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mercoledì 20 novembre 2024

Gasoline Rainbow e la fine dell'adolescenza





Gasoline Rainbow

Alla fine arriva. Io ho cercato di procrastinarla per anni, forse ancora lo sto facendo, ma alla fine arriva per tutti. La fine dell'adolescenza. Quel momento in cui devi lavorare, guadagnarti da vivere, o almeno provarci. Quel momento in cui è finito il momento di cazzeggiare, di giocare, ed è ora di fare sul serio.

martedì 3 marzo 2020

The Peanut Butter Falcon: il perfetto feel good on the road movie (qualunque cosa ciò significhi)




The Peanut Butter Falcon
Regia: Tyler Nilson, Michael Schwartz
Cast: Zack Gottsagen, Shia LaBeouf, Dakota Johnson, John Hawkes, Yelawolf, Jon Bernthal, Bruce Dern, Thomas Haden Church


Ci sono un ragazzo con la sindrome di Down appassionato di wrestling, un burbero pescatore/delinquente che vende granchi senza licenza e una giovane vedova che lavora in una casa di cura.

No, non è l'inizio di una barzelletta. Anche perché le barzellette di oggi sono troppo politically correct e quindi non ci sarebbe spazio per un ragazzo con la sindrome di Down. Sono invece i tre personaggi principali di The Peanut Butter Falcon, un filmetto indie molto carino caruccio che, per quanto indie nel midollo, potrebbe piacere tranquillamente anche a un pubblico ampio, oserei dire mainstream.

mercoledì 4 settembre 2019

Ti ricordi di Ricordi?





Ricordi?
Regia: Valerio Mieli
Cast: Luca Marinelli, Linda Caridi, Giovanni Anzaldo, Alice Pagani, Camilla Diana


Ricordi?

No, cosa mi devo ricordare? Io in genere non mi ricordo niente. Ho una memoria tipo quella del tipo di Memento. O, se preferisci, come quella di Al in La leggenda di Al, John e Jack.

Cioè, non ti ricordi di niente, e ti ricordi di un filmaccio come La leggenda di Al, John e Jack?

Che ti devo dire? Ho una memoria selettiva. Ricordo solo i film davvero belli, o quelli davvero brutti.

Quindi, se non ti ricordi di Ricordi?, vuol dire che non ti è piaciuto o non ti ha schifato particolarmente.

Ma io non ho capito proprio di cosa stai parlando.

Parlo di un film italiano che si chiama Ricordi?. Quello diretto da Valerio Mieli con protagonisti Luca Marinelli e Linda Caridi, presentato alle Giornate degli Autori alla mostra di Venezia dello scorso anno e poi uscito pochi mesi fa nei cinema. Ti ricordi di Ricordi? adesso?

venerdì 13 aprile 2018

The Big Sick - Il mio grosso malato matrimonio pakistano





The Bick Sick - Il matrimonio si può evitare... l'amore no
Regia: Michael Showalter
Cast: Kumail Nanjiani, Zoe Kazan, Holly, Hunter, Ray Romano, Zenobia Shroff, Anupam Kher, Adeel Akhtar, Aidy Bryant, Bo Burnham, Kurt Braunohler, Vella Lovell


“Sapete dov'è il Pakistan?”







“Come? Nessuno sa dov'è il Pakistan? Ma in che razza di classe di somari mi trovo?
Facciamo allora un passo indietro: cos'è il Pakistan?”



“Ehm, signor maestro...
è uno stato?”



“Esatto. Non è uno stato di Facebook o di WhatsApp, bensì è uno stato dell'Asia meridionale. Per la precisione si chiama Repubblica islamica del Pakistan, giusto per mettere subito in chiaro che c'è assoluta libertà di religione, e inoltre il territorio che costituisce il Pakistan è considerato la Culla della Civiltà, giusto per mettere in chiaro quanto sono modesti. Nel 1947 il Pakistan si è staccato dall'India ed è diventato uno stato indipendente, per dare una nazione ai musulmani in nome dell'Islam. Come faccio a sapere questo?”

martedì 5 dicembre 2017

Columbus – In the mood for indie





Columbus
Regia: Kogonada
Cast: Haley Lu Richardson, John Cho, Rory Culkin, Parker Posey, Michelle Forbes


Ci sono dei film piccoli, piccoli così.

Film piccoli che però sanno farsi grandi.

venerdì 15 aprile 2016

Mistress America, la recensione mancata





Mistress America
(USA, Brasile 2015)
Regia: Noah Baumbach
Sceneggiatura: Noah Baumbach, Greta Gerwig
Cast: Lola Kirke, Greta Gerwig, Michael Chernus, Rebecca Naomi Jones, Matthew Shear
Genere: nouvelle indie
Se ti piace guarda anche: Frances Ha, Girls, Damsels in Distress – Ragazze allo sbando

Vi siete mai chiesti come nasce un post di Pensieri Cannibali?
Spero che abbiate cose più importanti nella vita a cui pensare, però nel caso per un istante ve lo foste domandati, vi posso rivelare in esclusiva mondiale che nascono proprio come i bambini: sono portati dalla cicogna, esatto.
No, non si trovano sotto i cavoli. Chi ve l'ha raccontata una baggianata del genere?!?

mercoledì 15 luglio 2015

Giovani si diventa, hipster pure





Giovani si diventa
(USA 2014)
Titolo originale: While We're Young
Regia: Noah Baumbach
Sceneggiatura: Noah Baumbach
Cast: Ben Stiller, Naomi Watts, Adam Driver, Amanda Seyfried, Adam Horovitz, Maria Dizzia, Peter Yarrow, Brady Corbet, Ryan Serhant
Genere: quaranteen
Se ti piace guarda anche: Questi sono i 40, Lo stravagante mondo di Greenberg, Wish I Was Here, Afternoon Delight

Vi sentite vecchi?
Vi sentite costantemente fuori posto?
Vi sembra che il mondo di oggi non sia più lo stesso in cui siete cresciuti?
Vi sentite come il mio blogger rivale Mr. James Ford in un qualsiasi giorno della sua vita?
Non preoccupatevi. Il regista Noah Baumbach ha la soluzione che fa per voi: dovete cominciare a frequentare dei giovani, ma non dei giovani qualunque, dei giovani hipster.

mercoledì 26 novembre 2014

THE PRETTY ONE E LA DIPENDENZA DA FILM CON ZOE KAZAN





The Pretty One
(USA 2013)
Regia: Jenée LaMarque
Sceneggiatura: Jenée LaMarque
Cast: Zoe Kazan, Zoe Kazan, Jake Johnson, Ron Livingston, John Carroll Lynch, Frances Shaw, Sterling Beaumon, Danny Pudi
Genere: Zoe Kazan movie
Se ti piace guarda anche: The Lying Game, Switched at Birth, Ringer, Genitori in trappola, Quel pazzo venerdì

Non credo di essere una persona con particolari problemi di dipendenza. Le droghe non mi fanno del tutto schifo, ma non sono un tossicodipendente. Mi piace bere, ma non sono un alcolizzato. Se c'è da fumare fumo, ma non è che devo fumare sempre.
Non sono nemmeno un sessuomane – anche se qualcuno di voi probabilmente era convinto del contrario –, non gioco d'azzardo, non gioco ai video poker, alle slot machine e alle altre stronzate di macchinette mangiasoldi, e non sono dipendente da alcun cibo: sono quasi 3 mesi (per la precisione 89 giorni, ma chi li conta?) che il McDonald's non mi vede e credo abbia richiesto un ordine di sparizione, però ciò dimostra che non dipendo manco da quello.

