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martedì 23 giugno 2015

Insidious: 3 is a diabolic number





Insidious 3 - L'inizio
(USA, Canada 2015)
Titolo originale: Insidious: Chapter 3
Regia: Leigh Whannell
Sceneggiatura: Leigh Whannell
Cast: Stefanie Scott, Dermot Mulroney, Lin Shaye, Tate Berney, Angus Sampson, Leigh Whannell, Hayley Kiyoko, Ashton Moio
Genere: insidioso
Se ti piace guarda anche: Insidious, Oltre i confini del male: Insidious 2, Poltergeist, L'evocazione - The Conjuring, Ouija

I primi due Insidious si sono rivelate per me delle visioni davvero insidiose. Per una volta, anzi per due volte il titolo non è stato ingannevole.
Insidious numero 1 me l'ha fatta fare nei pantaloni, come non capita molto spesso, o meglio come non capita quasi mai con gli horror degli ultimi anni. Una pellicola parecchio derivativa nei confronti di Poltergeist, certo, però anche dannatamente inquietante ed efficace.
Insidious numero 2 invece era stato insidioso perché non sono riuscito a vederlo tutto. Ci avevo provato due volte, ma sarò riuscito a guardare a mala pena una mezzoretta, prima di finire entrambe le volte a russare alla grande. Il film forse poi migliorava e non posso darne un giudizio completo. Magari diventava un capolavoro - certo, come no? - so solo che la parte iniziale non invogliava a proseguire.

martedì 4 febbraio 2014

I SEGRETI E LE SORPRESE DI OSAGE COUNTY




I segreti di Osage County
(USA 2013)
Titolo originale: August: Osage County
Regia: John Wells
Sceneggiatura: Tracy Letts
Tratto dalla piece teatrale: August: Osage County di Tracy Letts
Cast: Meryl Streep, Julia Roberts, Margo Martindale, Julianne Nicholson, Juliette Lewis, Abigail Breslin, Ewan McGregor, Dermot Mulroney, Sam Shepard, Chris Cooper, Benedict Cumberbatch, Misty Upham, Will Coffey
Genere: famigliare
Se ti piace guarda anche: La mia vita a Garden State, Little Miss Sunshine, I ragazzi stanno bene, Paradiso amaro, Young Adult

Una delle emozioni più belle per me è quella di restare sorpresi.
BOOOOOOOOOOOOOOO!

Ve la siete fatta sotto?
La mia intenzione non era quella di spaventarvi, scusate. Volevo solo sorprendervi.
BOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!

Cagati adosso di nuovo?
Ma no, era solo per sorprendervi.
BOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!

"E tu saresti Little Miss Sunshine?
A me sembri più la figlia di Marilyn Manson..."
Ok, la smetto, prima che la paura la facciate provare voi a me.
È bello trovare qualcosa che ti sorprenda. Io sono sempre felice quando qualcosa non corrisponde alle mie aspettative. Magari lo sono meno quando questo qualcosa finisce per essere al di sotto delle mie aspettative, ma in ogni caso preferisco una pellicola che mi delude da morire, piuttosto che una che mi lascia indifferente ed è esattamente come me l’aspettavo. Per fortuna non sono questi i casi de I segreti di Osage County.

Partiamo dal titolo italiano. Quanto i nostri titolisti non hanno altre idee, ci mettono un “I segreti di…” davanti al nome del posto e sono a posto. È successo con “I segreti di Twin Peaks”, con “Desperate Housewives – I segreti di Wisteria Lane”, con “I segreti di Brokeback Mountain” e succede ora di nuovo con I segreti di Osage County, titolo originale August: Osage County. I titolisti italiani non stanno bene, questo non è un segreto.
Non è un segreto, né tanto meno una sorpresa. Ci hanno abituati anche a cose peggiori. Il film invece sì che è una sorpresa, una bella sorpresa.
BOOOOOOOOOOOOOOOO!

