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mercoledì 23 luglio 2014

TRANSCENDENCE, LA POCO TRASCENDENTALE FINE DI JOHNNY DEPP





Transcendence
(USA, UK, Cina 2014)
Regia: Wally Pfister
Sceneggiatura: Jack Paglen
Cast: Johnny Depp, Rebecca Hall, Paul Bettany, Cillian Murphy, Kate Mara, Morgan Freeman, Cole Hauser, Clifton Collins Jr., Josh Stewart, Xander Berkeley, Lukas Haas, Cory Hardrict
Genere: ok computer
Se ti piace guarda anche: Lei, Black Mirror, Intelligence, RoboCop, Ghost

Vi siete mai chiesti perché a un certo punto, senza un apparente motivo, la carriera di un buon attore improvvisamente deraglia? Prendiamo per esempio Johnny Depp. Un grandissimo interprete che fino a qualche anno fa era garanzia di qualità. Alta qualità. Quando trovavi lui nel cast, il film era se non altro interessante o, anche nel caso la pellicola non fosse fenomenale, lui riusciva comunque a fare sempre la sua porca figura. Fino a che, un giorno, il nome di Johnny Depp è diventato garanzia di un differente tipo di qualità: la pessima qualità.
Quando succede una cosa del genere, a volte la colpa è dell’attore stesso. Si fanno scelte sbagliate, si invecchia, il talento svanisce, si accetta qualunque tipo di film solo per soldi. Prendete Robert De Niro, giusto per fare un nome a caso, passato da Taxi Driver a Big Wedding. A volte invece non è a causa loro. Se la carriera di Johnny Depp è finita in una spirale discendente in cui non si riesce a vedere una fine non è per colpa sua. Come faccio a saperlo?
Perché è colpa mia.

Qualche tempo fa ho subito un attentato da parte di un gruppo di fondamentalisti cinefili perché sul mio blog Pensieri Cannibali avevo osato parlare male di pellicole altrove inspiegabilmente osannate come Avatar, Gravity e il terrificante Cloud Atlas. Sul letto di morte, un gruppetto di amici nerd mi ha proposto una folle idea per salvarmi. Avrebbero trasportato i miei ricordi, i miei post, i miei pensieri cannibali dentro a un altro corpo e io espressi il desiderio di essere infilato dentro al corpo di Johnny Depp. Poi esalai l’ultimo respiro.

Qualche tempo dopo la mia morte, sono resuscitato e manco sotto forma di zombie. Sono rinato nel corpo di Johnny Depp, proprio come da me richiesto. Non so che fine abbia fatto lo spirito del vero Johnny Depp, fatto sta che io adesso ero lui. Ho così cominciato ad accettare qualunque tipo di film che mi venisse proposto, qualunque porcheruola di pellicola per famiglie. Oh, mi offrivano delle barche di soldi, come facevo a dire di no?
Mandai all’aria anche la mia famiglia. O meglio, la famiglia di Johnny Depp. Ero sposato con Vanessa Paradis e i primi tempi era un vero paradiso stare con lei. Quando però un giorno ha cominciato a farmi delle avance Amber Heard, e dico Amber Heard porco Giuda, ho ceduto. Johnny probabilmente non l’avrebbe fatto. Era un uomo attaccato alla famiglia, responsabile, non avrebbe mai tradito la moglie. Io invece sì. Che mi fregava a me della simpatica famigliola di Depp quando potevo farmi Amber Heard?


