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venerdì 26 luglio 2013

KEVIN SPACEY DAY: IL DERELITTO FITZGERALD




Kevin Spacey è un caratterista. Non è un insulto. Non ho detto che è un figlio di puttana. Ho solo detto che è un caratterista e il mondo ha bisogno di caratterisiti. Tutti a osannare e a celebrare i vari Tom Cruise, Leonardo DiCaprio, Brad Pitt, Johnny Depp, Will Smith (hey, un momento, chi è che celebra Will Smith?) e i riflettori sono sempre puntati su di loro, i protagonisti, i protagonistoni. I film vivono però anche di non protagonisti e Kevin Spacey è uno splendido rappresentante di questa categoria. Fino a un certo punto della sua carriera, almeno.
Dopo una serie di particine più o meno piccole, come quella spassosa in Una bionda in carriera, Kevin Spacey ha elevato la figura del non-protagonista a quella di protagonista assoluto. Per farlo, gli sono bastati due ruoli nel giro di pochi mesi, due personaggi misteriosi e inquietanti come pochi: Keyser Söze de I soliti sospetti, che ha dato un significato nuovo al termine “colpo di scena”, e John Doe, il killer seriale di Seven.
Gabriel Byrne, Benicio Del Toro, Brad Pitt, Morgan Freeman… Tutti spazzati via da quel Kevin Spacey, diventato negli Anni Novanta il non-protagonista per eccellenza.
Questo fino ad American Beauty, la sua intepretazione più fenomenale e allo stesso tempo anche quella che più l’ha ingabbiato in uno stereotipo. Se con I soliti sospetti e Seven si era ritagliato la nomea di pericoloso pazzo psicopatico a sorpresa dei film, con Lester Burnham ha dato vita a un personaggio apparentemente normale, un classico uomo medio in crisi di mezza età, da cui ha però fatto fatica ad affrancarsi. Quella parte strepitosa l’ha fatto diventare un protagonista, un ruolo che, al di là di American Beauty, non gli si addice più di tanto, e infatti i suoi film successivi si sono rivelati tutti più o meno dimenticabili. Nella recente serie tv House of Cards offre un’altra grande prova d’attore protagonista, è vero, eppure Kevin Spacey per me è stato ed è specialista soprattutto in un'altra cosa, come è tornato a dimostrare nella sua pellicola migliore degli ultimi anni, Margin Call, e come conferma anche nel film di cui vi parlerò oggi: Kevin Spacey è specialista nel fare il non-protagonista.

"Non credevo di trovare uno più fulminato di Donnie Darko, e invece..."
Il delitto Fitzgerald
(USA 2003)
Titolo originale: The United States of Leland
Regia: Matthew Ryan Hoge
Sceneggiatura: Matthew Ryan Hoge
Cast: Ryan Gosling, Jena Malone, Don Cheadle, Michelle Williams, Chris Klein, Kevin Spacey, Lena Olin, Martin Donovan, Ann Magnuson, Sherilyn Fenn, Kerry Washington, Michael Pena, Michael Welch, Wesley Jonathan
Genere: omicida
Se ti piace guarda anche: Rectify, Twisted, American History X, Blue Valentine

