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giovedì 16 aprile 2020

Bliss: la droga fa male, almeno a questo film





Bliss
(USA, 2019)
Regia: Joe Begos
Cast: Dora Madison, Rhys Wakefield, Tru Collins, Jeremy Gardner, Graham Skipper

Va bene. Aveva tremila film osannati in lungo e in largo da recuperare, ma mi sono detto: "Perché  guardare qualcosa di probabilmente bellissimo, quando posso puntare su questo horrorino sfigato che non s'è filato nessuno? Magari scopro una chicca nascosta della cinematografia contemporanea". Il film in questione si chiama Bliss e le cose non sono andate esattamente come speravo. D'altra parte, quando mai le cose vanno come speriamo, specie nell'ultimo periodo?

venerdì 26 gennaio 2018

Barry Seal – Una storia tomcruisiana





Barry Seal – Una storia americana
Regia: Doug Liman
Cast: Tom Cruise, Sarah Wright, Domhnall Gleeson, Caleb Landry Jones, Jayma Mays, Jesse Plemons, Lola Kirke, Alejandro Edda, Mauricio Mejía


Tom Cruise negli anni '80 faceva il pilota. Questo già lo sappiamo. Abbiamo visto tutti Top Gun. Quello che quel film non ci diceva, era però che il bel Tom all'epoca aveva anche un secondo mestiere. E pure un terzo. E pure un quarto...

sabato 26 agosto 2017

Urge: il “Bradley Cooper movie”, solo senza Bradley Cooper






Urge
Regia: Aaron Kaufman
Cast: Justin Chatwin, Ashley Greene, Pierce Brosnan, Danny Masterson, Alexis Knapp, Chris Geere, Bar Paly, Jeff Fahey


Urge racconta di un weekend da sballo fatto da un gruppo di amici, o quasi amici, che provano una droga nuova. In pratica si tratta di una specie di incrocio tra Una notte da leoni e Limitless. Ovvero un “Bradley Cooper movie” all'ennesima potenza. Solo che c'è da rilevare un piccolo dettaglio: questo è un Bradley Cooper movie, solo senza Bradley Cooper.

mercoledì 30 settembre 2015

Narcos, la serie che crea più dipendenza della cocaina





Narcos
(serie tv, stagione 1)
Rete americana: Netflix
Rete italiana: in arrivo su Netflix Italia a ottobre
Creata da: Carlo Bernard, Chris Brancato, Doug Miro, Paul Eckstein
Cast: Boyd Holbrook, Wagner Moura, Pedro Pascal, Joanna Christie, Luis Guzmán, Paulina Gaitan, Stephanie Sigman, Danielle Kennedy, Juan Pablo Raba, Bruno Bichir, Alberto Ammann, Vera Mercado
Genere: roba buena
Se ti piace guarda anche: Gomorra - La serie, 1992, Breaking Bad

La vuoi una roba giusta?
La vuoi una roba buena?
La vuoi una roba che non ti fa dormire la notte?
La vuoi una roba che ti dà una botta più di qualunque droga tu abbia mai provato?
Ce l'ho io. Si chiama Narcos. È la nuova serie tv di Netflix. Ti offro la prima dose gratis. La puntata pilota è una vera e proprio bomba, meglio della bamba. Ti garantisco che poi non potrai più farne a meno e ti dovrai sparare anche gli altri 9 episodi uno in fila all'altro. Se ti piace l'assaggio, le altre puntate te le faccio pagare solo 50 euro l'una. Se le prendi tutte in un colpo solo, ti faccio lo sconto: 300 euro.

domenica 19 aprile 2015

RENEE - LA MIA STORIA? NO, LA SUA STORIA





Renee - La mia storia
(USA 2012)
Titolo originale: To Write Love on Her Arms
Regia: Nathan Frankowski
Sceneggiatura: Kate King Lynch
Cast: Kat Dennings, Chad Michael Murray, Rupert Friend, Mark Saul, Juliana Harkavy, Corbin Bleu, Travie McCoy
Genere: sobrio
Se ti piace guarda anche: Non lasciarmi sola (Gimme Shelter), 28 giorni, Christiane F. - Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino

Il primo passo per risolvere un problema è ammettere di avere un problema.
Mi chiamo Cannibal Kid e ho un problema di dipendenza. Dipendenza da film. Se sto per qualche giorno senza vedere una pellicola, o anche solo una puntata di una serie tv, sto male. Male fisicamente. Così però non posso più andare avanti. Tutti mi dicono che sono malato, che devo guarire e allora ho deciso di entrare in rehab.

martedì 17 marzo 2015

VIZIO DI FORMA, FATTANZA E DELIRIO A L.A.





Vizio di forma
(USA 2014)
Titolo originale: Inherent Vice
Regia: Paul Thomas Anderson
Sceneggiatura: Paul Thomas Anderson
Tratto dal romanzo: Vizio di forma di Thomas Pynchon
Cast: Joaquin Phoenix, Katherine Waterston, Josh Brolin, Joanna Newsom, Owen Wilson, Jena Malone, Reese Witherspoon, Benicio Del Toro, Eric Roberts, Maya Rudolph, Jordan Christian Hearn, Hong Chau, Michael Kenneth Williams, Sam Jaeger, Timothy Simons, Belladonna, Elaine Tan, Sasha Pieterse, Martin Donovan, Martin Short
Genere: fattone
Se ti piace guarda anche: Paura e delirio a Las Vegas, Jackie Brown, The Rum Diary - Cronache di una passione, Fatti, strafatti e strafighe

Pochi giorni fa è venuta a mancare mia nonna. Aveva 90 anni. Si può dire che raggiunta quell'età la sua vita l'avesse vissuta, in molti l'hanno detto, ed è vero. Nei suoi confronti provo un unico rammarico. I suoi ultimi anni. Cinque anni passati quasi sempre in un letto di una casa di riposo, paralizzata per colpa di un dannato ictus. Lo so che potrà sembrare ingenuo da parte mia. Lo so che significa barare. Lo so che è come giocare a fare Dio, ma io quegli ultimi anni li voglio gettare via. Fare finta che non siano mai esistiti. Cancellare quel capitolo conclusivo dalla sua vita e dalla mia memoria. Anche se non c'è modo di evitare il tempo, il mare del tempo, il mare del ricordo e della dimenticanza, io voglio ricordare solo le cose belle. Voglio ricordare mia nonna come una persona sempre in giro, sempre in movimento, mai ferma in un solo posto, come quel beffardo destino bastardo l'aveva costretta alla fine.

