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mercoledì 12 settembre 2018

Empire Records: il film più anni '90 degli anni '90, e forse di sempre





Empire Records
Regia: Allan Moyle
Cast: Anthony LaPaglia, Liv Tyler, Renée Zellweger, Rory Cochrane, Johnny Whitworth, Ethan Embry, Robin Tunney, Brendan Sexton III, Maxwell Caulfield, Coyote Shivers, James 'Kimo' Wills, Debi Mazar, Gwar


Non avevo mai visto Empire Records. Perché?
Non so perché. Davvero non lo so. Strano, perché aveva tutte le carte in regola per piacermi. È un film del 1995 ed è proprio in quel periodo che la mia passione sia per il cinema che per la musica stava crescendo e sviluppandosi. Per di più è un film ambientato in un negozio di dischi e il mio lavoro da sogno da ragazzino indovinate qual era? Non diventare un attore, un regista o una rockstar, né tantomeno un astronauta o un pilota di formula 1. Mi accontentavo di lavorare in un negozio di dischi. Magari un giorno persino di possederne uno. Quel sogno non si è mai realizzato, naturalmente. Come sapete i negozi di dischi ormai sono una rarità, anche se nella mia cittadina non si sa bene come ce n'è ancora uno che sopravvive. Più vendendo i biglietti dei concerti a chi non è in grado di comprarseli su Internet che non i dischi, ma sopravvive. Quando, dopo aver frequentato qualunque università specialistica e master possibile pur di rimandare l'inevitabile, ho cominciato a lavorare, quello dei dischi era ormai un business defunto. Colpa del web.


Il mio sogno comunque, più che quello di lavorare in un negozio di dischi, era poter ascoltare tutti i dischi che volevo. Da ragazzino con la mia paghetta potevo comprarmi tipo 2 o 3 CD al mese, quando andava bene, e dovevo scegliere con grande attenzione su quali gruppi puntare. Il mio sogno di avere qualsiasi tipo di musica a disposizione si è poi realizzato. Grazie al web. Grazie a Napster – sempre sia lodato – prima, e ai vari Morpheus, Audiogalaxy, WinMX, Soulseek, eMule, BitTorrent e Spotify poi. Pazienza se non posso lavorare in un negozio di dischi. Ora il computer è il mio negozio di dischi.

Negli anni '90 sarebbe però stata una vera figata, lavorare in un negozio di dischi. Come lo so? Basta guardare Empire Records, pellicola a metà strada tra Clerks - Commessi e Alta fedeltà. A differenza di questi due è uscito più in sordina ed è passato piuttosto inosservato. Sarà per questo che non sono mai riuscito a vederlo. Al Blockbuster non so manco se l'ho mai trovato e su Italia 1 non mi è mai capitato di beccarlo. Nemmeno a orari assurdi, quando l'unica possibilità di recuperare certe pellicole più o meno di nicchia era videoregistrarle. Quanto mi sento vecchio a parlare di queste cose.

Con gli anni comunque i suoi estimatori sono venuti fuori ed Empire Records si è trasformato in un cult minore dei 90s. Negli ultimi mesi è uscita la notizia che a Broadway è persino in lavorazione un musical basato sulla pellicola diretta da Allan Moyle, regista che poi non avrebbe più combinato granché e in effetti c'è da dire che la regia non è che spicchi in maniera particolare.


Cosa rende allora Empire Records così irresistibile?
Perché sì, è irresistibile e da una parte sono dispiaciuto di non averlo visto prima, visto che mi avrebbe cambiato la vita o quasi. Dall'altra sono contento di aver scoperto ora questa chicca ed essermi così reso conto che esistono ancora delle perle nascoste persino in un periodo che credevo di conoscere meglio di me stesso come gli anni '90, e in particolare il cinema anni '90 dai toni adolescenziali e dai ritmi musicali.


