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sabato 30 novembre 2019

La musica che resta di novembre 2019 (porca zozza, ho davvero citato Il Volo?)





La rubrica mensile musicale di Pensieri Cannibali è giunta al termine.

Per quest'anno.

Ora potete tirare un sospiro di sollievo. Oppure tirare una bestemmia di disappunto, come preferite. Fatto sta che questo è l'ultimo appuntamento del 2019, dopodiché il prossimo mese prenderanno il sopravvento le consuete classifiche di fine anno e quindi tranquilli che anche a dicembre la musica, tanto quella bella quanto quella brutta per non discriminare nessuno, farà capolino qua su Pensieri Cannibali. Intanto andiamo a scoprire le cose da sentire, o che è meglio non sentire, arrivate negli scorsi giorni.

domenica 7 dicembre 2014

MAN OF THE YEAR 2014 – N. 6 CHRIS MARTIN






n.6 Chris Martin
(Inghilterra, 1977)
Genere: playboy a sorpresa
Il suo 2014: l'album “Ghost Stories” con i Coldplay, la storia con Jennifer Lawrence

Chris Martin è presente nella classifica degli uomini dell'anno per un'unica ragione.
Sì, certo la musica, ovvio...

mercoledì 21 maggio 2014

“GHOST STORIES”, LE STORIE DELLA BUONANOTTE DEI COLDPLAY




Coldplay "Ghost Stories"
Il grande problema dei Coldplay è fondamentalmente uno. Più che un problema, una colpa. Sono troppo famosi, hanno venduto troppi dischi, hanno raccolto troppo rispetto ai loro reali meriti. I Coldplay non sono un gruppo pessimo, questo no, ma tanto meno sono fenomenali. Sono una band media, come tante, che però ha una popolarità enorme, come poche. Il segreto del loro successo? Chris Martin è riuscito a scrivere una serie di canzoni capaci di arrivare al cuore del pubblico, alcune davvero riuscite come “Yellow”, “The Scientist”, “Fix You” e “Viva la vida”. Allo stesso tempo manca loro il vero genio creativo. I primi tempi, quelli del loro album migliore, il debutto “Parachutes”, suonavano come un incrocio tra Radiohead e Jeff Buckley, poi è avvenuta la loro U2izzazione e hanno puntato a proporre uno stadium-pop con grandi cori e canzoni di facile presa. In ogni caso senza mai possedere un'enorme originalità. Ai Coldplay va però almeno dato atto di non essersi cristalizzati in un solo tipo di suono, ma di cercare sempre nuova gente cui scopiazzar… ehm, cui ispirarsi. Con l’ultimo poco riuscito “Mylo Xyloto” avevano tentato, senza convincere molto, qualche divagazione elettronica, ma il lavoro risultava un pasticciaccio brutto, e ora?

Con il nuovo “Ghost Stories” i Coldplay cercano di infilare tutto quanto fatto in precedenza in una forma più semplice, provando a spogliarsi delle produzioni eccessive e dei barocchismi dei loro ultimi album. Il suono del disco è delicato, leggero, sospeso. Impalpabile. Talmente impalpabile da essere quasi inconsistente.
Se a livello di tematiche questo è un disco di rottura, visto che Chris Martin affronta la fine della storia con l'ormai ex moglie Gwyneth Paltrow, a livello musicale pure, considerando come questa volta le rinnovate fonti di ispirazione sembrano essere James Blake, The xx e Bon Iver, si senta il soporifero clone di quest’ultimo che è “Midnight”, mentre a tratti pare di essere finiti in una versione for dummies dei Sigur Ros, basti dare un ascolto all'apertura di "Always in My Head". In mezzo a tante ballatone, a sorpresa c’è anche spazio per una parentesi quasi dance, con “A Sky Full of Stars” prodotta dal dj più in voga più tamarro del momento, Avicii. Il risultato? Sembra un pezzo di David Guetta che cerca di fare la copia dance di una canzone dei Coldplay.



Nonostante questo pezzo che con il resto della tracklist c’entra quanto un brano di Gigi D’Agostino in una compilation di musica new-age, i ritmi sono per lo più lenti, per non dire assenti. Provate ad ascoltare “Oceans” senza finire in coma e Chris Martin vi regalerà una bambolina per fare il voodoo a Gwyneth Paltrow.


A inizio post dicevamo che il grande problema dei Coldplay è quello di essere diventati più famosi di quanto meritassero. A dirla tutta, Chris Martin e compagni hanno anche un altro e più grave problema. Sono una lagna infinita e il loro nuovo lavoro ne offre un’ulteriore lampante dimostrazione. “Ghost Stories” non è un brutto album, è solo noioso. Penso ci sia solo una cosa più noiosa dell'ultimo disco dei Coldplay: Robert Redford da solo su una barca che si ascolta l’ultimo disco dei Coldplay.
La definizione di album di rottura è allora perfetta. Non perché documenta la rottura tra Chris Martin e Gwyneth Paltrow, ma perché è una gran rottura di palle.
(voto 5/10)

mercoledì 18 settembre 2013

IL DISCO PREFERITO DI SILVIO BERLUSCONI




Jon Hopkins “Immunity”
Altroché Mariano Apicella. Pare che Berlusconi, chiuso nella sua villa di Arcore, in questi giorni ascolti solo “Immunity”.
Si tratta del nuovo album dell’artista elettronico Jon Hopkins, compositore della colonna sonora di Monsters, collaboratore di Brian Eno per la soundtrack di Amabili resti e dei Coldplay per gli arrangiamenti di vari loro pezzi, di recente autore anche di un brano con Natasha Khan alias Bat For Lashes per il nuovo film con Saoirse Ronan "How I Live Now".
“Immunity”, sembra che Berlusconi non voglia altro.
(voto 6,5/10)

Lo ascolta anche Alfano!