lunedì 23 giugno 2014

SMETTO QUANDO VOGLIO DI TENERE UN BLOG





A 25 anni ho conseguito una laurea specialistica in Comunicazione Multimediale e di Massa presso l’Università di Torino con il massimo dei voti. Massimo dei voti è così per dire, per fare scena, però comunque sono uscito con una buona votazione. Dopodiché non mi sono fermato lì e ho anche preso un Master in Management dei Processi Creativi alla prestigiosa università IULM di Milano, in cui hanno studiato personalità come Giorgia Surina, Melissa Satta, Nina Zilli e la figlia di Carletto Ancelotti, attuale campione d’Europa con il Real Madrid. Gente importante, insomma.
Nell'aprile 2008 ho inoltre aperto un blog, Pensieri Cannibali, che ha riscosso un successo crescente e ha ottenuto riconoscimenti di tutto rispetto. Nel novembre 2010 Julian Assange ha sostenuto di essersi ispirato proprio al mio sito per la creazione di WikiLeaks. Il giorno dopo è stato arrestato. Non so se i due eventi siano in qualche modo correlati.
Nell'ottobre 2011 Steve Jobs ha dichiarato: “Pensieri Cannibali è il futuro del blogging”. Il giorno seguente è venuto a mancare. Anche in questo caso non so dire se esista una relazione diretta tra i due fatti.
Sono poi arrivate le nomination ai Macchianera Awards, il secondo posto nella classifica di eBuzzing dei blog cinematografici più influenti d’Italia dietro l’insuperabile e maledettissimo Cineblog, la copertina del Time Magazine che ha inserito Pensieri Cannibali tra le invenzioni più importanti nella Storia di Internet insieme a Google, Napster e YouPorn.
Tutto questo però sulla stampa italiana non mi è valso neanche un trafiletto nella rubrica di Cinema, cultura e manifestazioni a fianco dei necrologi sul bisettimanale locale della mia zona, Il Monferrato. Né tanto meno mi è servito per ottenere un qualche posto di lavoro che durasse più di qualche mese… ho detto mese? Volevo dire settimana, con contratto a progetto part-time co.co.pro per un periodo di prova non retribuito in cui, in caso di recesso senza preavviso di almeno 6 mesi, devi tu stesso rimborsare l’azienda che ti ha “assunto”. In caso contrario, rischi un periodo di detenzione tra i 5 e i 10 anni con facoltà del giudice di assegnarti o meno anche la pena di morte.
L’ultima insoddisfazione è arrivata con la recensione di Smetto quando voglio di cui vi propongo qui sotto uno stralcio.

Smetto quando voglio
(Italia 2014)
Regia: Sydney Sibilia
Sceneggiatura: Sydney Sibilia, Valerio Attanasio, Andrea Garello
Cast: Edoardo Leo, Valeria Solarino, Stefano Fresi, Libero De Rienzo, Valerio Aprea, Lorenzo Lavia, Paolo Calabresi, Pietro Sermonti, Neri Marcorè, Caterina Shulha
Genere: alla matriciana
Se ti piace guarda anche: Breaking Bad, Santa Maradona

Smetto quando voglio la smette con il cinema italiano provinciale, per rivolgere uno sguardo aperto al globo intero. Le basi di partenza sono comunque quelle nazionali. Il lungometraggio d’esordio del salernitano Sydney Sybilia, autore finora soltanto di una serie di corti, è neorealismo 2.0. O dovremmo forse dire 3.0, viste le continue evoluzioni del mondo del web?
Non divaghiamo.
Smetto quando voglio è un po’ il Ladri di biciclette dei giorni nostri. Ladri di biciclette che è stato inserito nell’elenco del Ministero dei Beni Culturali tra i “100 film italiani da salvare” e la cosa mi sta anche bene. Quello che non mi sta tanto bene è il destino riservato a tutte le pellicole che invece non sono finite nel suddetto elenco. Di quelle cosa ne facciamo? Non sono da salvare, quindi vuol dire che fanno schifo? Vuol dire che le dobbiamo buttare via? Ma la finiamo con questo elitarismo culturale di bassa lega?
Il paragone con Ladri di biciclette potrebbe far storcere il naso qualcuno. Quei parrucconi che si sono scandalizzati per qualche battuta volgare di Paolo Ruffini ai David di Donatello, ad esempio.
Mmm… in effetti quelle battute facevano davvero schifo e non erano per niente divertenti, però l’accanimento mediatico che si è creato nei confronti di questo povero sfigato senza talento e senza cervello (tanto per omaggiare il suo esordio da regista) non vi sembra un tantino eccessivo? 
Comunque, in maniera analoga a quanto Ladri di biciclette faceva a fine anni Quaranta, Smetto quando voglio riesce a essere un ritratto della difficoltà del vivere nel presente, in questo caso di un gruppo di laureati altamente specializzati che sono costretti a barcamenarsi tra lavori non all’altezza dei loro studi, in mezzo a persone che non capiscono la loro genialità. Smetto quando voglio va però oltre la semplice fotografia realista per immergersi in un mondo di fiction. La vicenda del ricercatore di neurobiologia che si mette a spacciare droga prende dichiaratamente spunto dalla serie americana Breaking Bad, uno dei fenomeni televisivi di culto degli ultimi anni. Così come allo stesso tempo il film è ricco di riferimenti al cinema hollywoodiano, a quei blockbuster alla Ocean’s Eleven o alla Armageddon in cui viene messo insieme un gruppo variegato di individui alquanto singolari per organizzare una missione speciale. In questo caso la missione è creare e spacciare una pasticca di livello superiore a tutte le altre droghe in circolazione a Roma.
Il lavoro di Sydney Sibilia riesce a camminare in perfetto equilibrio sulla sottile linea rossa che sta a metà strada tra cinema nazionale e internazionale, tra racconto sociale di estrema attualità e puro spettacolo cinematografico, complice una fotografia molto all’americana e un bell’uso della stilosa colonna sonora che mixa il pop-punk degli Offspring, l’indie-rap di Jamie T e il metal delirante della Diablo Swing Orchestra con l’elettronica di Vitalic, la tamarraggine dance degli Swedish House Mafia e delle ottime musiche originali. Senza dimenticare la fenomenale campagna di marketing che ha accompagnato il lancio del film.

Nota di merito inoltre per il cast, composto da giovani talenti che speriamo di vedere ancora utilizzati al meglio come Edoardo Leo e il nuovo Giuseppe Battiston, ovvero Stefano Fresi, insieme ai simpatici Paolo Calabresi e Pietro Sermonti dalla serie Boris, un Neri Marcorè in versione cattivone, una Valeria Solarino così così e un Libero De Rienzo che ricollega idealmente questo film a un altro dei (pochi) cult generazionali italiani del nuovo millennio, Santa Maradona.
Smetto quando voglio allora è il nuovo Ladri di biciclette, o magari anche no. Forse, più probabilmente, è un Breaking Bad all’amatriciana o, meglio ancora, è il nuovo Santa Maradona. Un film fresco, dal ritmo indiavolato, in grado di intrattenere e divertire dal primo all’ultimo spettacolare istante, grazie a una sceneggiatura magari non originalissima ma architettata in maniera ottima e con tutte le cosine giuste al posto giusto nel momento giusto. Smetto quando voglio non si smetterebbe davvero mai di guardarlo.
(voto 8/10)

