Cast: Charlie Cox, Elden Henson, Vincent D'Onofrio, Deborah Ann Woll, Ayelet Zurer, Rosario Dawson, Vondie Curtis-Hall, Bob Gunton, Toby Leonard Moore, Wai Ching Ho, Amy Rutberg
Genere: supereroicomanontroppo
Se ti piace guarda anche: Daredevil (film), Buffy l'ammazzavampiri, Matrix, Kung Fu Panda
Alla Terra serviva un altro supereroe?
Vedendo quella superporacciata di puntata pilota di Supergirl (voto 4/10), la versione al femminile di Smallville, viene proprio da gridare: “NOOOOO!”.
Pensieri (cannibali) sparsi dopo aver visto il series finale di True Blood, che ha posto un paletto nel cuore al telefilm vampiresco andato avanti per sette stagioni tra più bassi che alti.
"Sooka!"
"Ma io mi chiamo Sookie."
"Infatti mica ti stavo chiamando..."
A sorpresa, visto come si erano messe le cose nelle ultime pessime stagioni, non è stato il peggior finale di una serie di sempre. Non fraintendetemi. È stata uno schifo di conclusione, ma di recente Dexter e How I Met Your Mother erano riuscite a fare di peggio.
Nemmeno la settima stagione è stata così terribile. Ha fatto anch'essa schifo, però mi aspettavo ancora di peggio. Rispetto alle orripilanti quinta e sesta stagione, c'è stato un leggero miglioramento. Si è cercato di non inserire troppe linee narrative, un difetto presente in molte serie della HBO (si veda Game of Thrones) e alcuni inutili personaggi secondari sono stati per fortuna fatti fuori, mentre altri sono stati relegati sullo sfondo. Il punto più a favore della stagione è stata la ripresa della love-story migliore dell'intera serie, quella tra Hoyt e Jessica, anche perché le altre coppie dello show, ovvero Sookie insieme a chiunque, hanno fatto pena.
Peccato invece per Lafayette, all’inizio uno dei personaggi più idoleschi, ammosciatosi parecchio in questa settima stagione, per finire addirittura nel dimenticatoio nell'ultimissimo episodio in cui quasi non si è visto.
Bilancio complessivo: le uniche due stagioni davvero riuscite di True Blood sono state la seconda, grazie alla presa per i fondelli dei fanatici religiosi, e la terza, grazie a un grande villain come Russell Edgington. La prima stagione invece è stata troppo introduttiva e c'ha messo parecchio a ingranare, mentre dalla quarta in poi si è assistito a un progressivo declino che ha portato alle ultime agghiaccianti seasons. Un po' poco per un telefilm andato avanti per ben sette lunghi anni.
True Blood è partito come possibile erede di Buffy l'ammazzavampiri, le cui vette non sono mai manco lontanamente state eguagliate nemmeno nel corso dei suoi momenti migliori, ed è finito per diventare una versione più adulta, ironica e porno di Twilight. Non proprio il massimo.
Anna Paquin grazie alla serie ha conquistato una grande popolarità e un marito (Stephen Moyer), ma allo stesso tempo si è sputtanata la sua promettentissima carriera. Fino a qualche anno fa era infatti una delle giovani attrici emergenti migliori di Hollywood, forte di ottime interpretazioni in film come Lezioni di piano, Quasi famosi, Scoprendo Forrester, La 25a ora e Il calamaro e la balena, mentre ora il suo volto e il suo sorriso con tanto di caratteristica spaziatura tra i denti saranno per sempre associati nell'immaginario collettivo a Sookie Stackhouse, uno dei personaggi più insopportabili nella storia del piccolo schermo insieme a Meredith Grey di Grey's Anatomy.
Se c'è un pregio che va riconosciuto a True Blood, è quello di essere sempre stata una serie poco politically correct e molto esplicita sia a livello di violenza e di sangue mostrato, arrivando in varie scene a essere persino splatter, che soprattutto sessuale. True Blood è un soft porno e, diciamolo, fondamentalmente è stato per il pubblico femminile quello che Baywatch è stato per il pubblico maschile negli anni ’90. Così come lì c’era stata una gran parata di tette siliconate al vento, qui c’è stata una gran parata di manzi: il vampiro vichingo Alexander Skarsgard, il licantropo muscolato Joe Manganiello, il playboy umano Ryan Kwanten e, per le amanti dei DILF, il vampiro stagionato Stephen Moyer.