"Guarda Morgan, questo blog spiega perché le nostre carriere fanno pena."
"Nel mio caso non è per quello. Nel mio caso è solo colpa dei soldi!"
Per quanto riguarda la mia carriera, mi piovevano addosso sceneggiature da tutte le parti. Molte pessime, ma ce n’era una che non sembrava niente male. Si chiamava Transcendence. Ho iniziato a leggere le prime pagine ed era un soggetto piuttosto intrigante. Parlava di un geniale studioso esperto di intelligenza artificiale che veniva ucciso da dei terroristi, ma il cui cervello veniva fatto rivivere all’interno di un computer. Il genietto si trasformava così in un cyborg mezzo uomo e mezzo computer dotato di un’intelligenza e di una conoscenza pazzesche. A questo punto ho smesso di leggere perché mi pareva una sceneggiatura valida, più delle robette per bambini che Tim Burton e gli altri continuavano a inviarmi, e ho accettato di girarlo. Peccato che il film, dopo una partenza valida, svacchi del tutto e si trasformi in una porcheria clamorosa. Sarebbe stato davvero bello vedere un’idea del genere sviluppata da David Cronenberg, il David Cronenberg dei tempi migliori almeno, prima che pure lui venisse soppiantato da qualcun altro. Invece la pellicola è diretta dall’esordiente per niente promettente Wally Pfister, una specie di Christopher Nolan di serie Z, che ha realizzato una sorta di variante hollywoodiana, prevedibile e senza fantasia di Lei – Her. Una vicenda sci-fi sulla carta valida, trasformata in una robaccia complottista e moralista sui pericoli della tecnologia. Forse avrei dovuto leggerla per intero, la sceneggiatura, prima di decidere di girare questo film.

"Perché non leggo le sceneggiature fino in fondo, prima di accettarle?"

Sono comunque contento di avere preso parte a Transcendence, perché credo rappresenti bene la mia carriera. Un ottimo inizio e poi uno spegnersi progressivo fino ad arrivare a un finale del tutto ridicolo. Sono contento anche perché non è che sia proprio la mia mia, di carriera. È quella di Johnny Depp. E io sono riuscito a sputtanargliela alla grande. Non era mica un’impresa facile. Per farlo ci va del talento, del talento diabolico, e a me quello certo non è mai mancato.
(voto 4,5/10)

sabato 8 febbraio 2014

LA RAGAZZA CON L’ORECCHINO DA PIRLA




Il celebre quadro di Johannes Vermeer, La ragazza con l'orecchino di perla, sarà esposto a Bologna, al Palazzo Fava, da oggi 8 febbraio fino al 25 maggio. In contemporanea, Pensieri Cannibali apre il suo art-post mostra sul film La ragazza con l'orecchino di perla e soprattutto sulla sua protagonista Scarlett Johansson, visitabile su questa pagina da oggi e per sempre. L'ingresso è gratuito.












La ragazza con l'orecchino di perla
(UK, Lussemburgo 2003)
Titolo originale: Girl with a Pearl Earring
Regia: Peter Webber
Sceneggiatura: Olivia Hetreed
Ispirato al romanzo: La ragazza con l'orecchino di perla di Tracy Chevalier
Cast: Scarlett Johansson, Colin Firth, Tom Wilkinson, Cillian Murphy, Essie Davis, Alakina Mann, Judy Parfitt, Joanna Scanlan
Genere: genesi di un'opera
Se ti piace guarda anche: Pollock, Bright Star, Shakespeare in Love
(voto 6/10)

martedì 27 agosto 2013

BROKEN – LA RECENSIONE A COLORI




Dopo la recensione in bianco e nero di The Artist, ecco a voi la recensione a colori di Broken.
Un ringraziamento a Lucien della Teiera volante per aver segnalato questa piccola grande chicca di film.

Broken
(UK 2012)
Regia: Rufus Norris
Sceneggiatura: Mark O’Rowe
Tratto dal romanzo: Broken di Daniel Clay
Cast: Eloise Laurence, Tim Roth, Cillian Murphy, Rory Kinnear, Bill Milner, Zana Marjanovic, Robert Emms, Lily James, Denis Lawson, Clare Burt, Rosalie Kosky
Genere: britpop
Se ti piace guarda anche: Submarine, Fish Tank, My Mad Fat Diary


Blue is where I want to be
Makes me feel I'm in the sea
Look at all the stars they don't need to say

Ci sono film rotti. Ce ne sono un sacco di film rotti, pieni di difetti, da aggiustare. Broken non è una pellicola perfetta, eppure non c’è niente al suo interno che cambierei, che sposterei, che aggiusterei. Broken va bene così. Non ha una di quelle sceneggiature precisine hollywoodiane classiche, in cui c’è un’introduzione dei personaggi, uno svolgimento e una conclusione e tutto è incastrato in maniera tanto precisa quanto fredda e prevedibile. Qui i personaggi li impariamo a conoscere poco a poco e nel corso della pellicola sanno regalarci parecchie sorprese. Parecchie.
In più, Broken è un film inclassificabile. Possiamo definirlo dramma? Sì, perché di drammi ne succedono mica pochi e le tematiche affrontate non sono nemmeno delle più leggere: pazzia, pedofilia, bullismo, complessi rapporti genitori-figli… Nonostante questo, Broken non è un film blue, non è un film triste. È semmai un film Blur, molto Blur. Nella colonna sonora della pellicola compare infatti un brano composto da Damon Albarn, “When I’m Really Old”, e soprattutto c’è “Colours”, il tema portante del film. Si tratta di un pezzo poco conosciuto nel repertorio dei Blur, una b-side risalente al periodo del loro ultimo album “Think Tank” ed è qui reinterpretato per l’occasione dalla giovane protagonista Eloise Laurence.