Considero Kevin Spacey fenomenale nei suoi tre ruoli più celebri sopra citati (I soliti sospetti, Seven e American Beauty), mentre per il resto lo stimo moltissimo, è un interprete più che buono, ma non lo considero tra i miei preferiti in assoluto. Mi piace, ma non arriverei a dedicargli una canzone come ha fatto Caparezza. Eppure sono particolarmente felice che questo mese l’associazione di blogger cinematografici riuniti di cui faccio parte abbia deciso democraticamente di celebrare come attore del mese Kevin Spacey, che oggi 26 luglio compie 54 anni.
Perché?
Perché l’alternativa mensile era festeggiare Sylvester Stallone, uno dei peggiori attori di sempre, e quindi ben venga il Kevin Spacey Day. In più, questa ricorrenza mi ha dato l’opportunità di recuperare un film che avevo sempre tenuto in un angolino in attesa di una visione ora finalmente arrivata. A spingermi a guardare finalmente Il delitto Fitzgerald è stato un cast di quelli stellari. Non c’è solo Kevin Spacey, ma ci sono anche dei miei preferiti assoluti come Ryan Gosling e Michelle Williams, i cui personaggi qui non si incrociano sullo schermo, ma che poi ritroveremo insieme in Blue Valentine. Oltre a un trio di attrici che amo particolarmente come Jena Malone, la girlfriend di Donnie Darko nonché ragazzina di Nemiche amiche, Kerry Washington futura star di Django Unchained e della imperdibile serie tv Scandal, e Sherilyn Fenn, mai dimenticata Audrey di Twin Peaks.
Com’è che un film con un cast che sembra uscito dai miei sogni me l’ero perso?
Misteri della fede, ma grazie a questo utilissimo Kevin Spacey Day, eccolo recuperato.

"Io che sono stata con Dawson ti garantisco che quello è più
fuori di Donnie Darko e di Leland/Ryan Gosling messi insieme."
Sarebbe stato un delitto, perdersi un film del genere. Non che sia un capolavoro o una pietra miliare assoluta, ma ha dalla sua una certa forza. Si sente che il regista e sceneggiatore Matthew Ryan Hoge c’ha messo dentro tutto se stesso. A tal punto che da allora, e son passati 10 anni, ancora non ha realizzato un nuovo lavoro. Cosa avrà combinato dopo? Sarà finito anche lui in galera, come il protagonista di questo film mezzo indie e mezzo no?
Il delitto Fitzgerald è proprio la storia di un delitto. Ma vaaaaa?
Non aspettatevi però un crime, indagini o altre cazzate alla CSI. Il caso fin dall’inizio è stato risolto. Non ci sono dubbi su quanto è successo. Fin dall’inizio sappiamo cosa è capitato. Il giovane Leland P. Fitzgerald ha fatto fuori un ragazzino autistico, fratello della sua tipa/ex tipa. Il mistero è: perché l’ha fatto?

Per scoprirlo, ci addentriamo in un thriller non criminale, ma dell’anima.
A CANNIBAL, MA CHE STAI A DDI’?
Può sembrare una di quelle frasi pretenziose, mi dichiaro colpevole, però è così. Il delitto Fitzgerald cerca di indagare dentro l’anima del suo protagonista, un ragazzo che vive nel suo mondo e allo stesso tempo è in forte contatto empatico con le altre persone, una figura liberamente ispirata a Lo straniero di Albert Camus e portata sullo schermo da Ryan Gosling con il suo solito stile tanto indolente e apatico, quanto perfetto per questo genere di personaggi.
Sono questi i crime che preferisco. Quelli come la nuova consigliatissima serie tv Rectify. Quelli che indagano sui personaggi e sulle motivazioni, più che sull’omicidio in sé. Per quelli basta la densa pagina di cronaca di Studio Aperto.

"E' il Kevin Spacey Day e io non sono manco il protagonista del post?
Cannibal, ti mando Keyser Söze."
Oltre a farci scoprire poco a poco il suo protagonista, grazie al prof. Don Cheadle che vuole scrivere un libro a lui dedicato, Il delitto Fitzgerald cerca di scavare anche all’interno della vita delle due famiglie che sono state sconvolte dall’omicidio. La famiglia della vittima, con le due sorelle diverse Jena Malone e Michelle Williams, i cui personaggi non incidono purtroppo del tutto, e la famiglia dell’assassino. È qui che entra in gioco il nostro protagonista/non-protagonista della giornata. Kevin Spacey interpreta il padre di Leland/Ryan Gosling, lasciando per una volta ad altri il ruolo del pazzo omicida. Qui Kevin Spacey è uno scrittore di grande fama che non ha mai avuto un grosso rapporto con il figlio. Attraverso la sua solita recitazione sottile, con quell’immancabile velo dark che regala a quasi ogni sua interpretazione, Spacey dona spessore a una figura che, così come gli altri personaggi minori della pellicola, rimane sullo sfondo. Qui sta il limite di un film che in compenso ha alcuni momenti di notevole bellezza, una piacevole colonna sonora alternative rock molto Pixies e ha soprattutto il pregio di regalarci un grande protagonista, Leland/Ryan Gosling. Misterioso e inquietante, come i personaggi migliori interpretati dal suo papà in questa pellicola Kevin Spacey nel corso della sua carriera. Una carriera da non-protagonista per un post che l’ha visto non-protagonista nel suo stesso Kevin Spacey Day.
(voto 7/10)