A rendere irresistibile questo film è innanzitutto la sua atmosfera 90s. Questo film è così anni '90 da far schifo (a chi odia gli anni '90) e da risultare spettacolare (a chi ama gli anni '90). Fondamentalmente è costruito sul nulla. La trama è davvero esile. Lo spunto di partenza è la storia di un negozio di dischi, Empire Records appunto, che rischia di essere comprato da una grossa compagnia e di trasformarsi in uno dei tanti punti vendita anonimi di una catena in franchise. In quei tempi ingenui, quello appariva come il più grosso incubo per chi gestiva un negozio di dischi con un'attitudine punk e indipendente: svendersi al capitalismo. Vaglielo a spiegare che, dopo l'avvento di Napster, tenere in piedi un negozio di dischi anche solo di una grossa catena potrà essere considerato un autentico miracolo. D'altra parte all'epoca i film ce li affittavamo al Blockbuster. Altro posto in cui avrei sempre sognato di lavorare e che ormai è diventata una possibilità più remota di quella di diventare un astronauta o un pilota di formula 1.

Una cosa splendida di Empire Records è che rappresenta una fotografia perfetta di un'epoca che da lì a poco sarebbe sparita. È quasi come guardare un film muto degli anni '20. Nel giro di poco tempo sarebbero cambiate così tante cose che l'effetto è simile. Altro fatto da rilevare è che Empire Records visto oggi regala un effetto malinconia notevole, che visto in “diretta” nei 90s sicuramente non possedeva. Un valore aggiunto che lo rende ancora più cult.


Sono cult già di loro pure i personaggi del film, come solo i personaggi dei lavori anni '90 sapevano essere, così forti, eccessivi e caricati com'erano. Adesso il più delle volte la situazione è differente. I personaggi ora in genere sono più realistici, persino nei cinecomics, ed è giusto che sia così. Allo stesso tempo, si perde un po' in divertimento, e in epicità. Difficile trovare nelle pellicole di oggi personaggi come Mark Renton, Begbie, Sick Boy e Spud di Trainspotting, o come Tyler Durden di Fight Club. O anche come Stifler di American Pie. O come quelli di Pulp Fiction, tutti quelli di Pulp Fiction. Forse giusto nel cinema di Tarantino è ancora possibile trovarli.
I personaggi di Empire Records non saranno altrettanto leggendari come quelli sopracitati, però non se la cavano male. Chi sono? Eccoli!

Ethan Embry ha la parte del classico (almeno nella pop culture anni '90) tipo alternativo e stralunato che vive in una dimensione tutta sua.


Come Beavis and Butt-head fusi in una persona sola, o come i protagonisti di Fatti, strafatti e strafighe, sempre fusi in un corpo unico.


Brendan Sexton III è un ragazzino sboccato e scatenato che ruba i CD nel negozio, ma solo perché in realtà lì dentro ci vuole lavorare. A quanto pare non ero l'unico ad avere quel sogno.


Robin Tunney è la tipica ragazza 90s rock depressa, una rebel girl con istinti suicidi alla Kurt Cobain e un look rasato alla Sinead O'Connor. Ragazze così oggi non le fanno più. Purtroppo.


Le altre due girls del film sono invece più estroverse e allegre, soprattutto Renée Zellweger, che qui è davvero parecchio sexy. Sì, Bridget Jones sexy, avete capito bene.


E poi c'è Liv Tyler, la figlia di Steven Tyler fresca reduce dal video di “Crazy” degli Aerosmith in coppia con Alicia Silverstone (mio Dio, che video!) e pronta a trasformarsi in un'icona del decennio con il successivo Io ballo da sola, che qui tocca nuovi vertici mondiali di figosità.


Peccato che il boss del negozio di dischi, Joe interpretato dal come sempre poco fenomenale Anthony LaPaglia, sia un tipo piuttosto anonimo, che non riesce a essere cool come vorrebbe essere ed è forse per questo che il film non ha sfondato, anzi ha floppato con un incasso negli Usa di appena $ 300 mila dollari. E ho detto mila, non milioni. Un risultato che risulterebbe magro persino al botteghino nostrano, figuriamoci Oltreoceano. Con un protagonista più carismatico magari le cose sarebbero andate diversamente, chissà?