Questo era giusto un estratto, ma nel corso della recensione completa mi lanciavo anche in dissertazioni sulla neurobiologia e sulla sua connessione stretta, più stretta di quanto si potrebbe mai immaginare, con il cinema. Si trattava di un post mastodontico, degno a mio modesto parere di un Premio Pulitzer o se non altro di una segnalazione sul sito di Repubblica al posto dell’approfondimento sull’ultimo taglio di capelli di Neymar. Invece niente. Il massimo che ho ottenuto sono stati un paio di like su Facebook.
Sconfortato da tutto ciò, ho deciso di mettere da parte Pensieri Cannibali e di aprire un nuovo sito, leggermente ai confini con la legalità. L’ho chiamato Drugbook, è un social network che si propone di mettere in contatto spacciatori e clienti di sostanze più o meno lecite. Ci sono gruppi dedicati alla marijuana, alla cocaina, all’eroina, alle Big Babol, perché c’è gente drogata anche di Big Babol. Il sito non è in alcun modo responsabile dei contenuti postati dagli utenti, quindi non viola alcuna legge, in teoria. In pratica al momento sono sotto indagine e ogni mio movimento sia fisico che in rete viene controllato, però sono fiero del mio sito.
Mi chiamo Marco Goi e sono un blogger.

lunedì 16 settembre 2013

COME TI SPACCO LA FAMIGLIA




Come ti spaccio la famiglia
(USA 2013)
Titolo originale: We’re the Millers
Regia: Rawson Marshall Thurber
Sceneggiatura: Bob Fisher, Steve Faber, Sean Anders, John Morris
Cast: Jason Sudeikis, Jennifer Aniston, Emma Roberts, Will Poulter, Ed Helms, Nick Offerman, Kathryn Hahn, Molly C. Quinn, Ken Marino, Laura-Leigh, Tomer Sisley, Matthew Willig, Thomas Lennon, Mark L. Young
Genere: famigliare
Se ti piace guarda anche: Vita da camper, Parto con mamma, Io sono tu, Parto col folle

Partiamo da lui. Uno spacciatore di bassa lega interpretato da Jason Sudeikis. Un Jason Sudeikis che finalmente mi ha convinto in pieno, dopo una serie di prove scialbe in cui lo confondevo con Ed Helms di Una notte da leoni, pure lui qui presente, nelle vesti del suo boss.


Quindi abbiamo lei. Jennifer Aniston che fa la stripper strappona più sexy che mai e poi si trasforma in una MILFona più sexy che mai.


Poi è la volta di quell'altra. Una ragazzina ribelle senzatetto scappata di casa resa da una Emma Roberts tanto bimbominkia skazzata skizzata quanto skatenata.


Infine lui. Un ragazzotto sfigatello e ingenuamente genuinamente naïf (ma quanto mi piace usare la parola naïf con i due puntini sulla i?), portato sullo schermo dal mai visto prima giovane attore rivelazione e facia da pirla Will Poulter.

"Aiuto, queste due bruttone stanno cercando di stuprarmi!"

Un momento. Chi sono questi fab 4?
Sono i Miller, come annuncia il titolo originale della pellicola, We’re the Millers. Se oltre al Fantacalcio esistesse un Fantacinema, io li acquisterei tutti e 4. La pellicola arrivata sul nostro suolo con il solito titolo scemo spacciato per titolone divertente, ovvero Come ti spaccio la famiglia, funziona e se funziona è proprio per merito di 4 personaggi talmente male assortiti, da risultare bene assortiti una volta insieme. Cosa porta questi 4 disadattati a unire le loro forze manco fossero i Fantastici 4?
Lo spacciatore Jason Sudoku Sudeikis si ritrova con la merda fino al collo perché deve dei soldi al suo boss. Questi allora gli propone in cambio un “lavoretto” semplice semplice: smerciare 2 tonnellate di marijuana dal Messico agli Stati Uniti. Come fare a passare il confine senza risultare degli individui sospetti? Al Sudeikis viene in mente di spacciarsi per un insospettabile padre di famiglia con tanto di desperate housewife e figlioletti al seguito. E così decide di ingaggiare per il compito la sua vicina di casa spogliarellista, il suo vicino di casa nerd e la giovane senzatetto che bazzica dalle sue parti.

"Una commedia che fa ridere? Ma che è, una battuta?"
Questa è la storia della nascita di questa famiglia di supereroi. Supereroi? Intendevo superspacciatori. Uno spunto di partenza che sembra richiamare serie tv come Weeds e Breaking Bad, invece no. Lo sviluppo è da classica commedia americana on the road degli ultimi anni, cosa che fa temere il peggio. Vengono infatti in mente cose non proprio fenomenali come Parto col folle o il recente pessimo Io sono tu. A livello puramente di trama in effetti siamo da quelle parti, storiella criminale deboluccia compresa. Solo che ‘sta volta capita una cosa inaspettata: Come ti spaccio la famiglia fa ridere. Fa davvero ridere.
Come ti spaccio la famiglia e L’evocazione – The Conjuring sono stati i due successi a sorpresa del botteghino estivo americano. Perché? Non perché siano pellicole rivouzionarie o chissà quanto originali, ma perché semplicemente fanno il loro dovere. Il primo è una commedia che diverte, il secondo è un film dell’orrore che spaventa. Tutto qui. Può sembrare scontato, può sembrare ovvio, invece non lo è, almeno a guardare la gran parte del resto del panorama delle comedy e degli horror americani degli ultimi anni, che al massimo fanno spavento come commedie e ridere come horror, quando dovrebbe essere il contrario.

"Questo film è davvero divertente.
Per una volta Cannibal non dice una fregnaccia, mi sento male!"
L’umorismo di Come ti spaccio la famiglia è ricco di riferimenti alla pop e hip-hop culture (Flanders, Eminem, Marky Mark Wahlberg, Snoop Dogg, Oprah Winfrey…) ed è molto cattivo, politically incorrect e sessualmente esplicito. Volgare? Se proprio volete fare i bacchettoni sì, un pochino, ma non è un volgare da sbocco come Comic Movie. È semmai un film che gioca con gli stereotipi dei family movies, classica scena della famigliola felice che canta in auto compresa ("Waterfalls" delle TLC, per la cronaca), per sfotterli allegramente. Come si può immaginare, un pizzico di buonismo e qualche strizzatina d’occhio ai valori famigliari alla fine emergono pure qui. Siamo pur sempre dentro una commedia americana mainstream il cui compito è sì di far ridere, ma anche di riempire i multiplex proprio con quelle stesse famiglie che in vacanza vanno in camper che prende per i fondelli.