Red's the color when you're dead
It gets there under your head
I don't feel the end, I just want to be

Broken non è un film blue, ma non è nemmeno un film rosso, nonostante il sangue scorra copioso già nella prima scena.
La protagonista soprannominata Skunk, ovvero Puzzola (che bel soprannome!), è una ragazzina diabetica di 11 anni che vive con il padre in uno dei più classici suburbi inglesi in mezzo al nulla. Un po’ come quelli visti in Fish Tank o nelle serie My Mad Fat Diary o in Skins o in un sacco di altri film/telefilm made in Britain. La routine quotidiana nel quartiere viene sconvolta da un episodio di violenza improvviso, cui Skunk assiste: un uomo pesta a sangue un vicino, un ragazzo un po’ ritardato, diciamo. Da questo episodio, si mettono in moto tutta una serie di eventi che cambieranno per sempre la vita sia di Skunk che degli altri abitanti del quartiere, in un ritratto corale che alla fine troverà un suo senso, una sua quadratura.
Non si tratta di una serie di eventi assurdi o particolarmente sconvolgenti. In questo film non si affrontano apocalissi, zombie, vampiri o cose del genere. Tutto è tanto ordinario, quanto straordinario. A far la differenza sono i dettagli. I dettagli sono fondamentali. C’è ad esempio una scena molto bella in cui Tim Roth, il padre di Skunk, conquista una tipa infilandole non il pisello nella vagina, ma infilandole una molletta nelle dita delle mani. È un film fatto così, di tanti piccoli dettagli di questo tipo che lo rendono una visione unica.


"Hey Cillian, manco come Spaventapasseri
in Batman Begins eri tanto speventoso!"
"Lo so, lo so..."
Black is where I want to stay
I forget it's in my way
But I won't hurt myself, I'll just let it fall

Broken è un drammone corale, dunque? Un film scuro, black?
No.
Broken è un film leggero, delicato come una piuma. Tutti i personaggi hanno i loro problemi e sono in qualche modo dei disperati.
Tim Roth, Cillian Murphy, Robert Emms, Rory Kinnear (visto in un episodio della serie Black Mirror) tirano avanti a fatica insieme ai loro demoni.
A regalare luce all’insieme è allora Eloise Laurence.


White is what I was to start
But I dont want to get on top
All my life I just say everything free

La luce bianca del film, la protagonista esordiente ricorda un’altra straordinaria attrice esordiente, ai tempi di Leon. Sto parlando di Natalie Portman. Eloise Laurence potrebbe essere la nuova Natalie Portman. Ebbene sì, l’ho detto. E Broken, diretto dal pure lui esordiente Rufus Norris, è l’equivalente cinematografico della musica dei Blur: indie e pop allo stesso tempo, alternativo e strano eppure in grado di parlare direttamente al cuore delle persone, un film che sembra rotto e invece se ne vedono in giro sempre meno, di pellicole così aggiustate.
(voto 8/10)



lunedì 12 novembre 2012

Un film a luci rosse (ma non è quello che pensate, sporcaccioni)

Red Lights
(Spagna, USA 2012)
Regia: Rodrigo Cortés
Sceneggiatura: Rodrigo Cortés
Cast: Cillian Murphy, Sigourney Weaver, Robert De Niro, Elizabeth Olsen, Burn Gorman, Joely Richardson, Toby Jones, Craig Roberts
Genere: paranormale
Se ti piace guarda anche: Il sesto senso, The Prestige, Insidious, Medium

Avete presente il mago Otelma, il Divino Mago Otelma?