Anche il pubblico maschile comunque ha avuto di che tenere impegnati gli occhi, tra una Anna Paquin che con la bocca chiusa e le zinne di fuori la sua porca figura la fa sempre – e con porca intendo proprio porca –, le sexy Anna Camp e Ashley Hinshaw, più la splendida rossa Deborah Ann Woll, che credo sia il motivo principale per cui ho trovato il coraggio di proseguire nel vedere le ultime stagioni. Oltre alla curiosità di scoprire in quale terribile modo avrebbero fatto finire il tutto.
ATTENZIONE SPOILER
Riguardo al finale, la storia tra Hoyt e Jessica è finita con un matrimonio affrettato in una maniera ridicola. Un momento Jessica dice che non è giusto che si sposino, l'attimo dopo decide di convolare a nozze quel giorno stesso.
Quanto ad Eric e Pam (quest'ultima forse il personaggio migliore di tutta la serie), nell'ultimo episodio hanno avuto meno spazio di quanto avrebbero meritato. Il motivo? Concentrare tutta l'attenzione sul terrificante addio a Bill Compton, il quale ha deciso di lasciarsi morire, nonostante vi fosse una cura per il virus vampiresco di cui era malato. Non si sa bene il perché. Nessuno l’ha capito. Nemmeno gli stesso attori che hanno recitato le battute con volti increduli.
Bill si sacrifica perché così Sookie può finalmente avere una vita normale?
Ma per favore!
E poi perché nei film e nelle serie tv americane c'è sempre qualcuno che si deve sacrificare?
Davvero odiosa, questa mania di eroismo buonista.
"Quando mi hanno proposto un'ottava stagione, m'è venuta un'improvvisa voglia di morire."
ATTENZIONE SPOILER DI NUOVO!
Una serie così esplicita ed estrema, anche nell'affrontare la tematica religiosa, ha commesso alla fine il peccato peggiore in assoluto, con un finale che non solo è un happy ending. Dopo la tragicomica e per nulla toccante morte di Bill Compton, si è assistito al tripudio degli happy ending. Persino Jason Stackhouse, il più grande trombatore del piccolo schermo dopo Fonzie e Christian Troy di Nip/Tuck, si accasa. Il series finale di True Blood si è rivelato una clamorosa celebrazione del matrimonio, della famiglia, del focolare domestico, di una vita normale. Una serie partita come trasgressiva ed estrema, finita come credo manco Settimo cielo.
Che true tristezza.
La stagione 6 di True Blood è stata una delle peggiori stagioni in assoluto di una serie che mi sia mai capitato di vedere per intero nella mia carriera di telespettatore. Roba al livello delle ultime di One Tree Hill e Gossip Girl. Ho passato tutti i 10 episodi a chiedermi perché ancora continuo a guardare questa versione scadente di un soft porno, con l’aggiunta di vampiri e altre creature soprannaturali random.
Perché lo sto ancora vedendo, peeeeerché?
Ah già, Deborah Ann Woll vestita da scolaretta!
ATTENZIONE SPOILER(da qui in avanti)
Che pure la Deborah Ann, a dirla tutta, in questa stagione è comparsa pochino, o almeno io l'avrei fatta comparire molto di più, e il suo personaggio è stato trattato da schifo. L’hanno fatta uccidere delle tipe a caso e avere una storia d’amore, ma più che altro di sesso, con un vampiro a caso conosciuto in prigione (perché le prigioni sono la moda dell’anno, nelle serie tv 2013). Un vampirello hippie così buono da far apparire Edward Cullen di Twilight un vero bad ass.
Vogliamo poi parlare di Warlow (Robert Kazinsky)? Quello che doveva essere il temutissimo cattivone più cattivo di tutti i tempi?
Tempo di vedere le tette di Sookie (Anna Paquin) e quello già parlava di matrimonio…
"Sono talmente cattivo che mi mordo da solo!"
Ma avere Sookie tutta per sé non è facile come può pensare. La più grande sgualdrina nella storia dei telefilm, d’altra parte con un nome come il suo non poteva essere altrimenti, lasciato per il momento da parte il triangolo con i vampiri Bill ed Eric, ci riprova persino con Sam Merlotte, non si sa bene perché, e oltre a ciularsi Warlow fa pure i conti con la sua eterna attrazione per il licantropo palestrato Joe Manganiello.
