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giovedì 5 giugno 2014

DIMENTICATE I BASTARDI, ORA ARRIVANO I REGISTI SENZA GLORIA





Dopo i Bastardi senza gloria, ecco a voi i Registi senza gloria. E chi diamine sono?
Sono un gruppo di aspiranti registi che frequentano l’Accademia Romana di Cinema, capitanati da Giulio Mesneri, un tipo che, come forse potrete immaginare dal titolo, è fissato con il cinema di Quentin Tarantino. È questo in brevissimo lo spunto iniziale di questa nuova serie, attualmente in cerca di acquirenti, il cui episodio pilota verrà presentato questo sabato (7 giugno 2014) alle ore 22 al centro sociale Brancaleone di Roma. Se questo weekend siete dalle parti della Capitale, passate a buttare un occhio.
Opinione puramente personale, io un'opportunità a questa serie la darei anche solo per la presenza della splendida Diane Fleri in versione Kill Bill. Intanto vi lascio con il simpatico trailer e con il simpatico comunicato stampa di Registi senza gloria.



REGISTI SENZA GLORIA

Il 7 giugno a Roma la presentazione della puntata pilota dell’eccentrica serie ipercitazionista Registi senza gloria, ambientata in una scuola di cinema e interpretata da Carlo Fabiano, Diane Fleri e Augusto Zucchi.

Sabato 7 giugno, al centro sociale Brancaleone di Roma, verrà proiettata in anteprima la puntata pilota di Registi senza gloria. Prodotta dalla Art & Magic Pictures di Davide Borgobello, Alessandro Comisso e Federico Di Gioia con la partecipazione di Ipnotica Produzioni, questa serie esuberante e anticonvenzionale racconta la storia di Giulio Mesneri, un aspirante regista amante patologico dei film di Quentin Tarantino, spesso in preda ad allucinazioni cinematografiche, che si iscrive all’immaginaria “Accademia Romana di Cinema”.

Nel frequentare la scuola, in realtà un tugurio gestito da un improbabile direttore artistico che attribuisce con spocchia la regia di Terminator 2 ad Alfred Hitchcock, il nostro entra in contatto con tutta una serie di personaggi idiosincratici, folli e bizzarri almeno quanto lui: fra gli altri, un allievo fobico-ossessivo del corso di produzione che individua tra i principali problemi del cinema italiano la mancanza di pulizia delle maestranze sul set, un arrogante studente di montaggio che si rivolge a un aspirante direttore della fotografia intimandogli di “levarsi di torno effetto jump-cut”, uno sceneggiatore schizzinoso e vari allievi tendenti alla psicopatia. Con alcuni di loro Giulio inizierà a girare una webserie che, come si può facilmente immaginare, avrà tutte le carte in regola per essere considerato il prodotto audiovisivo più stravagante mai realizzato.

Scritta a quattro mani da Davide Borgobello (anche autore del soggetto) e Luca Leoni, Registi senza gloria fa ricorso all’arma dissacrante dell’ironia per rappresentare il mondo del cinema come un microcosmo dominato da figure in differenti modi squilibrate, ma al contempo genuinamente appassionate e capaci di dedicare ogni energia alla realizzazione dei propri sogni. Attraversando con originalità una molteplicità di generi (dal pulp alla sitcom, passando per componenti trash, psichedeliche e grottesche più o meno marcate), la serie diretta da Marco Pecchinino si alimenta di numerose trovate esilaranti ed è infarcita di citazioni del cinema contemporaneo, con un occhio di riguardo per le opere di Tarantino e di Edgar Wright.
Tra gli interpreti, spiccano i nomi del protagonista Carlo Fabiano (visto al cinema al fianco di Gigi Proietti, Luisa Ranieri ed Enrico Brignano in La vita è una cosa meravigliosa), della talentuosa Diane Fleri (Mio fratello è figlio unico, Io sono l’amore, Posti in piedi in paradiso) e dell’esperto Augusto Zucchi. Fanno parte del cast anche Mirko Bruno, Federico Lima Roque e Gabriele Farci, mentre Matteo Pinna e Andrea Bellucci sono gli autori della colonna sonora originale.