Cinematograficamente non è certo un capolavoro, anche se c’è un momento simpatico in cui Jason Sudeikis guarda in camera, rompendo la quarta parete come Jean-Paul Belmondo in Fino all’ultimo respiro. Le cose importanti per una commedia come questa sono però altre: Jennifer Aniston impegnata in un paio di scene di strip, innanzitutto, anche se purtroppo non fa intravedere manco mezza tetta. Una scena di un tipo (non vi svelo chi) che si limona Emma Roberts e Jennifer Aniston contemporaneamente. E poi un’altra scena in cui una donna palpa le tette a Jennifer Aniston. Queste sono le cose importanti.
Scene sexy con Jennifer Aniston a parte, ci sono poi le risate. Tante. Finalmente una commedia americana che fa ridere, dall’inizio alla fine. Persino sui titoli di coda. No, non è un sogno. Durante la visione mi sono dato più volte dei pizzicotti sul braccio fino quasi a sanguinare e posso confermare che non si tratta di un sogno. È un miracolo!
(voto 7/10)



martedì 23 luglio 2013

NON POSSO PIU’ FARE A MENO DEL MIO PUSHER




Pusher II
(Danimarca, UK 2004)
Regia: Nicolas Winding Refn
Sceneggiatura: Nicolas Winding Refn
Cast: Mads Mikkelsen, Zlatko Buric, Leif Sylvester, Anne Sørensen, Øyvind Hagen-Traberg, Kurt Nielsen
Genere: sfacciato
Se ti piace guarda anche: Pusher, Pusher 3

“Qualcuno dice che ho problemi nel ricordarmi le cose.”
Chi l'ha detto?
“Non me lo ricordo.”

Pusher è figo. Uno di quei film che ti trascina dentro. Ma Pusher II è ancora più figo. Uno di quei rari casi in cui il sequel è migliore del primo. Parlare di sequel nel caso di Pusher II appare comunque un po’ improprio. Più che un sequel, è uno spinoff. O come un episodio di una serie tv che si concentra su un personaggio differente, come capitava in Lost e come capita in Skins. In Pusher II possiamo infatti dimenticarci del pusher Frank, che non compare manco in un cameo ma viene giusto menzionato in un’occasione. Questa volta il protagonista è Tonny, ovvero Mads Mikkelsen, un personaggio che avevamo già visto nel primo episodio e che appariva come un cazzaro di prima categoria. Una cosa ribadita anche in questo nuovo capitolo, dove c’è però una costruzione migliore e decisamente più approfondita del personaggio. Se lo stile registico rimane pressappoco immutato, sebbene ci sia una migliore cura nella fotografia, Refn fa un salto di qualità soprattutto nella sceneggiatura. La vicenda non è particolarmente elaborata, ma questa volta il personaggio di Tonny “arriva” di più allo spettatore.

"Guarda qua, c'è un articolo di Cannibal Kid. E' la nuova rivista per cui scrive."
Uscito di gattabuia, Tonny va a lavorare con il padre, ‘sto raccomandato, con cui ha un rapporto conflittuale.
Naturalmente, la galera non è che gli sia servita un granché e lui resta sempre un cazzone assoluto, un cazzone che si barcamena tra furti, bordelli e spacci di droga insieme al suo compare, che questa volta non è Franky bensì un tizio che in maniera molto milanese viene chiamato Il Figa. Un’altra piccola storia su un piccolo criminale, indagato con una maggiore profondità a livello personale e famigliare. Resta un film freddo, tipicamente danese, ma qui Refn getta ancora più le basi per l’esplosione totale del suo stile che avverrà con Drive, si veda e soprattutto si senta anche l’uso delle musiche qui realizzato in maniera più efficace rispetto al numero 1.
Bello Pusher, ma per una volta il sequel batte l’originale. Forse perché non è un sequel sequel vero e proprio?
(voto 8/10)


Il divertimento sul set secondo quel simpaticone di Refn.
Pusher 3
(Danimarca 2005)
Regia: Nicolas Winding Refn
Sceneggiatura: Nicolas Winding Refn
Cast: Zlatko Buric, Marinela Dekic, Slavko Labovic, Ramadan Huseini, Ilyas Agac
Genere: spiaccicato

Altro giro, altra corsa. Se il primo capitolo ci raccontava una settimana nella vita del pusher Frank e il secondo il periodo successivo al rilascio di prigione del mezzo criminale Tonny, il terzo episodio di Pusher si concentra sull’unico personaggio apparso in tutti e tre i film della saga, ovvero il re della droga, il serbo Milo interpretato da Zlatko Buric. Questa volta l’azione è concentrata in appena un paio di giorni e in particolare nella notte in cui si celebra la festa del 25esimo compleanno di sua figlia Milena.
Dei tre protagonisti incontrati finora, Milo è quello meno appealing. Fisicamente perde il confronto con Kim Bodnia e Mads Mikkelsen, sorry Zlatko non uccidermi, e anche a livello caratteriale, essendo un personaggio più chiuso ed ermetico. Nonostante questo, ci troviamo di fronte a un (quasi) tutto in una notte serrato e avvincente, giusto un filo sotto ai primi due capitoli. Refn gira con il suo solito stile stiloso, in grado di portare in maniera naturale dentro la vita dei suoi personaggi, anche se a questo turno sembra girare il tutto un po’ più col pilota automatico.

Con Pusher 1 c’era l’eccitazione della prima volta, l’emozione di vedere al debutto un fenomeno della regia. Con Pusher II si andava oltre, spingendo su una storia e su un personaggio ancora più coinvolgenti. Con Pusher 3 Refn gioca invece la carta di una maggiore riflessività, aumentando progressivamente il ritmo solo nel finale. Non facendo un centro pieno come con gli altri due capitoli, ma riuscendo in ogni caso a chiudere il cerchio della trilogia in una maniera a suo modo perfetta.
La chiusura è raggelante, oltre che violenta e splatter al punto da far apparire i primi due episodi come roba per educande. Se in Frank e Tonny, benché tutto fuorché modelli di virtù, si intravedeva ancora un lampo di speranza, questo capitolo ci offre il ritratto di un uomo che, nonostante l’amore per la figlia, è desolato, prosciugato, senza più possibilità di redenzione. Ci offre il ritratto di un’umanità che, come la piscina dell’ultima inquadratura, ha ormai perso anche la sua ultima goccia di umanità.
(voto 7/10)

Post pubblicato anche su The Movie Shelter.

lunedì 22 luglio 2013

PUSHER TO THE LIMIT


Pusher
(Danimarca 1996)
Regia: Nicolas Winding Refn
Sceneggiatura: Jens Dahl, Nicolas Winding Refn
Cast: Kim Bodnia, Mads Mikkelsen, Zlatko Buric, Laura Drasbæk, Peter Andersson, Slavko Labovic, Nicolas Winding Refn
Genere: spacciato
Se ti piace guarda anche: Pusher 2, Pusher 3, Bleeder, Drive

Una settimana nella vita di un pusher. Non è un nuovo reality di Cielo, non è il sostituto di Teen Mom su Mtv, bensì è il film d’esordio di Nicolas Winding Refn. Il danese che tutti amiamo per Drive e che qualcuno, come me, allo stesso tempo odia anche per il comatoso Valhalla Rising. Prima dell’esplosione mondiale, prima del suo ingresso nella Hollywood che conta, prima della sua venerazione a livelli quasi religiosi e terrencemalickiani, tutto ha avuto inizio con Pusher.
Come anticipato, Pusher parla di un pusher, uno spacciatore, uno che si guadagna da vivere vendendo la roba. Che vi aspettavate, d’altra parte, con un titolo del genere? Un film su un chierichetto? Nel mostrarci una “tranquilla” settimana del suo protagonista, Refn non si risparmia certo. Da una materia tanto pulp, il regista ha tirato fuori un film tanto pulp con sesso (più parlato che fatto), droga e rock’n’roll, così come scatti di violenza improvvisi, qualche rissa e scene leggermente splatterose. Da una materia così pulp, volendo il Refn avrebbe potuto esagerare ancora di più, d’altra parte eravamo proprio nel mezzo dei pulpissimi anni ’90, ma il suo intento non sembra quello di voler stupire a tutti i costi per gli eccessi di quanto filma. Il danese sembra voler stupire più per la messa in scena, che per cosa mette in scena. E ci riesce alla grande.