Non credo insomma di essere una persona con particolari problemi di dipendenza. A meno che non si parli di serie tv o di film. Per quanto riguarda le prime, di recente sono stato vittima della visione ossessivo-compulsiva di tutte e 7 le stagioni di Sons of Anarchy in una manciata di settimane. La dipendenza d'altra parte è una caratteristica intrinseca di un buon telefilm, che ti porta a seguirlo puntata dopo puntata. La serializzazione ormai sta però coinvolgendo sempre più anche il mondo del cinema. Quando una pellicola non è già tratta da una serie letteraria, può sempre diventarlo. Quando un film ha successo, non è più solo un film, si trasforma in una saga.

Qualcosa di simile riguarda anche il mondo degli attori. Un attore a volte non è più solo un attore, ma diventa un brand per un certo tipo di pellicole. Zoe Kazan fa parte di questa categoria esclusiva. Come vi dicevo pochi giorni fa nella recensione di In Your Eyes, Zoe Kazan non gira semplici pellicole, gira dei veri e propri Zoe Kazan movies.
Cosa sono gli Zoe Kazan movies?
Se non li conoscete e quindi non ne siete ancora dipendenti, ma attenti che potreste diventarlo, si tratta di pellicole commedie indie hipster alternative, però comunque accessibili a chiunque, tutte super carine e con un'altra caratteristica in comune: per quanto siano in fondo delle romcom, hanno uno spunto di partenza fantasy, o comunque strano. Il primo esempio di Zoe Kazan movie è The Exploding Girl, il film che ha rivelato la giovane attrice al mondo, o perlomeno al mondo indie, che non ho ancora visto però credo rientrerà tra le mie visioni future. Poi ci sono il suo film (relativamente) più famoso Ruby Sparks, In Your Eyes di cui vi avevo appena parlato e What If di cui tratterò prossimamente. Attenzione pure a Olive Kitteridge, nuova deliziosa mini-serie della HBO in cui Zoe sbuca fuori pure lì.

E poi naturalmente c'è The Pretty One, il protagonista del post di oggi, sebbene per ora se ne sia stato buono buono, zitto zitto in un angolino. Com'è The Pretty One?
Proprio come il titolo preannuncia, è assolutamente pretty, carino. Specifico che il carino degli Zoe Kazan movies non è inteso in senso stucchevole, bensì nel senso più positivo e – come dire? – carino del termine. Gli Zoe Kazan movies sono film carini perché ti fanno sentire bene, ti fanno sentire meglio. Senza per questo sentirti preso per il culo o raggirato, come invece molte pellicole hollywoodiane paracule fanno.
Tra l'altro vi consiglio di stare doppiamente attenti a The Pretty One, perché non c'è una sola Zoe Kazan, ce ne sono 2, quindi crea una dipendenza doppia!

"Meglio Zoe Kazan o...
Zoe Kazan?"

Inoltre, questo non è solamente uno Zoe Kazan movie. È anche un Jake Johnson movie.
Chi è Jake Johnson?
È uno dei più simpatici e attivi rappresentanti della scena indie hipster americana attuale e lo avrete magari già visto, oltre che nella serie New Girl in cui si fa/faceva Zooey Deschanel, in pellicole come Safety Not Guaranteed, Drinking Buddies e Bastardi in divisa. In pratica, Jake Johnson è la versione maschile di Zoe Kazan e insieme in questo film sono PER-FET-TI-CAZ-ZO.


Riguardo alla storia raccontata in The Pretty One non voglio stare a raccontarvi troppo. Non si tratta di qualcosa di mai visto prima, eppure ha una sua originalità, una sua (doppia) personalità. Vi anticipo solo che tratta di due sorelle gemelle: una figa e sicura di sé, l'altra bruttina e stramba. Fino a che i loro ruoli non si scambieranno...


Ve l'ho detto. Non sarà qualcosa di mai visto o mai sentito prima, però il tema dell'identità, della copia, del doppio è affrontato in maniera sfaccettata e il modo in cui viene gestita la vicenda è molto... carina. Molto da Zoe Kazan movie. Se non sapete cosa ciò significhi, beati voi. Potrei consigliarvi di cominciare a guardare le sue pellicole, però sarebbe come darvi una bottiglia di whisky, una sigaretta o una siringa in mano. Potrebbe farvi diventare dipendenti e allora sarebbe colpa mia. Tutta colpa mia. Preferisco non prendermi una responsabilità del genere, considerando come già io per primo devo gestire il mio problema.

Non credevo di essere una persona con particolari problemi di dipendenza. Non lo credevo, fino a che non sono diventato dipendente agli Zoe Kazan movies. Se volete, procurateveli pure, ma solo a vostro rischio e pericolo. Io vi consiglio di non cominciare. Scegliete la vita; scegliete un lavoro; scegliete una carriera; scegliete la famiglia; scegliete un maxitelevisore del cazzo; scegliete lavatrici, macchine, lettori CD e apriscatole elettrici. Scegliete la vita. Ma perché dovrei fare una cosa così? Io ho scelto di non scegliere la vita: ho scelto qualcos'altro. Le ragioni? Non ci sono ragioni. Chi ha bisogno di ragioni quando ha Zoe Kazan?
(voto 6,5/10)

sabato 15 novembre 2014

IN YOUR EYES, CHE FILM DEL KAZAN!





In Your Eyes
(USA 2014)
Regia: Brin Hill
Sceneggiatura: Joss Whedon
Cast: Zoe Kazan, Michael Stahl-David, Mark Feuerstein, Nikki Reed, Jennifer Grey, Steve Howey, David Gallagher
Genere: romfan (romantifantasy)
Se ti piace guarda anche: Ruby Sparks, Barefoot, A to Z

Zoe Kazan non è solo un'attrice. Zoe Kazan ormai è un genere cinematografico a parte. Un po' come Greta Gerwig, la protagonista di Frances Ha che, con la sua sola presenza, segna un film definibile sotto la generica etichetta di “indie-hipster” rendendolo un “Gerwig-movie”. La stessa cosa la fa Zoe Kazan.
A questo punto, la maggioranza della popolazione mondiale si starà chiedendo: ma chi kazan è, questa Zoe Kazan?