UPDATE
Ecco il nuovo videomessaggio di Berlusconi.



sabato 7 settembre 2013

“VALIUM”, IL NUOVO SINGOLO DEI COLDPLAY




Soffrite di insonnia?
Tranquilli, i vostri problemi stanno per finire: i Coldplay sono tornati e l'hanno fatto con il nuovo singolo “Valium” “Atlas”, l’equivalente musicale del film Cloud Atlas. Buon sonnellino a tutti!

"GRAZIE CHRIS MARTIN!"



giovedì 7 giugno 2012

Batt*na navale

Battleship
(USA 2012)
Regia: Peter Berg
Cast: Taylor Kitsch, Brooklyn Decker, Alexander Skarsgård, Rihanna, Jesse Plemons, Tadanobu Asano, Liam Neeson, Hamish Linklater, Adam Godley, Louis Lombardi, Stephen Bishop
Genere: fanta-naval-bellico
Se ti piace guarda anche: Armageddon, Transformers, 2012, Top Gun, Independence Day, Pearl Harbor


"Ho bisogno di rinforzi! A Rihanna uno solo non basta..."
E così hanno fatto un film tratto da Battaglia navale.
Cosa? Un adattamento cinematografico di Battaglia navale???
Battaglia navale, quella roba a cui giocavamo tutti, almeno noi figli degeneri degli anni ’80, ma penso ci giocassero anche prima. Non so se oggi ci giochino ancora. Adesso non ho intenzione di dire: “Ah, bei tempi, quelli in cui c’erano giochi come battaglia navale”, perché era un gioco abbastanza di merda, diciamolo. Molto meglio le diavolerie tecnologiche di oggi.
Il prossimo passo comunque quale sarà? Una pellicola su rubamazzetto? Sullo scopone scientifico l’hanno già fatto, con Alberto Sordi, ma a quando un remake americano? Qualche anno fa avevo sentito persino di un progetto cinematografico dal Monopoli cui starebbe lavorando Ridley Scott. Ma spero di averlo solo immaginato.
E l’impiccato?
Da quel gioco, sì che ne uscirebbe un bel film horror. Cazzo, quasi quasi la scrivo io una sceneggiatura basata sull’impiccato. Ne potrebbe uscire fuori una discreta porcheria commerciale. Hollywood, arrivo!

"Buonasera... sempre pronto a sacrificarmi per la patria!"
Parlare di “adattamento cinematografico” qui è peraltro esagerato. Questo Battleship non è cinema. Non può essere considerato cinema. È un giocattolone. Come tutti i giocattoli, il suo unico scopo è quello di intrattenere e, possibilmente, divertire. Obiettivo riuscito solo in parte. La prima parte, la prima mezz’ora, da questo punto di vista è ottima. Vabbè, decente più che ottima. Ha una buona dose di umorismo e introduce per bene i personaggi, seppure siano ovviamente molto stereotipati: il protagonista cazzaro che non sa cosa combinare nella vita opposto al fratello militare rigido e precisino. Per metterlo in riga dopo l’ennesima bravata, il soldatino lo fa arruolare in marina insieme a lui e, nel giro di appena pochi mesi, misteriosamente diventerà uno dei sottoufficiali più importanti del corpo della marina americano. Misteri del cinema (e forse anche della marina) americani, visto che in Italia per raggiungere un simile livello di potere devi avere almeno 60 anni. Di esperienza, non di età.

"Rihanna, vuoi che partecipi anch'io alla tua personale battaglia anale navale?
Oltre alla storia dell’arruolamento, il protagonista Taylor Kitsch, già visto nel memorabile telefilm Friday Night Lights e nel dimenticabile film John Carter, si innamora. Ma non di una tipa qualunque. Di una delle più grandi fighe mai viste su grande schermo (e non solo) dai tempi di Megan Fox in Transformers, ovvero Brooklyn Decker. Per gli amici, anche Poppe di Brooklyn. Giusto per fare un po’ di vera cul-tura, vi informo che è una modella divenuta famosa grazie alle sue “apparizioni” (è proprio il caso di usare questa parola) su Sports Illustrated, mentre nel cinema aveva esordito con l’orrido Mia moglie per finta. Se già lì il suo body si ergeva a unica cosa decente del film, in Battleship buca davvero lo schermo. Come attrice non sarà fenomenale, però è fin da ora una seria candidata all’Oscar di Miglior Corpo cinematografico dell’anno.
Ma se lei è la Dea del film, la Battona navale cui è dedicato il titolo del post è un’altra.


Rihanna, chi se non lei?
Rihanna è talmente una battona navale, che non ce la fa a non fare la zoccola nemmeno in presenza di quello stoccafisso di Chris Martin dei Coldplay.


Rihannal che qui è al vero e proprio esordio cinematografico. A lei a sorpresa è stato dato il ruolo non della ninfomane, che avrebbe interpretato benissimo, bensì di personaggio simpatico del film. Non sorprende quindi se la pellicola, dopo una prima parte in grado di strappare più di un sorriso, quando affida a lei i momenti divertenti non è che faccia proprio morire dal ridere. Sentirla dire: “Mahalo, stro**o!” prima di uccidere un alieno, infatti più che ridere fa piangere.


"Recitare? What is recitare???"
Non so voi, ma io comunque con una Rihanna che mi protegge il culo da una minaccia aliena, mi sento un po’ più sicuro. Per aiutare le popolazioni terremotate, ad esempio, un po’ di Rihanna non farebbe male. Un qualche modo per tornare utile, credo si riesca a trovarglielo.

Tornando dalla battona navale alla battaglia navale, è qui che arrivano le note dolenti del film. Se la parte introduttiva della pellicola funziona bene, tra gag più o meno comiche e qualche risvolto romantico alla Michael Bay di Armageddon, dopo la prima mezzoretta arrivano gli alieni e il film diventa una guerra intergalattica fracassona e noiosa. In perfetto stile Michael Bay di Transformers.
Comunque la si veda, il riferimento cinematografico (?) massimo del film è Michael Bay.
Ci sarebbe anche un filo di Top Gun, soprattutto all’inizio, peccato che la parte dedicata all’addestramento del protagonista, che sarebbe potuta essere la più interessante e divertente, sia saltata a piè pari e si ritrovi  il ragazzo già bell’e che pronto a guerreggiar in mezzo al mar.
(non prima di aver tirato durante una partita di calcio un rigore alle stelle che manco il Baresi di USA '94!)