La presentazione della puntata pilota di Registi senza gloria, prevista alle ore 22 e preceduta da una rassegna di cortometraggi di alcuni giovani registi, sarà seguita dalla proiezione di Storie di una notte, una singolare detective story che rappresenta il primo episodio della webserie Your Series, ideata dall’associazione culturale Parallel Vision (con cui la Art & Magic Pictures collabora in maniera stretta) e sviluppata grazie al decisivo contributo degli utenti del web, chiamati a decidere i temi e le durate dei singoli episodi.

lunedì 8 ottobre 2012

Un post in piedi in Paradiso

"Che voto c'ha dato, quel fetentone di Cannibal?"
Posti in piedi in Paradiso
(Italia 2012)
Regia: Carlo Verdone
Cast: Carlo Verdone, Pierfrancesco Favino, Marco Giallini, Micaela Ramazzotti, Nicoletta Romanoff, Diane Fleri, Nadir Caselli, Maria Luisa De Crescenzo, Valentina D’Agostino, Giulia Greco
Genere: in crisi
Se ti piace guarda anche: Io, loro e Lara, L’amore è eterno finché dura, C’era un cinese in coma

Carlo Verdone ai tempi della crisi.
Basta una frase per riassumere per intero la sua “nuova” (si fa per dire) pellicola. Il resto, potete anche immaginarvelo da soli. Se avete familiarità con il suo cinema e soprattutto con le sue ultime prove, non avrete bisogno di una grande fantasia.
Se poi vi racconto in breve la trama, gli sviluppi successivi li capirete già da soli, senza nemmeno che io abbia il bisogno di spoilerarvi niente. Peccato, perché è un piacere perverso spoilerare. Sai che fai qualcosa di sbagliato, ma non puoi farne a meno. E allora voglio spoilerarvi il finale: alla fine tutti muoiono! Provano così a entrare in Paradiso ma sono in troppi, c’è più coda che alle poste italiane e allora rimangono in piedi. Da qui il titolo del film.

No, non è vero che va a finire così. In realtà, il vero finale è ancora più una cagata di questo.

"5? Ma come 5? Quello sta fuori!"
Torniamo alla trama del film, quella vera: Carlo Verdone e i prezzemolini del cinema italiano Marco Giallini e Pierfrancesco Favino sono tre uomini di mezza età che non si conoscono, ma che per casini personali e finanziari finiscono a vivere insieme. Espediente narrativo molto da sitcom, e infatti la inutile sitcom americana The Exes parte proprio da un’ideona del genere, che però può aprire a varie situazioni comiche e persino a riflessioni sulla situazione attuale, su come la crisi economica abbia cambiato gli stili di vita eccetera. Due porte che il film di Verdone apre anche, solo che: dal punto di vista comico è uno dei suoi film più avari di risate liberatorie e i momenti davvero esilaranti sono assenti; dal punto di vista “drammatico” è scontato, piatto, non dice niente di nuovo.

Quanto a Marco Giallini e Pierfrancesco Favino, alla faccia della crisi loro lavorano come due forsennati e dopo A.C.A.B. tornano pure a farsi vedere insieme. È vero che se la cavano discretamente bene pure qui alle prese con la commedia, almeno per gli standard nostrani, però un po’ di ricambio nelle facce del cinemino italiano no, eh?