"Brave, figliole. Pregate affinché io possa vincere un'altra statuetta."
"Ehm, mamma, veramente pregavamo per Amy Adams."
"Brutte figlie di..."
Questa era una brutta sorpresa e ormai non era più manco una sorpresa, visto che è tutto il post che sto andando avanti con questo BOOOOO del cavolo, ma questa è l’ultima volta. Promesso.
Alla fine è sempre tutta una questione di aspettative. Io non partivo troppo convinto, con la visione di questo I segreti di Osage County. Mi attendevo una pellicoletta da tè delle 5 per signore, di quelle magari guardabili ma anche tanto noiose. Invece non mi sono annoiato un solo istante, durante le due ore di film. Se non sopportate le pellicole piene di parole e dialoghi e volete azione, è probabile che vi annoierete. Se invece avete fame di dialoghi brillanti, ficcanti, pure belli cattivelli, di quelli capaci di farti ridere e allo stesso tempo riflettere, affidatevi a Tracy Letts.
Chi è Tracy Letts?
Tracy Letts non è un autore da robe buone per il tè delle 5. Tracy Letts è uno sceneggiatore di cinema, tv e soprattutto teatro. Tra le sue opere ci sono Bug – La paranoia è contagiosa (sempre in lista tra i miei futuri recuperi) e Killer Joe, da cui poi è stato tratto il film di William Friedkin con un allora sorprendente e oggi ormai garanzia Matthew McConaughey e sceneggiato dallo stesso Letts, uno che occasionalmente fa pure l'attore.


Il suo volto vi pare familiare? No, non si tratta di uno psicopatico ricercato dalla polizia, anche se dalla foto potrebbe sembrare. Probabilmente vi sarà capitato di vederlo nella serie Homeland.

"Meryl Streep di nuovo nominata agli Oscar? Ma basta!"
Dopo Bug e Killer Joe, Letts ha firmato di nuovo l’adattamento di una sua opera teatrale, August: Osage County premiata addirittura col premio Pulitzer, e ha affidato la regia a John Wells, che a livello cinematografico non sembra un fenomeno, però si è occupato dell’adattamento americano della serie Shameless ed è quindi uno che se ne intende di famiglie particolari.
Dietro al film c’è quindi una grande qualità, soprattutto di scrittura. Ma anche davanti alla macchina da presa le cose non sono da meno. Tutt’altro.
Meryl Streep è brava e si sa, lo conferma ancora una volta con la parte della matriarca della famiglia protagonista, i Weston, o dovremmo dire le Weston. Dopo la morte del padre di famiglia in circostanze misteriose, rimangono infatti una Meryl Streep fuori di testa dipendente da droghe e sonniferi e le sue figlie. Solo che Meryl Streep è sempre di quel bravo che te lo fa pesare. Tipo il secchione della classe. Quello che si prende 10, o A, o che cazzo di voti si danno oggi e se lo merita pure. Però che palle. Botte al secchione!