"Siamo i Daft Punk. Siam venuti sulla Terra per liberarvi dalla musica di Rihanna."
Peccato, perché il regista Peter Berg è l’autore di Friday Night Lights, serie davvero interessante e originale, mentre qui non osa niente e sembra essersi limitato giusto a svolgere il compitino per fare una pellicola spettacolare e commerciale il giusto. Obiettivo agganciato sulla griglia della battaglia navale solo in parte, visto che negli USA si sta rivelando un floppone notevole mentre nel resto del mondo è ancora andato benino.
Da Friday Night Lights, oltre al protagonista Taylor Kitsch qui con un taglio di capelli corto da bravo aspirante novello Tom Cruise, Peter Berg si è portato appresso anche il rosso Jesse Plemons, vero spirito umoristico del film (altroché Rihanna), nonché idolo incontrastato della pellicola. Nel cast figurano poi Alexander Skarsgård, tanto per far bilanciare il rapporto fighi-fighe all’interno del film in maniera equilibrata, e Liam Neeson che di solito non sopporto ma che qui nella parte del marine scorbutico e odioso calza a pennello.
"Ma fo**etevi, Daft Punk alieni!"

La cosa che riesce a tenere un po’ vivo l’interesse nei confronti del film, oltre alla Brooklyn Decker che se ne va a spasso in un’ambientazione hawaiiana ma più che altro lostiana, è la commistione di generi.
Fondamentalmente, è una pellicola bellica, visto che le estenuanti scene di guerra occupano un numero esagerato di minuti. Però è anche una storia catastrofica, di cui in questi giorni tra l’altro faremmo pure volentieri a meno. Ed ha anche un minimo di componente fantascientifica, visto che la minaccia arriva dallo spazio, da dei misteriosi alieni la cui psicologia non è manco minimamente spiegata. Sono arrivati qui con dei caschi alla Daft Punk, vogliono distruggerci e gli umani, o meglio gli americani (con un piccolo aiuto cinese, perché oggi la Cina è diventata un mercato cinematograficamente importante) salvano il mondo.

ATTENZIONE SPOILER
Per la precisione è Rihanna che sparando un missile ci salva tutti.
E che Rihanna con un pistolone per le mani ci sapesse fare, credo nessuno avesse il minimo dubbio.


Non fosse stato ispirato a Battaglia navale e non ci fossero un’ora e mezza di noiose battaglie navali di troppo, sarebbe anche stato un discreto intrattenimento action. Così com’è uscito, invece, è un giocattolone di quelli che ti divertono per qualche minuto, ma che dopo poco hai già dimenticato in fondo all’armadio, seppellito da nuovi e più esaltanti games. Fino a che non ti decidi a buttarlo via.
Sorry, Battleshit: colpito e affondato.
(voto 5,5/10)

lunedì 7 novembre 2011

Di Justin Bieber, Selena Gomez e del perché essere teenager oggi fa schifo


Selena Gomez è nota per 2 motivi:
perché si fa Justin Bieber e per le sue facce sveglie
Ieri sera si sono tenuti gli Mtv Europe Music Awards 2011 e lo so che non ve ne può fregare di meno, però l’ho comunque visto e commentato per il vostro bene. E per il mio male.
Sede: Belfast, Irlanda del nord, in quella terra che per Brittany S. Pierce di Glee è un posto magico popolato unicamente da folletti leprecauni. E mi sa anche che ha ragione lei.
Conduttrice della serata: Selena Gomez.
Chi è Selena Gomez?
Ancora lo chiedete?
Mi offendo non perché sia grave non sapere chi è costei, anzi è più che legittimo perlomeno se avete + di 13 anni. Mi offendo perché ne ho già parlato in due occasioni (QUI e QUI) e non mi state attenti, non mi state.
Comunque, volendo riassumere, Selena Gomez è una che fa davvero di tutto: canta, balla, recita e si fa Justin Bieber, che poi quest’ultimo è anche il motivo principale per cui è diventata più o meno famosa. E adesso Selena porca puttena si è messa pure a fare la conduttrice.
In realtà la prima scelta di Mtv per la conduzione degli EMA 2011 era caduta su Gianni Morandi. Peccato che il contratto di esclusiva con la Rai e con il Festival di Sanremo gli abbia impedito di presentare anche questo evento. Davvero un peccato.
Ce la farà comunque la Gomez ad essere all’altezza delle precedenti conduttrici Katy Perry ed Eva Longoria? Ce la farà in termini di gnoccaggine, intendo, non di conduzione, anche perché le sue gag comiche fanno ridere i polli. No, sul serio. Ho sentito un gruppetto di polli ridere di gusto.
Carina è carina e si presenta pure con un vestito trasparente che lascia intravedere (anzi, proprio vedere) le mutandine. E sì, posso legalmente dire queste cose perché ha 19 anni compiuti.

"Scazzo, raga?"
L’apertura dello show è affidata agli Oldplay (no, non ho sbagliato a scrivere) di un sempre più esaltato e Bono (non nel senso di figo) Chris Martin. Spero seriamente per lui che si droghi pesante, perché se si gasa così tanto sulle note di Every teardrop is a waterfall senza l’assunzione di sostanze, è davvero messo male. Lui e le sue cattedrali nel cuore. Ma dico: si può avere le cattedrali nel cuore? Nemmeno il Papa ce le ha…

Come annunciatrici del premio Best live award ci sono quelle zoccole di Jersey Shore. Vince Katy Perry, che si è presentata con dei capelli viola anni ’50 che renderebbero inscopabile chiunque. Ma non lei. Comunque per quanto mi piaccia, va bene darle il pussy award, ma il Best live award di miglior artista dal vio del mondo non è un po’ fuori luogo?