Ve lo spiego rapidamente. È una giovanissima attrice che, proprio come Greta Gerwig, sta diventando una delle interpreti simbolo del nuovo cinema indie-hipster americano attuale. Dopo essersi fatta conoscere, almeno nei circuiti cinematografici più alternative e Sundance, con The Exploding Girl, è esplosa poi per davvero con Ruby Sparks, una delle commedie romantiche più deliziose degli ultimi anni, e forse di sempre. L'opera seconda della coppia Jonathan Dayton e Valerie Faris, già autori di Little Miss Sunshine, si segnalava in maniera particolare poiché univa alla romcom tradizionale una fantastica componente fantastica. Lo spunto di partenza della pellicola era che Ruby Sparks, un personaggio immaginario creato da uno scrittore, diventava reale ed entrava nella vita del suo autore. Una commedia indie romantica fantasy che, pur seguendo la scia di Se mi lasci ti cancello, ha aperto la strada al capolavoro assoluto di questo particolare genere, Lei - Her di Spike Jonze, e adesso pure a questo In Your Eyes.

L'idea di partenza di In Your Eyes è anch'essa sci-fi: un ragazzo e una ragazza sono “connessi” tra di loro. È da tutta la vita che sentono uno ciò che prova l'altra, fino a che un giorno riescono a vedere proprio l'uno con gli occhi dell'altra e riescono persino a parlarsi. Come se stessero al telefono insieme, ma senza telefono. I due comunicano a livello telepatico e, in più, riescono a sentire le emozioni dell'altro, nonostante vivano a chilometri di distanza, in due differenti stati degli USA.

"Giuro che non lo sapevo che con la Vodafone Casa
era compreso anche un abbonamento 24 ore su 24 con Zoe Kazan."

Da uno spunto del genere ne poteva nascere una pellicola fantascientifica tradizionale, oppure ne poteva venir fuori una storiella inquietante, di quelle sullo stile della serie britannica Black Mirror. Invece, niente di tutto questo. In Your Eyes preferisce prendere la direzione della indie romcom dei citati Lei, Se mi lasci ti cancello e soprattutto Ruby Sparks. Dopo tutto questo non è un film romantico qualunque. Questo è un "Kazan-movie".

A firmare tale singolare storia c'è uno sceneggiatore d'eccezione: Joss Whedon.
Joss Whedon secondo me è uno che si rompe i coglioni facilmente. Il paparino di Buffy l'ammazzavampiri di recente ha centrato uno dei più clamorosi successi nella Storia del Cinema con The Avengers, film da lui scritto e diretto, il maggior incasso mondiale di sempre dopo Avatar e Titanic. Nonostante questo, mentre lavora al nuovo atteso (non da me) blockbusterone The Avengers: Age of Ultron, il buon Whedon non pensa soltanto a supereroi in latex ed effetti speciali, ma si tiene aperto una valvola di sfogo all'interno del cinema indipendente. La sua ultima opera da regista è stata la sua personale revisione dello shakespeariano Molto rumore per nulla, film a basso budget lanciato leggerissimamente più in sordina rispetto a The Avengers. Ora, il Whedon ha realizzato lo script di questa piccola pellicola indie anch'essa low cost, lasciando la regia all'emergente Brin Hill, alla sua seconda direzione dopo lo sconosciuto Ball Don't Lie. Uno che, va detto, non brilla in maniera particolare. Se la sceneggiatura di Joss Whedon è originale e curiosa a sufficienza, la regia appare infatti piuttosto anonima. Chissà cosa avrebbero potuto fare Michel Gondry o Spike Jonze, con in mano uno script del genere.

Convince a metà pure il cast. Se Zoe Kazan è sempre ottima, il protagonista maschile Michael Stahl-David appare un po' troppo imbambolato. Considerando che il film è tutto basato su loro due, la loro non completa “connessione” impedisce a In Your Eyes di trasformarsi in una visione davvero fondamentale per i nostri occhi. La coppia Zoe Kazan/Michael Stahl-David è discreta, ma non trascinante, non quanto ad esempio Joseph Gordon-Levitt/Zooey Deschanel in (500) giorni insieme, tanto per citare una classica indie-romcom moderna, oppure quanto Billy Crystal/Meg Ryan in Harry ti presento Sally o Richard Gere/Julia Roberts in Pretty Woman, giusto per menzionare delle romcom “commerciali” storiche.
Sullo sfondo si ritaglia uno spazio pure il curioso e variegato cast di contorno composto dalla gnocchetta Nikki Reed di Twilight, Steve Howey il capellone tamarro di Shameless US, David Gallagher di Settimo cielo e persino una resuscitata Jennifer Grey, sì, proprio la Baby di Dirty Dancing qui non più tanto baby e anzi piuttosto old.

"Che fai?"
"Sto bruciando tutte le copie di Twilight che ho trovato. Mi spiace, cara Nikki."
"Perché ti spiace? Fai solo bene!"

In Your Eyes è allora un film carino, molto cariiino, fa sentire bene senza essere troppo ruffiano, scorre via che è un piacere ed è una visione assolutamente consigliata. Eppure da una sceneggiatura firmata da Joss Whedon mi aspettavo qualcosina in più. Il suo tipico senso dell'umorismo qui è poco presente e, se l'idea di partenza è piuttosto particolare, lo sviluppo è un po' troppo prevedibile e standard. Poteva essere un cult, invece non lo è. Però consoliamoci perché, da uno spunto tanto strambo, poteva anche uscirne un film del cazzo. Invece ne è venuto fuori un gradevolissimo film del Kazan.
(voto 6,5/10)

venerdì 17 ottobre 2014

CITY ISLAND E IL MIO PROBLEMA CON IL CINEMA INDIE





City Island
(USA 2009)
Regia: Raymond De Felitta
Sceneggiatura: Raymond De Felitta
Cast: Andy Garcia, Julianna Margulies, Ezra Miller, Dominik García-Lorido, Steven Strait, Emily Mortimer, Alan Arkin
Genere: indie movie
Se ti piace guarda anche: Little Miss Sunshine, American Beauty, I ragazzi stanno bene, Il calamaro e la balena

Vi chiederete quale sia il mio segreto più nascosto, il più personale, il più segreto dei miei segreti, ma prima mi presento. Mi chiamo Cannibal Kid e abito a City Island.
Non ci credete?
Fate bene. In realtà abito a Casale Monferrato e non nella parte di New York City con gli italoamericani che sembrano usciti da Jersey Shore. Che non è che ci sia poi tutta 'sta differenza, visto che anche la mia città è piena di elementi che potrebbero far parte del reality di Mtv. A dirla tutta è un po' tutto il mondo ormai a somigliare a Jersey Shore. Tamarri senza ritegno sbucano fuori da ovunque. Questo City Island risulta allora un incrocio tra Jersey Shore e un film indie.