"Carlé, ripetimi ancora: che voto hai detto che ci ha dato?"
"Solo 5, anche se c'è 'sta gran fregna della Ramazzotti con gli occhiali da hipster."
E poi, naturalmente, c’è la storia del Carletto con la donna più giovane. Che poi è il vero motivo per cui si mette d’impegno a lavorare su un film nuovo. Dopo le varie Claudia Gerini, Regina Orioli (ma che fine avrà fatto?), Natasha Hovey di Compagni di scuola (che fine avrà fatto pure lei?), la nevrotica Margherita Buy (una che era meglio perderla che trovarla) e la Laura Chiatti dell’ultimo Io, loro e Lara, è il turno ora di Micaela Ramazzotti. Micaela Ramazzotti, già ammirata in La prima cosa bella e - meglio precisarlo - NON parente dell’insopportabile Eros Ramazzotti, raccoglie in pieno il testimone di classica tipa verdoniana: immancabilmente fissata con uomini più vecchi - diciamo anche mooolto più vecchi - di lei, gnocca quanto stramba e naturalmente nevrotica. Ma non ai livelli di Margherita Buy, grazieDio.
Come gnocca bonus compare poi Diane Fleri, nei panni della ex di Verdone, perché non solo si deve fare donne molto ma molto più giovani di lui, ma deve pure divorziare da donne molto ma molto più giovani di lui.

"Tié, Cannibal. Tu su Metro ti puoi solo sognare di scrivere!"
Io comunque non gli riesco a voler del male, al Carletto. Però è davvero porello, il suo ultimo film. Dignitoso più di altre pellicole made in Italy viste negli ultimi tempi, quanto allo stesso tempo del tutto inutile e prevedibile dall’inizio alla fine. Come intrattenimento di livello medio-basso e una serata disimpegnatissima può andare bene, però io da un Verdone pretenderei ancora un intrattenimento non dico alto ma almeno di livello medio-alto. Illuso me.
E il finale super mega buonista no, Carlè. Eddaje, che ‘mme combini? Un finale così nun se pò vedè.

Carlo Verdone ai tempi della crisi. Economica, ma soprattutto di idee. Un po’ come questo post in cui sono andato a riciclare la frase di apertura per la chiusura.
Che dici, Carlé, so riciclare le idee abbastanza per poter scrivere la sceneggiatura del tuo prossimo film?
(voto 5/10)

venerdì 8 ottobre 2010

Io sono l'amore. E tu?

Io sono l’amore
(Italia 2010)
Regia: Luca Guadagnino
Cast: Tilda Swinton, Flavio Parenti, Edoardo Gabbriellini, Alba Rohrwacher, Diane Fleri, Pippo Delbono, Mattia Zaccaro
Links: imdb, mymovies
Se ti piace guarda anche: Festen, Lontano dal paradiso, La meglio gioventù

Inizia come un film nordico, ambientato in una Milano imbiancata dalla neve ma soprattutto tra le gelide mura di una casa di imprenditori alto-borghesi bauscia (i Recchi). Una scelta decisamente fredda per una pellicola intitolata calorosamente Io sono l’amore.

Va subito detto che ci troviamo di fronte a un film vertiginosamente affascinante, a una regia maestosa di un Luca Guadagnino il cui precedente è un certo imbarazzante Melissa P.
Ma un passo falso (o un film di merda) può capitare a tutti e Guadagnino stavolta si fa perdonare alla grande attraverso uno sguardo originale, ricco di bellezza, con un gusto retrò notevole ed elegante, potremmo dire classico (ad esempio nella scelta dei caratteri dei titoli di testa o nella raffinatezza della fotografia).
Sa anche sorprendere, Guadagnino, con lampi improvvisi di sogni & visioni dei personaggi e continui cambi di registro: se nella prima parte la pellicola sembra avviarsi ad essere un tipico melò, la seconda ambientata a Sanremo stravolge tutto, con una scena d’inseguimento alla Brian De Palma e una deriva sentimental/sessuale tra due personaggi. E alla terza parte cambia ancora: c’è una breve tappa a Londra e poi esplode in tutta la sua componente melodrammatica preannunciata all’inizio e poi accantonata. Per dovere di cronaca, accanto ai complimenti fin qui fatti va anche notato come la seconda e la terza parte risultino un po’ meno riuscite e il finale vada nella direzione di una epicità eccessivamente esasperata.