Partecipano alle celebrazioni del Kevin Spacey Day anche i seguenti blog:

50/50 Thriller
Cinquecentofilminsieme
Combinazione casuale
Cooking Movies
Director's Cult
Ho voglia di cinema
Il Bollalmanacco di Cinema
In Central Perk
Montecristo
Scrivenny
Triccotraccofobia
Viaggiando (meno)
White Russian Cinema


martedì 21 maggio 2013

UOMO AIRONE 3


Iron Man 3
(USA, Cina 2013)
Regia: Shane Black
Sceneggiatura: Drew Pearce, Shane Black
Cast: Robert Downey Jr., Gwyneth Paltrow, Don Cheadle, Guy Pearce, Rebecca Hall, Ben Kingsley, Jon Favreau, James Badge Dale, Ty Simpkins, Stephanie Szostak, William Sadler, Rebecca Mader, Stan Lee
Genere: eroino
Se ti piace guarda anche: Iron Man, Iron Man 2, The Avengers, Thor, Captain America

Chi sono io?
Qual è la mia missione nella vita?
Sono un supereroe o un supercattivone?
Un film come Iron Man 3 può sembrare una stronzata colossale, un giocattolone fracassone stupidone one one one, e probabilmente è davvero così sì sì sì. Eppure l’ho trovato anche una pellicola dagli inaspettati risvolti esistenziali, almeno per me. Mi ha fatto comprendere la mia vera natura. Ma andiamo con ordine.

Iron Man 3 sta sfracellando vari record d’incasso e si sta rivelando un successo clamoroso, superiore persino a quello già notevole dei primi due capitoli e vicino vicino a quello assurdo di The Avengers dell’anno scorso. Com’è possibile ciò?
Fondamentalmente, è un film costruito con tutti gli ingredienti giusti piazzati al punto giusto per piacere al pubblico giusto. Anzi, per piacere a tutti: uomini e donne, grandi e piccini, giovani e vecchi (lo so che è la stessa categoria di grandi e piccini, l’ho messa giusto per far sembrare che esistano più categorie). In pratica, è impacchettato come una volta facevano i cinepanettoni da noi, prima che il pubblico italiano si stufasse. Ci sono voluti circa 30 anni perché si stufasse, quanto ci vorrà prima che il pubblico internazionale si stufi dei film prodotti in serie sui supereroi?

Iron Man 3 è l’apoteosi del cinepanettone supereroico. La canzone d’apertura sarebbe perfetta per un  cinepanettone. Probabilmente è stata anche davvero usata in uno dei cinepanettoni del passato. Il pezzone scelto è “Blue” dei "nostri" Eiffel 65. All’estero della nostra musica conoscono “Volare”, le colonne sonore di Ennio Morricone e poi “Blue” degli Eiffel 65. Che culo. Il suo utilizzo è un espediente per farci capire che il film inizia con un flashback e siamo nel 1999. Una canzone migliore per farcelo capire, no eh? Tra l’altro mi aspettavo fosse usata almeno in maniera più ironica, potevano accennare un balletto o che so io, e invece niente. “I’m blue da ba di da ba da.” Più che in Iron Man, la vedrei bene nel sequel di Avatar.