"Cos'è, stai cercando di fare la tua versione di Blurred Lines?"
In quanto opera d’esordio, ci troviamo di fronte a un film ancora acerbo, eppure lo stile del regista emerge già con prepotenza. La primissima scena, i titoli di testa che ci introducono i personaggi con il loro nome scritto in sovrimpressione, ci riportano nel mezzo di una scelta stilistica tipicamente anni ’90. Considerata la tematica tossica, l’impressione iniziale è allora quella di potersi trovare di fronte a una copia danese di Trainspotting o poco altro. Bastano pochi minuti e l’impressione si rivela subito sbagliata. Sbagliatissima. Refn non sembra avere l’intenzione di copiare nessuno, semmai è alla ricerca di uno stile proprio. Uno stile che in apparenza può sembrare di stampo documentaristico, ma non è così. Il regista non adotta quello stile mockumentary che nel nuovo millennio avrebbe conosciuto grande fortuna. Refn segue i personaggi con macchina da presa a mano, segue da vicino il suo pusher protagonista, per fortuna evitando quell’effetto tremolante da mockumentary, appunto. Pur girando con un budget ridotto, Refn fin dal suo esordio vuole fare Cinema, grande Cinema, non robette dal sapore amatoriale. Pusher passa così dall’essere un potenziale clone pulp dei successi in auge negli anni Novanta, o dall’essere un potenziale documentario pseudo realistico sulla vita di uno spacciatore, all’essere un piccolo e prezioso saggio cinematografico su come seguire un personaggio e gettarci all’interno della sua vita. Una lezione da cui sembra aver tratto insegnamento anche il Darren Aronofsky di The Wrestler e Il cigno nero, pellicole in cui si instaura un rapporto quasi fisico tra macchina da presa e personaggio in una maniera molto vicina a quanto visto in questo Pusher.

Naturalmente questo folgorante esordio getta anche le basi per il Refn-style successivo, quello che sviluppato a dovere e con alcuni accorgimenti lo porterà a realizzare il suo capolavoro, Drive. Un elemento fondamentale nella riuscita di quest’ultimo è la scelta delle musiche. L’atmosfera electro-pop tanto anni ’80 e contemporaneamente attuale getta la pellicola in una dimensione fuori dal tempo molto originale. In Pusher invece la selezione musicale è più scontata e tipicamente anni ‘90. A tratti la soundtrack del film spacca parecchio, però non colpisce fino in fondo. Per la scena dell’inseguimento del pusher con i poliziotti, viene ad esempio usato un pezzo punk-rock; una scelta efficace, quanto prevedibile, laddove quella di Drive risulta parecchio più imprevedibile.

"Smettila Mads, non te lo do' il pugnetto!"
Altro elemento che non convince del tutto è la costruzione del personaggio protagonista, il pusher Frank, interpretato da un ottimo  Kim Bodnia, che tornerà anche nel successivo film di Refn, Bleeder. Seguiamo questo personaggio per un’intera settimana, eppure non scatta mai nei suoi confronti una vera empatia. La freddezza emotiva credo sia una scelta precisa del regista, qui anche sceneggiatore a quattro mani con Jens Dahl, però a coinvolgere maggiormente sono i personaggi secondari. Sono loro a regalare i momenti più “umani” alla pellicola: il picchiatore che confessa il suo sogno di aprire un ristorante, o la prostituta innamorata del pusher Frank, così come la madre dello spacciatore che cerca di aiutarlo finanziariamente, e una maggiore umanità la si ritrova persino nella sbruffonaggine del suo amico Tonny, interpretato dal sorprendente esordiente Mads Mikkelsen, che ritroveremo protagonista assoluto di Pusher II. Una freddezza emotiva che verrà risolta in Drive in maniera non ruffiana o cuoriciosa, solo regalando al protagonista Driver un maggiore sentimentalismo. Rendendolo più umano, “a real human being, and a real hero”.

Il finale di Pusher è sospeso, proprio come quello di Drive. Laddove quest’ultimo lascia però con la sensazione di aver assistito a qualcosa di pienamente riuscito e con un gusto buono, Pusher lascia un po’ l’amaro in bocca. Un esordio folgorante, un talento registico genuino da tenere d’occhio, ma anche l’impressione che manchi qualcosa. Col senno di poi, possiamo comunque dire che Refn con Drive riuscirà a portare a completo compimento quanto di buono mostrato con un esordio che, sempre col senno di poi, non si è rivelato un fuoco di paglia, ma una fiamma pronta a divampare.
(voto 8-/10)

A domani, con nuove recensioni refniane che fanno parte della Refn Week.


Post pubblicato anche su L'OraBlù, corredato dal minimal poster creato per l'occasione da C[h]erotto, e postato, tanto per esagerare, pure su The Movie Shelter.


martedì 11 giugno 2013

PAULETTE, NONNETTA SPINELLO


Paulette
(Francia 2012)
Regia: Jérôme Enrico
Cast: Bernadette Lafont, Dominique Lavanant, Françoise Bertin, Carmen Maura, André Penvern, Ismaël Dramé, Axelle Laffont, Mathias Melloul, Fabrice Colson
Genere: tua nonna è più drogata di te
Se ti piace guarda anche: L’erba di Grace, Weeds, Breaking Bad

Paulette è una vecchina vedova e razzista. State già correndo al cinema a vederla, vero?
Paulette è talmente razzista da accusare l’arrivo degli extracomunitari in Francia per il fallimento del suo ristorante e così razzista da odiare il marito di sua figlia, un poliziotto antinarcotici di colore e persino il suo nipotino, che è mulatto. In pratica, è una carampana simpatica quanto un dito nel culo o quanto Gianni Alemanno o, peggio, quanto Gianni Alemanno che ti mette un dito nel culo. Lo dico in via del tutto ipotetica, non è che abbia provato.
Fino a che… Fino a che non ha più soldi per pagare l’affitto. A quel punto, con la crisi economica che le morde le chiappe rugose, è costretta a provare un business in cui non aveva mai pensato di potersi cimentare. E nemmeno noi. La vecchina comincia a spacciare droga. Uno spunto inverosimile, ma fino a un certo punto. In effetti, chi c’è di più insospettabile di una tizia del genere? Chissà che qualche nonnina vedendola non prenda ispirazione da lei. D’ora in poi, se vedete una vecchietta sospetta che si aggira per le vie più losche della vostra città, attenti quindi, potreste aver trovato il vostro nuovo pusher personale.