Quanto è brava Julia Roberts invece è una cosa che non tutti sanno o che qualcuno fa finta di non sapere. Io un tempo non la sopportavo, la Roberts. Non la sopportavo tipo ai livelli di una Tom Hanks al femminile. La vedevo solo come la reginetta delle romcom, la fidanzatina d’America, la pretty woman che io non trovavo nemmeno così pretty. Con Erin Brockovich tutto è cambiato. Ho guardato la pellicola partendo dal presupposto: “Hanno dato un Oscar a Julia Roberts? Sono scemi???” e nel corso della visione mi sono ricreduto. Completamente. Di rado ho visto un’attrice mettere tutta se stessa come la Roberts in Erin Brockovich. Grande personaggio, grande interpretazione e da allora ho cominciato a rivalutarla. Un altro film in cui mi ha sorpreso è stato Closer. Lì c’è un Clive Owen pazzesco e c’è una Natalie Portman capace di oscurare persino il sole. Eppure Julia Roberts, con il suo personaggio sotto le righe, è lì e regge un confronto tanto impegnativo. Poi, per carità, la Portman è insuperabile, ma la Roberts non sfigura. Dopo l’ottimo ruolo da regina cattivona nell’altrimenti evitabile Biancaneve, qui Juliona Roberts ci regala una nuova parte bella acidella. Ed è monumentale. Julia Roberts in questo film è monumentale.
Altra sorpresa: io agli Oscar non terrò per Jennifer Lawrence. Nella categoria di miglior attrice non protagonista io tiferò per lei, Julia Roberts. Sì sì. Non è tra le favorite e non vincerà. La migliore interpretazione però è la sua. June Squibb in Nebraska ancora mi manca, Sally Hawkins mi ha convinto parecchio in Blue Jasmine, Lupita Nyong'o in 12 anni schiavo è notevole in una maniera molto sofferta, Jennifer Lawrence in American Hustle si conferma un fenomeno, ma la mia preferita della cinquina in corsa per la statuetta è Julia Roberts che qui è qualcosa di fantastico. È sorprendente quanto sia diventata brava la Roberts, in maniera analoga a quanto fatto da Matthew McConaughey, pure lui ex reuccio delle commedie romantiche oggi riabilitatosi alla grande. E quanto è bella, Julia Roberts.
In questo film, il personaggio di Meryl Streep sostiene che le donne invecchiando non perdono solo fascino, diventano proprio brutte. Julia Roberts è la dimostrazione vivente di quanto questa teoria sia sbagliata. Prima poteva anche essere una pretty woman, ora è davvero una very beautiful woman.


"Cos'è tutto questo affetto, Julia?"
"Affetto? Veramente stavo cercando di strozzarti..."
Se la Roberts giganteggia come e più della Streep, pure il resto del cast fa un figurone e ogni personaggio in qualche modo si ritaglia il suo momento, sebbene per dare il meritato spazio a ciascuno servirebbe un’intera serie tv e chissà che, prima o poi, non venga pure realizzata. C’è una svampita Juliette Lewis con una parlata del Sud fantastica, un Benedict Cumberbatch in versione cucciolo indifeso che fa una tenerazza incredibile, c'è un idolesco Dylan McDermott che si dirige a un funerale pompando musica tamarra a tutto volume sulla sua Ferrari, c'è uno Ewan McGregor un po’ sottotono ma probabilmente per esigenze di copione, c'è una ormai cresciuta Abigail Breslin, ex Little Miss Sunshine, pellicola che presenta una famiglia stramba non troppo distante da questa, e c'è una grande Julianne Nicholson, attrice vista soprattutto in tv (Masters of Sex, Ally McBeal e Boardwalk Empire) dal potenziale enorme anche in chiave cinematografica, come qua ci dà ampia dimostrazione.
Tra le altre gradite sorprese c’è un dolce momento musicale che vede protagonista un membro del cast e ci sono i titoli di coda sulle note dei Kings of Leon.
E poi?
Poi basta. Non vi dico altro che se no vi rovino tutte le sorprese della visione. Se già non l’ho fatto.
BOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!
(voto 7,5/10)

venerdì 22 novembre 2013

blowJOBS




L'uomo che ha creato l'iPod e l'uomo che si è ciulato (e si ciula) Mila Kunis.
Chi dei due ha compiuto l'impresa più memorabile?
Jobs
(USA 2013)
Titolo originale: jOBS
Regia: Joshua Michael Stern
Sceneggiatura: Matt Whiteley
Cast: Ashton Kutcher, Josh Gad, Lukas Haas, Dermot Mulroney, Matthew Modine, Lesley Ann Warren, J.K. Simmons, James Woods, Kevin Dunn, Victor Rasuk, Nelson Franklin, Eddie Hassell, Masi Oka, Joel Murray, Amanda Crew, Abby Brammell
Genere: biopic
Se ti piace guarda anche: I pirati di Silicon Valley, The Social Network, S.Y.N.A.P.S.E. – Pericolo in rete
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Steve Jobs è l’uomo che ha reso cool i computer. Da quando Matteo Renzi ha usato la parola “cool”, la parola “cool” però non è più cool e quindi diciamo che Steve Jobs è l’uomo che ha reso fighi i computer. Renzi non si è ancora appropriato della parola “fighi”? Bene, allora possiamo continuare a usarla.
Che attore c’è di cool, pardon di figo, che può interpretare Steve Jobs?
Ashton Kutcher, che fisicamente gli somiglia parecchio.
Mmm… fermi un attimo. A me sta simpatico Ashton Kutcher. Io gli voglio bene ad Ashton Kutcher, fin dai tempi della spassosissima serie That ‘70s Show, però come attore non è proprio un fenomeno. Non è lo Steve Jobs degli interpreti. Senza offesa, così stanno le cose.