"Chris, ma come ti sei conciato? Non ti facevo così perverso a letto..."
Il flashback ambientato nel passato ci introduce alla storiona del film. Una di quelle vicende molto fumettistiche finto complesse, in cui si mettono dentro più cattivoni, più sottotrame, un sacco di personaggi inutili, ma tutto si riduce a una cosa sola: il Bene contro il Male. Dalla parte del bene c’è lui, l’eroe che è tornato.
Chi?
Massì che lo conoscete. Il miliardario. Quello che si crede di essere un grande playboy nonché il salvatore dell’umanità…
Silvio Berlusconi?
No, che avete capito? Mi riferisco a Tony Stark, in arte Iron Man aka Robert Downey Jr.. Lui con quella smorfiosetta spenta di Gwyneth Paltrow. Che palle. Quand’è che la scarica, così prendono una tipa più gnocca al suo posto?
Una delle poche soddisfazioni nei film sui supereroi sono le gnocche che prendono come protagoniste femminili, e qui ci tocca sorbirci la mogliettina di Chris Martin? People Magazine l’ha anche eletta donna più bella del mondo del 2013, ma stiamo scherzando???

Ben Kingsley in una scena di Iron Man 3
Bene, cioè male, cioè bene. Questa era la parte del Bene. Non un granché, se devo esprimere la mia sincera opinione.
Il Male invece chi schiera?
Un tridente composto da Rebecca Hall, che non sarà una topolona assoluta però è già 1000 volte meglio della Paltrow, Guy Pearce che a me non è mai piaciuto ma come cattivo ci può stare, e Ben Kingsley. Ben Kingsley che interpreta il Mandarino, ennesimo cattivone terrorista simil-Bin Laden, com’è ormai consuetudine nel post-11 settembre. Ma non abbiamo già visto qualcosa del genere ne Il cavaliere oscuro? E ne Il cavaliere oscuro - Il ritorno? E in The Avengers? E vogliamo pure menzionare Javier Bardem nell’ultimo 007? E i cattivi di qualunque altro film supereroistico o più in generale action degli ultimi 12 anni?
Tra l’altro il Mandarino è uno dei cattivi più ridicoli nella storia del cinema. Sì, forse e dico forse ancor più ridicolo di Voldemort!
E tra l’altro assomiglia a Splinter, il pappone delle Tartarughe Ninja.

Prima di iniziare le riprese, Jon Favreau si è sottoposto alla dieta Muccino.
ATTENZIONE SPOILER
Poi però si scopre che il grande cattivone del film in realtà non è lui, bensì Guy Pearce. Che colpone di scena! Il discorso fatto sopra comunque non cambia: anche lui è un villain parecchio stereotipato, nonché il solito esaltato terrorista che grida vendetta già visto nei film citati e pure in altri che mi sono dimenticato.
"Basta, volto le spalle schifata a questa recensione!"
A variare un po’ la solita formula già collaudata dai primi due episodi, visto che questo è un terzo capitolo e bisogna pur inventarsi qualche cosa di nuovo, ecco una novità: il bimbominkia. Quando non si sa cosa fare in un terzo episodio di una saga, si tira fuori un figlio, una figlia, un nipote, oppure, come in questo caso, un bambino preso a caso dalla strada che va bene lo stesso. Perché questo, ve l’ho detto, è un film per grandi e piccini. I grandi saranno contenti per una certa dose di ironia e di battutine old-school presenti, peccato che sia tutto materiale che apparirebbe di seconda mano anche in un action movie degli anni ’80. I piccini sono invece accontentati dalla comparsa del piccolo  Ty Simpkins, già bimbo inquietante di Insidious, che qui è davvero un bimbominkia, e dei più fastidiosi immaginabili.