E a proposito di Joe Manganiello, l’attorone Joe Manganiello… beh, lui è la versione al maschile di Pamela Anderson in Baywatch, con i muscolazzi al posto delle tettazze. Le capacità recitative sono le stesse.
"Il paragone con Pamela Anderson? Ne sono lusingato!"
A ciò va aggiunto uno spazio eccessivo a personaggi secondari di cui a nessuno frega nu cazz niente come Sam, Tara, Holly, Arlene e Terry (Todd Lowe). A quest’ultimo fanno fare una brutta fine, forse per sfoltire un cast ormai talmente numeroso da far invidia a Game of Thrones, ma se non altro gli autori gli hanno regalato una sepoltura degna di un episodio di Dawson’s Creek in cui moriva qualcuno. Una cerimonia persino eccessiva per un personaggio che nessuno s’era mai filato prima.
"Hanno dedicato un intero episodio a me? Ma che so' scemi?"
Quanto ai personaggi che in passato hanno riservato le cose migliori: Jason ha deluso, Eric ormai esagera nel fare il figo al punto da essersi trasformato in un Superman vampiro volante (WTF?) e Lafayette è stato davvero sottoutilizzato in questa stagione. Bene invece Pam, la vampira più divertente del lotto, la sexy new-entry Violet (Karolina Wydra) e soprattutto la re-entry Sarah (Anna Camp), la più cazzuta bigottona timorata di Dio che si possa immaginare, insieme alla Taryn Manning di Orange Is the New Black.
"Ti sei tagliato la testa pur di non vedere il finale di stagione?
Perché non c'ho pensato anch'io?"
Inspiegabile invece il modo in cui sono stati fatti fuori brutalmente e in maniera affrettata personaggi promettenti come le figlie fate dalla crescita rapidissima dello sceriffo Andy, a parte una, la più lagnosa, che è sopravvissuta, e il governatore anti-vampiri Truman Burrell che sembrava dovesse spaccare tutto e invece…
Per non parlare di un Billith (la versione remix di Bill + Lilith), inverosimile come villain e interpretato in maniera sempre più agghiacciante dall’antiespressivo Stephen Moyer.
"Ma perché tutti mi dicono che avrei bisogno di una doccia?
E perché tutti mi dicono che dovrei smettere di recitare? Non capisco..."
Che dire poi della scena finale che preannuncia l’arrivo di un gruppo di tamarrissimi vampiri-zombie???
La settima stagione si preannuncia allora ancora più all’insegna del trash rispetto alla precedenti, ma se non altro la HBO ha annunciato anche che sarà la season conclusiva. Siete liberi di esultare.
2 ORE DOPO...
State ancora in estasi, manco vi foste bevuti del sangue di fata?
5 ORE DOPO...
Ok, adesso potete anche smetterla di festeggiare.
Per concludere, True Blood ha vissuto una stagione pasticciatissima, quasi quanto questo post. Ma adesso io dico basta! Voglio il sangue vero. Il Tru Blood ormai mi dà la stessa soddisfazione di bere birra analcolica al posto della birra vera, porca Lilith e porco Billith! (voto 4/10)
Cast: Paul Dano, Zoe Kazan, Chris Messina, Annette Bening, Antonio Banderas, Steve Coogan, Elliott Gould, Deborah Ann Woll, Alia Shawkat, Aasif Mandvi
Genere: amore immaginato
Se ti piace guarda anche: Lars e una ragazza tutta sua, La donna esplosiva, Harvey, Il ladro di orchidee, Se mi lasci ti cancello
Ruby Sparks è un film sul blocco dello scrittore.
Certe volte scrivi e scrivi e scrivi e scrivi e non riesci più a smettere, altre volte semplicemente non ti escono più le parole
"Sicura di fare Sparks di cognome e non Rubacuori?
Non vorrei poi veder arrivare un salatissimo conto da pagare..."
Oh, merda!
Ma allora il blocco dello scrittore è contagioso…
Il blocco dello scrittore è un male che può arrivare all’improvviso, senza presentare sintomi particolari. A un certo punto, non sai più cosa scrivere. È come per la musica: tutto è già stato suonato, così come tutto è già stato scritto. O forse no?
