgare o nel banale.

Ad accompagnare i tre vecchini all-stars, ci pensa un cast di contorno femminile di pregevola fattura: c’è la già citata Vanessa Ferlito, che ha delle labbrazza che Madonna sono la fine del mondo, c’è la splendida Addison Timlin (Afterschool, Californication), che è la cameriera che vorremmo tutti avere nella tavola calda sotto casa, se solo sotto casa avessimo una tavola calda, la sempre simpatica Lucy Punch (Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni, Take Me Home Tonight, Bad Teacher…), la bionda Katheryn Winnick della serie Vikings in versione prostituta mega arrapante e Julianna Margulies della serie tv The Good Wife che qui ritorna a lavorare in un ospedale come ai tempi di E.R.

Da segnalare inoltre la stilosissima colonna sonora, ricca di suoni funk/soul di oggi e soprattutto di ieri, in cui spicca “When Something Is Wrong With My Baby” di Sam & Dave, ballata da Al Pacino insieme a una giovane sgallettata.
Nonostante le illustrissime presenze femminili e le musiche, il motore e il cuore della pellicola restano loro, i tre vecchietti criminali. Tre amici arrivati all’ultima avventura delle loro vite. O chissà? Forse no. Forse non per tutti e tre sarà davvero l’ultima. Il finale non è troppo distante da quello di Spring Breakers, giusto con una differenza d’età tra i protagonisti di una 60ina di anni - ma cosa volete che siano? -, e ci lascia intendere che questi vecchini potrebbero andare avanti ancora. Per sempre.
Stand up forever, guys!
(voto 7/10)

Post pubblicato anche su The Movie Shelter.

"Con tutta la patata che c'è in questo film, non credo di aver mai più bisogno del Viagra!"



sabato 27 aprile 2013

IO E ALLEN


Io e Annie
(U-U-USA 1977)
Titolo originale: Annie Hall
Regia: Woody Allen
Sceneggiatura: Woody Allen, Marshall Brickman
Cast: Woody Allen, Diane Keaton, Tony Roberts, Carol Kane, Paul Simon, Shelley Duvall, Jeff Goldblum, Christopher Walken, John Glover, Beverly D’Angelo, Sigourney Weaver, Marshall McLuhan
Genere: woo-woo-woodyallen
Se ti piace guarda anche: Louie, Girls, Alta fedeltà, un altro film di Woody Allen a caso

I-i-io, be-beh ho un rapporto conflittuale con con… con chi? Co-con Woody Allen. Amato e odiato, sopravvalutato e sottovalutato, genio e ciarlatano, comico e drammatico, irresistibile e noioso, prova cose differenti e gira sempre lo stesso film, ba-ba-balbetta ma parla un sacco, fa un sacco di pellicole fondamentali e allo stesso tempo ne fa un sacco di inutili. Tutto e niente, questo è Woody Allen e be-be-beh io non ancora capito se più mi piace o più non mi piace e alla fine però i-i-io o-o-ogni tanto se-sento che de-devo vedere un suo film, ma non è che de-devo, è più che vo-vo-voglio cioè ho voglia di vedere un suo film.

Il mio rapporto con Allen è conflittuale anche perché trovo pa-pa-parecchio sopravvalutati suoi film osannati come capolavori assoluti come Manhattan e Match Point, no-no-nostante la presenza della mia Scarlett preferita, mentre altri sono un pochetto sottovalutati, come il grande Harry a pezzi o l’affascinante Sogni e delitti, o Vicky Cristina Barcelona e Scoop, sempre con la mia Scarlett preferita, e poi perché anche in tempi recenti è capace sia di piccole meraviglie come Midnight in Paris che grandi schifezze come To Rome With Love e poi pe-pe-perché gira tro-tro-troppi film. E-ecco, io questa cosa beh-beh, non la reggo. Io preferisco i registi che fanno un film ogni morte (o dimissione) di Papa e lo fanno aspettando il progetto giusto e curando tutti i dettagli in maniera maniacale, quelli che hanno una filmografia snella. Woody quanti film ha girato? Una cinquantina. Ma chi è che li ha visti tutti? Lui? Nemmeno lui, probabilmente.

"Ma-ma-ma quanto eravamo hipster già negli anni '70, Diane?"
I-i-io beh a-adesso ho voluto recuperarmi alla buon ora uno dei suoi più celebri lavori, I-Io e A-A-Annie che oh-oh-oh, non l’avevo ancora mai visto perché come ho detto ne ha fatti troppi e quando uno fa troppi film poi rischia che il pubblico non guardi quelli fondamentali e guardi quelli sbagliati tipo cioè io mi immagino le nuove generazioni che sentono parlare di questo grande autore newyorkese Woody Allen che insomma è una figura fondamentale del cinema e della scrittura cinematografica e come scrive monologhi e dialoghi lui be-be-beh ce ne sono pochi in giro e magari qualche giovincello non ha mai visto un suo film e pensa: “Oh, mi guardo l’ultimo di Allen!” e si becca To Rome With Love con la Mastronardi e resta con gli occhi sbarrati e pensa che non vedrà mai più un altro lavoro di Allen in vita sua e sono queste le cose che capitano quando uno gira troppi film e si fa trascinare dagli eventi ed esce con una pellicola all’anno tanto per tanto pe-pe-perché così ormai ha preso l’abitudine e allora sono anche cavoli suoi cioè a me che mi frega se si sputtana così la carriera? che poi di solito 1 su 2 tra i suoi ultimi film è interessante e allora se invece di un film all’anno ne girasse uno ogni due anni sfornerebbe solo ottima roba oppure al contrario girerebbe solo quelli schifosi?