Chiudendo un occhio su un Anthony LaPaglia poco memorabile e su una trama che più striminzita non si potrebbe, Empire Records compensa in cultaggine grazie a un elemento che per una pellicola ambientata quasi interamente tra le mura di un negozio di dischi è fondamentale: la colonna sonora. Una soundtrack spettacolare e niente affatto scontata. Non ci sono i big del periodo che ci si aspetterebbe, come Nirvana, Pearl Jam, Oasis, Blur e Radiohead, magari per una questione di soldi e di diritti, però qualche nome celebre c'è, ad esempio ci sono i Cranberries ed Evan Dando dei Lemonheads, insieme a qualche ripescaggio dagli anni '80 come Dire Straits, The The (con la splendida “This Is the Day” quest'anno riscoperta anche dai film Ogni giorno e Come ti divento bella!) e “Video Killed the Radio Star” dei Buggles. Senza dimenticare una delle canzoni più belle del decennio, “A Girl Like You” del one-hit wonder Edwyn Collins.



Oltre a loro, sono presenti più che altro gruppi oggi del tutto sconosciuti che già all'epoca non erano poi così famosi come Gin Blossoms, Dishwalla, Toad the Wet Sprocket, Better Than Ezra, Throwing Muses e così via. Canzoni che nemmeno io avevo sentito prima e sì che di musica anni '90 di ultra nicchia me ne intendo, o pensavo di intendermene. C'è una canzone in particolare che mi ha conquistato, “Seems” dei Queen Sarah Saturday, che in una splendida scena viene cantata dagli impiegati dell'Empire Records.



È tutto in questa sequenza molto da videoclip dell'epoca d'oro di MTV che sta il fascino di un film che sembra fatto di niente, e invece riesce a mettere in scena alla perfezione un intero decennio.

Non avevo mai visto Empire Records. Perché?
Perché... sono fatti miei. E quindi tutto questo post non avrei manco dovuto scriverlo.
(voto 8/10)


sabato 24 gennaio 2015

THE GUEST - L'OSPITE È COME IL PESCE, DOPO 3 GIORNI... AMMAZZA





The Guest
(USA 2014)
Regia: Adam Wingard
Sceneggiatura: Simon Barrett
Cast: Dan Stevens, Maika Monroe, Brendan Meyer, Sheila Kelley, Leland Orser, Lance Reddick, Joel David Moore, Ethan Embry
Genere: figata
Se ti piace guarda anche: Drive, The House of the Devil

Ci sono i film fighi e poi c'è The Guest: La Figata.
Non ci credete? Andate a controllare sul vocabolario Treccani edizione aggiornata e vedete se mento.

Figata: «s.f. e agg. [dal greco σῦκον «Jessica Chastain»] Cosa, situazione, fatto, ecc. riusciti bene, che piacciono molto, che danno eccitazione, emozione, divertimento: la festa di ieri è stata una gran f.. Questa sera ho visto una f. di film: The Guest.»

martedì 12 marzo 2013

DICI SUL SERIE?


Di solito le serie tv più forti negli USA partono in autunno. In questa strana collezione autunno inverno 2012/2013 parecchie chicche sono invece arrivate a inizio anno, nel periodo della cosiddetta midseason. Rimpiazzi di metà stagione che in alcuni casi si stanno rivelando più interessanti delle serie partite in precedenza. Facciamo allora il punto della situazione sulle nuove serie tv.

.

Fatto.
Non siete soddisfatti?
Vabbé, diciamo qualcosa in più su alcune novità che ho seguito/sto seguendo.
Di alcune ho già parlato:


Delle altre ve ne parlo ora.