Altri performers della serata sono stati gli LMFAO con Party Rock Anthem.
E se non conoscete questa canzone significa una sola cosa: siete davvero vecchi. E quest’estate l’unico posto che avete frequentato dev’essere stato l’ospizio. Cosa che ha anche il suo fascino, anche perché considerando chi sono i teen idol di oggi, certo non si rimpiange molto di essere teen oggi, quindi questa non vuole essere una critica.
Come mi sento politically correct, puttana la mamma di Selena Gomez.

Durante la pubblicità apprendo dell’esistenza del videogame The Black Eyed Peas Experience e per la prima volta in vita mia non mi sono mai sentito così felice di non possedere un’XBox.

Una volta stava a fianco di Pamelona Anderson, adesso
si deve accontentare di Justin Bieberon... segno dei tempi
Cattive notizie dagli EMA: David Hasselhoff esiste ancora. Non so bene perché, ma si presenta parlando come un idiota. Probabilmente ha sempre parlato così, ma non me n’ero mai reso conto grazie al suo doppiatore italiano che lo faceva apparire quasi come un bagnino serio che faceva quel lavoro per salvare delle vite e non solo per stare ad osservare delle tettone che correvano su e giù per il bagnasciuga.
Il premio di miglior artista donna va a Lady Gaga, che si presenta totalmente mascherata e sotto quella roba lì si potrebbe anche celare una sosia e non la vera Germanotta. Quando però dice che David Hasselhoff ha un gran cazzo, si capisce che è davvero lei.

Bruno Mars cantata una delle sue mille canzoni dall’inspiegabile successo, ma se non lo faceva, nessuno ne avrebbe sentito la mancanza.
L'Icon Award viene assegnato ai Queen e a ricevere il premio c’è un tizio che si spaccia per Brian May accompagnato da un tizio che credo sia pagato per ricordargli che è Brian May e NON Angelo Branduardi, nonostante le apparenze possano dire il contrario. A fine serata di esibiranno anche con un cantante che, non so perché, ma ho il leggero presentimento non sia Freddie Mercury.
Infatti è un certo Adam Lambert, un tizio uscito da American Idol che si spaccia per un tizio uscito da American Idol. Roba che per fortuna non sono un fan dei Queen, altrimenti mi sa che mi sarei indignato parecchio, come se avessero messo su una band chiamata "Amy Winehouse" e ci avessero fatto cantare Giusy Ferreri oppure fatto una reunion dei Nirvana con Valerio Scanu al posto di Kurt. Personalmente non ho niente contro i talent-show, però andate affanculo talent-show!

I Linkin Park vincono il premio Best rock nonostante il loro ultimo album fosse più elettronico che rock, mentre come Best hip-hop trionfa Eminem che però non c’aveva voglia di venire a ritirare il premio preferendo starsene tranquillo in studio di registrazione.
E lo so, su questi artisti non mi è venuto niente di bastardo da dire perché mi piacciono e quindi in maniera dittatoriale e anti-democratica non ho intenzione di massacrarli aggratis.
Una delle performance migliori della serata è gentilmente offerta da Jessie J, nuova fenomena della pop music mondiale, con Price tag in cui canta "We don't need your money-money" e a Mtv l'hanno presa alla lettera e non le hanno pagato il cachet.
Jessie J più tardi introduce anche un ricordo di Amy Winehouse, nel momento più toccante della serata (anche perché unico momento toccante della serata).

Justin Bieber vince il premio di miglior artista maschile e dice che lui in realtà ha votato Kanye West. Il ragazzino si è reso conto dell’ingiusta di un premio nei suoi confronti a discapito del Dio Kanye, oppure ha in qualche modo non riuscito di sfotterlo come vendetta per ciò che lui aveva fatto in passato nei confronti della sua amichetta Taylor Swift?

I Red Hot Chili Peppers si esibiscono a torso nudo. Qualcuno glielo spiega che non c’hanno più l’età e, per quanto come 50enne sia messo più che buono, con i tamarri di Jersey Shore che girano oggi su Mtv non fanno un figurone...

Justin Bieber canta stonatissimo una sua nuova canzone che sembra rubata dal repertorio di Bruno Mars, solo molto peggio. Il suo secondo pezzo propone invece un messaggio di speranza per il mondo intero: never say never. Un giorno ci liberemo anche di lui. Mai dire mai.

David Guetta arriva e rende con la sua sola presenza immediatamente più tamarra tutta la serata. La sua pronuncia inglese ci fa ricordare come i francesi con l'English language siano messi peggio di noi. O quasi.
A cantare Without you arriva Jessie J che la canta tipo un miliardo di volte meglio di Usher. Usher che, ricordiamo giusto per spalargli addosso un po' di merda, è l'uomo che ha lanciato  definitivamente Justin Bieber sulla scena musicale mondiale. Vi stava simpatico Usher? Bene, dove avervi ricordato questa cosa probabilmente non vi starà più tanto simpatico.
Il premio internazionale è invece andato a un gruppo coreano che ringrazia in coreano e tutto il mondo si sta ancora chiedendo cosa cazzo abbiano detto. Forse hanno ringraziato Byron Moreno.


Hayden Panettiere arriva per cercare di soffiare a Katy Perry il premio più ambito della serata, il Pussy Award. E poi già che c'è annuncia anche il premio Best song mentre un uomo nudo la interrompe. Il premio va a Born this way di Lady Gaga e sebbene io avessi votato, almeno nella mia testa, per Midnight City degli M83, sono contento per lei, che ritira il premio commossa. Non dico visibilmente commossa perché il solito sobrio cappellino le oscurava il volto e anche su mezza Irlanda.
Per quanto riguarda il Pussy Award, alla fine ha vinto la magica accoppiata Irina Shayk + Bar Refaeli, arrivate a consegnare il premio di miglior video dell'anno a...
ovvio: Lady Gaga con Born this way.