"Di-Di-Diane, comincio a pensare che senza di noi gli hipster non sarebbero
mai esistiti. Abbiamo creato dei mostri!"
I-I-Io e A-A-Annie dicevo, beh sì dovevo vederlo perché ancora mi mancava e mi è piaciuto sì mi è piaciuto però ancora non è riuscito a risolvere il mio dubbio esistenziale se Woody Allen più mi piace o più non mi piace perché sì è un ottimo film ma allo stesso tempo a livello emotivo non l’ho amato completamente.
Il mio problema con Allen è che mi sta simpatico, alcune sue battute mi fanno morire, alcune trovate le trovo geniali eppure come emozioni un suo film non mi travolge del tutto forse perché è proprio lui che è fatto così, lui non si innamora, lui si infatua, passa da una donna all’altra da un progetto all’altro da un film all’altro salta di fiore in fiore in maniera rapida eppure alla fi-fi-fine si infatua sempre della stessa donna e realizza sempre la stessa pellicola con lo stesso protagonista: lui.
E-e-ecco, lui parla sempre di se stesso. Credo che l’unico che possa amare davvero e completamente i suoi film al ce-ce-cento per ce-ce-cento sia lui stesso. I-I-Io e A-A-Annie? No! Io e basta. E il titolo italiano è anche più giusto di quello originale: Annie Hall. Annie Hall? No, non è un film su Annie Hall, una spumeggiante Diane Keaton, è un film su Alvy, ma chiamiamolo pure con il suo vero nome: Woody Allen. Un po’ tutti i film di Woody Allen dovrebbero essere intitolati: Woody Allen. Questo è il loro principale limite. Meno ti ritrovi in lui, meno ti piaceranno. Contemporaneamente è anche il loro principale pregio perché Woody Allen è un personaggio magnifico, che resiste alla prova del tempo e che riesce a dire sempre qualcosa di arguto e interessante, riesce a essere intellettuale ma pure terra e terra, dallo spirito antico ma comunque moderno. I protagonisti di due delle migliori serie comedy degli ultimi anni come Louie e Girls non sono altro che variazioni personali su questo modo di raccontarsi. Louie alias Louis C.K. non a caso apparirà nel prossimo film di Woody Allen di rientro a New York e Girls più che una versione indie di Sex and the City è il diario personale di Lena Dunham, una Woody Allen al femminile, e pure loro sono egocentrici ed egotomani e pure loro sono newyorkesi, ci sarà qualcosa nell’aria o sarà che tutti i più egocentrici ed egotomani vanno a vivere lì e chi-chi-chissà forse mi dovrei trasferire lì anche io ma mi sa che non sono egocentrico ed egotomane abbastanza non ai livelli di Woody, Louie e Lena comunque no. O forse sì?

"Tutta questa fila per il nuovo film in 3D di James Cameron?
Mi-mi-mi state pigliando per il culo, vero?"
I-i-io volevo parlare di I-I-Io e A-A-Annie e invece non l’ho ancora fatto e tanto beh tanto l’avete già visto tutti e anche se non l’avete visto potete immaginarvelo perché è il solito Woody, solo all’ennesima potenza e in forma creativa strepitosa, in questo film è un fiume in piena di parole di dialoghi di monologhi ed è tutto un grande flusso di coscienza in cui il suo rapporto con tale Annie Hall guidatrice pazza è giusto un pretesto per parlare come al solito di se se se stesso e mostrare le sue fisse e manie, il suo autismo/newyorkismo/egocentrismo estremo e qui lo fa con un dispiego di mezzi davvero creativo tra split-screen, cartoni animati, rottura della quarta parete e questo forse è un po’ il suo Amarcord, non a caso Fellini viene citato da un tizio saputello in fila al cinema, o forse tutti i suoi film sono un po’ i suoi Amarcord o meglio sono le pagine del suo diario e il bello così come il brutto delle sue pellicole è che c’è lui lui lui solo lui e non c’è spazio per altro anche se qui fa comparire persino il guru della comunicazione Marshall McLuhan e in brevi cameo ci sono pure Christopher Walken, Jeff Goldblum e Sigourney Weaver ma non hanno tanta importanza perché la riuscita di un suo film dipende fondamentalmente solo dal su-su-suo sta-sta-stato di forma e in I-I-Io & A-A-Annie Woody è in formissima è un vulcano di idee e creatività e comunque alla fine sì se devo scegliere se più mi piace o più non mi piace dico che Woo-woo-woody più mi-mi-mi piace, woo-woo!
(voto 8-/10)

Post pubblicato anche su L'OraBlù. E si, con tanto di immancabile po-po-poster griffato C(h)e-c(h)e-c(h)erotto.




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