È così che cominciano le avventure di Nonna Spinello. Spunto carino e simpatico, però niente di nuovo sotto il sole, a raccontarla tutta. C’era già stata ad esempio L’erba di Grace. Così come non siamo troppo distanti nemmeno dalla protagonista delle serie tv Weeds, anch’essa una vedova (però più giovane e parecchio più sexy, Mary-Louise Parker) che spaccia la roba, oppure Breaking Bad, dove un tranquillo professore di chimica liceale diventa poco a poco uno dei più misteriosi e pericolosi boss della droga della Storia.

La più gnocca del film.
Nonostante la puzza, più che di marijuana, di già visto, la commediola si lascia vedere. Procede senza particolari colpi di genio o momenti chissà quanto esilaranti, ma senza nemmeno annoiare, complice anche la breve durata. Due tiri a questo filmetto quindi si possono dare, se proprio in questo periodo non avete altra roba più potente per le mani. E tra le carampane rischia persino di diventare un nuovo piccolo cult.
L’aspetto migliore di questo film francese è quello di non sprofondare troppo nei buoni sentimenti. Un pochino lo fa, solo in una maniera meno sfacciata rispetto alle commedie americane. La prima parte della pellicola, quella più cinica e cattiva, è comunque preferibile rispetto a una seconda parte dallo sviluppo scontato e a un finale eccessivamente buonista. I francesi dimostrano allora ancora una volta di saperci fare, seppure in tono minore rispetto a Quasi amici o ad altri gioielli recenti, e di riuscire a tirare fuori una commedia gradevole persino con una protagonista super sgradevole. A interpretare la “simpaticissima” Paulette c’è Bernadette Lafont, azzeccata per la parte, con quella sua faccia che fa cattivo più di quella di molti rapper. La migliore del gruppo è però la vecchina soprannominata Alzheimer, provate a immaginare perché…

Non molto il mio genere di film, chi mi conosce lo sa che sono decisamente più orientato sul lato adolescenziale della vita ah yeah, eppure questo Paulette fila via liscio. Sarà perché una volta tanto non ci si deprime come in Amour e viene anzi proposta una visione della terza età positiva. Come un periodo della vita in cui si può ancora stupire se stessi e gli altri, riprendere in mano le redini del destino e scrivere un nuovo capitolo, magari il più avvincente, della propria storia personale.
Il merito?
Tutto della droga, naturalmente!
(voto 6/10)



lunedì 14 novembre 2011

The drugs don’t work (la disoccupazione ha colpito pure loro)

Non sopporto gli spot anti droga.
Di solito sono patetici, banali, prevedibili, scontati, moralizzatori.
Democristiani.
Se alla regia però c’è un certo Darren Aronofsky (Il cigno nero, Requiem for a Dream, The Wrestler, π - Il teorema del delirio, L'albero della vita) beh, allora le cose cambiano.
Il regista ha infatti diretto 4 spot 4 uno più bello dell’altro, uno più devastante dell’altro, per il The Meth Project, una campagna contro l’uso del meth, o anche crystal meth, o anche metanfetamine, o anche MDMA di baustelliana memoria, o anche le droghe chimiche cucinate nella serie Breaking Bad, o anche tutte quelle sostanze che tra i giovani d’oggi sono più popolari di Justin Bieber. Non che ci vada molto.
Comunque ecco le 4 clip, roba - attenzione - per stomaci forti.

giovedì 28 luglio 2011

Fai un Breaking Bad, spezza con Pinkman

Breaking Bad
(serie tv, stagioni 1-4)
Rete americana: AMC
Rete italiana: AXN
Creata da: Vince Gilligan
Cast: Bryan Cranston, Aaron Paul, Anna Gunn, Dean Norris, Betsy Brandt, RJ Mitte, Bob Odenkirk, Giancarlo Esposito, Charles Baker, Krysten Ritter, Jonathan Banks
Genere: fuoriserie
Se ti piace guarda anche: Weeds, Nip/Tuck, The Killing

C’è una serie che dovete assolutamente vedere!
E anche i più grandi facciano attenzione che, una volta tanto, non consiglio un telefilm adolescenziale come mio solito bensì una serie tv matura, profonda, cinematograficamente notevolissima, recitata da Dio, con delle sceneggiature a prova di bomba e insomma una roba che piacerà anche - anzi, soprattutto - ai fondamentalisti anti-teen.


Breaking Bad non prende subito. Non conquista del tutto fin dal primo episodio. O almeno, con me non è successo. Dall’inizio comunque incuriosisce e stuzzica, visto che racconta di Walt White (Bryan Cranston), un tranquillo (ma attenti perché le apparenze… sapete già come finisce la frase) professore di chimica di una cittadina americana cui un giorno viene diagnoticato un cancro e allora, come fare a pagare le costosissime cure e, soprattutto assicurare un futuro alla famiglia, proprio ora che sta per arrivargli anche la seconda figlia?
Semplice: da buon chimico si mette a fare metanfetamine, per la precisione cristalli (Crystal meth), insieme a un suo ex studente tossico, Jesse Pinkman (Aaron Paul), il vostro futuro nuovo idolo e vi consiglio di seguire la serie in inglese, perché come dice “Yo, bitch!” Jesse Pinkman non lo dice nessuno e lui lo dice rivolgendosi a chiunque, un po’ come Hugo di Lost chiamava tutti “Coso”. Yo hai capito, bitch?

Un espediente narrativo curioso, quello della persona insospettabile che si mette nel campo della droga, ma che sa già di sentito, dopo L’erba di Grace, Weeds et similia. Però la forza di Breaking Bad sta nell’imprevedibilità dei suoi script, nel continuare a cambiare e a muoversi sempre, evolvendosi in maniera pazzesca tra droga, chemioterapie, sparatorie, spacciatori, routine quotidiana, e con colpi di scena e di genio davvero notevoli che faranno crescere la serie nella classifica delle vostre preferite episodio dopo episodio.
Per il rapporto tra i due protagonisti, soci di attività molto diversi tra loro, e per la mutazione costante delle storie, Breaking Bad per me è il vero erede di Nip/Tuck, ma dev’essere solo una sensazione mia, visto che per atmosfera siamo proprio su due pianeti differenti. Tanto era patinato, glamour & 80s scintillante la Miami (e poi la L.A.) dei due chirurghi plastici, quanto è quieto, lenta, disperata e desertica la cittadina di Albuquerque sul confine col Messico in cui è ambientato BB. Un paesaggio tipico da profondo Sud degli Stati Uniti, ma non nel senso “hot” di True Blood.
Breaking Bad è una serie che va assaporata con calma e poi a un certo punto ti prende, ti afferra e non ti lascia più andare. Come un pitone. Io ad esempio la stagione 3 me la sono bevuta in un sorso veloce, senza nemmeno accorgermene, per poi partire in tempo con la stagione 4 ora in onda negli USA su AMC (non a caso il network di altre serie strepitose come Mad Men e The Killing).