Il mio segreto più grande è che mi sono un po' stufato di tutti questi film indie. Ebbene sì. Non è che adesso mi sono convertito al mainstream e comincio a esaltare le pellicole sui supereroi o i “capolavori” di Michael Bay. Resto pur sempre un hipster kid radical-chic. È solo che ci sono troppi film che si somigliano anche in ambito alternativo. L'unico problema di City Island è giusto questo. Mentre lo vedevo, ho avuto una costante sensazione di deja vu, di aver visto qualcosa del genere già troppe volte. Colpa mia che di questo genere di pellicole non me ne perdo una e colpa mia che ho recuperato questo con troppo ritardo e così ha finito per ricordarmi magari anche film che sono usciti dopo.
Ma di cosa parla, City Island?

"Uno strip club...
qualcosa mi dice che tra i clienti ci troverò anche Cannibal Kid."
Il film scritto e diretto in maniera presumibilmente ricca di spunti autobiografici da tale Raymond De Felitta ci racconta la vita di una famigghia di italo americani in quel di... City Island, come avete fatto a indovinare?
Dietro l'apparenza da famiglia media, ognuno dei personaggi nasconde qualcosa, un segreto più o meno inconfessabile. Innanzitutto il padre, Andy Garcia, un secondino con la passione per la recitazione e pure con un figlio tenuto nascosto. Poi la madre Julianna Margulies, che vivrà una specie di relazione all'infuori del matrimonio. Quindi il figlio strambo Ezra Miller, che ha una passione per le BBW (Big Beautiful Women) e infine la figlia Dominik García-Lorido, che nel tempo libero fa la spogliarellista. La classica famiglia post-American Beauty in cui grattando sotto la superficie si vanno a scovare parecchi scheletri nell'armadio e una palata di weirditudine. Il tutto realizzato con uno stile vagamente indie, vagamente Sundance Festival.
Tipicamente indie anche la scelta del cast, con il ripescaggio di una vecchia gloria che ormai non si fila più nessuno, Andy Garcia, una stella del piccolo schermo che cerca di costruirsi una credibilità sul grande schermo come Julianna Margulies di E.R. e The Good Wife, e un gruppetto di giovani emergenti chi più (Ezra Miller) chi meno (la tettuta Dominik García-Lorido e il muscoloso Steven Strait) di belle speranze, con il bonus di un'ottima e sottovalutata attrice britannica come Emily Mortimer e di una vecchia garanzia come Alan Alda, la cui carriera è stata resuscitata proprio da uno dei simboli supremi del cinema indie del nuovo millennio, ovvero Little Miss Sunshine.

Anche la trama procede tra stramberie e situazioni spinte al limite come qualunque indie movie degli ultimi anni che si rispetti. Per il resto, a parte questo senso di già visto che mi ha accompagnato nel corso della visione, non c'è nulla che non vada in City Island, se non il fatto che i due protagonisti Andy Garcia e Julianna Margulies proprio non sono riuscito a farmeli piacere, per quanto le loro interpretazioni siano impeccabili. Sarà che per me un film con protagonista Garcia parte già con l'Andy-cap (pessima battuta, lo so lo so).

"Hey Cannibal, le tue battute sono peggio di quelle di Paolo Ruffini!"

City Island è una pellicola ben scritta e recitata, una visione più che gradevole che scorre tra qualche sorriso e qualche momento riflessivo, il tutto comunque all'insegna della leggerezza e con il pregio di non sfociare mai nel melodrammone gratuito, nonostante alcuni risvolti nella trama lo avrebbero consentito. Una commedia indie media, se vogliamo anche un pochino sopra la media, la cui unica pecca non è da attribuire alla stessa, ma a me.
Ho raggiunto la mia quota limite di film indie. Almeno per il momento mi sa che devo prendere una pausa dal genere, altrimenti la sensazione di deja vu non mi lascerà mai. Che palle, a questo punto mi sa che mi toccherà una robusta dose di filmacci di Michael Bay o di altri pessimi action consigliati dal mio blogger rivale Mr. James Ford per poter ricominciare ad apprezzare i film alternative hipster come si deve.
(voto 6+/10)

domenica 7 settembre 2014

LE MORE SECONDO DAN





L'amore secondo Dan
(USA 2007)
Titolo originale: Dan in Real Life
Regia: Peter Hedges
Sceneggiatura: Pierce Gardner, Peter Hedges
Cast: Steve Carell, Juliette Binoche, Dane Cook, Alison Pill, Britt Robertson, Marlene Lawston, John Mahoney, Dianne Wiest, Emily Blunt, Jessica Hecht, Matthew Morrison, Sondre Lerche
Genere: reale
Se ti piace guarda anche: City Island, Non dico altro, Little Miss Sunshine, Cercasi amore per la fine del mondo

C'è una scena, all'inizio de L'amore secondo Dan, che dice tutto sul film. È il momento del primo incontro tra il protagonista, un vedovo di mezza età con tre figlie femmine interpretato da Steve Carell, e la sofisticata mora francese Juliette Binoche. Lui si finge impiegato come commesso nella libreria in cui lei entra e le chiede che tipo di libro sta cercando. Lei risponde che cerca “qualcosa di divertente, ma non necessariamente di tipo AH AH AH, risate a crepapelle. Non tipo eccessivo sarcasmo sulle persone, ma piuttosto qualcosa di umanamente divertente. E anche che possa prendere alla sprovvista, sorprendere e allo stesso tempo farti riflettere sul fatto che ciò che pensavi non solo era giusto nel modo sbagliato, ma che quando sbagliavi c'era qualcosa di giusto nel tuo sbaglio. La cosa più importante è che voglio esserne completamente travolta e allo stesso tempo non voglio. Insomma, mi piacerebbe sentire un profondo legame con qualcosa.

"Mi stai consigliando un libro di Moccia? AH AH AH! Ma quanto sei simpatico?"
"Veramente non stavo scherzando..."

L'amore secondo Dan non è un libro bensì un film, ma corrisponde alla perfezione alla descrizione fatta da Juliette Binoche. Se Steve Carell anziché un libraio si fosse finto commesso di un negozio di videonoleggio, ammesso e non concesso ne esistano ancora, avrebbe potuto consigliarle il film di cui sono protagonisti proprio loro due e avrebbe fatto centro. Non è un'impresa facile racchiudere in una pellicola sola tutte queste caratteristiche, eppure così è con L’amore secondo Dan.
La sceneggiatura non rappresenta niente di nuovo sotto il sole. È quasi interamente costruita intorno a Steve Carell che deve nascondere al fratello Dane Cook, comico non troppo comico popolare soprattutto negli USA, di essersi innamorato della sua fidanzata, la Juliette Binoche incontrata nella sopra citata scena della libreria quando ancora non sapeva che fosse già impegnata con il fratello.