Banshee
Non date retta al pilota. Non sempre ha ragione. Spesso sbaglia strada e manco sa dov’è diretto.
L’episodio pilot di Banshee non mi era piaciuto un granché. Mi sembrava una serie che puntava solo a spingere le situazioni al limite, a scandalizzare, a shockare, a stupire come se ambisse a tutti i costi al titolo di visione più estrema della tv via cavo americana. Inseguimenti, esplosioni, sparatorie, scopate, scazzottate… Un pulp fuori tempo massimo, insomma. Oppure no?
Già a partire dal secondo episodio ho cominciato a entrare nell’atmosfera del telefilm e da lì in poi me lo sto gustando con enorme piacere.
Il protagonista (Antony Starr, uno che sembra il fratello gemello dello Scott Speedman di Felicity e Last Resort) è un criminale appena uscito di galera che va a vivere in una cittadina piena di Amish. Perché lo fa? Per fare una strage di Amish? No, lo fa per amour, naturalmente. La sua ex, una gran gnocca russa interpretata dalla croata Ivana Miličević (tanto per gli americani tutti quelli dell’Est sono uguali), si è infatti trasferita nella quieta Banshee dove ha un marito e due figli. Il nostro protagonista decide così di restare nei paraggi e, per una serie di (s)fortunate coincidenze, riesce a spacciarsi con successo come nuovo sceriffo locale. Poco a poco, Banshee la ex cittadina traquilla diventerà sempre più violenta e criminale, mentre Banshee la serie diventa sempre più intrigante, grazie a un’ottima regia, un montaggio incalzante, a flashback assortiti e a qualche altro ottimo personaggio come il cattivone ex Amish interpretato da Ulrich Thomsen, la Amish zoccola interpretata dalla sexy Lili Simmons e l'idolesco hacker trans interpretato da Hoon Lee.
Se il pilot non vi convince, proseguite comunque nel viaggio che ne vale la pena.
(voto 7,5/10)

"Hey Mastro Lindo, quanto sole bisogna NON prendere per diventare come te?"
"Tanto, figliolo. Tanto."

Vikings
Una serie sui Vichinghi?
Ero già pronto a parlare di vakkata, invece no. Sorpresa. Vikings è la versione interessante di Valhalla Rising. Laddove nel film di Refn in un’ora e mezza non succedeva nulla, ma NULLA, a parte i miei sbadigli, qua già solo nel primo episodio di 40 minuti capitano parecchie cose e se non altro ci vengono introdotti, bene, i personaggi principali.
Il modello di riferimento della serie sembra essere Game of Thrones, ma rispetto a questo Vikings possiede una maggiore semplicità e un minor numero di intrecci e personaggi. Il che non è del tutto un male, almeno per chi soffre di mal di testa a seguire tutte le vicissitudini dei Sette Regni del Trono di spade.
Nel cast si segnalano un Gabriel Byrne più tamarro del solito, la combattiva Katheryn Winnick, finora vista in horror non proprio indimenticabili come Amusement e Choose, Jessalyn Gilsig di Glee e Nip/Tuck e Gustaf Skarsgard, figlio (raccomandato) del vontrieriano Stellan e fratello (raccomandato) del truebloodiano Alexander.
La serie negli USA passa su History Channel. Nonostante questo, non so quanto la ricostruzione storica sia accurata e i personaggi mi sembrano resi in maniera parecchio moderna. Ci manca poco che si mettano a giocare con l’iPhone…
Alla fine, per noi spettatori moderni, meglio così.
(voto 7+/10)

"Vuoi farmi rivedere Valhalla Rising? Ma sei scemooo???"

Mario
Mario, una serie di Maccio Capatonda. Se amate Mario, amerete anche Maccio. Altrimenti provate ad innamorarvene, dritto per dritto.
Mario, oltre che una serie di Maccio Capatonda, è finalmente una serie tv italiana che vale la pena seguire, come non capitava dai tempi di Boris. E un po’ di Boris in questo Mario c’è. Anche in questo caso assistiamo infatti al dietro le quinte di una produzione televisiva, solo che qui si tratta di un telegiornale, l’MTG. Una parodia nemmeno troppo velata di Studio Aperto, oltre che del mondo dell’infotainment nostrano in generale, ma soprattutto una ventina di minuti di risate garantite ad episodio. Con alcune trovate geniali e già cult, come l’attacco di pani.
Se vi siete persi le prime puntate, no problem: potete recuperarle in streaming sul sito di Mtv.
(voto 7,5/10)

"Ma ma ma questo post fa schifo. Basta, io mi dimetto!"