Grandi e piccini, ggiovani e vvecchi sono dunque accontentati, così come è felice sia il pubblico maschile che quello femminile. Gli uomini, si sa, vanno in brodo di giuggiole con robottoni, esplosioni, sparatorie, inseguimenti e tutti questi altri stereotipi da Men’s Health. Le donne invece possono rifarsi gli occhi con il bel dongiovanni Robert Downey Jr. e con una Gwyneth Paltrow che vivrà i suoi momenti da eroina…

"Riesci a crederci? Siamo apparsi in Iron Man 3!"
"Siamo a inizio '900, che minkia è Iron Man 3?"
Quanto succede poi ve l’ho già detto e tanto già lo sapevate: c’è una lotta tra Bene e Male e indovinate chi vince?
Male, vince il Bene. Cioè Bene, se siete delle persone che tengono per il Bene, male se invece come me tifavate per il Male.
Consolazione: ammazzano il capo delle guardie di Iron Man, Jon Favreau, evvai! No, è solo un’illusione. Finisce in coma, ma è ancora vivo. Purtroppo. E figuriamoci se non era per giunta un fan della serie più lagnosa della tv, Downton Abbey. Per fortuna, se non altro Favreau a questo giro ha abbadonato la (pessima) regia, lasciando la macchina da presa a Shane Black, regista di Kiss Kiss Bang Bang, che non è un fenomeno ma almeno se la cava meglio del Favreau, autore dei due precedenti episodi.

E poi? Che altro c’è ancora?
C’è il finale. Un finale stucchevole, in cui tutto va a finire bene che più bene per il Bene non si può, con tanto di frase di chiusura più da spot pubblicitario che da sceneggiatura cinematografica. Una frase che però mi ha fatto comprendere la mia missione. Il mio scopo nella vita. Potete togliermi tutto, ma c’è una cosa che nessuno mi toglierà mai. Io sono Cannibal Kid e il mio compito è quello di combattere i film sui supereroi.
(voto 5/10)

lunedì 28 gennaio 2013

FLIGHT: ALLACCIATE LE CINTURE, IL PILOTA E' STRAFATTO

"Hey, chi è quel pallone gonfiato? Mi sembra di conoscerlo..."
Flight
(USA 2012)
Regia: Robert Zemeckis
Sceneggiatura: John Gatins
Cast: Denzel Washington, Kelly Reilly, Don Cheadle, Bruce Greenwood, Nadine Velazquez, Tamara Tunie, Brian Geraghty, John Goodman, James Badge Dale, Melissa Leo
Genere: alcolizzato
Se ti piace guarda anche: Eroe per caso, Via da Las Vegas

Si prega i gentili passeggeri di allacciare le cinture di sicurezza. Sono previste turbolenze e un viaggio non tra i più sereni. Il rischio che questo post precipiti nel vuoto totale è altissimo. Ma tranquilli, a parte questo non c’è niente di cui preoccuparsi. Prendete pure uno stuzzichino e fatevi un cicchetto. Pure il capitano se l’è fatto.
Un cicchetto? Diciamo anche più di uno.

"Ah, ecco chi è: Cannibal Kid. Sì, è proprio lui."
Denzellone Washington è un pilota che passa una nottata di sesso, droga, alcool e rock’n’roll con un’assistente di volo. Dico assistente di volo perché hostess potrebbe essere considerato dispregiativo. Come dire spazzino anziché operatore ecologico. O puttana invece di escort. O ladro invece di politico.
C’è gente sensibile in giro e quindi bisogna stare attenti a come e a quali parole usare.
Dopo una nottatina del genere non proprio tranquilla, Denzellone si presenta al lavoro in veste di sobrio e affidabile Capitano stile Schettino. Solo che governa un aereo di linea e non una nave da crociera. Fine delle differenze tra i due, fondamentalmente.
Capirete quindi che il volo da lui capitanato potrebbe non andare a finire nel migliore dei modi…