Si tratta di un altro, l'ennesimo triangolo sentimentale proposto dal cinema recente, solo che questa volta non ci sono di mezzo vampiri, licantropi o altri mostri vari. Grazie a Dio e grazie a Satana! I tre protagonisti di questo triangolo saranno costretti a stare tutti insieme, vicini vicini, durante un weekend in famiglia in cui sono presenti anche le tre figlie di Steve Carell, ovvero la gnocchetta teen Britt Robertson vista nelle serie Life Unexpected, The Secret Circle e Under the Dome, la indie girl Alison Pill già beccata in Scott Pilgrim Vs. the World, The Newsroom e Milk, più la bambinetta Marlene Lawston mai vista prima. Il tutto arricchito dalla comparsata di un'altra mora interpretata da Emily Blunt che si inserirà nel triangolo sentimental-famigliare e contenderà Carell alla Binoche.


"Davvero preferisci quella francese secchiona a moi?"

Questa grande riunione di famiglia per fortuna non si trasforma però in una farsa come succede nel pessimo Big Wedding, nonostante i presupposti ci fossero pure. E qui di nuovo c'è da ringraziare Dio e pure Satana!

Nonostante una combinazione di situazioni e di personaggi (lo scrittore tormentato, il fratello superficiale, la francese giramondo e acculturata) già visti e già abusati, L'amore secondo Dan è un film estremamente vivo. Riesce a essere carino, ma non un cariiino stucchevole. Un carino nel senso di piacevole, di sentito, di bello. Con una nota di merito per la piacevole colonna sonora firmata dal cantautore norvegese Sondre Lerche, che appare pure come cantante nella scena sui titoli di coda.
Rispetto a molte altre romcom americane, il suo grande merito è quello di essere un film che non sa di plasticoso. Fa sorridere, ma non ridere AH AH AH, ed emoziona in maniera genuina e gentile. Dan in Real Life, dice il titolo originale come al solito ben più efficace della banale scelta italiana, è proprio così e fa “sentire un profondo legame con qualcosa”. Per quanto romanzata e per quanto rientri pur sempre all'interno della categoria commedia sentimentale con tutti i suoi stereotipi annessi e connessi, questa è la vera vita di Dan. Un personaggio da amare, protagonista di un piccolo film indie da amare.
(voto 7/10)

lunedì 18 agosto 2014

SCUSI, CHI HA FATTO PALO (ALTO)?




Palo Alto
(USA 2013)
Regia: Gia Coppola
Sceneggiatura: Gia Coppola
Ispirato ai racconti di: In stato di ebbrezza di James Franco
Cast: Emma Roberts, Jack Kilmer, Nat Wolff, James Franco, Zoe Levin, Olivia Crocicchia, Claudia Levy, Bailey Coppola, Val Kilmer, Micah Nelson, Janet Jones, Christian Madsen, Margaret Qualley, Keegan Allen
Genere: indie teen
Se ti piace guarda anche: Skins, Kids, Bling Ring, Il giardino delle vergini suicide

Io ooodio i figli d’arte.
Odio di più i figli di puttana, ma odio anche i figli d’arte. Nella categoria figli d’arte ci faccio rientrare pure nipoti, pronipoti, fratelli, cugini e altri raccomandati di tipo vario.
Un’eccezione la faccio però per la famigghia Coppola, quella che dal patriarca Carmine Coppola, compositore e direttore d’orchestra, ha dato vita al padrino Francis Ford e a tutta una serie di altri talenti artistici. La mia adorata Sofia, innanzitutto. La Coppolina è riuscita a smarcarsi dal pesante cognome paterno per inventarsi uno stile indie-chic tutto suo e che ha influenzato parecchio il cinema hipster contemporaneo. Quindi Jason Schwartzman, simpatico attore che al solo guardarlo in faccia mi vien da ridere. Roman Coppola, regista del curioso per quanto non del tutto riuscito A Glimpse Inside the Mind of Charles Swan III, ma anche co-sceneggiatore di gioiellini di Wes Anderson come Moonrise Kingdom e Il treno per il Darjeeling. Poi ancora Robert Carmine, attore comparso qua e là e soprattutto leader della indie-pop band Rooney.



E inoltre c’è Nicolas Cage…
Va beh, avrà anche vinto un Oscar come miglior attore, però lui è un po’ la pecora nera della famiglia. Quello che, se anche una volta aveva un briciolo di talento, ormai l’ha sputtanato tutto recitando una serie di parti ridicole in una serie di filmucoli ridicoli. Comunque gli si vuole bene pure a lui. A lui e al suo parrucchino Antonio Conte style.

Io insomma ooodio i figli d’arte, ma amo i Coppola. La curiosità di vedere come se la cavava l’ultima della dinastia a fare il suo ingresso nel mondo del cinema era dunque altissima. Palo Alto è il debutto in alta società di Gia Coppola, classe 1987, una ragazza che chiama nonno Francis Ford, cugini Nicolas Cage e Jason Schwartzman e zietta Sofia.

Zia Sofia con Gia Coppola

Quest’ultima è quella a cui è più vicina per stile cinematografico. Palo Alto è un film molto sofiacoppoliano, eppure la giovanissima Gia riesce a distinguersi con una sua personalità e con un suo stile registico. Siamo dalle parti di un cinema indie molto hipster, radical-chic e fighetto, parecchio curato nella fotografia e nella scelta della colonna sonora, che comprende nomi cool come i sudafricani Die Antwoord e il cantautore canadese Mac DeMarco, più splendide musiche originali, che a tratti paiono una rilettura odierna di quelle di Angelo Badalamenti per Twin Peaks, composte opposta da Devonté Hynes, anche noto, almeno in ambito indie, con gli pseudonimi di Lightspeed Champion e Blood Orange.

"Faccio finta di ascoltare la colonna sonora indie del film
e invece mi sto sparando Justin Bieber a tutto volume, yeah!"

"Che emozione! Chissà cosa dirà Pensieri Cannibali del nostro film..."
Oltre a fotografia e musiche, molto sofiacoppoliani sono pure i personaggi, dei teen che sembrano una versione ai nostri giorni dei protagonisti de Il giardino delle vergini suicide o di Marie Antoinette, o dei vicini di casa un pochino meno glamour di quelli del Bling Ring. La protagonista Emma Roberts vive poi un amore con un uomo più anziano che è lontano parente di quanto visto in Lost in Translation. Sono inoltre presenti il tema della solitudine, il sentire di non appartenere a nessun posto e la confusione adolescenziale tipiche dell’opera di Sofia Coppola. Qualcuno può anche dire che è una pellicola che non va da nessuna parte, che gira in tondo come Stephen Dorff in Somewhere. Forse è vero.