"Maledetto Cannibale! Ma cosa diavolo scrive?"
Perché un attore sia perfetto per un biopic, non occorre solo che somigli al personaggio che deve interpretare o che cerchi di imitare le sue movenze. Deve fare qualcosa di più. Prendiamo Quando l’amore brucia l’anima. In quel film, io non vedo Joaquin Phoenix, io vedo Johnny Cash. Qui invece vedo Ashton Kutcher che si impegna, che ce la mette tutta, che imita in maniera a tratti anche piuttosto discreta Steve Jobs. Però non vedo Steve Jobs. Eh lo so, non è facile dare vita a un personaggio, soprattutto uno esistito veramente e così iconico e conosciuto in tutto il mondo. I grandi attori lo sanno fare. Lo fanno apparire naturale. Ashton Kutcher, così come già Will Smith in Alì, non riesce a togliersi da davanti, a levarsi dalle scatole per farci vedere il personaggio.
Mi spiace, Ashton: sei un figo della Madonna, ti bombavi Demi Moore prima e Mila Kunis ora, e fin qui non c’è proprio niente di cui dispiacersi per te, però non sei un grande attore, ed è questo che dispiace. Dispiace perché con un altro interprete forse le cose per questo jOBS sarebbero potute andare meglio.

"Mannaggia! Anche leggendo su questo computer le sue parole non cambiano."
Questo è il primo problema del film, ma non è il più grave. Il più grave è quello di non essere stati fedeli a Steve Jobs, il personaggio.
Potete dire quello che volete su una pellicola come Last Days di Gus Van Sant. Potete dire che è noioso, che non succede nulla. Di certo, non è il film su Kurt Cobain che il grande pubblico si sarebbe aspettato. Non ci viene mostrata la relazione con Courtney Love. Non ci viene spiegato come a Kurt sia venuta l’ispirazione per “Smells Like Teen Spirit”. Non ci viene presentata la sua ascesa al successo. Eppure credo che Last Days, nel suo essere un film così radicalmente alternative, rappresenti al 100% lo spirito di Kurt Cobain e credo anche che lui l’avrebbe adorato. Così come credo che Steve Jobs non si sarebbe entusiasmato troppo con questo jOBS.
Oh, poi magari mi sbaglio. Non è che sono in contatto con i morti.

Nel film, a un certo punto Steve jOBS dice una frase che potrebbe confermare la mia teoria:
Non facciamo nulla che IBM non faccia già. E preferisco scommettere sul nostro punto di vista, piuttosto che fare un prodotto nella norma. Dobbiamo rendere le cose semplici memorabili.

"Vediamo se, distruggendo il computer, la recensione migliora."
Steve Jobs non faceva prodotti nella norma. Questo invece è un film biopic nella norma. Non è realizzato così male, Ashton Kutcher non riesce a offrire un’interpretazione davvero efficace di Steve Jobs ma non è nemmeno un cane totale e il film, grazie soprattutto all’interesse nei confronti del personaggio, si lascia seguire dall’inizio alla fine. Alcune parti sono superflue, ci si concentra troppo sulle dinamiche aziendali interne alla Apple che sinceramente dopo un po’ scoglionano non poco, e insomma una mezz’oretta in meno nel montaggio finale non avrebbe guastato il prodotto finale.
Non convince del tutto poi la scelta di fermarsi con il racconto a metà degli anni ’90, quando la creazione dell’iPod sarebbe potuto risultare un capitolo più avvincente da raccontare rispetto ai drammoni aziendali. Al di là delle discutibili scelte narrative, complessivamente il suo difetto principale è però quello di essere mediocre, nella norma.
A questo punto, sarebbe risultata una scelta migliore realizzare un film sperimentale che sarebbe potuto uscire uno schifo totale. Se non altro si sarebbe provato a fare qualcosa di diverso, a rischiare tutto come piaceva fare a Steve Jobs, sempre e comunque. Quella che ne è uscita è invece una pellicola che una volta si sarebbe potuta definire di qualità televisiva, non fosse che HBO oggi farebbe di meglio. Anzi, ha fatto di molto meglio, si veda il recente Dietro i candelabri – Behind the Candelabra di Steven Soderbergh con un grande Michael Douglas nei panni del pianista Liberace.