Forse si può scrivere proprio del blocco dello scrittore. È un bel modo per rompere il ghiaccio dello scrittore. Ed è proprio ciò che fa il film numero 2 di Jonathan Dayton e Valerie Faris. Una coppia di registi, ma anche una coppia nella realtà. I due sposi hanno realizzato vari notevolissimi video musicali, su tutti il grandioso e premiatissimo “Tonight, Tonight” degli Smashing Pumpkins, ma pure quello altrettanto meraviglioso ed epocale per “1979”, e poi hanno debuttato col botto nel cinema. Il loro esordio Little Miss Sunshine ha vinto due Oscar, ottenuto nomination e riconoscimenti vari ed è diventato un cult per qualcuno (il mio blogger enemy Little Miss Ford, ad esempio). Una commedia indie stralunata e riuscita a cui era difficile dare un seguito degno. Di cosa parlare, allora, in un nuovo film?
Massì, proprio di questo. Della difficile opera seconda. Perché il secondo album è sempre il più difficile, nella carriera di un artista, come diceva Caparezza.
Nel caso di Dayton e Faris non si parla di un album musicale, bensì di un film, il difficile secondo film, e nel caso del protagonista del film, lo scrittore Calvin Weir-Fields, interpretato dal Paul Dano lanciato anch’esso da Little Miss Sunshine, si tratta del difficile secondo romanzo.
Calvin Weir-Fields ai tempi dell’esordio letterario è stato osannato come un nuovo Salinger, o un nuovo Francis Scott Fitzgerald (omaggiato, oppure l’opposto?, con il nome del suo cane). Da quell’esordio letterario sono però ormai passati una decina d’anni, trascorsi in preda al blocco dello scrittore. Perché certe volte semplicemente capita
Di nuovo?
Oh, andiamo. Non si può nominare, che subito ti prende, dannato blocco dello scrittore!
Eppure, come tutte le cose brutte, prima o poi anche il blocco finisce e ti rimetti a scrivere. Così fa Calvin, ispirato da una musa, una ragazza che gli appare in sogno. Da lì in poi scrive di lei, tale Ruby Sparks, e non la finisce più.
Fino a che lei…
Che succede, un altro blocco dello scrittore?
No, questa volta mi arresto in maniera volontaria, per evitarvi spoiler.
Se volete proseguire nella lettura, fatelo solo a vostro rischio e pericolo.
ATTENZIONE SPOILER
Senza svelarvi troppo, il film si evolve in una direzione assurda, in una maniera che ricorda Charlie Kaufman e le sue pippe mentali. Pippe mentali geniali, ma pur sempre pippe mentali. La storia ricorda però anche la pellicola cult degli anni ’80 La donna esplosiva (Weird Science), in cui due nerd creavano attraverso un primordiale PC la loro donna ideale in carne e ossa. Solo che laddove là ne usciva la bombona sexy Kelly LeBrock…
"Hey ragazzi, volete vedermi le tette?"
Oggi i canoni estetici sono un pochino cambiati. O almeno lo sono quelli di Calvin Weir-Fields. La donna dei suoi sogni che esce dalla sua macchina da scrivere è infatti un tipo di bellezza definiamola meno appariscente e più indie, che ha il volto e il corpo di Zoe Kazan…
Zoe Kazan (nipote del regista Elia Kazan, non di Mubarak) non sarà dirompente quanto Kelly LeBrock, però ha il suo fascino indie. E poi dalla sua Zoe ha il fatto di essere non solo un’attrice promettente, ma anche di essere una sceneggiatrice dal potenziale notevole. La sceneggiatura è infatti firmata dalla stessa Zoe Kazan, un’esordiente che curiosamente scegliere di parlare della difficile opera seconda.
Nel suo prossimo script di che parlerà? Della difficile opera terza?
"Il vero mistero del film è: ma perché cavolo sono l'unico
pirla al mondo che ancora usa una macchina da scrivere?"
Cosa succede, poi? Così come al protagonista del film, anche alla sceneggiatrice/attrice Zoe Kazan sfugge di mano il controllo della script. Dopo una prima parte ottima e del tutto avvincente, nella seconda il film diventa leggermente ripetitivo e si accartoccia su se stesso. Non eccezionale ad esempio la parentesi famigliare, con la madre new-age Annette Bening e il patrigno caliente Antonio Banderas che sono due semplici macchiette, più che personaggi a tutto tondo come invece erano quelli della famiglia di Little Miss Sunshine. Ma a Ruby Sparks, pardon Zoe Kazan, qualche difettuccio lo si può perdonare. È pur sempre un’esordiente totale. E poi i meriti del film eccedono i suoi difetti.