"Emma, lo sai che sei proprio una pretty woman?"
"James, sta frase da rimorchio funzionerà con quella battona
di mia zia Julia, certo non con me."
Allo stesso tempo, Gia Coppola cerca una strada sua con questo debutto che, per quanto acerbo e derivativo, possiede un fascino particolare. Se zia Sofia con Bling Ring pareva guardare i giovani protagonisti da lontano, prendere le distanze da loro, Gia dall’alto dei suoi 27 anni pare ancora molto vicina ai teen che popolano Palo Alto, cittadina californiana della San Francisco Bay Area. Prendendo ispirazione da alcuni racconti di James Franco, che ovviamente non manca di comparire nel film, l’ultima (per ora) dei Coppola disegna una pellicola che non scimmiotta gli altri Sundance movie contemporanei, ma va a caccia di una sua identità. Un’identità non ancora trovata del tutto, visto l’affiorare dei riferimenti ai lavori della zietta, di omaggi a Nel paese delle creature selvagge di Spike Jonze come notato dal blog Non lo so adesso, così come qua e là sembra di assistere a una versione più soft dei kids di Larry Clark e Harmony Korine, o a dei parenti americani di quelli della serie britannica Skins.

Non sarà niente di nuovo, non sarà niente di mai visto prima, non sarà del tutto a fuoco, però il primo film di Gia Coppola ha una qualità che a un buon esordio non deve mai mancare: la freschezza. Una dote che mi fa dimenticare come questo sia comunque il film di una figlia, o meglio di una nipote d’arte, in cui svettano figli e parenti d’arte pure nel cast: Emma Roberts, figlia di Eric e nipote di Julia, ma che ormai è una star capace di brillare di luce propria, e l’esordiente totale Jack Kilmer, figlio di Val, pure lui presente in un piccolissimo ruolo. In pratica, questa è l’apoteosi del cinema fatto dai figli di, eppure io l’ho adorato dal primo all’ultimo fotogramma.
Che mi sta succedendo?
Mi sa che i figli d’arte non li ooodio più.
(voto 7,5/10)

lunedì 5 maggio 2014

NON DICO ALTRO




"Che cacchio hai da ridere?"
"Non lo so, ma di sicuro non è per una battuta letta su Pensieri Cannibali."
Non dico altro
(USA 2013)
Titolo originale: Enough Said
Regia: Nicole Holofcener
Sceneggiatura: Nicole Holofcener
Cast: Julia Louis-Dreyfus, James Gandolfini, Toni Collette, Catherine Keener, Tracey Fairaway, Eve Hewson, Tavi Gevinson, Ben Falcone, Michaela Watkins, Amy Landecker, Anjelah Johnson-Reyes, Rob Mayes
Genere: indie comedy
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Deliziosa indie comedy romantica su un uomo e una donna divorziati che si conoscono a una festa e si piacciono. Più o meno, si piacciono. All’inizio non molto, anche perché lui non è un fuscello e lei è più quella che ti fa dire "Mah, è simpatica!" piuttosto che "Wow!", ma poi cominciano a frequentarsi.
Ottimi i dialoghi e splendida l’intesa tra i due protagonisti, una spettacolare Julia-Louis Dreyfus, la protagonista della spassosa serie Veep, e un gigionissimo James Gandolfini, l’ex Tony Soprano qui a una delle sue ultime interpretrazioni. In più ci sono un paio di comprimarie d’eccezione, Catherine Keener e Toni Collette per una volta non nella parte della matta bensì della psicologa, e un paio di giovani fanciulle da tenere d’occhio, la figlia di Bono Vox, Eve Hewson, già vista in This Must Be the Place, e la bionda Tavi Gevinson, che sembra la sorellina minore di Michelle Williams ed è troooppo adorabile.
Si ride, si riflette un pochino, e poi si ride ancora. Insomma, date un’occhiata a questo film. Non dico altro.
(voto 7/10)




Ah, no. Aggiungo giusto una cosa, per chi ha già visto il film.
ATTENZIONE SPOILER
La cosa migliore della pellicola, oltre alle virtù sopra enunciate, è la sua morale. O meglio, la sua anti-morale.
Nel 90% delle commediole americane tradizionali, il messaggio che viene dato è che, per trovare la felicità, una persona deve cambiare ciò che è. Prendiamo I sogni segreti di Walter Mitty, il più evidente simbolo odierno dell’American comedy moralista classica. Se vuole smetterla di essere uno sfigato e realizzarsi, il protagonista deve rinunciare alla sua vita, a quello che è, per andare sull’Himalaya o a nuotare con dei simpatici squaletti.
Ma vaffanculo, Ben Stiller! Vacci te a rischiare la vita in un modo tanto stupido, che l’unica cosa che trovi è la morte, non certo la felicità!
In questo film invece i protagonisti continuano a ripetere sempre gli stessi errori. Sono dei divorziati che dai loro precedenti matrimoni falliti non hanno imparato un granché. La pellicola ci dice però che va bene così. James Gandolfini non deve cambiare. Non deve dimagrire. Non deve cominciare a usare i comodini. Non deve smettere di essere un orso. Lui può trovare la felicità anche così. Senza nemmeno dover andare sull'Himalaya.
Basta, adesso davvero non dico altro.




Un'ultima cosa...
No dai, basta!
Non dico altro.

giovedì 24 aprile 2014

AFTERNOON DELIGHT, GODURIA POMERIDIANA




Afternoon Delight
(USA 2013)
Regia: Jill Soloway
Sceneggiatura: Jill Soloway
Cast: Kathryn Hahn, Juno Temple, Josh Radnor, Jessica St. Claire, Jane Lynch, Michaela Watkins, Josh Stamberg, John Capelos, Suzy Nakamura, Annie Mumolo
Genere: indie pleasure
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Cosa si intende con Afternoon Delight?
State pensando a qualcosa di sessuale?
Ebbene sì. Per una volta non siete i soliti depravati, visto che il senso è proprio quello.
“Afternoon Delight” è un pezzo degli anni ’70 della Starland Vocal Band che, dietro alla sua musichetta e ai suoi coretti da chiesa, si riferisce in maniera più o meno esplicita e più o meno pruriginosa al trastullarsi in pieno giorno, da soli o in compagnia.



"Hey, l'hai visto il finale di How I Met Your Mother?"
"Mamma mia, che stronzata!"
Afternoon Delight è ora anche il titolo di una gradevole commedia indie che parla guarda caso di quello, del cercare il piacere durante il giorno, del sapersi godere la vita non solo di notte, non solo nel weekend, non solo in vacanza, non solo in circostanze straordinarie, ma sempre. Anche in un pomeriggio qualunque.
Afternoon Delight è un film che va goduto allo stesso modo. Non in una visione serale, bensì in un tranquillo pomeriggio. Ogni pellicola ha un momento giusto per essere gustata, e questo è il classico filmetto pomeridiano. Quello che fai partire senza grosse aspettative giusto per passare il tempo e poi alla fine ti lascia qualcosa. Non che sia un lavoro indimenticabile, nonostante il solito esagerato Quentin Tarantino l’abbia inserito nella sua personale Top 10 dei film migliori del 2013, eppure è una visione che si fa seguire molto bene e che si ricorda con un sorriso sulle labbra.