Che cosa mi aspettavo da un film come Flight?
Mi aspettavo un volo tranquillo, la classica vicenda moralista in perfetto stile hollywoodiano, diretta in maniera impeccabile dalla garanzia Robert Zemeckis e in parte è proprio così. In parte invece riesce a essere anche un viaggio più sorprendente, turbolento e movimentato.
Come un volo Ryanair.
Flight riesce a tenerti incollato sulla tua poltroncina con la cintura bene allacciata dall’inizio alla fine, nonostante la durata oltre le due ore. Cosa che non è capiti con tutti i film. Io pensavo già di mettere in conto un po’ di noia, invece niente noia.
La parte iniziale scaraventa subito nel cuore della vicenda. Se le scene di incidenti aerei, da Lost a Final Destination, riescono spesso a impressionare, qui Robert Zemeckis ci regala (ma tante grazie!), un’altra sequenza che ci rimarrà per sempre nella memoria e si ripresenterà davanti ai nostri occhi ogni volta che saliremo su un aereo. O anche solo quando penseremo di prenotare un volo sul sito di qualche compagnia low-cost.
Il picco di tensione la pellicola ce lo fa vivere dunque all’inizio, ma il resto della vicenda ci tiene in volo ad alti livelli insieme al protagonista Denzel Washington. Non possiamo alzarci per sgranchirci le gambe. Non possiamo slacciarci la cintura di sicurezza nemmeno per un istante, che non si sa mai. Dobbiamo restare seduti accanto a lui e vedere cosa combina. Non ci si può alzare fino all’arrivo, anche se si vorrebbe andare a fare sesso ad alta quota in bagno con la protagonista femminile, Kelly Reilly.
Che figa è Kelly Reilly?
Di jessicachastaniane proporzioni, ecco che tipo di figa è.

"Kelly, io ci sto provando a fare un discorso serio senza guardarti le tette.
Davvero, ci sto provando... ma è umanamente impossibile!"
E che film è, Flight?
Una pellicola su un disastro aereo, si direbbe a un’occhiata da terra. Una pellicola sulla classica storiona dell’eroe americano che salva la situazione nella maniera più incredibile possibile. Fosse un film con Will Smith, probabilmente sarebbe così. Ma questo è un film con Denzel Washington e le cose sono un pochino diverse.
Flight è un viaggio sì, ma dentro la vita di un uomo con dei problemi. Un alcolizzato che non vede il figlio da una vita. Un eroe che forse non è un eroe bensì è il responsabile di una strage.
Flight è il racconto di un disastro sì, ma di un disastro umano più che aereo. Il film vola ad alta quota soprattutto quando si concentra sulle debolezze del protagonista e Denzel Washington è bravissimo a dargli vita in tutta la sua complessità. Quando uno vede candidato agli Oscar il nome di Denzel Washington potrà anche pensare: “Che fantasia, l’Academy!” però in effetti la sua nomination ci sta tutta. È davvero grandioso.
Fanno un figurone pure i comprimari, la bellissima ma pure bravissima già citata Kelly Reilly, un Don Cheadle (guardatelo anche nella strepitosa serie tv House of Lies!) perfetto avvocato, una Nadine Velazquez ignuda, un grandissimo James Badge Dale in versione malato terminale e un John Goodman idolo come procuratore di droga personale del protagonista.

"Meno male che al meteo davano giusto due gocce...
La volta in cui ci azzeccano, mi sa che fanno nevicare."
Riguardo al regista Robert Zemeckis, con lui ho un rapporto conflittuale. Gli sarò sempre eternamente grato per avermi regalato Ritorno al futuro, un film anzi una saga fondamentale per me e credo non solo per me. Con altri suoi film come Forrest Gump e Cast Away, complice l’insopportabile Tom Hanks, il rapporto è invece decisamente meno d’amore. Riguardo ai suoi ultimi esperimenti d’animazione Polar Express, La leggenda di Beowulf e A Christmas Carol il rapporto è proprio inesistente, manco li ho guardati. L’avevo insomma un po’ perso di vista, lo Zemeckis, ma qui l’ho ritrovato in ottima forma, soprattutto nella prima parte dove, oltre alla notevole scena dell’incidente aereo, ci regala anche qualche inaspettato momento “tossico” con Kelly Reilly.