Ruby Sparks è una riflessione parecchio interessante sul lavoro di creazione, sul processo creativo, così come sulla solitudine e sulla difficoltà di trovare una persona con cui stare davvero bene, chiamatela anima gemella, chiametela l’altra metà della mela, chiamatela yin al vostro yang o chiametela come caxxo volete.
Non sta ricevendo e non riceverà le stesse acclamazioni di Little Miss Sunshine, ma Ruby Sparks è una preziosa perla di cinema indie di cui innamorarsi e ora non so più come finire la recensione, mi sa che il blocco dello scrittore sta di nuovo avendo la meglio
Titolo originale: Someday This Pain Will Be Useful to You
Regia: Roberto Faenza
Cast: Toby Regbo, Marcia Gay Harden, Peter Gallagher, Deborah Ann Woll, Lucy Liu, Stephen Lang, Aubrey Plaza, Ellen Burstyn
Genere: vorrei essere il giovane Holden
Se ti piace guarda anche: L’arte di cavarsela, Tadpole, Igby Goes Down, Roger Dodger
Vorrei sapere se un giorno questo film mi sarà utile. Non credo, perché questo è il classico film inutile.
Non ho letto il romanzo di Peter Cameron da cui è tratto, che pare sia un capolavoro, una sorta di nuovo Giovane Holden o giù di lì. Pur non avendolo fatto, l’impressione guardando il film è quella di un’occasione mancata, di un adattamento che probabilmente ha cercato di ritagliare insieme vari momenti tratti dal libro, senza però riuscire a catturarne lo spirito. Un po’ come capitato di recente con la visione di Molto forte, incredibilmente vicino (dal romanzo omonimo di Jonathan Safran Foer) e Norwegian Wood (da Tokyo Blues di Haruki Murakami).
Pure supposizioni, visto che non ne ho letto manco uno dei tre, ma credo che chi ha amato questi romanzi difficilmente amerà altrettanto le poco trascendentali trasposizioni. A prescindere, credo in particolare che nessuno amerà questo film.
Non che sia inguardabile. Questo no. Però dall’inizio alla fine traspare una grande pochezza. Si percepisce la volontà di dire qualcosa di importante sulla vita, obiettivo probabilmente centrato dal romanzo, e si percepisce allo stesso la sensazione di non riuscire a dire niente.
"Allora figliolo, come sta Ryan Atwood? Oops, scusa, ho sbagliato parte..."
Il protagonista è il tipico adolescente newyorkese di buona, buonissima famiglia, alla ricerca di se stesso. Un tipo piuttosto strambo, originale, particolare e asociale. Anche se, per essere un asociale, si incontra con un sacco di persone. Nei primi minuti di film ci viene presentato come un aspirante suicida, un irrecuperabile solitario, eppure allo stesso tempo ha un rapporto che non sembra nemmeno malaccio con madre, sorella, padre, nonna, psicoterapeuta/coach life e con un collega di lavoro. Non ha molti amici, è vero, però non sembra nemmeno così messo male come ci era stato dipinto.
Un incongruenza che rende bene l’atmosfera di tutto il film. Ci vuole presentare il suo protagonista come un tipo assolutamente unico e fuori dal comune, e invece è solo la copia sbiadita dello stesso personaggio visto in un sacco di altre parti in maniera molto più riuscita: su tutte, nel già citato Il giovane Holden, modello inavvicinabile e irragiungibile, quanto in una miriade di pellicole più o meno indipendenti e più o meno interessanti, come Igby Goes Down, Tadpole, L’arte di cavarsela, Fa’ la cosa sbagliata, Roger Dodger, ma sono sicuro ce ne siano almeno un’altra mezza dozzina che adesso mi sono scordato.
Cosa abbia quindi di tanto speciale, non ci è dato saperlo, nel film. Nel romanzo sono (quasi) sicuro che invece questa unicità e particolarità venga fuori e lo stile di David Peter Cameron venga fuori con prepotenza. Cosa che invece non si può certo dire a proposito della regia dell’italiano Roberto Faenza, che si aggira per le strade di New York City in maniera stereotipata, vagamente mucciniana e già stravista nelle pellicole sopra citate e in almeno un’altra mezza dozzina di migliaia di altre.