Quest'edizione degli EMA ha fatto particolarmente schifo? Può darsi, ma tanto ormai il successo di un programma televisivo del genere non è dato dal numero di telespettatori che lo stanno guardando, bensì dal numero di cinguettii su Twitter con minacce di morte nei confronti di Justin Bieber e Selena Gomez. In tal senso lo show si è rivelato un successo senza precedenti.
Adesso corro a twittare pure io. Voglio contribuire attivamente a questo storico record, perdindirindina!



mercoledì 26 ottobre 2011

Pensione a 34 anni a chi intitola un disco Mylo Xyloto


I turn the music down,
metto su i miei records on,
il tuo Chris è appena uscito però a me m’ha rotto già da un po’
ma che stai a fa’, che stai a combina'?
una volta cantavi yellow
adesso c’hai le cattedrali nel tuo cuooor?
Ogni lacrima è una waaaaaaaaaterfall
ma tu vattene al diaaaaaaaaaaaavoll
e smettila di gridaaaaaaaaaar
che quando va bene sembri Booooooooooono
quando va peggio Vaaaaaaaaaaasaaaaaaaasco


Coldplay “Mylo Xyloto”
Genere: cori da stadio
Provenienza: gwynethpaltrowlandia
Se ti piace ascolta anche: U2, Keane, Snow Patrol, Baltimora

Uh, è arrivato un nuovo disco dei Coldplay. Mammà, papà: che bello!
Una volta lo potevo dire tranquillamente perché l'oggi 34enne Chris Martin e soci erano in grado di fare uscire dei dischi interessanti, adesso lo dico con tono urlante (visto che Chris è passato dal falsetto all’urlo da stadio perenne e quindi per farmi sentire sulla sua voce devo gridare) perché di certo ci sarà da spettegolarci sopra e da divertirsi nel criticarlo. Yahooooo!
I Coldplay si sono infatti progressivamente trasformati da grande promessa della musica inglese a grande delusione della musica inglese, con vendite - è ovvio - inversamente proporzionali alla qualità dei dischi, fino ad arrivare al tonfo dell’ultimo Viva la vida che era davvero mediocre, a parte la title track resa splendida dagli archi del “nostro” Davide Rossi.

Adesso è arrivata l’ora di un nuovo album e com’è che hanno deciso di chiamarlo?
Mylo Xyloto.
No dai, sul serio: come l’hanno chiamato?
Mylo Xyloto!
°___°

Oookay, quindi a quanto pare questo è un concept album che ci racconta una storia, una fiaba d’amore, il cui protagonista è proprio ‘sto personaggio chiamato in questo buffo (stupido?) modo, pare perché ai Coldplay piaceva scegliere come titolo del disco un nome che quando lo googli non dà altri risultati. E tè credo, chi ha così pessimo gusto da usare un nome del genere? Forse giusto uno che chiama i suoi figli Apple e Moses…
°___°

Eppure l’attacco del disco fa ben sperare. “Hurts like heaven” ha un suono electro anni ’80 nervoso, ti fa muovere la testa su e giù come un pezzo dei Coldplay non aveva mai fatto prima. Come apertura è più che discreta, anche se nel finale Chris Martin non può fare a meno di inserire un evitabile coro angelico poco in stile Sigur Ros e più in stile catechismo del sabato pomeriggio. E io penso di non aver mai odiato niente più del catechismo del sabato pomeriggio. Mi mettevo a piangere come una fontanella, every teardrop is a waterfall direbbe Chris, ma i miei mi costringevano ad andarci e pensare che nemmeno gli è mai importato così tanto della religione. Probabilmente mi ci mandavano giusto per avermi fuori dalle scatole per un’ora.

Oh, merda! Hanno pure messo le farfalline sulla copertina.
La situazione è più preoccupante di quanto immaginassi...
E poi calano la carta “Paradise”.
C’era una volta una band che voleva essere come i Radiohead.
A dirla tutta, ce n’erano e ce ne sono tante di band che vogliono essere come i Radiohead, ma in particolare ce n’era una, i Coldplay, che ai tempi degli esordi un disco come Ok Computer doveva averlo consumato parecchio. Quello è stato il loro periodo artisticamente migliore, poi si sono resi conto di non aver nemmeno lontanamente il talento e la genialità dei Radiohead e allora hanno deciso di diventare i nuovi U2. Lì gli è andata piuttosto bene, hanno venduto milioni di dischi, il cantante si è sposato con un’attrice hollywoodiana, come abbiamo visto ha dato dei nomi ridicoli ai suoi figli e si è messo a fare il mezzo profeta come se il destino del mondo fosse nelle sue mani.
Adesso però i Coldplay hanno deciso di cambiare modello di riferimento e prendere come esempio una band italiana: i Baltimora.
Come, chi sono i Baltimora? Hanno fatto hit di successo come Tarzan Boy e… basta.
In pratica il nuovo singolo dei Coldplay “Paradise” è un tributo a Tarzan Boy, anche se, pur sforzandosi, non raggiunge le stesse vette trash.
Il fatto che sia uno dei brani migliori dell’album vi può dare un’idea del resto.
E il ritornello è proprio para-para-paraculo
para-para-paraculo
oooooh ooooooooohh



"Cos'ho fatto di male per finire in un disco dei Coldplay?"
Poi arriva un pezzo che si chiama “Charlie Brown” e solo un gruppo troppo poco rock’n’roll come i Coldplay poteva intitolare un brano così. Il titolo è comunque l’unica cosa rivelante di un pezzo al 100% coldpleiano che scivola innocuo. Charlie, renditi utili e portami la coperta di Linus che mi schiaccio un pisolino.

“Us against the world” è una ballata in slow motion vagamente folk-country. Il genere di pezzi delicati che ai Coldplay riesce ancora discretamente bene. Che forse gli orpelli e le palettes 80s li debbano lasciare a chi sa come usarli e concentrarsi su una scrittura semplice e basic? Potrebbe essere una buona idea, peccato che si sforzino in tutti i modi di fare i cool ma quando ci provano finiscono solo per farsi prendere per il cul.
Sarkò, Anghela: smettetela di ridere.
Merci.
Danke.