La protagonista è Rachel, una donna intorno ai 40 anni sposata e con figli, una desperate housewife benestante che affronta una precoce crisi di mezza età. Con il marito (l’anonimo Josh Radnor di How I Met Your Mother) a letto le cose non funzionano più e così, per far ritornare il loro rapporto piccante, decide di seguire il consiglio della solita amica disinibita e andare insieme al consorte in uno stripclub. È qui che Rachel riceverà una bella lapdance fatta da Juno Temple che le cambierà la vita.
Rachel diventerà lesbica?
Diventerà bisex?
Si metterà a fare le cosacce a tre insieme al marito?
La situazione è più complessa di così, fatto sta che tra lei e la sexy zoccoletta Juno Temple si instaurerà un rapporto particolare… Di più non vi dico, se no vi rovino la visione pomeridiana.

La pellicola è girata dall’esordiente Jill Soloway nel più tipico stile indie hipster da Sundance Festival che va per la maggiore oggi, con un tocco femminile che la fa avvicinare alla serie Girls o al film Frances Ha, però in una versione più adulta. A convincere particolarmente è la relazione tra la sexy, qui ancora più sexy del solito, Juno Temple e l’interprete di Rachel, un’ottima Kathryn Hahn, attrice caratteristica vista finora qua e là in vari ruoli minori, da Crossing Jordan al recente I sogni segreti di Walter Mitty passando proprio per le citate Girls. Una caratterista che qui dimostra di avere il carattere per reggere, alla grande, un personaggio da protagonista.
E allora, Afternoon Delight è proprio quello che promette il suo titolo: un bel piacere, da gustarsi rigorosamente di pomeriggio, tanto per sgarrare un po’, così, giusto per deviare dalle abitudini. Come una serata alcolica che comincia con qualche oretta di anticipo rispetto al solito. Come un seghino diurno. O come una sveltina alla luce del sole.
(voto 6,5/10)

sabato 22 marzo 2014

SHORT TERM 12, LA VITA SENZA EFFETTI SPECIALI




Short Term 12
(USA 2013)
Regia: Destin Cretton
Sceneggiatura: Destin Cretton
Cast: Brie Larson, John Gallagher Jr., Stephanie Beatriz, Rami Malek, Frantz Turner, Kevin Hernandez, Alex Calloway, Lakeith Lee Stanfield, Kaitlyn Dever, Melora Walters
Genere: indie
Se ti piace guarda anche: Prossima fermata – Fruitvale Station, Smashed, Drinking Buddies

Basta poco, per farmi felice. Mi date un bel filmetto indie e io sono contento. Non li voglio i vostri supereroi. Ve li potete tenere, i vostri Tom Cruise Tom Hanks Will Smith Russell Crowe. Per fare un grande film non servono tanti soldi, tanti divi, tante stronzate inutili. Preferisco le idee. Una penna che sa scrivere una sceneggiatura perfettamente congegnata, ma non per questo paracula di quelle che arrivi alla fine e ti fanno sentire preso per i fondelli. Una storia dalla struttura circolare, con dentro poche cose, pochi elementi essenziali. Con dentro un cuore, un'anima, una vita.

"Ahahah, troppo divertente leggere il diario privato di Cannibal Kid!"
Short Term 12 è un film che ci mostra la vita senza effetti speciali. Quale vita? Quella di Grace, una giovane donna che lavora in un posto che si chiama appunto Short Term 12, un centro per ragazzi minorenni “sfortunati” (ma non chiamateli così, che si incazzano). Ragazzini con qualche problema mentale, con situazioni difficili in casa, con tendenze suicide. Cose di questo genere. Un ambiente non semplice, dove ogni tanto qualcuno all’improvviso sclera e bisogna “contenerlo”, e in cui io non avrei mai il fegato di addentrarmi. Un mio amico lavora in un ambito come questo e le storie che mi racconta, non troppo distanti da quelle presentate dalla pellicola, a volte mi fanno accapponare la pelle.
Il film altro non è che un tuffo dentro questa difficile realtà, attraverso l’occhio di chi in questo posto ci lavora: Grace, il suo boyfriend e un paio di colleghi i cui ruoli sono un po’ troppo abbozzati, e qui mi tocca fare un po’ di critica perché questa pellicola è davvero deliziosa, però non è perfetta, il suo bello è anche quello. Soprattutto, il film è incentrato su di lei, Grace, la giovane Brie Larson che qui passa alla grande l’esame di maturità ed è pronta per andare nel college del cinema che conta. Cosa che significa che presto finirà a fare filmoni mega pubblicizzati e con gli effetti speciali e con accanto gli attoroni famosi di Hollywood? Può darsi. Per il momento speriamo però che tenga ancora i piedi in tutte e due le scarpe, o almeno in una, quella del cinema indie, quella dei filmini da Sundance Festival come questo che poi tanto ini non sono.

Un pregio di un “filmino” indie come questo, guardato anche grazie al prezioso consiglio di Gionatan, è quello di dare spazio a un cast di giovani attori molto promettenti, provenienti per lo più dal magico mondo delle serie tv. Per quelli poco familiari con i telefilm USA, Brie Larson era la figlia della protagonista di United States of Tara, quindi di situazioni famigliari complesse e pazzesche è una che già se ne intende. C’è poi John Gallagher Jr., che non è uno dei membri degli Oasis bensì è uno dei protagonisti della pregevole serie tv giornalistica The Newsroom, poco conosciuta e poco idolatrata in giro, ma che vi consiglio assolutissimamente di recuperare. In due ruoli minori sono inoltre presenti Rami Malek, visto pure lui in United States of Tara, e Stephanie Beatriz, la sbirra dura e pura dello spassoso Brooklyn Nine-Nine. Della bella gente di cui sentiremo parlare ancora a lungo, soprattutto nel giro del cinema indie.

Tra poco sarà il compleanno di Pensieri Cannibali, che inizino i festeggiamenti!
Oltre a delle interpretazioni molto sentite e spontanee, anche da parte del gruppo di giovanissimi che hanno le parti dei ragazzini “ricoverati” o meglio reclusi del centro (attenzione soprattutto al rapper Lakeith Lee Stanfield e alla emo Kaitlyn Dever), Short Term 12 si segnala per un’ottima sceneggiatura. Questo è uno di quei film neo-neorealisti incentrati sulla vita normale, come abbiamo detto, però allo stesso tempo non rinuncia a una struttura narrativa organizzata in maniera impeccabile, con tutti i pezzi del puzzle che si vanno a incastrare alla perfezione e anche con quel pizzico di humour che non guasta e aiuta ad alleggerire l’atmosfera altrimenti da drammone. In una maniera analoga a quanto succede in un altro Sundance Movie recente come Prossima fermata – Fruitvale Station. Se quest’ultimo ha trovato una miracolosa, seppure limitata, uscita nelle sale italiane, mi auguro che lo stesso destino capiti anche a Short Term 12. So che qualcuno di voi penserà che si possa trattare di uno di quei filmetti sfigati, da hipster, girati con quattro soldi e che, se non riescono a raggiungere il grande pubblico, un motivo ci sarà. A volte capitano anche quelli. Le porcherie non si vedono solo tra i blockbusteroni multimilionari prodotti dalle major, ma vengono realizzate pure in ambito alternativo. Non è questo il caso. Al di là delle classificazioni, indie o non indie, Short Term 12 è semplicemente un bel film. Punto. 
(voto 7,5/10)

lunedì 13 gennaio 2014

LOLA VERSUS E IL GRETA GERWIG MOVIE




In attesa di commentare i risultati (CHI HA VINTO, CHI HA VINTO?) e pure il red carpet dei Golden Globe Awards 2014, ecco un post su un film di cui a nessuno fregherà niente. A nessuno tranne ai fan di Greta Gerwig, ovviamente.