"No, non c'è niente da fare..."
jOBS appare come una grande occasione sprecata. Tutto quello che The Social Network è, questo non lo è. Laddove lì si raccontava la storia di Mark Zuckerberg e della nascita di Facebook ma allo stesso si riusciva a offrire anche una visione di quello che è il mondo di oggi, nell’era dei social network, jOBS si limita a essere un film biografico che non riesce a guardare all’infuori del personaggio che racconta. E anche come biopic in sé, non è poi così riuscito. La figura di Steve Jobs uomo non viene approfondita fino in fondo, e tra l’altro Steve Jobs l’uomo non ne esce benissimo, un po’ come Zuckerberg nel film di David Fincher, e questo alla fine è un po' l’aspetto più intrigante della pellicola.
Steve Jobs uomo appare come una persona glaciale, senza amici, senza veri legami, attaccata al denaro e al successo, che non esita a pugnalare alle spalle chi ha contribuito alla causa Apple fin dagli inizi in bene di un ideale più grosso, quello di voler cambiare il mondo. Quello di pensare fuori dagli schemi.
Alla faccia del think different, in jOBS il film di different rispetto alle tradizionali pellicole biografiche non c’è invece un bel nulla. È la celebrazione del think identical. Quello che ne è uscito è il biopic precisino che si meriterebbe giusto un Bill Gates. Non uno Steve Jobs.
(voto 5/10)



lunedì 24 giugno 2013

STOKAISER


Stoker
(UK, USA 2013)
Regia: Park Chan-wook
Sceneggiatura: Wentworth Miller, Eric Cressida Wilson
Cast: Mia Wasikowska, Nicole Kidman, Matthew Goode, Alden Ehrenreich, Lucas Till, Jacki Weaver, Dermot Mulroney, Harmony Korine
Genere: omicida
Se ti piace guarda anche: Bates Motel, The Quiet - Segreti svelati

Stoker comincia con la morte di Stoker. Il capofamiglia degli Stoker.
Che si fa quando il personaggio che dà il titolo al film è già morto ancora prima che cominci la visione? Come si prosegue?
Si racconta cosa combina il resto della sua famiglia dopo la sua morte. E si racconta anche di come si è arrivati alla sua morte. Da una parte abbiamo quindi un drammone famigliare, ma nemmeno troppo drammone visto che della morte di Stoker non sembra fregargliene di meno a nessuno. Dall’altra parte abbiamo invece una vicenda dai contorni thriller-horror, solo che la vicenda thriller è prevedibilissima anche per uno come me che di solito non ci azzecca mai su cosa capiterà, e come horror con vale nulla.

Che si fa quando una pellicola viene uccisa direttamente nel primo paragrafo della recensione? Come si prosegue il resto del post?
Potrei inserire video di cuccioli che combinano guai, che quelli in rete vanno sempre forte. In alternativa potrei mettere delle immagini della protagonista Mia Wasikowska nuda, solo che non si trovano e ci sono solo degli spudorati fotomontaggi come questo.