“Major minus” ha un ondeggiamento più rock, per quanto il maritino salutista di Gwyneth Paltrow possa fare del rock, e un coretto che ricorda parecchio un brano più o meno famoso, “Sympathy for the devil” di certi Rolling Stones. Dopo le accuse di plagio che sono piovute loro addosso già con lo scorso disco, la pericolosa e famigerata “sindrome da Zucchero” sta entrando per loro in una fase acuta?
In ogni caso il brano non è per nulla riuscito. Il rock non è proprio la loro cosa. Ma questo già lo sapevamo.

La chitarrina acustica ci “U.F.O.” nonostante il titolo riporta i freddogioco sulla Terra e a ciò che sanno fare meglio, le ballatone. Peccato che in questo caso non sia particolarmente riuscita. Come direbbe E.T.: “Ohi ohi”.

“Princess of China” è il pezzo della discussa collaborazione con Rihanna. La canzone ha un andamento quasi hip-hop alla Kanye West, ma senza avvicinarsi not even far away alla sua potenza e genialità. Il vocal di Rihanna farà storcere il naso ai puristi coldplayani ma secondo me è tra le cose migliori dell’intero album. Anche perché della voce di Chris Martin francamente non ne potevo più e pure lui, autoinfastidito da se stesso, la pensa così. Peccato per i soliti cori da stadio che invece non giocano a favore del pezzo, uno dei migliori di Mylo Xyloto ma uno dei peggiori degli ultimi tempi per Rihanna, che ci aveva abituati a collaborazioni di ben altro livello con Eminem, Kanye West, Jay-Z, Calvin Harris, Drake, Nicki Minaj, T.I. e persino Britney Spears!


“Up in flames” è un’altra ballata rallentata. Carina, ma anche sbadigliona. Yawn. Charlie Brown, ‘sta cazzo di coperta arriva o no?

“Don’t let it break your heart” con quel piano va in territori Keane. Fatto curioso, perché una volta erano i Keane a ricordare i Coldplay, adesso viceversa. Il resto dei suoni riporta invece dalle parti di “Every teardrop is a waterfall”. E non è certo cosa giusta e buona.

“Up with the birds” chiude con la solita lagna coldplayana, per un disco che nei primi pezzi faceva intravedere qualche luce, qualche abbozzo di idee, e invece sprofonda nella confusione, nell’apatia e nella noia.
Per quanto una insufficienza ancora più pesante al disco dei tanto blogger-odiati Coldplay mi renderebbe più fico al mondo della blogosfera, non fico quanto Ryan Gosling ma comunque piuttosto fico tipo boh Michael Fassbender, devo dire che non tutto mi è dispiaciuto del tutto.
È vero: i Coldplay sono troppo più famosi dei loro reali meriti.
È vero: ci sono un sacco di band che non si fila nessuno che fanno musica molto ma molto più coraggiosa, eccitante, entusiasmante di loro.
È però vero anche che là fuori c’è della musica peggiore.
Certo, Mylo Xyloto con quel suo nome del cazzo non credo rientrerà nella classifica dei miei dischi preferiti dell’anno nemmeno se facessi una top 100 o top 200 o top 1000, per dire, però un paio delle sue canzoni ogni tanto potrei ascoltarmele per addormentarmi. Peccato poi arrivino tutti ‘sti cori da stadio e prendere sonno diventi più difficile che in mezzo alla curva Sud. Perché la più grande influenza di questo è album è il “Po-poppoppopopo”. E intendo proprio il “Popporoppopopo”, non “Seven Nation Army” dei White Stripes.
Indovinate cosa sta facendo?
Facile: un coro da stadio!
La prossima volta, Chris, vai allo stadiooooooo-oooooo-oooooo-oooooo, sempre che Gwynettina ti lasci uscire di casa da solo, così ti sfoghi per bene. Quando hai finito con tutti ‘sti cori, facci un fischio.
Anzi no, come non detto, che poi il prossimo disco lo riempi di fischi e tra Mooooooves like Jagger e cazzate varie ne abbiamo già basta pure di quelli…
Come dici, Chris?
Questo Mylo Xyloto potrebbe essere il vostro ultimo album?
Oh, finalmente una buona notizia!
(voto 5/10)


mercoledì 29 giugno 2011

Ma quanto odiosi sono diventati i Coldplay?

È un peccato provare quasi fastidio a sentire un nuovo pezzo dei Coldplay o a vedere un loro nuovo video.


È un peccato perché una decina d’anni fa era invece emozionante vedere/sentire Chris Martin che camminava sul bagnasciuga cantando Yellow e perché il loro album d’esordio Parachutes era davvero un piccolo gioiello di pura semplicità pop. Tutto il contrario della musica epica piena di cori da stadio proposta oggi nel tentativo di diventare i nuovi U2. Obiettivo ormai non solo centrato, ma anzi i Coldplay in quanto a pretenziosità e odiosità sono diventati persino più U2 di Bono e Co. stessi.
È comunque solo un "quasi fastidio" e non un fastidio totale perché questa rimane musica di un livello decente. Insomma: non stiamo comunque parlando di schifezze (dis)umane assolute come Vasco.
Comunque è più un peccato, per la canzone e pure per il video che è la solita colorata coldplayata.
Chris, per favore, torna a cantare sulla spiaggia. In fondo ormai è estate.

venerdì 3 giugno 2011

Ascolto a caldo dei Gioco Freddo

Non so perché, ma non mi ero mai chiesto cosa significasse Coldplay, sarà che mi sembrava suonasse bene così... comunque i Gioco Freddo sono tornati con un nuovo pezzo intitolato "Every Teardrop is a Waterfall" che pure questo in inglese suona fico, mentre in italiano sembra una roba di Gino Latilla: "Ogni lacrima è una cascata." Porcaccia la miseria! Io me tocco i maroni che qua non se sa mmai...
Spazio alle domande:
Chi è Gino Latilla? E che ne so, è il primo nome che mi è venuto in mente, però mi è sembrato abbastanza appropriato.

Cosa ne penso io del nuovo pezzo dei Gioco Freddo?
E che importa? Intanto cominciate a sentirvelo voi...