Mmm, no. Forse ho sbagliato esempio.
Rifacciamo: avete presente Giucas Casella?



Bene, in Red Lights Robert De Niro interpreta la parte del Giucas Casella di turno. Un sensitivo barra illusionista barra mago in grado di compiere trucchi incredibili e stupefacenti, come guarire le persone, intrecciare le dita e piegare cucchiai come il bambino pelato di Matrix.



Dicevamo… Robert De Niro è Giucas Casella Simon Silver, un sensitivo non vedente che torna alla ribalta dopo oltre 30 anni che era la gente a non vederlo. Sulle scene. Un’assenza arrivata dopo la misteriosa morte del giornalista che metteva in discussione la veridicità della sua “magia”, avvenuta proprio durante una sua performance.
Simon Silver questa volta si troverà però di fronte ad altre persone che nutrono qualche (legittimo) dubbio sui suoi poteri mentali paranormali.

"Mamma, papà, sono sconvolta! Sicuri di NON avermi adottata?"
È qui che entra in gioco la squadra capitanata da Sigourney Weaver, che ormai compare in più film (non sempre riusciti) di Robert De Niro, e formata da Cillian Murphy (28 giorni dopo, Batman Begins) qui tornato a rispolverare un’ottima interpretazione dopo un po’ di film (non sempre riusciti), e poi anche da Elizabeth Olsen. La sorellina delle odiose gemelle Olsen dimostra come il talento non sia una questione genetica o, nel caso lo sia, in quel caso lei è stata adottata. Elizabeth Olsen, per quanto qui abbia solo un piccolo ruolo, si rivela ancora una volta l’attrice rivelazione dell’anno, dopo le stupefacenti prove in La fuga di Martha e Silent House.
I tre formano una squadra speciale per smascherare i medium truffatori. Che poi, secondo la teoria di Sigourney Weaver, tutti coloro che hanno a che fare con il paranormale sono dei truffatori e quindi possono essere smascherati. Ce la faranno anche con il Divino Simon Silver?

"A me gli occhi!"
Ehm... cioè... dicevo così, per dire..."
Red Lights è un film che se non gli si domanda di essere un capolavoro o qualcosa di totalmente originale può regalare delle soddisfazioni. A firmare regia e sceneggiatura ritroviamo quel furbacchione di Rodrigo Cortés, regista spagnolo molto discusso per la sua prova precedente, quel Buried - Sepolto tutto ambientato dentro una bara salutato da alcuni come una genialata e sbeffeggiato da altri. A me aveva fatto alquanto cacare, però questa è tutta un’altra storia, tutta un’altra pellicola. Pure questa furbetta, ma in un senso positivo.
Dopo aver “dilatato” la scena di Kill Bill con La Sposa sepolta nel film precedente, i riferimenti dello spagnolo sembrano essere questa volta il David Fincher anni ’90 per la costruzione dell’atmosfera thriller e soprattutto il primo M. Night Shyamalan per il modo di affrontare la tematica del paranormal (non activity). Red Lights è il classico thrillerone di quelli come negli ultimi tempi non se ne fanno più molti. Un po’ fuori moda come film, quindi, eppure se vi fate coinvolgere dai meccanismi della storia regala una visione avvincente e tesa. Non tutto gira al meglio, la sceneggiatura ha qualche momento di calo, il finale punta troppo sull’effettone sorpresa, peccato arrivi con dieci e passa anni di ritardo sul Sesto senso e simili, Robert De Niro una volta era il punto di forza di qualunque pellicola mentre oggi appare solo l’ombra del grande attore che è stato, però per me Red Lights è da luce verde. Cosa che significa: procedete pure con la visione, ma attenti, perché le cose non sono ma.̸̸̸̸̸̸̸̸̸̸̸̸̸̸̸̸̸̸̸̨̨̨̨̨̨̨̨̨̨ come sembrano e se credete di avere lo schermo sporco, forse non è davvero cos.̸̸̸̸̸̸̸̸̸̸̸̸̸̸̸̸̸̸̸̨̨̨̨̨̨̨̨̨̨.
(voto 7/10)


martedì 28 febbraio 2012

In time - Raga, vi presento mia mamma: Olivia Wilde

In Time
(USA 2011)
Regia: Andrew Niccol
Cast: Justin Timberlake, Amanda Seyfried, Olivia Wilde, Cillian Murphy, Johnny Galecki, Matt Bomer, Alex Pettyfer, Vincent Kartheiser, Rachel Roberts, Jessica Parker Kennedy, Melissa Ordway
Genere: fantamoney
Se ti piace guarda anche: I guardiani del destino, Demolition Man, Io Robot, Il mondo dei replicanti