House of Cards
Questa serie ha fatto parlare di sé soprattutto per il modo in cui è stata distribuita. Il servizio di streaming Netflix l’ha lanciata in un sol colpo. Tutti e 13 gli episodi della prima stagione (ma è già in lavorazione la seconda) sono stati resi disponibili lo stesso giorno. Mossa rivoluzionaria, o gran cacchiata, visto che il prodotto seriale si basa appunto sulla serialità?
Metodo di distribuzione a parte, House of Cards a livello di contenuti invece non è così rivoluzionaria. È una serie politica, molto cinica e cattiva, che segue la scia del sottovalutato Boss o anche del film Le idi di marzo di Giorgione Clooney. Il tutto con protagonista uno spumeggiante Kevin Spacey, tornato ai livelli di forma di American Beauty o quasi, e degli ottimi comprimari come Kate Mara, la sorella maggiore di Rooney Mara, e Corey Stoll, l’Hemingway di Woody Allen nel suo Midnight in Paris. La regia dei primi due episodi poi è di David Fincher, che porta con sé la sua tipica fotografia dark-chic, quindi fossi in voi una chance gliela darei.
Però, c’è un però…
Per quanto molto ben scritta e recitata e diretta alla grande, c’è qualcosa che impedisce ad House of Cards di essere un cult assoluto. Oltre al fatto di presentare una visione politica non distante da quanto già visto altrove, i personaggi sono tutti chi più chi meno così stronzi che è difficile affezionarsi davvero a loro. Anche se, poco a poco, la visione diventa talmente avvolgente da farci diventare tutti un po’ più stronzi. I cuori teneri quindi è meglio se girano al largo.
(voto 7-/10)

"No, ma dico, state leggendo Pensieri Cannibali?
Ha dato un voto più alto alla serie di Maccio Capatonda che alla nostra. Ma si può?"

Broadchurch
The Killing in versione British?
Mmm, una specie.
Da Twin Peaks in poi, film e serie tv vari si sono concentrati a presentarci i casi di ragazze scomparse. In Broadchurch a essere ritrovato morto è invece un ragazzino di 11 anni. Si è suicidato? È stato ammazzato? L’hanno ucciso gli zingari? Gli altri bimbiminkia della cittadina di Broadchurch sono in pericolo?
Ad affiancare le indagini della sbirra locale interpretata da Olivia Colman (quella del film Tyrannosaur), arriva un nuovo detective, interpretato da David Tennant. David Tennant che ha uno stuolo di fan accaniti poiché ha interpretato per qualche anno il Doctor Who. Non avendo mai seguito quella serie, non ho ben capito tutto l’hype intorno a quest’attore, però qui se la cava bene.
Rispetto a un Twin Peaks, Broadchurch manca della componente più visionaria e inquietante e predilige atmosfere intimiste, non troppo distanti da La ragazza del lago, uno dei migliori film italiani degli ultimi anni. Splendidamente girata e intepretata, al momento sembra difettare di una certa originalità, ma per i fan del made in UK (oltre che di David Tennant), quello con Broadchurch è un appuntamento imperdibile.
(voto 7/10)

"Abbiamo chiuso la spiaggia: l'albino di Banshee ha deciso
di prendere il sole e non sappiamo quello che potrebbe succedere..."

Red Widow
Non ha convinto nessuno, ha fatto registrare ascolti pessimi, è appena partita ma è già a rischio cancellazione, eppure a me il debutto di Red Widow non è dispiaciuto affatto.
Lo spunto di partenza è intrigante: una desperate housewife MILF resta vedova (non spoilero niente, lo dice già il titolo stesso della serie) e si trova quindi costretta a proseguire a modo suo gli affari loschi del marito. Affari che hanno a che fare con la mafia russa. Come in una versione più tv friendly e commerciale di La promessa dell’assassino di David Cronenberg.
A sorpresa, i russi stanno diventando un trend topic nella tv a stelle e strisce, come non capitava dai tempi di Ronald McDonald Reagan e della Guerra Fredda. Di recente non si è fatto altro che parlare di terroristi islamici, mentre adesso è di nuovo ora di prestare occhio alla Perestrojka, tra le spie di The Americans, i criminalotti russi di Dexter e Banshee e adesso questa vedova rossa/russa interpretata dalla fascinosa Radha Mitchell, attrice australiana sempre lì lì sul punto di esplodere e diventare la nuova Nicole Kidman o la nuova Naomi Watts e invece niente. Nemmeno questa comunque sembra che sarà la volta buona per lei. Questa serie infatti piace solo a me e a breve probabilmente sparirà dalla circolazione.
Bene la protagonista, poco credibile invece il cattivone della serie interpretato da Goran Visnjic, altro attore croato chiamato a fare la parte del russo, vedi Banshee: evidentemente per gli americani tra croati e russi non c’è alcuna differenza.
Red Widow è allora una serie da iniziare a vostro rischio e pericolo, sapendo che la sceneggiatura è curata da Melissa Rosenberg, una capace di passare dagli episodi migliori di Dexter (quelli con Trinity) agli adattamenti di Twilight, e sapendo che probabilmente non durerà più di una manciata di episodi.
(voto 6,5/10)