Questo post ha un senso?
Assolutamente NO

giovedì 2 dicembre 2010

Christmas time is here (Di già?)

A casa di Christmas Martin è già Natale.
Ho (quasi) sempre apprezzato e difeso i Coldplay, però questa canzone e relativo video mi sembrano proprio una gran ruffianata.


Pure a casa di Brandon Flowers è già Natale e pure per i Killers questa "Boots" è ben lungi dall’essere tra le loro migliori canzoni. O magari sono solo io che non sono ancora entrato nel clima festivo (e non è poi nemmeno detto che ci entri).

martedì 16 novembre 2010

Coca back

Zucchero "Chocabeck"
Provenienza: Italia, purtroppo
Genere: plagio pop
Se ti piace ascolta anche: i Coldplay, visto che questo è in pratica un album-tributo (non riuscito) alla loro musica

Ci ho pensato un po’ e poi ho realizzato dove Zucchero stavolta aveva copiato il titolo del suo nuovo album. Il dialetto reggiano non c’entra niente, è tutto un depistaggio: la vera ispirazione arriva dai Kellogg’s Choco pops, ma purtroppo il gusto non è lo stesso. O che forse “Chokabeck” stia per “Coca back”, ritorno alla coca?

Ma passiamo, ahimé, al disco: la prima traccia “Un soffio caldo” ha un crescendo alla Coldplay, diciamo alla vorrei fare “Clocks” ma non posso.
“Il suono della domenica” è un pezzo davvero deprimente con un ridicolo ritornello che fa “ciao, ciao” con l’eco. La melodia sembra plagiare, udite udite, persino se stesso e la sua “Blu” (quella che fa “c’è un dondolo che dondola”, sì lo so: bel testo!) che a sua volta era già stata citata in tribunale perché simile al pezzo “Era lei” di un certo Michele Pecora messo a pecora da Sugar che non gli ha sganciato nemmeno un euro. Il testo in inglese del pezzo è stato scritto da Bono, in originale “Someone else’s tears”, perché Zucchero a scriversi da solo i suoi testi di merda non ce la fa, deve tradurli dall’inglese e malamente (cosa c’entra infatti il titolo originale?).


Del primo singolo “È un peccato morir” ho già parlato, sia per i plagi (ho detto plagi, non pregi) della canzone che per quelli del video.


“Vedo nero” canta Zucchero. Io invece vedo gli archi di “Viva la vida” dei Coldplay con un coro che somiglia a “Viva la vida” dei Coldplay e un ritmo che somiglia a “Viva la vida” dei Coldplay. Per il resto il risultato è ben lontano da “Viva la vida” dei Coldplay ma se non altro è l’unico pezzo un po’ uptempo finora.


Il resto del disco è davvero deprimente, fatto di ballate desolate e prive di ritmo. Al confronto persino James Blunt sembra un simpatico umorista.
“Un uovo sodo” l’ho già sentita: è “Have a nice day” degli Stereophonics, ma ricorda anche almeno un’altra decina di canzoni. E che dire dell’attacco del testo che cita “I gotta feeling” dei Black Eyed Peas?


Il pezzo che dà il titolo all’album “Chocabeck” è l’altro raro pezzo con un ritmo. Ospite Brian Wilson dei Beach Boys. Ma perché??
“Alla fine” purtroppo non è l’ultimo brano di sta smaronata di disco: pure qui si sentono echi di Coldplay (“Warning Sign”) cantati però da un rinoceronte invece che da Chris Martin. Ah, ho già segnalato di come i Coldplay siano l’influenza principale di questo disco? Che pure loro ultimamente sono stati accusati per alcuni possibili plagi, quindi Zucchero probabilmente si è sentito in dovere di punirli così.
Dai cazzo, persino le divise le ha copiate da quelle di “Viva la vida”…
(voto 2)

E ‘sta roba è già al numero 1 della classifica italiana. Vabbè

lunedì 11 ottobre 2010

Il lupo perde il pelo...

Mi piace lo zucchero, ma non mi piace Zucchero.
L'unico divertimento che trovo nell'ascoltare la sua musica è quello di sgamare i vari plagi contenuti nei suoi pezzi. Perché nell'arte del furto (artistico?), diamogli atto, è davvero un maestro con un talento e una faccia come il cuore che ha pochi eguali.

Clamorosa la sua "Un kilo", un omaggio (?!) a "The Seed 2.0" dei The Roots con Cody ChesnuTT.


Diciamo che poi è furbo come una volpe e scaltro come una faina (o viceversa?) perché prende pezzi poco conosciuti, come l'intro di "Hedonism" degli Skunk Anansie per la sua "Puro amore".



Mentre ad esempio "Ahum" (ma che razza di titolo!) copia non una canzone sola, ma praticamente l'opera omnia di un'artista, in questo caso Moby.


Altri casi, ce ne sono a bizzeffe: "È delicato" mixa malamente "Speed of sound" e "Fix You" dei poco noti Coldplay, l'orribile "Baila (Sexy thing)" è "Venus" degli Shocking Blue suonata da un ubriaco, Joe Cocker è stato plagiato, pardon omaggiato più volte, "Slave to love" di Bryan Ferry è diventata "Senza una donna", eccettera eccetera...

Stavolta Zucchero "mano lesta" Fornaciari per il suo nuovo singolo "È un peccato morir" dall'imminente (e temibile) album "Chocabeck" (espressione che significa "va a quel paese", imprecazione che molti artisti avranno usato nei confronti dello stesso Sugar) ha "preso in prestito" la canzone "Girls In Their Summer Clothes" di un artista alle prime armi, un certo Bruce Springsteen, che magari avrete già sentito nominare se siete tra quelli che frequentano la scena underground americana. Ma ci sono suoni che ricordano anche "Mmm Mmm Mmm Mmm" dei Crash Test Dummies e uno "yeah yeah" alla "One of us" di Joan Osborne. Ma sono sicuro che nel resto dell'album di altri "omaggini" ce ne saranno parecchi...


venerdì 27 giugno 2008

In fondo al mar


“Hai mai scritto per libera associazione, Cole?” chiede serio Bruce Willis.
“Che cos’è la scrittura per libera associazione?”
“È quando posi la penna su un foglio di carta e scrivi le prime cose che ti vengono in mente. Cose che magari non avevi nemmeno idea di avere dentro. Allora, Cole: hai mai scritto per libera associazione?”
“Sì,” gli risponde il ragazzino del sesto senso tremando.
“E che cosa hai scritto?”
“Parole angoscianti.”