Tipica tensione sessuale tra nipote e zio. Tipica?
Un altro modo per occupare il resto del post è allora quello di cercare di trovare dei punti a favore di questo film. Impresa non semplicissima, ma nemmeno impossibile. La sceneggiatura è firmata dall’esordiente Wentworth Miller, il protagonista della serie tv Prison Break che, non si sa bene perché, ha deciso di gettarsi nella scrittura con risultati, almeno da questo primo tentativo, piuttosto scoraggianti. La vicenda non cattura e i personaggi si comportano in maniera del tutto casuale. Un esempio dell’assurdità di questo script?
ATTENZIONE SPOILER I vari personaggi prima sembrano tranquilli, poi si trasformano in psicopatici e/o killer, senza ragione. Prendiamo anche un personaggio minore, come il liceale Aiden Ehrenreich (attore promettentissimo) che prima difende la protagonista Mia Wasikowska, fa tutto il romantico con lei, e poi si trasforma in uno stupratore. Ma perché?
Piuttosto inspiegabili anche gli echi incestuosi della vicenda, così come è caratterizzato davvero male il percorso della protagonista da ragazzetta secchiona a spietata assassina. FINE SPOILER

"Mi faccio una lampada che sono pallida."
Avevo detto che volevo trovare dei punti a favore del film?
L’avevo detto veramente?
Mannaggia a me. Non li ho ancora trovati, ma ci sto arrivando. Forse. Se la sceneggiatura è confusa, sostanzialmente inconcludente, con cali di ritmo paurosi, la regia non è del tutto da buttare. Park Chan-wook, il celebrato regista sudcoreano di Gangnam Style Oldboy, cerca di movimentare come può una storia di scarso interesse e per di più scritta male con un montaggio veloce, con qualche invenzione autoriale e qualche ripresa fantasiosa. In questo modo non riesce a prendere possesso totale della pellicola, ma se non altro fa intravedere qualche lampo decente di cinema. Il sudcoreano è alla sua prima volta con una pellicola in lingua inglese e paga lo scotto del grande salto dalle parti di Hollywood, con un film che sembra suo soltanto in parte e che perlopiù sembra essergli sfuggito di mano. Non è il primo a cui capita una cosa del genere, non sarà l’ultimo. L’augurio è che non faccia la fine del nostro Gabriele Muccino. Soprattutto fisicamente.

L’altro elemento positivo del film è la protagonista. Mia Wasikowska continua a essere convincente in film poco convincenti. Da queste parti, una pellicola in cui recita è ormai garanzia quasi automatica di una insufficienza, manco fosse Angelina Jolie o Will Smith, con la differenza che a me la Waginowska piace. La ritengo una delle migliori giovani attrici in circolazione. Pur priva del fascino da cucciola di una Carey Mulligan o del sex appeal di una Amber Heard e pur non avendo fatto finora un film davvero memorabile, per me è una delle meglio tipo oggi in circolazione a Hollywood. Peccato che, pur lavorando con registi di talento, finisca spesso e volentieri per fare filmetti poco riusciti come Alice in Wonderland, Albert Nobbs o Lawless. La fanciulla comunque è giovanissima, ha appena 23 anni, e quindi ha davanti a sé ancora tutto il tempo di lasciare il segno con una parte degna di nota. Se magari cambia agente però è meglio. Io non sono un agente, Mia, ma peggio del tuo attuale non credo di poter fare.
Meno convincente il resto del cast: il britannico Matthew Goode con quella faccia da good man come villain non funziona e poi c’è la Nicole…
Aah, la Nicole. Quanto era brava una volta! Brava, brava. Fino a una decina di anni fa faceva le scarpe a tutte. Adesso invece Nicole Kidman si è ninamorizzata. C’ha ste labbrazze innaturali. C’ha sta faccia finta che ormai le potrebbe garantire un ruolo azzeccato giusto in una puntata di Nip/Tuck, se ancora ci fosse.

"Che hai contro Nina Moric, Cannibal? E' una grande artista e performer."