La sceneggiatura nominata anch’essa ai premi Oscar di John Gatins è di quelle hollywoodianamente impeccabili, con ottimi dialoghi e un ritmo narrativo sempre elevato. Tra gli aspetti non del tutto convincenti c’è invece la colonna sonora. Per essere bella è bella, però è parecchio scontata: Rolling Stones, Marvin Gaye, Joe Cocker, Red Hot Chili Peppers, Beatles. Tutte ottime canzoni, ma già strasentite e pure strausate in altre pellicole.
Laddove il film va a finire dentro nubi pericolose è però soprattutto proprio dove era riuscito a tenersi a distanza per quasi tutta la sua durata, ovvero dentro le nubi del moralismo. Per una pellicolona americana del genere, era impensabile che non si finisse proprio lì. E infatti…

ATTENZIONE SPOILER
Il finale del film è moraleggiante, c’è poco da fare. Però comunque la scelta del protagonista di smettere finalmente di bere e decidere ancor più finalmente di dire la verità non coincide con un’illuminazione divina, piuttosto con la volontà di cambiare per sé e per il figlio. Il film inoltre non ci mostra le droghe o l’alcool come qualcosa di sbagliato perché è la società che ci dice che sono sbagliati e non si usano e basta, perché se no si è dei cattivoni. La morale del film è che è possibile liberarsi da ciò che ci tiene imprigionati, nel caso del Denzellone dal suo alcolismo.
Delle paternali ne faremmo sempre volentieri a meno, però visto che in una pellicolona hollywoodiana come questa non potevano proprio farcela mancare, alla fine quella che hanno tirato fuori non è nemmeno tanto male e ce la portiamo casa, mentre finalmente possiamo togliere la cintura ed essere sollevati per essere arrivati a destinazione sani e salvi. Con un viaggio più movimentato, ma anche più interessante, di quanto ci saremmo aspettati al check-in.
(voto 7,5/10)


venerdì 16 marzo 2012

House of Lies: Con questa faccia da... bugiardo

House of Lies
(serie tv, stagione 1, episodi 1-6)
Rete americana: Showtime
Rete italiana: non ancora arrivata
Creata da: Matthew Carnahan
Cast: Don Cheadle, Kristen Bell, Josh Lawson, Ben Schwartz, Dawn Olivieri, Glynn Turman, Donis Leonard Jr., Greg Germann, Megalyn Echikunwoke, Griffin Dunne
Genere: yuppies 2.0
Se ti piace guarda anche: Dirt, Californication, Nip/Tuck, Margin Call

House of Lies non vi piacerà.
È una serie stronza piena di personaggi stronzi che sono stronzi pieni di soldi che lavorano per degli altri stronzi pieni di soldi per farli diventare ancora più stronzi e ancora più pieni di soldi.
House of Lies non vi piacerà, almeno se cercate modelli di vita positivi. Eroi esistenziali. Qui dentro non ne troverete. Ciò che troverete sarà invece un branco di yuppie 2.0 che fanno un lavoro non semplice da spiegare a parole. Nemmeno loro saprebbero spiegarvelo in maniera chiara. In pratica sono un gruppo di consulenza per le aziende. Quando una compagnia sta per finire in bancarotta, oppure ha un qualche problema, o ancora vorrebbe ampliare il proprio giro di affari ma non sa come fare, allora chiama loro. I consulenti esterni. Delle sanguisughe che cercheranno non tanto di risolvere i problemi aziendali, quanto crearne di nuovi in modo da trarre il maggiore profitto personale possibile. Non proprio eroi esistenziali. Soprattutto in epoca di recessione.