A differenze di quelle altre, dove la colonna sonora se non altro è sempre di ottimo livello, qui fa davvero pena. Le musiche sono state realizzate da un Andrea Guerra del tutto fuori forma, coadiuvato dall’odiosa voce di Elisa che fa più danni di Giorgia con le sue Gocce di memoria che piovono sulla Finestra di fronte. Ed essere peggio di Giorgia è un “complimento” che riservo solo a Laura Pausini, quindi calcolate voi quanto possa aver apprezzato questa soundtrack.
A non aiutare nella riuscita di questo adattamento è poi il poco convincente protagonista, gli manca del tutto quel non so che, quella capacità di bucare lo schermo e trascinarti dentro il suo personaggio. Lo seguiamo peregrinare per New York, tra un incontro con i genitori, una Marcia Gay Harden stereotipatissima nei panni della classica artista riccona snob e uno spento papà Peter Gallagher, un siparietto con la sorella, la sempre valida Deborah Ann Woll meglio conosciuta come Jessica di True Blood, un incontro con la life coach Lucy Liu, un litigio con il collega gay Gilbert Owuor e una chiacchierata con la nonna Ellen Burstyn che vorrebbe essere profonda e rivelare chissà quale significato nascosto della vita e invece finisce per non dire niente.
Per essere un personaggio e una pellicola tanto confusi e incerti su quale direzione prendere, tra commedia che non fa ridere manco per sbaglio e dramma che non fa riflettere manco per sbaglio, alla fine ti lascia comunque con una certezza incontrovertibile: un giorno questo film non ti sarà utile.
Il futuro: True Blood, Catch .44, Highland Park, He loves me, Rosaline, Un giorno questo dolore ti sarà utile (è il titolo del film)
Perché è in classifica: è la vampira più sexy (credo) della storia. Fan di Ian Somerhalder e Robert Pattinson non cominciate a mandarmi minacce di morte: ho detto LA vampirA, al femminile.
True Blood, la serie tv sui vampiri. No, non Buffy e no, né The Vampire Diaries. La serie che in genere piace anche a quelli cui di solito dei vampiri non frega nulla. Sarà che va su HBO e quindi fa figo.
Vampi… cosa?
Non sapete nemmeno cosa sono i vampiri? Ma con chi sto parlando, anzi a chi sto scrivendo??
Com’è o come non è, fatto sta che Deborah Ann Woll a sorpresa si è trasformata negli ultimi tempi da bella figliola a bella figa, e allo stesso tempo il suo personaggio si è mutato da carino a personaggio portante dell’intera serie. Difficile riuscire a immaginare la quarta deludente stagione di True Blood senza di lei. Tra Sookie che non lo sooka più a Bill bensì a Eric Northman che un tempo era un idolo e nella nuova stagione è diventato più tenero e cuccioloso dell’Edward Cullen/Robert Pattinson di Twilight.
Per fortuna allora che Deborah Ann ha dato fuoco alla serie vestendosi da Cappuccetto rosso e con scopate scene romantiche epiche insieme Jason Stackhouse, persino sulle note di Taylor Swift, ovvero forse la musica meno sexy del mondo. Pardon, già dimenticavo: Laura Pausini fa la musica meno sexy del mondo!
E in più la D.A. Woll si sta concedendo sempre più anche al cinema, quest’anno nel pregevole, teso e in qualche modo divertente thriller Mother’s Day, e in futuro con un sacco di pellicole in cantiere.
Ammazza la vampira! (nel senso di Anvedi la vampira!, non nel senso che dovete ammazzarla piantandole un paletto nel cuore, se proprio dovete eliminare qualcuno, fate fuori quella sookata di Sookie)
Grazie al divertentissimo blog Chicken Broccoli per aver segnalato questo film come capolavoro supremo dei mommy thriller... in effetti è proprio così!