Lola Versus
(USA 2012)
Regia: Daryl Wein
Sceneggiatura: Daryl Wein, Zoe Lister Jones
Cast: Greta Gerwig, Joel Kinnaman, Zoe Lister Jones, Hamish Linklater, Bill Pullman, Debra Winger, Ebon Moss-Bachrach, Maria Dizzia, Cheyenne Jackson, Parisa Fitz-Henley
Genere: Greta Gerwig movie
Se ti piace guarda anche: Frances Ha, Damsels in Distress, Girls

Non c’è versus. Io Greta Gerwig la adoro. E più la vedo e più ne sto diventando dipendente. Ironico diventare dipendente per l’attrice più indie-pendente oggi in circolazione.
La prima volta che mi è capitata davanti è stata in The House of the Devil, mastodontico splendido horror firmato da Ti West. Lì è l’amica della protagonista, non ha un ruolo enorme però è il personaggio simpa di turno e quindi rimane impressa, ancor più della protagonista, Jocelin Donahue, che infatti da allora chi l’ha più vista?
Poi l’avevo notata in Lo stravagante mondo di Greenberg, stravagante pellicola con Ben Stiller che mi era piaciucchiata ma non mi aveva sconvolto del tutto. E poi ancora era apparsa nella romcom Amici, amanti e…, solo che lì c’era Natalie Portman e allora “Ciao!” a tutte le altre.

"Oooh, era un sacco che aspettavo il post cannibale su questo film!"
La vera folgorazione per Greta Gerwig ce l’ho avuta soltanto in seguito. Non certo nel terrificante To Rome With Love di Woody Allen, dove pure è tra le poche cose a salvarsi ancora, quanto in Damsels in Distress – Ragazze allo sbando, una commedia leggera, piacevolissima, graziata dal suo particolare personaggio. Lì Greta è Violet, una ragazza egocentrica, radical-chic e un po’ stronzetta, in cui non ho fatto troppa fatica a immedesimarmi, sarà che non mi sembra troppo lontana da una mia versione al femminile.
Se lì Greta Gerwig mi ha conquistato e con il video di “Afterlife” degli Arcade Fire diretto da Spike Jonze ha cominciato a piacermi ancora di più, il vero amore è però scattato, come di recente vi ho riportato, con Frances Ha, l’ultimo spettacolare film di Noah Baumbach. Greta e la sua Frances, una tipa indie fuori di testa ed eccentrica come mi è capitato di vedere poche altre volte, anche all’interno delle eccentriche e stravaganti figure che affollano il cinema alternativo americano recente.
In qualche modo Greta Gerwig rappresenta l’evoluzione dell’alternative girl che negli anni ’90 veniva portata sullo schermo in genere da Chloe Sevigny, attrice che ricorda molto fisiciamente. Eppure a livello di personaggi le cose sono cambiate. C’è stato il passaggio dalla it girl figa, un po’ tossica e sicura di sé molto post-grunge come la Sevigny, alle imbranate, pasticcione ma anche più simpatiche e vere indie girls di oggi, rappresentate da Greta Gerwig, così come anche da Lena Dunham della serie Girls (ripartita negli USA questa notte con la terza stagione).

Divampato il fuoco della passione per Greta Gerwig con Frances Ha, mi è venuta voglia di andarmi a recuperare qualche altra sua pellicola, visto che non riesco più a fare a meno di lei. La filmografia dell’attrice 30enne non è così sterminata, molti suoi film da noi non sono arrivati manco sottotitolati, come il suo esordio alla regia in co-abitazione con Joe Swanberg (quello dell'alcolico Drinking Buddies), Nights and Weekends, che non vedo l’ora di recuperare. La scelta è allora caduta su questo Lola Versus che in Italia ovviamente non è uscito, ma se non altro i sottotitoli li si trova facile.

"Bella la tua camicia, complimentoni!"
"Perché, tu ti credi di essere vestita tanto bene?"
In Lola Versus Greta Gerwig è Lola, una variante del suo solito personaggio. Una ragazza incasinata, naturalmente piuttosto alternative e indie, sebbene parecchio meno stramba rispetto a Frances Ha, che racconta com’è la vita dei circa 30enni più o meno hipster di oggi a New York City. Rispetto ai suoi altri film, questo è un po’ più mainstream e commerciale. Non mainstream come Arturo, di cui prima o poi avrò modo di parlare, però meno indie del solito.
Lola è una ragazza di 29 anni che si sta per sposare. Il suo boyfriend, il mitico Joel Kinnaman della serie The Killing, le fa la grande proposta e tutto per lei sembra andare per il meglio, con tanto di genitori pronti per il grande evento, tra cui un invecchiatissimo Bill Pullman. Fino a che, pochi giorni dopo, lui non si rimangia la proposta e la molla di punto in bianco.
Non vi sto spoilerando nulla, poiché tutto questo capita nella scena introduttiva. Il resto invece non ve lo dico. Lola Versus non è folgorante come Frances Ha, non è particolare come Damsels in Distress, però è una commedia indie romantica più che piacevole, non troppo indie (e questo è un difetto) e non troppo romantica (e questo è un pregio). Soprattutto, è un appuntamento immancabile per i Greta Gerwig-addicted, ovvero chiunque si sia imbattuto nella visione di Frances Ha.

Per chi avesse dei dubbi, anche qui la nostra eroina si cimenta con il ballo. Greta Gerwig e il ballo. Potrei scrivere una tesi di laurea su Greta Gerwig e il ballo. La sua Lola nel film invece dà una tesi di laurea sul silenzio. Che sarebbe bello fare una tesi di laurea sul silenzio e presentarsi il giorno della discussione facendo scena muta. Il 110 e lode sarebbe assicurato.
Dopo la Sambola di Damsels in Distress, il ballo scatenato e fulminato nel video di “Afterlife” e il ruolo della ballerina fallita Frances Ha, Greta Gerwig qui ci regala giusto un momento per uno dei suoi balli scomposti dentro a un locale. Poca roba, ma comunque un dettaglio che contribuisce a trasformare un indie movie qualunque in un “Greta Gerwig movie”, che è ormai quasi un genere a parte.
Ci sono le commedie romantiche, ci sono le pellicole indie e poi ci sono i Greta Gerwig movie. Indovinate un po’ quali preferisco?
(voto 6+/10)



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