La libera associazione porta fuoristrada il fuoristrada su cui stiamo viaggiando, ci fa deragliare su binari di inconsueta follia, è l'iceberg che affonda il nostro titanic lasciandoci senza scialuppe di salvataggio. Ci lascia soli in mezzo al mare, naufraghi senza direzione in un oceano che dannazione quanto è vasto. Pensiamo a Milano, pensiamo a New York, pensiamo a Pechino e pensiamo “Sono enormi!”, ma cosa sono al confronto di un oceano? Proviamo a nuotare, arranchiamo nell’acqua che ci tira giù, cerchiamo la salvezza. Esiste la salvezza? Esiste in un mondo che crede solo a una marea di stronzate? Ci starebbe bene il Kevin Costner di Waterworld in mezzo a questo mare. Ci starebbe bene Mitch Buchannon di Baywatch a far le penne con la sua moto d’acqua. Ci starebbe bene che ne so... Rosolino? a nuotare in questa immensa distesa d’acqua. E invece ci troviamo noi con le onde che si infrangono sulla nostra faccia stremata e ci entrano dentro continuamente. Acqua salata finisce giù giù giù e riempie i nostri polmoni già messi a dura prova dalle troppe sigarette fumate. Le Lucky Strike. Sì, ci vorrebbe un colpo fortunato per uscire da questa situazione. Un solo colpo per mandare nella buca opposta la numero otto nera. Un solo colpo per seccare tutti i birilli stretti in piedi uno fianco all’altro. Un solo colpo per farci saltare le cervella sul muro. Un monkey brain. Ecco cosa sembrano le cervella spiaccicate. Avremmo bisogno di uno shooterino monkey brain adesso, come quelli che bevevamo a Lloret de Mar, in Spagna. Sì, da quelli che ci hanno eliminato con un colpo dal dischetto. Un colpo solo nella banca giusta e siamo a posto. Sistemati per tutta la vita. Quasi quasi mettiamo su una banda alla Ocean’s 11 e facciamo il colpo grosso. Ma dove li troviamo 11? Mmm… 11 giocatori dell’Italia che tanto adesso se ne stanno in vacanza. In vacanza comodi su una spiaggia con una Pina Colada in una mano e la testa di una letterina nell’altra. A spingerla giù giù giù. Fino a che alzano lo sguardo e si accorgono che anche noi in mare stiamo andando giù giù sempre più giù. A un passo dalla riva. A un passo dalla salvezza ma senza più un briciolo di forze per proseguire e nuotare fino a raggiungerla. “Aiuto!” gridiamo. Vorremmo solo un salvagente a tirarci su leggeri come modelle anoressiche. “Dove sta la salvezza?” ci chiediamo, “Dove sta la speranza?” Abbiamo tutti bisogno di credere in qualcosa. Credere in qualcuno. Uno. Possibile che tutto questo mare di roba sia stato creato da uno solo? Sarebbe forse più giusto tornare al politeismo, come i Greci, e credere che tutto le cose stupende e tutto il male, tutto il marcio, tutto il dolore non siano frutto di una sola unica entità. Un dio per l’amore e uno per la guerra. Un dio per la terra e uno per il mare. Poseidone, salvaci tu, cercando di non infilzarci con quel tridente, please. Dacci la mano. Trascinaci a galla. Solo tu puoi, adesso. Adesso. Adesso. Adesso.
Finiamo giù, nel profondo del mare. E respiriamo ancora. Vediamo una luce ma non proviene dall’alto. Arriva dal basso. È la nostra Atlantide ritrovata. È enorme. O, almeno, sembra enorme. Come Milano, come New York, come Pechino. Vediamo qualcuno che ci è familiare: “Ciao Sirenetta, come butta? Bella Snorkies! Hey Nemo, anche tu sperso in questo oceano? Com’è piccolo il mondo…” Com’è piccolo. Piccolo. Talmente piccolo da sembrarci enorme, impossibile da conquistare tutto. Beh, forse i Coldplay ci sono riusciti. Hanno un disco al numero 1 in 58 paesi, loro sì che sono riusciti laddove Alessandro Magno, Napoleone, Giulio Cesare e George W. Bush hanno fallito. Si può fallire anche se si è grandi. Si può fallire se le ambizioni sono troppo grosse e se alla fin fine non si è poi così grandi come si credeva ma si è uomini piccoli piccoli. Piccoli come questo pazzo piccolo mondo malato che continua a correre senza sosta. Verso nuove vette, verso nuovi record. Sempre teso al miglioramento. Dobbiamo trionfare, dobbiamo essere i migliori, dobbiamo fare un sol boccone di tutti i nostri rivali per conquistare un attestato. Se è “L’attestato di più grande coglione del mondo” va bene lo stesso. La cosa importante è essere davanti a tutti. Ma Atlantide è lì da secoli, da millenni. Ed è sempre la stessa. Nessuno l’ha conquistata, ancora. Nessuno probabilmente la conquisterà mai. Sarà sempre lì sotto l’acqua, con i suoi ritmi lenti. Con la sua vita tranquilla dove gli abitanti non si scannano a fare a gara per chi per primo riuscirà a tornare a galla. Perché nessuno vuole tornare a galla, sulla terra ferma. Stanno bene lì dove stanno. Sopra il mare le navi ci stanno cercando. Puntano i fari nell’acqua ma non ci vedono. Restiamo nascosti per non farci trovare. Abbiamo trovato la nostra Atlantide, e qui ce ne vogliamo restare.
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