Mother’s Day
(USA 2010)
Regia: Darren Lynn Bousman
Cast: Rebecca De Mornay, Jaime King, Shawn Ashmore, Warren Kole, Deborah Ann Woll, Briana Evigan, Frank Grillo, Matt O’Leary, Patrick John Flueger, Kandyse McClure, Tony Nappo, Alexa Vega, A.J. Cook
Genere: pazzi sequestratori figli di puttana
Se ti piace guarda anche: Funny Games, Panic Room, La scomparsa di Alice Creed
Trama semiseria
In seguito a una rapina finita male, un gruppo di fratelli criminali si rifugia in quella che credeva casa propria. Peccato nel frattempo fosse stata pignorata e venduta a una giovane coppia che in quel momento sta dando insieme ai suoi amici un tranquillo party, uno di quelli in cui si beve ponce non corretto e si ascoltano canzoni di Selena Gomez e Justin Bieber. E il party - giustamente - si trasformerà in un bagno di sangue…
Recensione cannibale
Per una volta - mi spiace - ma in questo cazzo di blog non parliamo di M.I.L.F. (Mothers I’d Like to Fuck), bensì di M.I.L.K. (Mothers I’d Like to Kill), perché la protagonista di questa pellicola è una mamma stronza di quelle colossali.
Ma partiamo dall’inizio. Perché? Per una volta mi va di seguire un filo logico. O almeno provarci. Dunque: Mother’s Day è il remake di un film omonimo del 1980 diretto da Charles Kaufman (che a proposito di omonimia non è QUEL Charlie Kaufman autore delle sceneggiature di Essere John Malkovich e Se mi lasci ti cancello) ed è un film molto famigliare. Non familiare nel senso di già visto, anche se certo qualcosa di familiare ce l’ha visto che non è che inventi poi nulla di nuovo, ma nel senso che è incentrato su una famiglia, una di psicopatici ma che di cognome non fa Misseri. Non è però un film famigliare come quella deludente menata di Animal Kingdom, sebbene per certi versi non sia poi così lontano. Diciamo che è la versione divertente della famiglia di Animal Kingdom. Ci sono tre figli maschi, uno tosto, uno schizzato perso, l’altro un teenager cui hanno appena sparato, e una timida figlia femmina, che ha le splendide fattezze (non ho detto fattanze) della rossa Deborah AnnWoll, la vampira Jessica di True Blood. A capo di questa famigghia vi è la madre matriarca, la bitch suprema interpretata da una Rebecca DeMornay a tratti convincente e a tratti invece simile a una versione andata a male della Bree Van de Kamp di Desperate Housewives. Un personaggio inquietante, capace di passare dai modi gentili da perfetta casalinga anni ’50 a efferata omicida senza scrupoli. Un personaggio che forse avrebbe meritato un’inteprete migliore, ma visto che siamo in una produzione a basso budget ci dobbiamo accontentare della De Mornay, grande ai tempi di Risky Business ma poi presto finita nel dimenticatoio.
Questa famiglia particolare prende in ostaggio un gruppo di trentenni e qualcosa che si stava godendo una very tranquilla festicciuola, portando quindi la pellicola in territori tra i film sui sequestri di persona e il torture horror. Le riflessioni sulla natura umana della violenza sono un po’ campate lì, ma non è questo il punto importante della pellicola. Il punto è creare una sorta di greatest hits del genere di cinema in cui dei pazzzzi psychopatici prenodono in ostaggio delle persone innocenti (ma che poi così angioletti come credevamo non si riveleranno), per darlo in pasto impastato a noi divertiti spettatori affamati di sangue.
Un film b a s t a r d o insomma, e allo stesso tempo godibile come un perfetto popcorn movie. Basta solo non prenderlo sul serio, anche perché il film esagera, straborda e spinge i limiti così all’estremo che ogni pretesa di realismo salta e allora è tutto un giocare su un piano esplicitamente di fiction. It’s all for fun. Our fun. Yeah yeah. E allora godiamocelo senza farci troppe domande o problemi, perché questo film sta ai torture movies come Piranha 3D sta alle pellicole sui mostri marini: sano divertimento estivo all’ennesima potenza.
La sceneggiatura utilizza tutti gli espedienti tradizionali del caso, dal medico ostaggio che deve salvare uno dei criminali feriti al poliziotto che arriva a sorvegliare la casa, ma in più ha il pregio di inventarsi anche degli altri espedienti meno tradizionali, come un tornado che sta per arrivare in città a spazzare via tutto, questa insensata violenza compresa, e il rapinatore teenager ferito cui i fratelli vogliono far perdere la verginità prima che muoia!