In Time parte da un bello spunto, una buona base di partenza per una storia: in un ipotetico futuro, tutte le persone sono geneticamente modificate in modo da avere 25 anni per sempre.
Forever young, I want to be forever young, do you really want to live forever, forever young?
Lacrimuccia alphavillosa.
La tematica si fa quindi molto Peter Panesca, anche molto vampiresca. Le saghe letterarie, cinematografiche, telefilmiche sui succhiasangue da Twilight a The Vampire Diaries vanno forte per quale motivo? Perché i vampiri sono creature non solo immortali, ma anche eternamente giovani e fighe. Avete mai visto un vampiro cesso?
Sì, una volta in True Blood ce n’era uno obeso e inguardabile, ma infatti l’han fatto durare giusto una o due puntate…
Come si gioca questa carta dell’eternà giovinezza il film In Time? Male, il tema non viene assolutamente sviluppato a sufficienza. Se non con scenette come quella mostrata nel trailer: queste sono mia moglie, mia suocera e mia figlia. E sono tre biondazze giovani che sembrano uscite da un catalogo di Victroia's Secret.

"Aiuto, voglio la mamma! Anzi, la vorrei anche se non fossi in pericolo..."
Andiamo avanti nel time con la trama.
Dopo aver raggiunto i 25 fatidici anni, ogni persona ha un solo altro anno di vita. A meno che non si guadagni più tempo. Sì, guadagnare, perché il tempo è la moneta del futuro, o almeno di questo strambo futuro. Niente euro. Niente dollari. Niente yen. Il tempo è denaro, letteralmente.
Bello spunto di partenza dicevamo. Peccato che sortisca anche degli effetti ridicoli assai.
Il protagonista Justin Timberlake ha infatti come mamma… Olivia Wilde!
Olivia Wilde mamma di Justin Timberlake?!?!
What the fuck!
Credo che in questo caso la parola M.I.L.F. (Mother I'd Like to Fuck) non sia nemmeno abbastanza sufficiente per definire la situazione dentro cui si trova il Justin. Una situazione in cui se non pensi all’incesto non sei normale.
Il pericolo di scadere in situazioni potenzialmente ridicole è di per sé molto presente nel cinema di fantascienza, più che in altri generi. Alcuni film riescono comunque ad aggirare l’ostacolo bene, qui invece l’ostacolo non viene saltato proprio.
Olivia Wilde mamma di Justin Timberlake?
Dai, è davvero troppo comico.
Ci manca solo la scena in cui Justin fa conoscere la mamma agli amici:
"Per l'ennesima volta, Justin: sei troppo grande per essere ancora allattato!"
“Hey raga, vi presento mia mamma… E dai, non sbavate. È pur sempre mia mamma. Sì, va bene, anch’io c’ho perso la vista a forza di fare pensieri impuri su di lei, però dai raga, è la mia vecchia mamma. Riallacciatevi quei pantaloni, forza. Mamma, io comunque ti amo… ehm, volevo dire ti voglio bene. Come un figlio può voler bene a una madre, non intendo mica come un camionista che vorrebbe possederti carnalmente in un cesso di uno squallido benzinaio sull’autostrada potrebbe volerti bene. Ah, mamma: questa sera posso dormire insieme a te che ho ancora quegli incubi ricorrenti?”.

ATTENZIONE SPOILER
Fatto sta che questa situazione tanto assurda non regge molto. Tempo una manciata di minuti e la povera mamma MILF super MILF super extra MILF di Justin ci rimette la vita, in una sequenza altamente patetica, eccessiva e ridicola in cui Justin si ritaglia il solito momento da filmone americano, dove è lasciato libero di gridare:
“NOOOOOOOOOOOOOO! Prendi meeeeeeeee!”