E vogliamo parlare delle interpretazioni? Qui siamo davvero over the top, roba da consegnare subito l’Emmy anzi l’Oscar a tutti, dal pazzesco protagonista Bryan Cranston al junkie show di Aaron Paul, alla M.I.L.F.ona Anna Gunn, al cognato che lavora nella DEA (agenzia americana antidroga) Dean Norris, all’esilarante avvocato dei protagonisti interpretato da un Bob Odenkirk su-bli-cazzo-me, a Giancarlo Esposito che dietro la facciata da gestore di un tipico fast-food americano detta invece le regole nel cartello della droga al confine tra USA e Messico e si rivelerà il più spietato figlio di puttana che vi capiterà di vedere in azione.

Se non l’avete mai visto: cominciate a seguirlo e non ve ne pentirete.
Se l’avete visto ma magari l’avete lasciato da parte: dategli fiducia che la terza stagione è una bomba e la quarta dai primi due strepitosi episodi promette di essere er mejo der mejo.
E se non vi fidate di me, fidatevi di un tranquillo, noioso professore di chimica di provincia che non farebbe mai niente di minimamente illegale e non farebbe mai del male a una mosca
… sì, come no.
(voto 9)




lunedì 23 maggio 2011

Una recensione Limitless sfruttando il mio cervello al 100%

Limitless
(USA 2011)
Regia: Neil Burger
Cast: Bradley Cooper, Robert De Niro, Abbie Cornish, Anna Friel, Johnny Whitworth, Andrew Howard, Robert John Burke, Darren Goldstein, Tomas Arana, T.V. Carpio
Genere: open your eyes, open your mind
Se ti piace guarda anche: Crank, π - Il teorema del delirio, Enter the Void, Strange Days, Fight Club

Non ho manie di grandezza. Ho un’autentica ricetta per la grandezza.

Trama semiseria
Hai sentito la storia che usiamo solo il 20% del cervello?
Ecco, quando senti parlare Bossi o suo figlio pensi: cazzo, ma questi non usano neanche il 2%.
Il protagonista di questo film è uno scrittore con il blocco dello scrittore in crisi che si prende una sostanza in grado di fargli avere accesso a tutto il potenziale del cervello.
Bingo: il 100% per una persona normale, ma se la date sempre a Bossi o a suo figlio arrivano a dir tanto al 3 o al 4%...

Recensione cannibale
Guardando il trailer, Limitless mi era sembrato un possibile incrocio tra l’adrenalinico action movie Crank e l’apertura alle percezioni sensoriali dell’innovativo Enter the Void di Gaspar Noé: esatto l’uomo venuto a traghettarci verso il futuro del cinema con la sua arca visiva.
L’espediente narrativo di partenza del film è davvero ottimo e offre una marea di spunti. Un aspirante scrittore fallito con un aspetto trasandato da barbone e un appartamentino lurido prende una sostanza farfaceutica barra droga dal suo ex suocero, il suo personale Morpheus che gli spalanca le porte della mente. Una robetta magica chiamata NZT che permette di accedere al 100% del potenziale del cervello, ben al di là del misero 20% che di solito usiamo. Ma cosa succede dopo che la prende la pasticchina magica?
Diventa super intelligente e in grado di avere a disposizione una miriade di informazioni. In pratica diventa Google in persona. Un secchione odioso e spocchioso? No, anzi, diventa super attivo come se si fosse sparato un centinaio di righe di coca, pulisce l’appartamento, si rimette in sesto, abbandona il barbon-look, scopa un sacco in giro, completa il libro cui lavorava invano da mesi, e…
Il resto della storia vi invito a scoprirvelo da soli, visto che è una visione anzi esperienza che vale ampiamente la pena di provare e certo non annoia. Qui di seguito vi riporto comunque una mia serie di riflessioni lucide dovute all’effetto dopante della pellicola.

È pericoloso questo Limitless, perché se nella realtà esistesse una sostanza come quella del film tutti vorrebbero prenderla e la visione invoglia a desiderarla ardentemente. D’altra parte chi non vorrebbe diventare la versione superpotenziata di sé? Non essendoci una sostanza del genere in giro cosa si può prendere per avere un effetto simile? Pacchi di cocaina? Funghetti allucinogeni? Oppure boh chi lo sa? Forse c’è qualcuno che già la prende. Kanye West, Justin Timberlake o Melanie Laurent, ad esempio: gente che canta, rappa, recita, produce, dirige, scrive, balla, crea, conduce show, fa in pratica qualunque cosa artisticamente concepibile. Persone che, viene il lecito dubbio, è probabile si facciano dosi quotidiane di questa droga…

Tratto da un romanzo dell'autore irlandese Alan Glynn, Limitless offre uno spunto interessante per riflettere sull’epoca in cui ci troviamo, di cui è uno specchio perfetto. Viviamo infatti in una società che ci richiede di essere bravi non in un solo campo ma in tutti, una società che ci bombarda di informazioni, una società in cui abbiamo a disposizione tutto, subito, presto, qui, ora, ma cosa ci manca solo il più delle volte? La capacità di gestire tutto questo marasma di numeri, simboli, lettere, parole, idee, concetti che ci piovono addosso da ogniddove. Per quanto intelligenti e preparati possiamo essere, per poterle comprendere appieno abbiamo in effetti bisogno di più delle nostre capacità attuali: abbiamo bisogno di sfruttare in pieno il nostro cervello. Ma se ci sono un sacco di diverse droghe in giro, che cazzo aspettate a mettere in commercio anche questa pasticca? Dai che voglio comprarla, sono disposto a qualunque cifra e a fare qualunque cosa come il protagonista di questo film.

Il protagonista del film chi è? Bradley Cooper, quello di Una notte da leoni. E come se la cava Bradley Cooper alla prova di un film in cui ha il ruolo principale? Se la cava bene, il ragazzo, ma non mi ha convinto del tutto. Non al 100%, magari giusto a un 80%, tanto per rimanere in tema di percentuali. In una parte secondaria c’è poi Robert De Niro, uno che si sarebbe dovuto ritirare dignitosamente già parecchi anni fa diciamo dopo Jackie Brown, e nonostante Limitless sia con Machete uno dei pochi film decenti tra i molti girati negli ultimi anni, la sua interpretazione è lungi dall’essere brillante; è ormai bollito, stanco, si vede che non ci mette nessun entusiasmo nel recitare e lo fa ormai solo per soldi. Come presidente della giuria di Cannes sembra capirne già di più, visto che ha premiato Terrence Malick e Kirsten Dunst, forse dovrebbe dedicarsi a quello in piante stabile... In più nel cast c’è anche un sosia dello scrittore Bret Easton Ellis ma, e mi sono informato su imdb, non è lui -certificato- si chiama Darren Goldstein. Eppure cazzo se è uguale. Un ruolo che avrebbe meritato un approfondimento maggiore è poi quello di Abbie Cornish, l’australiana nuova Nicole Kidman anzi nuova Naomi Watts vista in Paradiso + Inferno, Bright Star e Sucker Punch che interpreta la fidanzata usa e getta, tira e molla, prendi e lascia del Bradley Cooper. Chiusa parentesi cast.