"Suca, Carrie Bradshaw. Ho più scarpe di te!"
Il cast, che comprende anche il regista Harmony Korine in una piccolissima parte, è sfruttato quindi soltanto in parte, ma i punti a favore del film non finiscono qui…
Dite che finora i punti a favore non sono stati molto convincenti?
Vabbè, allora dico che le atmosfere non sono malaccio. Il film è ambientato nel presente, però è avvolto in un’ambientazione gotica retrò che ha il suo fascino. Se la parte thriller fosse più tesa e imprevedibile, la pellicola sarebbe potuta uscire meglio. C’è anche una buona cura per i dettagli. Le scarpe, ad esempio. Le scarpe sono un dettaglio essenziale nel film, anche se, certo, quando le scarpe sono l’elemento più intrigante di una pellicola non è un buon segno per la pellicola stessa.

Una nota completamente positiva a questo film allora la vogliamo trovare, o no?
Dai che alla fine ci sto arrivando: la colonna sonora. Le musiche originali di Clint Mansell, compositore abituale per il genio Darren Aronofsky, sono molto fascinose e in più a un certo punto risuona “Summer Wine” cantata da Lee Hazlewood & Nancy Sinatra & per un istante ci si illude di trovarsi dentro a una bella visione. Così non è. Stoker è un film nato già morto, come il personaggio che gli dà il titolo.
(voto 5,5/10)



giovedì 28 marzo 2013

THE TREE OF FAMILY


The Family Tree
(Australia, USA 2011)
Regia: Vivi Friedman
Sceneggiatura: Mark Lisson
Cast: Britt Robertson, Dermot Mulroney, Hope Davis, Max Thieriot, Chi McBride, Rachael Leigh Cook, Christina Hendricks, Keith Carradine, Gabrielle Anwar, Bow Wow, Jermaine Williams, Jane Seymour, Madeline Zima
Genere: famigliare
Se ti piace guarda anche: American Beauty, I ragazzi stanno bene, The Joneses

Ci sono le grandi pellicole, quelle più amate e più odiate, quelle in grado di trionfare ai botteghini e raccogliere premi assortiti, quelli che tutti hanno visto o perlomeno fatto finta di aver visto. Avete presente?
Ecco, le grandi pellicole che vengono poi indicate come un modello da imitare per chi viene in seguito, quelle che lasciano un segno. Un segno che non per forza di cose è positivo. O non del tutto positivo.
Prendiamo Pulp Fiction, per esempio. Pulp Fiction ha lasciato un segno indelebile nel cinema soprattutto anni ’90 ma non solo, creando però anche uno stuolo di imitatori di Tarantino che hanno prodotto cose a volte immonde, a volte solo atroci, in qualche raro caso decenti. Perché a imitare gli altri raramente si riesce a fare qualcosa di buono. Anche Tarantino lo fa? No, Tarantino non copia. Tarantino prende ispirazione da centinaia, migliaia, miliardi di altri film e li assembla in una visione tutta sua. In un universo tarantiniano personale e immediatamente riconoscibile. Mentre scimmiottare il suo stile può rivelarsi, e infatti spesso si è rivelata, soltanto una tragedia.
Lo stesso si può dire di Matrix. Dopo la sua uscita, dal 1999 in poi, il cinema action e quello fantascientifico sono per sempre cambiati, a colpi di bullet time e trame sempre più fumettose. Anche in questo caso, molti film che si sono ispirati a Matrix non hanno sortito gli stessi risultati e hanno prodotto solo dei mostri. Come il programma Matrix quando è passato dalle mani sapienti di Enrico Mentana a quelle meno sapienti e molto più ruffiane del lacché Alessio Vinci. Ma questo è un altro discorso.
Per par condicio, dopo due film da me tanto apprezzati, cito come esempio anche una pellicola che non ho mai amato un granché: Il favoloso mondo di Amélie. Pur avendolo trovato troppo zuccheroloso per i miei gusti, è innegabile la sua influenza su un sacco di film (Amami se hai coraggio, Carissima me…) e pure serie tv (Pushing Daisies) uscite negli ultimi anni.