"Sei meno figa della mia anziana madre, Amanda, però mi ti farei comunque..."
Quindi la storia si evolve, entra l’inevitabile interesse amoroso che ha le vesti di Amanda Seyfried, da me anche ribattezzata Amanda Seyfrigida. Tipa caruccia, ma che non mi ispira troppo sesso. Sarà l’omosessualità che avanza… chi lo sa?
Fatto sta che la premiata (?) accoppiata Justin + Amanda together forever tiene in piedi la baracca di una storia che si sfilaccia mano a mano che procede, ma che rimane comunque entro i limiti della guardabilità. Come se ci trovassimo di fronte a un film con Will Smith, però senza l’insopportabile presenza di Will Smith. Differenza non da poco.
Non che JT sia fenomenale in questo film, in The Social Network ad es. era molto più convincente, però è pur sempre moooooolto meglio di WS. Sia al cinema che in ambito hip-hop.
Yo, Willy, beccati questa.
"Affare fatto, Vincent: se tu torni a fare Mad Men, io torno insieme a Britney."
Dietro la macchina da presa siede un regista che un tempo faceva sperare grandi, grandissime cose. Andrew Niccol ha infatti esordito alla regia con quell’autentico gioiellino della fantascienza recente che è Gattaca, uno spettacolo per gli occhi come per il cuore, grazie alla toccante parabola di un uomo imperfetto in un mondo di essere geneticamente perfetti e programmati per eccellere, di cui questo In Time è solo un pallido riflesso.
Subito dopo, il buon Niccol firmava anche la sceneggiatura di The Truman Show, pellicola che nel 1998 affrontava credo prima di tutti gli altri la complessa tematica della reality tv, che avrebbe poi segnato, e purtroppo segna tutt’ora, i successivi Anni Zero.
Dopodiché Niccol aveva girato un’altra riflessione interessante sul rapporto reality-fiction con la diva creata al computer di S1mOne, film magari non del tutto riuscito ma comunque affascinante che aveva tra l’altro il merito di lanciare una giovanissima Evan Rachel Wood. Scusate tanto se è poco.
Quindi, Niccol sganciava un'altra bomba come Lord of War, pellicola notevolissima sul commercio d’armi in cui - udite udite - riusciva a far passare Nicolas Cage per un attore vero! Era il 2005 e quello sarebbe stato l’ultimo film decente con Cage protagonista [in Kick-Ass, per fortuna, è solo un comprimario di lusso (lusso?)].
Viene da chiedersi allora cosa sia successo tra quelle pellicole, in cui delineava un suo stile bello personale, e un filmetto d’intrattenimento, decente ma nemmeno dei migliori, come questo. La risposta sono sicuro ve la possiate immaginare anche perché è un po’ la tematica di In Time stesso: il denaro.
È un vero peccato che grandi talenti visivi passino da grandi film a robette commerciali del genere, parlo di Andrew Niccol ma anche di un altro regista che me lo ricorda come Alex Proyas, trasferitosi dagli ottimi e scurissimi Il Corvo e Dark City a - per parlarci chiaro - puttanatine come Io, Robot e Segnali dal futuro. Non a caso con i già menzionati Willy Smith e Nicky Cage.

"Sbrigati, che se la nostra fuga funziona ti posso cantare: Aaamanda è libera!"
Ci sono esempi di pellicole di fantascienza entertaining che riescono a fare il loro porco dovere alla grande, come un paio con gli eroi del mio antagonista Mr. Ford, ovvero Demolition Man con Stallone e Atto di forza con Schwarzy, ma questo In Time resta a un livello inferiore, diciamo più dalle parti de Il sesto giorno sempre con l’ex governatore della California. O anche de Il mondo dei replicanti, quello invece con Bruce Willis. Ecco, In Time pressappoco è su quei livelli lì. È un film che scivola e ogni tanto cade proprio nel ridicolo ed è un peccato, perché da Andrew Niccol mi aspettavo molto di più. E perché alla fine la pellicola lancia anche un bel messaggio anti-capitalista sulla redistribuzione della ricchezza che, soprattutto di questi tempi, avrebbe potuto condurre a ben altre e più alte riflessioni. Invece si è preferito puntare sul solito filmone, o meglio filmino, di puro intrattenimento di stampo action hollywoodiano blockbusteriano. In Time? Sì, magari l’avessero fatto negli anni Novanta. Adesso è arrivato un pochino fuori… time.
(voto 5,5/10)

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