La capacità, la virtù di Limitless è simile a quella del protagonista sotto l’effetto di questa magica misteriosa sostanza NZT: prende diverse tendenze del cinema contemporaneo, con un’atmosfera alla Fight Club di David Fincher, un attacco in stile video di Pure morning dei Placebo, capacità numeriche applicate alla Borsa come ipotizzato in π - Il teorema del delirio di Darren Aronofsky da cui prende anche in prestito una soundtrack molto drum'n'bass, qualche idea vicina ai già citati Crank, Enter the Void e Matrix et voilà: le frulla insieme, le cita in una maniera talmente veloce da sfruttare davvero al 100% il mezzo cinematografico moderno e le butta poi fuori in una forma non innovativa ma comunque piuttosto originale e personale, già a partire dai titoli di testa da mal di testa. Non ho visto i suoi film precedenti L’illusionista e The Lucky Ones, quindi non so se il regista Neil Burger fosse qui nel suo stato normale o invece sotto l’effetto di NZT come il suo protagonista, però in tal caso mi auguro continui a prenderla così potrà fare altre cose interessanti e notevoli.

E a proposito, Limitless è un film notevole cui forse manca giusto un po’ di cuore, ma d’altronde quando hai a disposizione il 100% del cervello non puoi permetterti troppi sentimenti e sentimentalismi. L’altro limit del film, che non lo fa entrare quindi giusto per un soffio tra i miei cult personali assoluti come le altre pellicole cui si ispira, è un intreccio spy-thriller finale non del tutto esaltante. Il punto di forza maggiore di Limitless è invece quello di mettere addosso, di instillare vera adrenalina, che ti fa voglia di fare un sacco di cose e quindi, dopo questo fiume di parole in piena per una delle recensione più lunghe e logorroiche che abbia mai scritto, cosa che di solito evito di fare, me ne vado, ora basta la smetto perché devo andare a sfruttare al 100% il potenziale del mio cervello.
Sperando sia superiore a quello di Bossi & figlio trota…
(voto 8)

martedì 29 marzo 2011

I sogni son desideri

Dopo π - Il teorema del delirio, ecco la seconda tappa nel trip aronofskyano.

Requiem for a Dream
(USA 2000)
Regia: Darren Aronofsky
Sceneggiatura: Darren Aronofsky
Cast: Jared Leto, Jennifer Connelly, Ellen Burstyn, Marlon Wayans, Christopher McDonald, Keith David, Dylan Baker, Mark Margolis
Genere: tossico
Se ti piace guarda anche: Paradiso + Inferno, Trainspotting, Cristiana F. - Noi i ragazzi dello zoo di Berlino, Storytelling, Sid & Nancy, Mysterious Skin, Bully

Tratto dal racconto omonimo del 1978 di Hubert Selby Jr., Requiem for a Dream è una visione volutamente sgradevole che ci racconta di personaggi annientati a un grado zero di umanità. Uno di quei film insomma che è un tale pugno allo stomaco che non mi stupisce abbia dei detrattori. La cosa che invece mi stupisce è che sia un film anche parecchio amato da un sacco di gente. Io ho un rapporto piuttosto conflittuale con la pellicola; dopo averlo visto la prima volta ed esserne rimasto molto coinvolto/sconvolto, mi ero ripromesso di non vederlo più perché è un film che nella sua devastante forza fisica è in grado di farmi male come pochi altri. E invece ci sono ricascato perché le pillole di Aronofsky sono una droga, un tunnel da cui non puoi uscire e non ci puoi uscire no non ci puoi uscire e no non con le tue gambe almeno. A perfetto simbolo della devastazione qui presente, il personaggio di Jared Leto (finalmente in un ruolo da protagonista) si riduce il braccio in un filamento di carne nera a forza di farsi le pere e così anch’io non ho potuto non cedere a reinfilarmi in vena questo american dream smaciullato.

Il tipo di Scary Movie fa sempre il fattone, un caso?
A livello registico Darren si diletta in una serie di riprese allucinate e stranianti, di split-screen, primissimi piani, grandangoli hip-hop, camere legate ai corpi degli attori, non tanto per fare il figo (forse un pochino anche per quello), ma più che altro per dare la più adatta rappresentazione visiva della vita di un gruppo di tossici di eroina (i tre ragazzi), quanto di televisione e anfetamine (la madre). Con Trainspotting e I ragazzi dello zoo di Berlino questo Requiem è una delle versioni cinematografiche più estreme e calate (letteralmente) nel mondo della droga che quasi quasi mi faccio e poi me lo rivedo un’altra volta. Anche se fa male. Anche se è un pugno allo stomaco di quelli che ti lasciano un livido indelebile ma allo stesso tempo ti fanno crescere, di quelli che non necessariamente ti rendono una persona migliore ma allo stesso tempo di certo ti segnano.
Non solo droga, comunque, visto che quella messa peggio di tutti qui dentro è la madre, quella fissata di apparire sulla cazzo di televisione: un mostro di personaggio che sembra uscito dritto dalla nostra penisola Mediaset. A interpretare questa sciura cresciuta a pasticche e programmi stile Forum c'è un'allucinante spaventosa agghiacciante e agghiacciata Ellen Burstyn, nominata agli Oscar per questa prova ai confini della resistenza fisica. Darren Aronofsky da buon bastardo deve goderci parecchio a spingere i suoi attori così oltre (anche Natalie Portman deve saperne qualcosa...).

La droga fa male, ma la tv anche peggio
Una fotografia perfetta della disperazione umana sventolata in faccia a chi ancora -stolto- crede negli happy ending. Perché qui non c’è, come suggerisce il titolo del motivo ricorrente di Clint Mansell, una “Lux Aetherna” alla fine del tunnel. Non c’è più speranza perché non c’è più nessun (American) dream cui affidarsi. Solo un eterno e buio requiem. E non puoi uscire no non puoi più uscire e non ci puoi riuscire e sì ci puoi solo morire.
(voto 8,5)

Accoglienza: pubblico e critica divisi  e spiazzati all’uscita, ma rapidamente è diventato un piccolo cult sul mondo della droga, e non solo, oltre ad aver fatto conoscere Aronofsky anche all’infuori del circuito dei festival cinematografici. Diversi premi e nomination per la performance di Ellen Burstyn, mentre “Lux Aetherna” di Clint Mansell è entrato di diritto tra i pezzi più epici nella storia delle colonne sonore e non a caso è stato utilizzato in seguito anche per vari altri film e trailer, oltre ad essere stato pure campionato dal rapper Lil Jon nel pezzo “Throw it up”.
Box-Office USA: $ 3,6 milioni

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