E succede molto altro ancora… Un film molto True Blood, sia per la presenza della Deborah Ann Woll, sia per il molto sangue che scorre a litri. Raramente un gioco al massacro è stato così divertente.
E allora viva la mamma, affezionata a quella gonna un po' lunga così elegantemente anni Cinquanta. Sempre così sincera.
(voto 7,5)
(Qualcuno potrà sconsigliare la visione della pellicola a un pubblico di minori, ma non sarò certo io a farlo…)
(serie tv - stagione 4) Rete americana: HBO Reti italiane: Mtv (3a stagione prossimamente), Fox (4a stagione prossimamente)
Creato da: Alan Ball
Tratto dai romanzi di: Charlaine Harris
Cast: Anna Paquin, Stephen Moyer, Alexander Skarsgard, Ryan Kwanten, Sam Trammell, Deborah Ann Woll, Jim Parrack, Rutina Wesley, Nelsan Ellis, Kevin Alejandro, Kristin Bauer, Joe Manganiello
Genere: vampiri meridionali
Se ti piace guarda anche: The Vampire Diaries, Buffy, Game of Thrones
La stagione 4 di True Blood è partita ed è partita bela freschca come un sorso di una bibita ghiacciata per noi umani e una bottiglia di Tru Blood di buona annata per un vampiro. Cos’è successo in questo scoppiettante inizio?
Oh, finalmente Bill Compton con un look decente!
ATTENTION SPOILER
Anna Paquin è giunta nel paese delle fate, un posto da fiaba che ben presto si trasforma in un incubo con dei mostri spaventosi, poi incontra il nonno che è l’ancor più spaventoso Gary Cole ed è il momento dell’amarcord e del “ma quanto tempo è passato?", Sookie però è troppo piagnona e troppo sookante con tutte queste lacrime.
Bill Compton invece è sempre una palla al piede e per confermarlo adesso è per giunta diventato un politico, anzi per la precisione il Re dei vampiri, a discapito della mitica Evan Rachel Wood. Brutto bastardo!
Il vampiro “spilungone” Eric Northman intato sembra diventare sempre più romantico nei confronti di Sookie, un po’ come Damon Salvatore con Elena in The Vampire Diaries: che Fangtasia!
Oh, che teneri!
Lafayette sfoggia un nuovo look cyberpunk da guerriero della notte drag queen, mentre Tara ha dato libero sfogo alla sua mascolinità latente entrando in una specie di associazione per signore, anziché un club della lettura è però finita in un Fight Club. Ah, è anche diventata lesbica ma che lo fosse già lo sapevamo tutti tranne lei.
Ci sono delle nuove streghe in città, visto che vampiri, licantropi e mutaforme vari non erano abbastanza. Cosa che significa: un True Blood con ancora più sesso interspecie?
Jason è diventato un poliziotto a tutti gli effetti e anche una sorta di Madre Teresa benefattrice dei bambini poveri della zona. Però rischia di essere trasformato in una pantera… Eh sì, cose che capitano.
Oh, che gnocca!
La sexy vampirella rossa Jessica e Hoyt hanno instaurato una normale convivenza umano/vampiro e questa comunque è una novità, visto che nelle altre saghe vampiresche, dal precursore Buffy fino a Twilight e The Vampire Diaries, è sempre l’umana a innamorarsi del vampiro, mentre qui abbiamo una inversione di sessi. E poi Jessica sta diventando sempre più il personaggio Numero Uno della serie.
Tra i personaggi minori e minorati della serie, lo sceriffo buffo e sprovveduto adesso è diventato un fattone di V, alquanto odioso e pulcione, mentre la cameriera rossa e il suo marito pirla a quanto pare hanno messo al mondo un incrocio tra il figlio di Satana e il figlio di Dexter.
Sam Merlotte è un mutaforme ma paradossalmente all’inizio sembra l’unico a non essere cambiato di una virgola. E invece no, perché ogni tanto adesso se la spassa con dei nuovi amichetti pure loro tutti mutaforme. Ma in che caaaaa**o di città vivono questi qua?
Insomma, è successo di tutto e di più nel passaggio da una stagione all’altra, eppure possiamo dire sia quasi normale routine nel mondo di True Blood. Welcome back to Bon Temps.
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