Il protagonista di House of Lies non vi piacerà.
Avete presente Dirt? La serie tv con protagonista Courteney Cox, la mora di Friends e di Scream? La serie in cui lei era Lucy Spiller, direttora del giornale scandalistico più senza scrupoli e più senza peli sulla lingua del mondo telefilmico? Quella super bitch di Lucy Pinder?
Comprende?
No comprende?
In ogni caso, il creatore di House of Lies è lo stesso di Dirt: Matthew Carnahan. House of Lies è il suo nuovo show ed è in perfetto stile Showtime, il network americano che trasmette anche Californication, Dexter, Homeland, Shameless e Weeds. Cosa che significa: sesso, tanto sesso, tante scene di sesso e di nudo, turpiloquio abbondante e situazioni esplicite da vietato ai minori e da mettere in subbuglio l’America puritana. E pure l’Italia puritana.

"Ahahah, sei più divertente di Cannibal!
Cioè comunque molto poco divertente..."
Matthew Carnahan non vi piacerà.
È una mente malata e perversa, incapace di creare personaggi buoni. Cosa che non significa che non sia capace di creare personaggi interessanti. Tutt’altro.
Come il protagonista di questa serie.
Il protagonista di questa serie non vi piacerà.
Marty Kaan, interpretato da un Don Cheadle più gigione e faccia da schiaffi che mai, è un uomo sicuro di sé al 100%, è ricco, è affascinante, ha successo con le donne e nel suo lavoro, qualunque lavoro sia, è un fenomeno. Sì, il classico tipo che sembra avere una risposta a tutto e a cui tutto sembra andare bene.
Naturalmente, le cose sono più complesse di così. La sua ex moglie è infatti una supa dupa bitch, roba che al confronto Lucy Spiller era Madre Teresa di Calcutta. Suo figlio è un tween dalla sessualità confusa che si veste e si comporta come una ragazza. Suo padre, che vive insieme a lui, è un vecchio erotomane. Il suo nuovo boss al lavoro fa di tutto per mettergli il bastone tra le ruote. In più, sembra avere delle questioni irrisolte per via della madre morta. Suicida.
Nonostante quest’ultima parte potrebbe farvelo apparire più simpatico e umano, la cosa non funziona un granché. Marty Kaan continuerà a non piacervi. Anche perché fa quella cosa.
Quale cosa?
Fa quella cosa di parlare ogni tanto alla telecamera, rivolto direttamente a noi spettatori che lo stiamo a guardà. Marty Kaan, con il suo atteggiamento da sapientino, ogni tanto infatti stoppa la messa in scena per spiegarci meglio alcune cose, come i dettagli specifici sul suo lavoro o altre menate del genere. È questa la particolarità della serie. Il giocare faccia a faccia con lo spettatore.
Considerando però come il titolo sia House of Lies, non è che ci sarà qualcosa che Marty il so tutto io, Marty la poker face ci nasconde? Qualche bugia?

"Ciao, bella bambina... Ah, sei un bambino? Ehm, mi sa che mi parte l'aereo!"
Un po’ più di simpatia la potreste provare per gli altri personaggi. Però pure loro andandoli a osservare meglio non è che siano dei gran simpaticoni. Pure loro hanno più ombre che luci. Ritroviamo l’ex Veronica Mars Kristen Bell e all’inizio sembra l’unica in grado di contrapporsi a Marty. Sembra l’unica dotata di una morale. Sembra voler gestire le cose in maniera differente, ma presto scopriremo che pure lei non è così differente da Marty e pure lei a forza di stare con un team di uomini si comporterà da perfetto uomo. Da perfetto uomo yuppie stronzo, intendo.
Gli altri due membri del team sono un’accoppiata di cazzari: uno più piacione che vorrebbe raccogliere l’eredità di Marty, l’altro invece più nerd e goffo. È forse lui l’unico personaggio, insieme al figlioletto di Marty, per cui poter simpatizzare apertamente senza apparire per stronzi. Perché House of Lies, tra l’altro già confermato per una seconda stagione, è in realtà una house of assholes.
E quindi, come già vi ho detto: House of Lies non vi piacerà.
Bugia.
(voto 7+/10)

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