"Vi prego, fateci durare almeno qualche episodio in più di Zero Hour!"

"Azz! Quel Cannibale non ci sta certo andando giù leggero con la nostra serie..."
Cult
Ci sono delle serie che diventano subito dei cult. Cult non è una di queste.
La prima puntata di questa nuova serie di The CW combina al suo interno di tutto un po’, dai reality-show ai culti di massa, ma finisce per apparire come una versione sfigata di The Following, o anche un tentativo maldestro di creare qualcosa a tutti i costi cult. E chi cerca a tutti i costi di essere cult, finisce solo per essere scult.
(voto 5,5/10)

1600 Penn
Sitcom incentrata sul figlio pasticcione (Josh Gad, comico emergente anche autore della serie) del Presidente degli Stati Uniti (Bill Pullman).
Se proprio non avete niente di meglio da fare potete dargli una possibilità. Altrimenti fate una partita a Ruzzle, che è più divertente e crea una maggiore dipendenza.
(voto 5/10)

"Dichiaro guerra agli Stati Uniti Cannibali!"

92 MINUTI DI APPLAUSI

"No, basta. Nemmeno io ce la faccio a guardarmi!"
Do No Harm
Serie liberamente ispirata alla storia di Dr. Jeckyll e Mr. Hyde, cosa che significa: doppia personalità.
Quello della doppia personalità, così come il bipolarismo, è un tema che mi affascina sempre parecchio. Sono disposto a seguire qualunque film o serie tv che ne parli, ma Do No Harm no. Do No Harm è una serie che fa del male, alla faccia del suo titolo. Pasticciata, stereotipata, con un protagonista (Steven Pasquale) talmente inespressivo che avrebbe grossi problemi a interpretare un personaggio semplice, figuriamoci uno con una doppia personalità. Per fortuna il pubblico americano non ha apprezzato e la serie è stata cancellata dopo appena… ironia della sorte, due episodi due.
(voto 3/10)

"Oddio, passi essere cancellati dal palinsesto, ma una bocciatura dal
prestigioso sito Pensieri Cannibali è qualcosa che fa davvero male."
Zero Hour
Quando mancano le idee originali, gli autori di serie tv americani come dei provetti chef prendono degli ingredienti differenti e provano a mescolarli insieme, a caso, sperando ne esca qualcosa di buono e saporito.
I creatori di Zero Hour, tra cui Paul Scheuring paparino di Prison Break, hanno preso un po’ di Codice da Vinci, ci hanno messo dentro una manciata di nazisti, hanno condito il tutto con qualche delirio apocalittico, spruzzato sopra un po’ di terrorismo che non fa mai male, ci hanno messo come protagonista una spaesato Anthony Edwards, il Dr. Greene di E.R., e hanno inserito pure l’uomo che odia le donne Michael Nyqvist, tanto per dare un tocco internazionale al piatto. Una volta messo in forno e lasciato raffreddare, hanno dato il tutto in pasto al pubblico americano, che per fortuna non c’è cascato.
Risultato? Serie eliminata dalla faccia della terra dopo 3 episodi. Non ci mancherà.
Il titolo però era perfetto: zero hour, come le ore da dedicare a una porcheria del genere.
(voto 0/10)

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