Il film mette così in evidenza tutti i pregi ma anche i limiti del nostro nuovo cinema Paradiso: ci sono in giro registi validi, dotati di un gusto visivo davvero notevole, ma ciò non corrisponde sempre a sceneggiature dello stesso livello. In quella di Io sono l’amore, curata tra gli altri dallo stesso Guadagnino, ci sono buchi e cali di tensione evidenti, soprattutto verso la fine.
Il reparto attori è poi piuttosto preoccupante. Gli interpreti italiani davvero bravi si contano sulle dita di una mano: Toni Servillo, Filippo Timi e Alba Rohrwacher lavorano già tanto, tantissimo, non possono comparire in tutti i film. Meglio ovviare a questa penuria chiedendo aiuto all’estero come ha fatto Guadagnino, affidandosi al volto gelido dell’inglese Tilda Swinton, oppure sarebbe il caso di alzare il livello qualitativo delle nostre fiction televisive, che dite? Se negli Usa o in Inghilterra le serie tv rappresentano infatti per gli attori una ottima palestra (anzi, a volte ormai sono molto meglio del cinema stesso), da noi la situazione è radicalmente diversa. Non è un caso allora che altri due ottimi attori di questo cast (il virziniano Edoardo Gabbriellini e la stupenda Diane Fleri) arrivino da I liceali, una delle rarissime eccezioni di qualità in un panorama televisivo italico mai come ora in coma.

Il mio pollice sta quindi su su su per Luca Guadagnino e il suo Io sono l’amore, tra i pochi film italiani recenti applauditi da pubblico e critica anche negli Usa, però rimane l’impressione che con una sceneggiatura più solida e qualche svolta mucciniana in meno nella parte conclusiva ci saremmo trovati di fronte a un capolavoro. O giù di lì.
(voto 7,5)

venerdì 28 maggio 2010

Yo fratello! (Mio fratello è figlio unico, Daniele Luchetti)

Mio fratello è figlio unico
(Italia, 2007)
Regia: Daniele Luchetti
Cast: Elio Germano, Riccardo Scamarcio, Diane Fleri, Luca Zingaretti, Anna Bonaiuto, Alba Rohrwacher, Angela Finocchiaro, Ascanio Celestini

“Mio fratello è figlio unico”, cantava Rino Gaetano, “perché non ha mai criticato un film senza prima prima vederlo”


Grazie alla vittoria a Cannes di Elio Germano per la sua interpretazione in La nostra vita (attualmente nelle sale), ho ripescato questo precedente film di Daniele Luchetti che fino ad ora avevo sfortunatamente mancato.
Nella Latina degli anni Sessanta, Elio Germano qui è Accio, uno dalle idee mutevoli e non proprio chiare che parte dal seminario per diventare prete, poi diventa fascio e quindi diventa comunista (non a caso, il libro da cui è tratta la pellicola si chiama proprio Il fasciocomunista). C’è molta Italia, anzi Itaglia, in questo film. Dalla battaglia tra ideologie così contrastanti che nel nostro paese è sempre stato (e in parte lo è ancora) vivo come forse in nessun altro paese, alla meglio musica dell’epoca (grandiosi i due pezzi di Nada presenti: Ma che freddo fa e Amore disperato).
Elio Germano è ottimo nel disegnare un personaggio sfaccettato dotato di una certa confusione esistenziale e allo stesso tempo anche di una grande energia e vitalità, Riccardo Scamarcio ha gioco facile nella parte del bel tenebroso di sinistra che non gli richiede nemmeno lo sforzo di recitare, e Diane Fleri è irresistibile con quel suo marcato accento francese e quel neo vicino alla bocca (ma questa per chi seguiva I liceali non è certo una novità).
Il film vive nel suo stare vicino ai personaggi, nel disegnare un’Italia anni ’60 con i suoi difetti ma ancora il suo fascino. Quello che oggi ha in gran parte perso.
(voto 7)

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