"Guns Suck! Spariamo a tutti quelli che le usano!"
Tutta questa pappardella di intro per dire che il film di cui parliamo oggi, The Family Tree, non rientra tra le pellicole in grado di lasciare un segno. Non esattamente.
Facciamo un altro passo indietro. Torniamo alla intro.
Anche American Beauty è un film che ha lasciato il segno e fatto dei grandi danni. Non enormi quanto Matrix e Pulp Fiction, se vogliamo, però ha prodotto una schiera di registi seguaci che volevano realizzarne la loro versione personale, come Ricordati di me, l’Italian Beauty firmato da un ancora decente Gabriele Muccino. American Beauty ha segnato un modo nuovo di raccontare la vita nei sobborghi americani, svelando l’American Nightmare che si cela dietro l’American Dream fatto di una bella casa, un bel lavoro, una bella famiglia e un bel giardino e influenzando un sacco di film e forse ancor più serie tv, da Desperate Housewives a Suburgatory.
Ed è evidente l’influenza enorme che ha avuto su questo The Family Tree.

Ecco, siamo quasi a fine post, ma siamo finalmente arrivati a The Family Tree. Il film di cui avevo intenzione di parlarvi oggi prima di partire per la tangente e di cui forse riuscirò a discutere in questa parte conclusiva di recensione o forse no, chissà chissà? Continuo a sprecare caratteri inutili, forse per gigioneggiare ancora visto che di questo filmetto non è che ci sia molto da dire? Probabile.
The Family Tree racconta di una famiglia disfunzionale, con dinamiche alla American Beauty ma senza la voce fuori campo. E questa è una differenza notevole rispetto ai tanti cloni della pellicola. La trama però è simile, sparatoria finale compresa, così come i personaggi, dalla coppia di genitori protagonisti in crisi alla figlia confusa fino al figlio vagamente psicopatico (sebbene in American Beauty questo personaggio fosse rappresentato dal figlio dei vicini).
Il film è insomma molto americanbeautioso ma senza la particolarità e lo stile americanbeautioso. La regia di Vivi Friedman è anonima è ben lontana dalla perfezione assoluta dell’allora debuttante in società Sam Mendes, mentre la sceneggiatura di Mark Lisson sembra voler dire tante cose: sulla famiglia, sulle relazioni, sull’America di oggi, questioni religiose e di armi comprese, e invece non dice un granché di nuovo.

"Beh? Mai visto delle tette?"
"Così grosse sinceramente no."
Nota di merito comunque per il valido e oltre modo variegato cast, dagli indie habitué Dermot Mulroney e Hope Davis alla sempre splendida Gabrielle Anwar (a mio modesto parere una delle donne più belle in tutti i luoghi in tutti i laghi in tutti i tempi), dal giovane attore Max Theriot (My Soul to Take e la nuova serie Bates Motel) al giovane rapper Bow Wow, fino a un sacco di presenze telefilmiche come Rachael Leigh Cook (co-protagonista di Perception), Chi McBride (Boston Public, Pushing Daisies), Keith Carradine (Dexter), Madeline Zima (La tata, Californication), fino ad arrivare alla rossa di fuoco Christina Hendricks (Mad Men, naturalmente) e a Britt Robertson, protagonista delle sfortunate serie Life Unexpected e The Secret Circle, nonché della piacevole commedia sentimentale The First Time di cui vi avevo parlato la settimana scorsa e che sto cercando di proporre al mondo come nuova Jennifer Lawrence.

Non si capisce come un cast magari non di star hollywoodiane assolute ma comunque di nomi più o meno noti così assortito sia stato convinto all together a girare questo film. Probabilmente la sceneggiatura appariva meglio su carta che non su pellicola. Perché alla fine The Family Tree si rivela il classico film derivativo. Di quelli che li guardi e ti scivolano addosso tranquillamente, ma anche di quelli che se non li guardi non ti sei perso niente.
Ci sono le grandi pellicole, quelle che lasciano il segno, quelle come American Beauty.
E poi ci sono quelle che le imitano.
The Family Tree fa senza dubbio parte della seconda categoria. Una copia, ma se non altro rientra tra le copie non troppo schifose o nocive.
(voto 5,5/10)


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